Marsa Alam e l’Alto Egitto
Partito assieme ad un amico, giungo a Marsa Alam nel tardo pomeriggio del 28/04/07 – che a differenza del nostro – è molto più breve, con un passaggio tra il giorno e la notte decisamente più repentino.
Siamo a fine aprile e all’arrivo all’aeroporto della cittadina egiziana ci accoglie un alito caldo e leggermente pesante. Intorno allo scalo regna il deserto, roccioso ovviamente, così come in quasi tutto l’Egitto orientale. E’ curioso ricordare che lo scalo egiziano è di proprietà di un ricco proprietario che possiede il 70% dell’intero territorio di Marsa Alam e – piccola curiosità – è alla ricerca della quarta moglie.
Il viaggio è stato prenotato con il tour operator New Millenium che gestirà per pochissimo tempo ancora il villaggio da noi prescelto: l’Abo Nawas Resort. L’assistenza inizialmente manca, arriviamo in aeroporto e all’uscita attendiamo circa mezzora il pullman che ci condurrà all’albergo. Finalmente arriva il mezzo e con lui quello che sarà l’assistente per tutta la durata del soggiorno il cui nome – come è già stato detto – è Hakim. Quest’ultimo, durante il tragitto verso il villaggio, ci descrive le varie strutture in cui alloggeranno le persone sul pullman, dal Lamaya Beach al Kahramana, dall’Habiba Calimera all’Abo Nawas Resort, soffermandosi sull’ ampiezza delle camere di quest’ultimo. Una volta giunti e sbrigate le formalità del check-in ci rechiamo al ristorante, che nonostante l’ora tarda, appare ricco ed invitante. Le camere non hanno deluso le aspettative in quanto a grandezza e comfort. Vorrei subito puntualizzare una cosa sulla struttura del villaggio che sicuramente contribuisce ad innalzare il punteggio, ossia lo stile nubiano e caratteristico delle camere e della costruzione in genere. Niente palazzine o edifici a tre o più piani, ma carine e simpatiche abitazioni sovrastate da cupole e motivi rotondeggianti. Mi sentirei di consigliare il villaggio ad una clientela tranquilla, alle famiglie e soprattutto alle coppie in quanto l’animazione e l’intrattenimento non sono proprio quelli di un villaggio energy; forse il periodo o quasi sicuramente l’imminente passaggio ad altro tour operator regalavano al club, almeno nel periodo in cui abbiamo alloggiato, un’aura da ghost town.
Il villaggio – non particolarmente grande, ca. 150 camere – aveva poco più della metà delle stanze piene ed era palpabile un’atmosfera da work in progress in alcune aree della struttura, anche se per dovere di informazione, non è mai mancato nulla e i servizi principali erano sempre perfettamente funzionanti. Accennati i punti deboli della sistemazione, passiamo ai numerosi punti forti, primo fra tutti la posizione privilegiata. Una stupenda spiaggia, che anche alcuni villaggi vicini apparentemente più chic non hanno, la barriera corallina, che proprio in quel punto sembra abbellirsi e arricchirsi di creature sottomarine e di infinite varietà di pesci. Non da ultimo le camere e il servizio puntuale e caloroso, alle volte pressante, dello staff prevalentemente egiziano del villaggio. La maggior parte del personale proviene dall’Alto Egitto, Luxor e Aswan in primis. Vorrei ringraziare tutti per la loro gentilezza e benevolenza e in qualche modo mi piacerebbe credere che i loro sorrisi e adulazioni non siano stati soltanto frutto di un sentito e bramoso bisogno di mance (sono un illuso..). Quindi ancora grazie ai vari Mohamed, Mahmoud, Abduhl e Taher che, a loro modo, hanno cercato di allietare il nostro soggiorno. Un altro punto forte del villaggio è rappresentato dalla cucina, che a detta di alcuni, non era varia ed appetibile ma che invece ha riscontrato successo in tutti quei viaggiatori e non turisti, che non pretendono di trovarsi in Egitto a mangiare lasagne, arrosto, prosciutto cotto e tiramisù. Vorrei sottolineare quanto io mi senta un viaggiatore anche andando in un villaggio, in quanto la scelta di questa formula è dettata principalmente da una sicura base d’appoggio non gradendo comunque l’animazione incombente, il troppo coinvolgimento emotivo con estranei né tantomeno una “piccola Europa” incastonata in un tratto di costa della Red Sea Riviera. Ci sono persone – e ne ho conosciute molte – che vanno nei villaggi e lì si fermano, non oltrepassano il metal detector dell’albergo e non curiosano in nessun angolo che non sia il ristorante, l’health club e la spiaggia. Come ci si può millantare di essere stati in Egitto, in Kenya o a Cuba se quello che si è visitato è uno spaccato d’Italia trasportato a dovere nei suddetti luoghi? Queste persone mi devono ancora spiegare la differenza tra un luogo e l’altro se non fosse per il diverso spiegamento di un ciuffo di palme o di un cespuglio di hibiscus.
Ritornando ai meri discorsi culinari è corretto dire che la varietà esiste…Eccome. L’unica nota dolente, in questo caso del Mar Rosso e non solo del villaggio, è la scarsità di pesce; infatti al contrario di quanto si pensi, in Egitto, che sia mare o deserto, tranne forse per la costa mediterranea, è più frequente cibarsi di pollo, manzo e montone (la carne suina è bandita per ovvi motivi). La gran parte degli italiani alloggiati all’Abo Nawas portavano al polso un braccialetto azzurro, sinonimo di soft all inclusive che a differenza dei più assetati russi o tedeschi, i quali non possono fare a meno del birrozzo mattutino e che portavano un braccialetto di colore rosso, dava diritto alle bevande analcoliche (acqua, cola, fanta, sprite, succo d’ananas e d’arancia). Nota dolente del tipo di sistema adottato è l’extra, tutto quello che si beve al di fuori della formula soft all inclusive si paga e non poco. Cominciate a farvi i conti delle ricevute da voi firmate per non avere spiacevoli sorprese a fine soggiorno. Consiglio: se non avete intenzione di bere nulla dal frigobar chiedete gentilmente di svuotarvelo di modo che non potranno addebitare nulla sul conto della vostra camera (nemmeno per sbaglio). Se siete particolarmente assetati e non volete fare avanti e indietro con i bicchieri tra camera e dispenser, acquistate l’acqua nel vicino bazar appena fuori dal villaggio sulla destra; con 50 centesimi infatti vi porterete in camera un degno litro e mezzo d’acqua Nestlè sigillato. Ricordatevi che all’interno del villaggio tutto costa quanto in Europa tranne che all’health club dove per 5€ ho potuto provare un corroborante quanto distensivo bagno turco. Non sono completamente d’accordo con chi dice che i bazar fuori dal villaggio sono troppo cari mentre quelli ad un chilometro lo sono meno. Che vuol dire? In Egitto si contratta come in tutti i luoghi arabi, per cui anche se vai in pieno deserto e non sei sufficientemente scaltro in quest’arte, riusciranno a spillarvi fino all’ultimo centesimo. Dovete considerare, che anche quando pensate di aver fatto un buon affare (essere scesi a metà del prezzo proposto inizialmente), l’egiziano vi ha già ingannato nonostante sul suo viso si legga l’espressione di un cane bastonato per essere sceso ad un prezzo così umiliante. Purtroppo, se non siete abituati a quest’usanza sarà difficile non rimanere imbambolati dagli sproloqui del venditore, che con un savoir faire del tutto esclusivo, tirerà fuori un bollitore e vi offrirà del tè alla menta o un caffè egiziano. Se non volete acquistare nulla, non pronunciate mai la frase “mi piace quello”, altrimenti è finita e l’estenuante trattativa si concluderà con un vostro acquisto.
Non posso fare a meno di parlare di escursioni, due bellissime ed intense giornate, che come di consueto quando abbracci l’Africa ti lasciano un dolce ricordo fatto di colori, sensazioni ed emozioni contrastanti. Intanto per cominciare, io ed il mio amico non siamo dei provetti divers per cui tutte le escursioni “rapina” propinateci dal diving center sono state accuratamente evitate. Se si considera il fatto che il reef davanti al villaggio è stupendo proponendoti un vero e proprio acquario tropicale e che con l’acquisto dell’attrezzatura ve la caverete con 7/8€, non vedo la motivazione di farsi spillare 70€ per recarsi alla Dolphin House al fine di ammirare i delfini quando se ne può godere direttamente dal pontile. Prestate attenzione altresì alle cosiddette escursioni truffa, ossia tutte quelle uscite commerciali decisamente schivabili come “Shopping a El Quseir” o “Cammellata nel deserto”.
Luxor è stata la prima nostra escursione. Che dire? Entusiasmante, ma probabilmente vi capiterà come a me di provare le prime sensazioni positive soltanto il giorno dopo. Perché? Beh…Provare per credere. Non pensavo fosse così estenuante ma vi assicuro che la levataccia alle 3.30 del mattino e il rientro per le 24.00 sono stati un autentico tour de force. Se alla lunghissima giornata ci aggiungiamo un sole implacabile e un caldo infernale, il viaggio può trasformarsi in un incubo almeno per chi soffre di pressione bassa o per chi è poco avvezzo alla fatica. Il viaggio dura circa 7 interminabili ore. Vi chiederete, così tanto? Non troppo se si considera che sono più di 400 Km senza autostrada ovviamente, ci sono posti di blocco e controlli continui – e cosa di non poco conto – la fantomatica carovana a cui accodarsi. I motivi della carovana non sono granché chiari, si parla inizialmente di pericolo attentati (ipotesi presto smentita), ma poi ci vengono dette le reali motivazioni. Razionalizzazione del flusso turistico diretto a Luxor e proveniente dalle località poste sul Mar Rosso e prevenzione di eventuali pericoli qualora si dovesse verificare un incidente all’automezzo (la tratta tra Safaga – da dove parte la carovana – fino ad arrivare a Qena è priva di copertura e i telefoni non ricevono il segnale): queste le principali motivazioni. Mahmoud, nostra guida in quel di Luxor assieme all’egittologo Ahmir, mi conferma la costruzione di una nuova strada che dovrebbe permettere al flusso turistico di raggiungere più celermente i siti archeologici. I primi 180 Km fino a Safaga costeggiano il mare, mentre da quest’ultima cittadina – da dove parte la carovana di pullman – fino a Qena si procede verso l’interno, da Qena verso sud per altri 60 km fino a Luxor. La strada che da Safaga porta verso l’interno custodisce qualcosa di magico. La catena del Mar Rosso, arida, inospitale, quasi sterile sembra togliere il respiro alla strada che la attraversa. Col passare delle ore il caldo si fa feroce e lo si percepisce perfettamente anche attraverso i finestrini, nonostante l’aria condizionata sia accesa fin dall’alba. Dopo una breve sosta prima di un posto di blocco si giunge a Qena dove ammiriamo una delle moschee più importanti d’Egitto. Da Qena, il deserto si trasforma in una fertile e munifica striscia verde fatta di palme, prati verdi e campi arati; s’intuisce che poco distante da lì scorre il re dei fiumi, il corso d’acqua più lungo del mondo che ha permesso la vita in una terra così ostile: il Nilo. Lo si costeggia fino a Luxor che è divisa proprio a metà dal fiume. Luxor appare come una grande città (500.000 ab.) piena di contraddizioni, s’intravedono baracche, palazzi fatiscenti alternati ad edifici moderni ed eleganti e reperti archeologici. La guida ci mostra infatti l’ultima scoperta fatta, una fila di sfingi lunghissima che ci fa capire di essere giunti nella terra dei Faraoni. Nella mattinata si sono visitati i templi di Karnak, poi, dopo la sosta per il pranzo al Sonesta Hotel lungo il Nilo, la gita riparte con la fabbrica del papiro, i templi di Luxor (quello della pubblicità – “Egitto: Benvenuti nel nostro settimo millennio”), le botteghe dell’alabastro e la grandiosa Valle dei Re. Nel pomeriggio, dopo la traversata del Nilo in barca, ci dirigiamo verso Tebe Ovest, il regno dei morti. Prima tappa, I Colossi di Memnon che si stagliano in una cornice a dir poco affascinante. Dal pullman intravedo la Valle delle Regine e in particolar modo la zona di Deir el Bahri, meglio conosciuto come il tempio della Regina Hatshepsut, che purtroppo non visitiamo. Qui i benefici del Nilo non si riconoscono più e il deserto roccioso lo fa da padrone. La Valle dei Re è un grande solco arido nel quale vengono situate le dimore funebri dei più grandi Faraoni. Il nostro gruppo ha potuto visitare la tomba di Ramses II, IV, e IX e vi posso assicurare che le emozioni provate sono insuperabili, la sensazione di sentirsi piccoli ed impotenti di fronte a tutta questa bellezza è palpabile. Per finire un consiglio spassionato. Se non amate il caldo, o meglio, se non reggete le alte temperature, pensate bene di evitare questa gita; la canicola – e siamo al primo maggio – è qualcosa di indescrivibile e se non ci si munisce di cappellino (fondamentale per le insolazioni), la sera si può essere a letto con la febbre. La sensazione a Luxor è un po’ quella di vivere in un grande forno e lo si avverte molto bene uscendo dagli ambienti condizionati. Ai templi di Karnak ho visto più persone accasciarsi al suolo, e questo, per consigliare l’escursione fino ai primi di maggio e non oltre.
Mahmoud ci spiega che le visite proseguono anche nei mesi più caldi, anche se in giornate particolarmente calde (sopra i 45°), i percorsi sono più brevi e traslati verso le prime ore del mattino.
Dopo la giornata di pieno relax e snorkelling di mercoledì, giovedì optiamo per Shalateen, ultimo avamposto prima del nulla al confine col Sudan. Personalmente ho scelto quest’escursione per il valore antropologico che trasmette, infatti, sono sempre stato affascinato dall’aspetto etnologico e folcloristico di luoghi che non conosco in quanto riesco sempre a rimanere inebetito di fronte alla caleidoscopica varietà di culture, tradizioni e modi di vivere; solo quando si osservano le persone del posto vivere nel quotidiano si può affermare di aver visto e di aver conosciuto un pochino l’Africa. Il continente nero non si conosce stando al villaggio, facendo snorkelling o facendo shopping nel piccolo bazar costituito di proposito e magari con articoli Made in China. L’Africa si apprezza per quella che è, contraddittoria, sporca, vergine, incontaminata, inquinata, bella, selvaggia, infinita e viva, ed è nello stridore delle emozioni che cozzano fra di loro che si prova quel sentimento così ben descritto in letteratura e conosciuto come mal d’Africa. Il sorriso dei bambini (molte volte pressanti nelle loro richieste), lo sguardo provato degli adulti, la saggezza degli anziani, il tè alla menta fumante, il sudiciume delle città, i marciapiedi sconnessi, le baracche, i bimbi che si tuffano nel Nilo, i miasmi mefitici di quest’ultimo, l’odore di mela della chicha, il canto del muezzin…Le sopraccitate immagini percorrono come in un batter di ciglia i cinque sensi ed è così bello sentirli vivi, abituati come siamo allo snaturamento di questi.
Shalateen dista circa 280 km percorrendo l’unica strada carrozzabile che collega l’Egitto al Sudan, 280 km di nulla, sempre e solo deserto con l’eccezione di alcuni dromedari selvaggi che pascolano tra le nude rocce. Superata Berenice e superati quindi gli ultimi due villaggi europei presenti, primo posto di blocco, fondamentale per il flusso automobilistico diretto in Sudan. Eseguiti i controlli e visionati i nominativi, il poliziotto ci fa passare, di lì avremo un’ora per raggiungere il posto di blocco successivo, e se così non fosse, due macchine della polizia locale partiranno per un controllo di ispezione lungo i 70/80 km che dividono le due postazioni.
Dopo esserci fermati ad un autogrill locale, dove per una coca cola ho lasciato 20 lire egiziane dalle quali non ho ricevuto nemmeno un soldo di resto, ripartiamo alla volta di Shalateen. Tappa obbligatoria il mercato dei dromedari, probabilmente il più grande di tutta l’Africa nord-orientale dove i cammelli provenienti dal Sudan vengono scambiati e venduti e le trattative sono rimaste ancora quelle di un tempo. Peccato che gli animali vengano talvolta maltrattati con calci e bastonate, ma penso sia necessario penetrare in un’ottica culturale differente altrimenti si rischia di crashare inutilmente con la loro mentalità, il loro modo di pensare e il loro modo di affrontare la vita. In altre parole, sarebbe inutile insegnare a quella popolazione un approccio diverso con il mondo animale in quanto non si otterrebbe l’effetto sperato. Shalateen è una città di nomadi che raggiungono il centro abitato solo per il commercio e per la vendita dei loro prodotti, dal Sudan provengono – oltre ai cammelli – anche le spezie, mentre dall’Egitto si vendono manufatti e prodotti finiti che sarebbe complicato ottenere nel più povero e disastrato stato sudanese. Parlando di dromedari o cammelli (?) è d’obbligo discutere di confusione fra i due termini dovuta sostanzialmente ad un errore etimologico e di traduzione. Sappiamo benissimo che il dromedario vive in Nord Africa e ha una gobba soltanto – a differenza del cammello invece – che ne ha due e abita le zone asiatiche del Pakistan, dell’Afghanistan, dell’India e della Mongolia. A questo punto ci chiediamo il perché gli egiziani ed altri abitanti del Maghreb chiamino il dromedario propriamente detto “cammello” quando devono tradurre il termine in italiano. In arabo la traduzione di cammello è qualcosa di simile a *al ghamal, termine decisamente più somigliante a livello fonico all’inglese camel e all’italiano “cammello”. E’ necessario distinguere questi mammiferi in due gruppi, quelli chiari – di colore bianco sporco – sono più fragili ed hanno una carne più tenera ed è per questo che vengono uccisi e macellati per il sostentamento delle popolazioni sahariane, quelli più scuri invece – di colore bruno – sono più forti e resistenti ed è questo il motivo dell’utilizzo come vero e proprio mezzo di trasporto (gli antichi mehari). Questi ultimi sono in grado di trasportare grossi carichi, di percorrere grandi distanze senza perdere mai l’orientamento come se fossero delle “bussole vaganti”, e nell’antichità di sopportare i combattimenti nei cosiddetti “rezzous” (razzie).
Per mezzodì si pranza in un’osteria tipica di Shalateen, al piano terra uomini che bevono tè alla menta e fumano chicha con la musica di emergenti cantanti arabi in sottofondo, mentre al primo piano grandi tavolate occupano l’intero spazio che va da una parte all’altra dell’edificio. Il pasto, non proprio luculliano, è costituito da un brodino con pastina molto gustoso, patate speziate in salsa, pane arabo e il piatto forte, che prevedeva un mix di pollo e riso o carne di cammello e riso. Non si poteva optare che per la seconda, per sentirci più africani che mai. La carne è secca, decisamente stopposa ma dal sapore selvatico e saporito. Nel pomeriggio si riparte alla volta di una spiaggia di mangrovie per un fresco bagno ristoratore.
La settimana è trascorsa tranquilla e la scelta di fuggire dal villaggio martedì e giovedì sembra sia stata una scelta azzeccata. Mercoledì abbiamo dedicato il nostro tempo al relax più sfrenato (scusate l’espressione ossimorica), tutto il tempo in spiaggia e sulla battigia ad abbrustolirci al sole, lunghe nuotate al di là del reef, e verso le cinque del pomeriggio come si sarebbe potuto rinunciare ad un corroborante bagno turco propostomi la mattina stessa da un assistente dell’health club? Ecco fatto…L’addetto del wellness centre mi accompagna nello spogliatoio, mi fornisce di pestemal o qualcosa di simile e mi indica la porta del calidarium…E che calidarium!!! Un caldo infernale mi avvolge e ottenebra la mia mente, i pochi neuroni presenti vengono annientati in un batter d’occhio. Al primo ingresso ho resistito soltanto per cinque minuti (forse anche troppi per i 60/70° presenti), ma dopo un tuffo in una piscina gelata, ero di nuovo pronto a varcare la soglia di quell’inferno umido e gocciolante. Consiglio vivamente l’esperienza soprattutto come defaticante, magari dopo un’intensa giornata in quel di Luxor.
Prima di concludere è doveroso rammentare la serata egiziana – non particolarmente viva – ma ricca di squisitezze per la gioia dei nostri palati. Ottime le salsine (hummus, tahin), le falafel, il kebab e il cous cous con carne e per finire gli irresistibili dolcetti, piccole bombe ipercaloriche ricche di miele, zucchero, frutta secca e acqua di fiori d’arancio.
Il volo aereo di ritorno viene ritardato di qualche ora ed invece di lasciare Marsa Alam alle 19, partiamo alle 22 ca. Dopo lunghe ed estenuanti procedure d’imbarco saliamo sull’aereo. Di lì 4 ore ci separano da un clima, che ahimè ci riporta alla cruda realtà padana dove ci accolgono 10° madidi e fastidiosi.
W l’Egitto e soprattutto W l’Africa, che come sempre mi sa stupire ed affascinare.
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