Se pensavi che l’Egitto fossero solo templi e piramidi, il “deserto bianco” te ne farà scoprire la vera essenza
Quando si pensa all’Egitto, la mente vaga tra le meraviglie archeologiche delle Piramidi o dei templi lungo il Nilo da visitare con le classiche crociere. I circa 100 milioni di abitanti si concentrano sul 10% del territorio del Paese reso fertile dal grande fiume; la parte restante è per lo più arido ed inospitale. Ad ovest del Nilo si estende il Sahara egiziano, meglio noto come Deserto Occidentale; qui lande desolate e spettacolari circondano grandi oasi di palmeti, spesso dimenticate dai grandi flussi turistici.
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Le oasi si sono formate grazie all’esistenza di profonde depressioni nel terreno che hanno permesso all’acqua delle falde freatiche di emergere e di permettere a specie vegetali e animali di sopravvivere. È calata la sera al Cairo, dalla terrazza del nostro hotel affacciata sulla piazza Tahrir osserviamo le luci dei palazzi dell’isola di Zamalek. La piazza è stata risistemata: c’è ora una rotonda spartitraffico dove troneggia un obelisco con quattro sfingi di porfido rosso in stile antico. La parte di fronte al vecchio e romantico Museo Archeologico realizzato da Auguste Mariette ha ora un ampio spazio pedonale alberato.
Soffia una leggera brezza, anche se un caldo inatteso per maggio ha fatto improvvisamente innalzare le temperature come in piena estate. L’indomani si parte verso le oasi, la meta per la quale abbiamo deciso di tornare in questo straordinario Paese che non finisce mai di stupire.
Diario di viaggio nel Deserto Occidentale dell’Egitto
Il nostro itinerario nel Deserto Occidentale sarebbe durato 5 giorni, iniziando dal Cairo per terminare a Luxor. L’organizzazione è stata perfetta anche se le strutture disponibili (quando presenti) sono state piuttosto modeste per cui occorre una certa capacità di adattamento. Nonostante i timori e le difficoltà è stato bello riscoprire il gusto del viaggio “vero”, lontani dai percorsi maggiormente battuti.
Giorno 1 – Oasi di Bahariya
Le periferie del Cairo sembrano interminabili, l’autostrada a 5 corsie per ciascun senso di marcia è costeggiata da alti palazzi polverosi, molti solo parzialmente completati. Facendo rotta verso sud, lentamente svaniscono le tracce di antropizzazione e la striscia d’asfalto prosegue in linea retta in uno scenario piatto e pietroso. In 4 ore si raggiunge l’oasi di Bahariya ed il suo capoluogo Bawiti. Il nostro albergo ha uno stile piacevole con un giardino affacciato sul vasto palmeto, ma appare piuttosto trascurato. Il gentilissimo gestore ci racconta che un tempo era un maestro di scuola elementare, ma che poi ha preferito cambiare mestiere per la paga statale da fame. Per un certo periodo l’oasi veniva raggiunta da numerosi visitatori ma poi, con la chiusura della strada per Siwa, il turismo è nettamente diminuito. La parte vecchia di Bawiti è ormai caduta in rovina e gran parte degli edifici di fango sono crollati perché gli abitanti hanno preferito trasferirsi in case meno caratteristiche ma più moderne. Oggi nell’oasi si vive prevalentemente di pastorizia ed agricoltura, anche se le irrigazioni intensive rischiano di prosciugare le falde acquifere essenziali per la sopravvivenza in un luogo che riceve solo pochissime gocce di pioggia durante il periodo invernale. In prossimità delle sorgenti sono spesso realizzate delle vasche dove gli uomini vengono a lavarsi durante il giorno, mentre le donne, approfittando del buio e della discrezione, vi si recano di sera.
In prossimità di el Dinst (una montagna di forma piramidale) spazia una bella vista di Bahariya e del deserto circostante. A breve distanza si raggiunge il grande lago salato dove si contempla il tramonto nei pressi di una rustica sala da tè beduina.
Giorno 2 – Deserto Bianco e valle di Awabat
La mattina seguente la nostra jeep è ormai carica di tutto il necessario per la nostra avventura fuoripista nel deserto con pernottamento in tenda; siamo solo noi ed il nostro autista Fouli, un vero e proprio angelo custode che ci avrebbe accompagnato con discrezione e gentilezza alla scoperta di scenari indimenticabili e panorami mozzafiato senza farci mancare nulla.
Lasciata Bahariya la strada si inoltra nel deserto nero, così denominato per le pietre di basalto che ricoprono le vette di colline dalla forma conica che punteggiano il territorio a perdita d’occhio. Nei pressi del Gebel el Marsos (la montagna divisa) c’è un breve percorso che consente di osservare le spettacolari distese di pietre scure originatesi da eruzioni vulcaniche risalenti ad almeno ventimila anni fa in contrasto con il colore con la sabbia, creando scenografie di drammatica bellezza.
Verso mezzogiorno si raggiunge il villaggio beduino di El Hez, noto per la sua fonte di acqua termale fredda ricca di zolfo e ferro. È un luogo normalmente frequentato da turisti, ma siamo soli ad immergerci nella vasca rigenerante. In prossimità della fonte, c’è un capannone/ristorante dove si recano anche i locali in cerca di frescura. All’interno scorre un canale di acqua termale che permette di immergere i piedi mentre si beve il tè e si conversa amabilmente.
Nel pomeriggio, quando la calura inizia a scemare, ci avviamo verso la montagna del cristallo per visitare una zona desertica ricca di prismi di quarzite per poi lasciare definitivamente la strada asfaltata ed inoltraci nell’aera protetta del Parco Nazionale del Deserto Bianco che si estende 45 km a nord dell’oasi di Farafra.
Dopo percorsi accidentati e a mala pena riconoscibili iniziano ad intravedersi distese di sabbia ondulata dal vento inframmezzata da rocce fino ad arrivare alla Valle di Aqabat. Un tempo quello che oggi appare un profondo fondovalle era il letto di un oceano primordiale che, ritirandosi, ha lasciato candidi depositi di calcare e massi dalle forme bizzarre. Inoltrarsi in questi ambienti surreali e silenziosi ha davvero superato ogni possibile aspettativa. Resti fossili di conchiglie e coralli sono facilmente rintracciabili tra le pietre e le pareti verticali di roccia erose dal tempo. Ci accampiamo poco prima del tramonto nell’area di el Mattar ai piedi di un’alta formazione che garantirà alla nostra tenda di rimanere al riparo dai caldi raggi del sole mattutino.
Il nostro autista, infaticabile, prepara l’attrezzatura e ci cucina piatti gustosi dopo aver acceso un fuoco, attorno al quale la tradizione beduina vuole che sotto le stelle si beva il tè caldo dopo cena. Una famiglia di fennec (volpi del deserto) ci faranno compagnia tutta la serata felicissime di poter mangiare i nostri avanzi e, finalmente, di bere. Questi simpatici animali, dalle grandi orecchie e dall’olfatto sviluppato e non più grandi dei nostri gatti domestici, riescono ad idratarsi con la poca umidità che si produce poco prima del sorgere del sole nutrendosi di serpenti e scorpioni.
Giorno 3 – El Karaween e oasi di Ain el-Serw
Smontato l’accampamento, raggiungiamo la zona delle grandi dune di el Karaween circondate da candidi pinnacoli e formazioni ed infine, quando il caldo diventa insopportabile, come un miraggio appare sull’orizzonte la microscopica oasi di Ain el-Serw (la fonte miracolosa) dove ci ripariamo sotto l’ombra delle palme in attesa che la temperatura cali per poter proseguire il nostro itinerario. L’acqua è piuttosto scarsa in questa stagione, tuttavia è sufficiente a far sopravvivere le piante e una discreta quantità di uccelli variopinti.
Nel tardo pomeriggio siamo in grado di proseguire e di raggiungere la zona più spettacolare del Deserto Bianco che consiste in una distesa infinita di candide rocce fungiformi o dall’aspetto bizzarro che spesso le fanno assomigliare ad animali fantastici. Ci accampiamo nel mezzo di questo mondo lunare, increduli per come madre natura riesca a creare un paesaggio così straordinario.
Questa è la zona maggiormente frequentata dai visitatori, non siamo infatti soli ed in mezzo al nulla come la sera precedente. Si intravedono in lontananza altre jeep con i loro focolari accesi.
Giorno 4 – Oasi di Dakhla e tempio di Erg el Haggar
Dopo la colazione, in trenta minuti siamo di nuovo sulla strada asfaltata dove ci attende un’altra macchina per il proseguimento del viaggio. Un caloroso abbraccio al nostro autista Fouli conclude un’esperienza che certamente non dimenticheremo. Nel giro di 4 ore raggiungiamo l’oasi di Dakhla e più ci si inoltra verso sud e più il caldo diventa insopportabile. Ci sono diverse attrazioni ma non è possibile rinviare le visite perché tutto chiude dopo le 13:00.
Il tempio di Erg el Haggar fu costruito all’epoca dell’imperatore Nerone. Le rovine si trovano nel deserto in una posizione leggermente isolata ma le altissime temperature (circa 50° C percepiti) non consentono di trattenersi a lungo per ammirarlo, pur stazionando nelle zone in ombra. Seguono le tombe dipinte di el Muzawaka di epoca faraonica: essendo state scavate nella roccia offrono un insperato riparo dal sole rovente. Infine, giriamo per circa un’ora nell’antica cittadella di fango di el Qasr, parzialmente restaurata e diventata un’affascinante attrazione per gli scarsissimi visitatori che si spingono fin qui. Per fortuna, i diversi passaggi coperti dai tronchi di palma permettono di visitare ciò che resta dei vari edifici e delle infrastrutture comuni utilizzati dagli abitanti (presse per l’olio, mulini per la farina, ecc…).
Molto affascinante anche l’antica moschea con il suo minareto: il custode mi ha permesso di salire scalando i traballanti scalini a chiocciola per raggiungere la sommità ed ammirare la cittadella dall’alto.
Giorno 5 – oasi di Kharga e tempio di Luxor
Raggiungiamo il nostro hotel nel primo pomeriggio, anche se l’aria arroventata non darà tregua fino al tramonto. Il giorno successivo eccoci pronti per la nostra ultima attraversata nel deserto e dopo altre 3 ore raggiungiamo l’oasi di Kharga. Tra tutte quelle visitate, Kharga ci è sembrata l’oasi più ordinata e popolata. Le attrazioni sono localizzate nella sua parte settentrionale e, trovandoci nelle prime ore del mattino, è stato possibile visitarle più agevolmente. La necropoli cristiana di al Bagawat contiene centinaia di tombe in mattoni di fango spesso coronate da cupole o decorate con affreschi copti. I cristiani, inizialmente perseguitati nell’Impero Romano, preferivano rifugiarsi nelle oasi dove si sentivano più protetti e la necropoli in questione è sicuramente l’esempio meglio conservato al mondo. Segue infine la visita al Tempio di Hibis, costruito all’epoca dell’occupazione persiana dell’Egitto da Dario I. Anche qui, in piena solitudine e circondati da palme verdissime, ci si ritrova in un monumento in eccezionale stato di conservazione e che non ha nulla da invidiare ai siti più famosi della Valle del Nilo.
Dopo altre 4 ore di macchina finalmente raggiungiamo Luxor nel tardo pomeriggio per rifugiarci nell’iconico Winter Palace Hotel. Inaugurato nel 1886, albergo venne così denominato in quanto le classi agiate inglesi amavano recarsi in Egitto per sfuggire al freddo invernale del nord Europa. I corridoi, l’antico mobilio e l’atmosfera che si respira nell’hotel sono un nostalgico tuffo nel passato che contribuiscono al fascino del viaggio. La piscina, immersa nel lussureggiante giardino, è stato un indispensabile refrigerio dopo le visite mattutine alle rovine di Tebe sull’altra sponda del Nilo.
È stato ultimato il restauro del viale delle sfingi che univa sin dall’antichità il tempio di Luxor con il complesso di Karnak dedicato al dio Amon-Ra. Oggi è possibile percorrerlo a piedi ed arrivare a Karnak in un ora ma, ovviamente, non è consigliabile farlo quando le temperature sono molto alte. A Karnak è stato piacevole tornare: trattandosi del più grande complesso templare dell’antichità è sempre possibile scoprire angoli o luoghi che in una visita precedente è stato necessario trascurare per mancanza di tempo. Inizialmente affollato dai gruppi organizzati, improvvisamente tutti spariscono al medesimo orario e si scopre il vantaggio di essere viaggiatori indipendenti e fai da te. La mattina successiva è stata dedicata ai siti che non avevamo visitato nei viaggi precedenti e che normalmente non sono inclusi nei tour organizzati. Il tempio funerario di Ramses II, detto Ramesseum, presenta grandiose rovine con colonne che ricordano la pianta del papiro. Questo luogo era famoso per il colosso del faraone alto 18 metri e pesante 1000 tonnellate, del quale oggi rimangono pochi frammenti sparsi. I frammenti della testa e delle spalle del colosso ispirarono l’inglese Shelley in un suo famoso poema. Non lontano dal Ramesseum sorge il tempio funerario di Merenptah, padre di Ramses II, con due spettacolari statue del faraone in posizione eretta. Purtroppo qui gran parte degli edifici sono stati spazzati via dalle piene del Nilo.
Giorni 5 e 6 – Giza
Torniamo con un volo interno al Cairo, la nostra ultima tappa. Dall’aeroporto raggiungiamo Giza, decidendo di trascorrere qui 2 notti. Giza è un’interessante alternativa dove soggiornare: la zona è molto sicura e sono sorti come funghi molti alberghi con piacevoli terrazze con vista sulle piramidi. Il vantaggio è quello di essere più vicini non solo alle attrazioni dell’Altipiano ma anche alle necropoli più a sud. A Saqqara dopo anni ha finalmente riaperto la piramide di Unas e, soprattutto, la piramide a gradoni di Zoser per cui non ci poteva essere un’occasione migliore per tornare.
In particolare, la piramide a gradoni ha un ingresso sud dove si può accedere pagando un biglietto supplementare. Un corridoio illuminato e ben restaurato conduce ai margini del profondo pozzo scavato nella roccia da cui è possibile osservare il grande sarcofago del faraone. Alla stanza sepolcrale del sarcofago si accede nell’ingresso posto a nord, tuttavia è consentito solo con un costoso permesso speciale rilasciato dall’ufficio del turismo. Dopo una rapida visita di Menphis, la capitale dell’antico regno, torniamo a Giza per un immancabile giro intorno alle tre celebri piramidi, ma questa volta in completa autonomia.
Arriviamo a piedi fino alla piramide di Micerino lontani dalla calca dei turisti che si concentra di fronte alla piramide di Cheope e nei classici punti panoramici, lasciando gli altri spazi relativamente tranquilli. La più piccola delle tre piramidi presenta una profonda fessura nella sua facciata a seguito del tentativo – fortunatamente fallito – di un sultano del Cairo di smantellarla. Attraversando due corridoi è possibile accedere alla camera funeraria realizzata con monoliti ad incastro. Purtroppo il sarcofago fu sottratto da un archeologo inglese nell’800 con l’obiettivo di farlo esporre al British Museum di Londra, venendo poi disperso nel naufragio della nave su cui era stato caricato.
Impressiona nella piramide di Micerino la copertura superstite della facciata con grandi blocchi di granito rosso che per forma, dimensioni e la presenza di particolari protuberanze ricordano quelli dei monumenti Incas del Perù. Non essendoci tempo siamo tornati anche a visitare la Sfinge ed il grande tempio megalitico la mattina successiva, trovandosi il nostro hotel a soli 5 minuti a piedi. È un privilegio osservare questi millenari monumenti nella massima tranquillità e senza la consueta ressa che avevamo trovato le volte precedenti.
La novità che abbiamo notato è che ora l’accesso ai monumenti dell’Egitto è possibile pagando presso le biglietterie solo con carta di credito. Il nuovo Grande Museo Egizio a Giza è aperto solo parzialmente, per cui ancora potrebbe non valere la pena. Ci sono progetti in corso per la costruzione di una linea metropolitana che dal Cairo sia in grado di trasportare i turisti a Giza, in futuro perciò lo sfruttamento turistico è destinato ad aumentare.
Giorni 7 e 8 – Vecchio Cairo
Lasciamo Giza per trascorrere le ultime 2 notti nel vecchio Cairo. Prima però ci fermiamo al Menal Palace. Questo eclettico edificio fu costruito da un principe imparentato alla famiglia reale (precisamente da uno zio dell’ultimo re Faruk) ed è caratterizzato da un lussureggiante giardino in cui si intratteneva il nobile proprietario con la sua corte. C’è una bella moschea e le sale del palazzo ispirate al gusto orientale siriano ed ottomano, oltre che allo stile europeo di fine ‘800. La sala del trono e le sfarzose stanze decorate fanno assomigliare questo edificio al celebre Topkapi di Istanbul. Arrivati nei pressi di Bab el-Futuh (La “Porta della Vittoria”) accediamo al quartiere Fatimide del vecchio Cairo per raggiungere il nostro albergo. Realizzato in antico edificio con balconi decorati con le tradizionali mashrabiya (grate di legno) l’hotel è un’isola di tranquillità, charme e profumi nel cuore della città vecchia con un ottimo ristorante sul tetto. Dalle suites in stile orientale si osserva il sottostante trambusto dei locali e dei negozi del bazar di Khan el Khalili.
Presso l’hotel si raggiungono a piedi i monumenti della sottostante strada semipedonale (Sharia al Muizz li din Allah) visitabili con un biglietto cumulativo. In un viaggio precedente ci eravamo già recati nei complessi medioevali realizzati dai sultani con madrase, mausolei e moschee riccamente decorate. Oggi sono accessibili anche altre aree precedentemente non aperte al pubblico ed i custodi dispensano volentieri spiegazioni senza chiedere le mance. Lo stesso è accaduto nella Beit al-Suaymi, la grande casa di stile ottomano dove ci è stato permesso di visitare la stanza dove si intrattenevano le donne del palazzo decorata con piastrelle turche di Iznik, prezioso vasellame dell’estremo oriente ed oggetti in uso nel ‘700.
Abbiamo concluso le nostre visite con la grande moschea di al-Azhar, tenuta in gran considerazione dal mondo Sunnita e precedentemente preclusa alle visite per restauri in corso.
Tornare nel vecchio Cairo è sempre un’esperienza affascinante per la decadente ma grandiosa atmosfera che ancora si respira nei monumenti islamici e nelle strade. La concierge dell’hotel ci ha tuttavia preannunciato che sarebbe intenzione del governo rimettere l’area a nuovo per uno sfruttamento turistico maggiore che potrebbe però alterarne l’autenticità. Un ultimo saluto ai tetti ed ai minareti prima di recarci in aeroporto per il ritorno. È tornato un vento fresco in Egitto che ha fatto sparire la fatica dei giorni trascorsi ed aumentare la malinconia della partenza. Ma altre destinazioni meno consuete ci aspettano ancora nel deserto egiziano… l’oasi di Siwa.