Lost in Uzbekistan

Un itinerario particolare in un paese insolito tra matrimoni, deserti, poliziotti e, soprattutto, storie da ascoltare
Scritto da: antelmi
lost in uzbekistan
Partenza il: 16/04/2009
Ritorno il: 27/04/2009
Viaggiatori: 1
Spesa: 1000 €
L’Uzbekistan confina a nord con il Kazakistan, a sud con il Turkmenistan e l’Afghanistan, a ovest con il Tajikistan ed il Kirghizistan. Tutti “stan”, insomma! Ma “ando stann’? L’unica soluzione per capirlo è prendere l’atlante. Anche se il problema non è solo chiarire la collocazione geografica della nazione, ma soprattutto spiegare che ci si va a fare da quelle parti. Le cose da vedere in realtà sono tante: città, valli, deserti, montagne, monumenti, tappeti, stoffe, e così via. Ma di speciale si incontra certamente un’atmosfera esclusiva, quel ritrovarsi sulla “Via della Seta” che fa sentire tutti, anche nel 2009, dei piccoli Marco Polo. LA CAPITALE Tashkent serve per arrivare e ripartire. Non è possibile fare altro: è proprio brutta, sovietica più di quanto si possa immaginare e con poco o niente da visitare. Però bisogna passare per forza da qui. Ed io ci passo. Le guide ed i racconti dei viaggiatori sul web dicono sempre di stare attenti ai poliziotti che, specie nella metropolitana, tendono a sequestrare senza motivo i passaporti ai turisti per poi restituirli in cambio di mance consistenti. Così mi attrezzo. Fermata della metro “Oybek”; due poliziotti avvistano un turista solitario, piuttosto spaesato in mezzo alle scritte in cirillico ed al suo primo giorno in Uzbekistan. Una preda ideale. Il turista sono io, però alla richiesta “Passaport, please” non mi faccio trovare impreparato : tiro fuori la fotocopia del passaporto e gliela do. Quello più sveglio la prende, la gira da una parte e dall’altra e con una pronuncia inglese peggio della mia reagisce: “This is a copy, I want your passport!”. Ed io, senza esitazioni : “I am sorry, sir. The passaport is in my hotel”. Il dialogo prosegue per qualche minuto ancora con il poliziotto che tiene tra le mani uno straccio di fotocopia invece dell’originale. Sono delusi e rassegnati. Potevano portarmi a casa loro, in caserma, ed invece sono costretti a venire a casa mia, in hotel. Troppo rischioso, meglio lasciar perdere. Mi ridanno la fotocopia del passaporto ed io ritorno bello pimpante al mio breve tour della capitale. Questo che vi ho appena raccontato sarà l’unico episodio spiacevole (e neanche tanto) del viaggio. Gli uzbeki sono un popolo ospitale e gentile, che si fa in quattro per accogliere i turisti; come Gulnara, la proprietaria della mia guesthouse a Tashkent, a cui devo la rimozione dei preconcetti sulla cucina uzbeka grazie ad i suoi buonissimi piatti. AI CONFINI DEL MONDO A Chiva pare di stare nel “Deserto dei tartari” di Buzzati. Davanti, la città fortificata di Ichon-Qala e le alte mura di fango, fuori, da un lato il deserto del Karakum e dall’altro quello di Kyzylkum. I russi, neanche tanto lontani, ci hanno messo un bel po’ di anni per conquistarla (ce l’hanno fatta “solo” nel 1873). Fino ad allora, a ogni tentativo, avevano dovuto sempre arrendersi, senza nemmeno combattere, per l’ostilità del territorio che la circondava. Per farla breve, un posto ai confini del mondo. Un centro storico bellissimo e intatto che si può immaginare uguale a tre secoli prima, con il tempo che sembra non passare mai tra madrase e minareti, mausolei e palazzi, moschee e musei, prima di vedere le mura che al tramonto cambiano colore. Sorprendente Chiva! STODDART & CONNOLY Il mio vicino di tavolo al ristorante sulla Lyabi-Hauz di Bukhara è in vena di racconti, aiutato dall’ora tarda e dalla birra alla spina. Di fronte a lui un turista straniero, il sottoscritto, a cui ricordare la triste storia del colonnello Stoddart e del capitano Connoly, sudditi della regina Vittoria, che il 24 giugno 1842 furono fatti decapitare nella piazza di Bukhara dall’emiro Nasrullah. Il narratore è stato talmente coinvolgente che la mattina dopo sono andato subito a visitare la Zindon, la vecchia prigione di Bukhara trasformata in un museo. Qui si trova ancora intatta la buca stretta e profonda in cui i due hanno trascorso la loro dura prigionia (tre anni Stoddart, uno Connoly) prima di essere giustiziati. La vicenda dei due ufficiali inglesi, in realtà, è parte di una vera e propria guerra senza battaglie che nel XIX secolo vide fronteggiarsi russi ed inglesi per il predominio nell’Asia centrale. Appena rientrato in Italia sono corso in libreria ad acquistare “Il grande gioco” di Peter Hopkirk (Adelphi) che racconta in modo straordinario questa grande epopea. ITALIAN Pochi sanno che Samarcanda si trova in Uzbekistan e nessuno può immaginare che l’italiano è una delle lingue preferite dai giovani della città. Questa predilezione ha due cause: la prima è che a Samarcanda ha sede l’Istituto Statale per le Lingue Straniere, la seconda è Piera, trasferitasi in Uzbekistan per insegnare ai locali la nostra lingua con grande passione. A Samarcanda, quindi, è facile trovare una guida che parli italiano. E la circostanza mi consente di entrare almeno un po’ nell’anima del paese, ascoltando tra un monumento e l’altro i sogni e le aspettative di chi mi porta in giro per una delle più affascinanti città dell’Asia. IL MATRIMONIO UZBEKO Tommaso sta trascorrendo sei mesi in Uzbekistan per lavoro. Lo chiamo appena atterrato a Tashkent e ci diamo appuntamento per la settimana successiva: andremo ad Andijan, nella valle del Fergana, per un matrimonio di due suoi amici uzbeki. Diciamo che la regione in questione non è tra le più tranquille. Al-Quaeda pare sia stata fondata da quelle parti, il Movimento Islamico dell’Uzbekistan (IMU) – unica organizzazione clandestina uzbeka – è fortemente radicata nella zona e ad Andijan, nel maggio 2005, una pacifica manifestazione islamica è stata soppressa nel sangue dalle truppe governative provocando centinaia di vittime. Partiamo in taxi da Tashkent e, dopo circa un paio d’ore, superato il Kamchik Pass, ha inizio la discesa nella valle. Il paesaggio cambia radicalmente rispetto al resto dell’Uzbekistan, con il verde della folta vegetazione che sostituisce il giallo ocra della steppa e del deserto. Mi aspettavo donne con il volto coperto dal velo ed un clima ostile nei confronti degli stranieri, ma i primi centri abitati smentiscono categoricamente la mia congettura. Arrivati al matrimonio, poi, l’accoglienza per gli europei risulta imbarazzante per quanto è calorosa. Ho anche supposto che i matrimoni uzbeki potessero essere più divertenti (e brevi) dei nostri e fortunatamente questa volta ci azzecco. Durante i festeggiamenti uomini e donne siedono a tavoli separati, ma si riuniscono subito al centro della sala per ballare al ritmo indiavolato dell’orchestra. Scopro che alla cerimonia, come da tradizione, non partecipano i parenti della sposa. Hanno festeggiato con lei il giorno prima e l’hanno salutata commossi: da quel momento in poi andrà a far parte di un’altra famiglia che non sarà più la loro. La festa sta per finire, gli ospiti iniziano lentamente ad andare via e decido di salutare gli sposi. Tommaso intuisce i mie piani e mi placca in tempo. Volevo fare gli auguri con un italico “bacio & abbraccio” ma in Uzbekistan, la sposa, non la si può neanche toccare, figurarsi a baciarla. Evito così per un pelo una gaffe clamorosa che mi avrebbe fatto apparire come un piccolo Berlusconi in trasferta. REGISTRATJIA La prima e mi sa unica parola uzbeka che ho imparato è stata registratjia, che poi non è nemmeno uzbeka ma russa. Il turista che visita il paese deve registrarsi ad ogni pernottamento presso il locale OVIR (ufficio visti e registrazioni), ma soggiornando in albergo la registrazione è automatica ed alla reception rilasciano una ricevuta, la registratjia appunto, che lo attesta. L’unica raccomandazione recepita prima di partire, quindi, è stata quella di custodire gelosamente tutte le registratjia, in modo da evitare multe pesanti o problemi maggiori se, ad un controllo o all’uscita dal paese, ne fossi stato trovato sprovvisto o con qualcuna mancante. Cosicché, prima del volo di ritorno, affronto con una certa apprensione il consueto controllo dei documenti. Arrivato al posto di polizia consegno il passaporto con la mazzetta di registratjia al funzionario uzbeko e quello timbra distrattamente il mio documento e butta con sufficienza nel cestino tutte le registratjia. Mi ero preparato a qualsiasi tipo di domanda sul soggiorno uzbeko, avevo addirittura vigilato su quelle ricevute per tutto il viaggio ed il poliziotto neanche le ha guardate. Che dire?! Alla prova dei fatti le cose sono spesso molto diverse da come le immaginiamo. Questa “quasi regola” in Uzbekistan vale più che altrove : non si può immaginare un viaggio in Uzbekistan, bisogna andarci per forza.


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