Rosa: la totalità degli edifici, per legge. Rosso: le innumerevoli bandiere, sparse ovunque. Verde: palme, giardini rigogliosi e piante esotiche, a fare da cornice al quadro. Durante il percorso dall’aeroporto all’hotel una Marrakech inaspettatamente piovosa mi si presenta cosi’, un acquerello di colori vivaci e contrastanti. Stradone asfaltate, marciapiedi esageratamente larghi, luci..Questa è la zona moderna, la Ville Nouvelle: banche marocchine, uffici di cambio, hotel, boutique, locali turistici, c’è persino il McDonald’s arabo. Modernità, insomma. Che stride enormemente con i taxi beige sgangherati, con le biciclette polverose, con i carretti trainati da asini e da poveri diavoli che vedrò per tutto il resto del mio soggiorno in città. Ma la Marrakech più bella, quella che da sola vale un viaggio, è un’altra. Inizia da Jamaa El Fna, l’immensa piazza che l’obiettivo fotografico non può cogliere nella sua interezza. La piazza centro della vita cittadina, uno stupefacente e affascinante teatro all’aperto, un miscuglio incredibile di personaggi stravaganti, scene bizzarre, suoni e colori. Un’atmosfera che cattura il visitatore e lo stordisce, una giostra che va veloce.Mi ci è voluto più di qualche attimo per prendere coscienza della grandezza di quello spazio; certo è che mi è sembrato di essere catapultata in un’altro tempo, quasi all’interno di una favola delle mille e una notte, popolata da furbi mercanti, incantatori di serpenti, addestratori di scimmie, urlatori, mendicanti, saltimbanchi, disegnatrici di hennè, santoni e fattucchiere… In un’attività senza sosta. Proprio riconoscendo l’importanza di preservare tutto ciò, nel 2001 l’Unesco ha riconosciuto piazza Jamaa El Fna “patrimonio orale e immateriale dell’umanità”. Ho letto che in altri tempi qui venivano esposte le teste dei criminali giustiziati -il nome della piazza significa appunto “Assemblea dei morti”. Tutto intorno alla piazza, numerosissime terrazze di bar e ristorantini,ottimo punto di osservazione dell’intero spettacolo. L’unico momento in cui tutto il carrozzone si fermava e trovava pace era allo scoccare delle sette di sera, quando il digiuno si interrompeva (sono capitata a Marrakech in periodo di Ramadan: una fortuna, una bella lezione di cultura). Alle sette numerosissime tavolate imbandite sorgevano come funghi e riempivano l’immensa piazza, che assumeva ora un altro aspetto, in un tripudio di odori, fumo, allegria, luci.Non tutti si sedevano nella piazza: molti mercanti di Jamaa El Fna mangiavano privatamente, in un vano della loro bottega. Mi ha colpito molto la discrezione e la dignità di queste persone nel consumare il loro unico pasto della giornata, nel silenzio di quei pochi metri quadri affollati di merce, solo il tintinnare di posate e scodelle…momento sacro, in mezzo a folle di turisti spensierati e incuranti e ansiosi di shopping a qualunque ora, che poco sapevano di ciò che li circondava, e poco osservavano al di là del loro naso. Una sola volta, per leggerezza, mi sono attardata a fare spese oltre il momento sacro, e con un largo sorriso mi sono vista sbattere in faccia un bel”cerrado”, chiuso: l’uomo marocchino stava rivendicando il suo spazio, il suo diritto al pasto, il suo momento, in barba al mancato affare, per una volta. Come dicevo, un ottimo punto da cui ammirare piazza Jamaa El Fna in tutta la sua grandezza può essere una qualsiasi delle tante terrazze dei locali li’ intorno. Per quanto riguarda cibi e bevande, occhio all’igiene:non sarà un consiglio originale, ma meglio consumare i pasti al ristorante piuttosto che in strada, e bere da bottiglie sigillate. Un’eccezione che però sento di consigliarvi è l’aranciata fresca in piazza Jamaa El Fna, buonissima: decine di carretti stracolmi di arance, che arrivano sin dal mattino presto. Da assaggiare i piatti della cucina tipica: si mangia con pochi euro (con l’equivalente dei nostri 7 euro per un pasto completo, -bevande incluse- e le porzioni sono abbondanti). Vi consiglio il ristorantino Chez Chegrouni in piazza Jamaa el Fna : fatevi sistemare sulla terrazza e avrete una bella visuale; oppure lo N’Zaha: niente terrazza, ma cibo gradevole. Da assaggiare il cous cous (che non ha bisogno di presentazioni); il tajine (piatto di carne in umido che prende il nome dal caratteristico piatto in terracotta in cui viene cotto e servito. Ha tante varianti; spesso si tratta di pollo con limone e olive, o con prugne e mandorle, o con verdure più spezie varie). Anche la pastilla è molto buona: assaggiandola, si ha l’impressione che sia un dolce, invece non lo è: si tratta di uno sformato ripieno di carne di piccione sminuzzata in parti piccolissime unita a mandorle tritate e spezie varie, il tutto spruzzato da cannella e zucchero a velo. Per il tipico the verde alla menta o il caffè marocchino vi consiglio il Cafè Glacieres (anche qui potete stare comodi sulla terrazza panoramica), Per un gelato buonissimo andate alla Patisserie Des Princes in Rue de Bab Agnaou. Se mi si chiede cosa mi è piaciuto di più di questa città, non ho dubbi: il camminare nella medina, in mezzo alla gente. E poi la gente stessa, ancora genuina, vera nell’approccio col turista. Lo si percepisce. Eccetto i taxi, o la maggior parte dei venditori -melliflui e cerimoniosi là come qua e come dappertutto- qui la gente ha un curioso atteggiamento con gli stranieri. Chi non ha nulla da venderti non si cura di te, non disturba: ma non si tratta di indifferenza. E’ una sorta di distacco ossequioso, di timore reverenziale, dove tuttavia trovano spazio sorrisi, occhi buoni, e la cortesia del saluto.
La gente Mi ha colpito la donna marocchina di una certa età che sforzandosi di rispondere alla mia richiesta mi parlava nella sua lingua. Non ci capivamo, ma lei in quattro e quattr’otto con autorevolezza ha radunato mezzo cortile attorno alla mia piccola mappa, dando ordini precisi agli altri pur di farmi portare a destinazione attraverso gli intricati labirinti del suq….
Mi ha colpito il volto vissuto di un tassista, senza denti, ma con una luce negli occhi e una perspicacia invidiabili…contento di chiedermi dell’Italia, di raccontarmi che li’ un amico ce l’aveva anche lui……Eppure il suo guadagno l’avrebbe avuto lo stesso portandomi a destinazione, muto o parlante che fosse. E invece conversava divertendosi, in un inglese-francese casalingo ma sufficiente per farsi capire quanto basta… Mi hanno colpito i commercianti del souq, che, sebbene nascondendosi al riparo dall’obbiettivo, non mi negavano la foto alle loro merci… La totalità dell’universo femminile qui porta il velo, se non addirittura il burqa. Mi era capitato di vederne uno a colazione nell’hotel di Istanbul, ma era stato un episodio isolato, la situazione delle due città non è assolutamente paragonabile. A Marrakech è frequentissimo vedere figure senza volto: in strada, nel souq…fantasmi che camminano. La loro normalità, e il senso di inquietudine e impotenza che questa loro normalità mi ha trasmesso.
Rigide regole Per i non musulmani, a Marrakech vige il divieto assoluto di entrata nelle moschee, che quindi possono essere ammirate e fotografate solo dall’esterno. Questa è la Moschea della Koutoubia, la più importante, si trova nei pressi di piazza Jamaa El Fna e funge quasi da “faro” nel traffico cittadino. Il suo nome in arabo significa “moschea dei librai” perchè un tempo le botteghe circostanti erano prevalentemente dedite al commercio di libri e manoscritti.
I luoghi Tra i luoghi, quello che mi ha colpito maggiormente è stato il complesso della Menara. L’ho trovato un luogo magico. Sono capitata li’ nel mezzogiorno di una giornata limpida, un cielo azzurro intenso senza neanche una nuvola. Sole a picco, palme altissime che si stagliano verso il cielo, pochissime persone. Quel luogo tutto per me insomma. Mi sono soffermata a lungo a osservare e pensare, è un luogo estremamente semplice -un piccolo palazzo incorniciato da un grande specchio d’acqua- ma con un’aura di regalità che lo rende quasi sacro. Tutto intorno, immense coltivazioni di ulivi, e un grande senso di pace. Tra i meandri del souq è nascosta la Medersa Ben Youssef, un’antica scuola coranica dagli interni meravigliosi: piastrelle variopinte, mosaici, intagli in stucco e legno, archi in stile moresco, e altri particolari decorativi tipici dell’architettura marocchina. L’orgoglio di Marrakech sono i giardini, curati con una passione che ha ormai una tradizione secolare. Sicuramente tra i più suggestivi si annoverano i Giardini Majorelle. Sono un incanto. Appena entrati si rimane rapiti dai colori sgargianti: il blu oltremare, il verde, il giallo vivo..Uno stile e un’originalità unici. Piantumati con bouganvillee, alberi da cocco, banani, palme, cactus, piante esotiche e rare dall’aspetto curioso…Appartenevano a un pittore francese, Jacques Majorelle, che in questo terreno costruì la sua villa e il suo atelier: dipinse la villa con dei colori vivi dove prevalse il blu, un blu intenso, elettrico, talmente bello che venne identificato proprio col nome di blu Majorelle. Dopo la sua morte il giardino rimase aperto al pubblico e subi’ delle forti degradazioni. Nel 1980, Yves Saint Laurent e il compagno Pierre Bergé, visitatori e ammiratori del giardino Majorelle, lo acquistarono e diedero il via a lavori di restauro, salvandoli dall’abbandono.
Hotel Per quanto riguarda la sistemazione, la mia scelta è ricaduta sull’ Imperial Holiday, un quattro stelle situato in buona posizione nella zona nuova della città, (in circa 20 minuti di passeggiata a piedi si raggiunge la medina e Piazza Jamaa El Fna). Buon rapporto qualità prezzo, personale gentile, camere comode e pulite.
Concludendo, vorrei consigliarvi un libro che personalmente ho trovato molto bello e che ha ispirato il mio viaggio nonchè il titolo di questo breve diario. “Le voci di Marrakech””, del Premio Nobel Elias Canetti”
“Davvero in quel momento mi sembrò di essere altrove, di aver raggiunto la meta del mio viaggio. Da lì non volevo più andarmene, ci ero già stato centinaia di anni prima, ma lo avevo dimenticato, ed ecco che ora tutto ritornava in me…”
Elias Canetti ha raccolto nelle pagine di questo libro le impressioni di un suo viaggio in Marocco intrapreso nel 1954. Anche se il libro è stato scritto più di cinquanta anni fa, offre un ritratto ancora oggi molto vivo di Marrakech, attraverso fotogrammi di vita, emozioni suscitate dal dialogo con la gente, dal confronto con un mondo differente che ha una sua bellezza, una sua dignità ed un suo equilibrio.