Lasciate ogni pregiudizio, o voi ch’entrate: Iran

Viaggio dal sud al nord dell'Iran
Scritto da: Mara Speedy
lasciate ogni pregiudizio, o voi ch’entrate: iran
Partenza il: 25/05/2015
Ritorno il: 09/06/2015
Viaggiatori: 16
Spesa: 2000 €
Quante volte prima di partire per questo viaggio mi sono sentita dire che ero pazza, che me la andavo a cercare, che c’era la guerra (ignoranti!), che dopo l’11 settembre nei paesi mussulmani non bisogna andare… certo anch’io avevo mille pregiudizi e timori, perché non sapevo che l’immagine che avevo dell’Iran era molto diversa dalla realtà.

25.5

Parto alle ore 15 da Malpensa con Turkish Air e atterro a Istanbul alle ore 18.50. Qui mi riunisco con gli altri compagni di avventura che provengono dagli aeroporti di Bologna e Roma. Ripartiamo verso le 21.10 alla volta di Shiraz, dove arriviamo in piena notte, alle 2.30. Appena prima di atterrare tutte le donne si mettono il velo e noi seguiamo il loro esempio: alcune si struccano e si mettono qualcosa per coprire le profonde scollature che mostravano fino a pochi minuti prima.

Le tante domande che mi ero posta prima di partire, mi tornano in mente. Se non metto il velo come si deve, in che cosa incorro? Per questo prima di partire avevo visto su internet diversi tutorials con la spiegazione di come meglio vestire l’hijab: quello che posso consigliare è di usare un foulard di cotone chiaro, perché la seta o il raso sono scivolosi; le iraniane usano per lo più colori scuri che attirano il calore, ma le nuove generazioni nelle grandi città stanno introducendo capi molto colorati e portati quasi a metà testa. Tenete comunque presente che ripara dal sole e dalla polvere e deve coprire soprattutto il collo. Francamente ho trovato più fastidioso dover portare pantaloni lunghi e maglie sotto al sedere a manica lunga, rigorosamente non aderenti; anche gli uomini erano vincolati come noi al pantalone lungo, ma potevano abbinarlo alle maniche corte; i bambini invece si possono vestire come da noi. Gli iraniani preferiscono le scarpe chiuse, ma noi tutti vestivamo sandali senza problemi.

Se ve lo state chiedendo, la foto del passaporto per le donne può essere a capo scoperto, l’unico vincolo è che il documento abbia un residuo di validità di almeno 6 mesi al momento in cui si lascia l’Iran e non contenga visti per Israele.

La Turkish Air richiede il visto e l’invito da parte di qualcuno in Iran prima di caricare le persone sul velivolo; di questo si è occupata per noi l’agenzia Iran Sebt Tour di Teheran (sig.ra Luciana), che ci ha anche prenotato i vari hotel, gli spostamenti e le gite a Bam e nel deserto dei Kalut. Viaggiamo con una lista in farsi dei nostri dati e del nostro percorso depositati presso il Ministero e, curiosamente, anche se siamo nel 2015, i documenti mostrano il 1394, il corrispettivo nel calendario persiano. In Iran vige anche un terzo calendario, quello mussulmano.

Il visto, che fisicamente ci verrà apposto all’aeroporto di Shiraz, avremmo potuto chiederlo anche all’ambasciata di Milano (50 euro), dove si lasciano le impronte digitali, gli indirizzi di dove si pernotta e gli estremi dell’assicurazione viaggio.

Appena espletate le pratiche e ritirati i bagagli, usciamo dall’aeroporto e conosciamo subito il nostro autista, che avrà sempre un sorriso per noi e mille gentilezze. All’inizio lo abbiamo un po’ preso in giro, perché a ogni sedile del bus aveva attaccato un sacchettino come pattumiera e i gradini erano sempre ricoperti da carta di giornale: maniaco della pulizia? No, semplicemente molto attento alle persone che trasporta.

Siamo stanchi e andiamo subito all’Hotel Eram, in ottima posizione sul Krim Khan-e Zand Blvd, una delle strade principali, in vecchio stile, ma tranquillo e pulito (25 euro circa, i prezzi che indicherò sono da intendersi a testa, sia per le cene sia per le stanze in genere con colazione e bagno in camera).

26.5

Nonostante l’arrivo di notte, ci svegliamo abbastanza presto per sfruttare l’intera giornata.

Shiraz, è famosa perché culla della cultura persiana, perché ex capitale dell’Iran, perché ha dato i natali ai poeti Hafez e Sa’di, ma forse in Italia la conosciamo maggiormente per i vitigni dell’uva syrah, con i quali oggi si produce ottimo vino in Francia e in Italia, ma che qui sono ora banditi per motivi religiosi.

La nostra giornata inizia con l’acquisto di una tessera telefonica (480.000 RLS), per evitare costose telefonate in roaming e con il cambio degli euro e dollari in valuta locale in un ufficio a pochi minuti dall’hotel (36500 rial = 1 euro, attenzione però che i prezzi spesso sono espressi in toman: 10 RLS = 1 toman); va tenuto presente che le nostre carte di credito qui non funzionano, in quanto americane, tranne che in alcuni negozi di tappeti nelle città più grandi. Dato che i numeri non sono in cifre arabe, fotografo il tastierino di una banca per avere sempre con me la tabella di transcodifica.

Proseguendo sulla stessa strada costeggiamo il ministero delle comunicazioni, sulla cui facciata si trovano le foto di Khomeini e Khamenei, che vedremo riprodotte migliaia di volte soprattutto nelle moschee. Arriviamo quindi alla Fortezza Arg-e Karim Khan, costruita in mattoni decorativi sotto la dinastia Zand (1750-1795); a ogni angolo una torre alta 14 m, di cui una risulta un po’ pendente per il cedimento del terreno.

Da qui ci è facile raggiungere il centro della città che è Shohada sq., dove si trova sia l’entrata al bazar che l’Hammam-e Vakil (100.000 RLS), con belle decorazioni in stucco e soffitti a volta. Dato che lo scopo dei bagni pubblici, introdotti dai romani, era sia igienico che sociale, all’interno si trovano delle riproduzioni con manichini di scene di vita quotidiana: era normale per esempio recarsi qui per farsi visitare dal dentista!

In genere l’hammam è posto tra il bazar e la moschea, infatti, la nostra prossima tappa è proprio la Masjed-e Vakil (50.000 RLS), una moschea costruita nel 1773, ricordata per i 48 pilastri ritorti che la sorreggono, per il grande mihrab (abside che indica la direzione di La Mecca) e per il minbar (il pulpito) con 14 scalini di vero marmo. La moschea presenta anche due ampi iwan, che sono una sorta di portico chiuso su tre lati, ma aperto con un arco sul cortile centrale e sono tipici dell’architettura islamica. Iniziamo a familiarizzare con i soffitti ad alveare e con le maioliche che ricoprono e decorano soffitti e pareti.

All’improvviso quello che ci guida non è più la Lonely Planet o i preziosi cartelli in farsi e inglese, ma il profumo di pane. Ci fermiamo tutti davanti a un panettiere, dove una palla di pasta viene buttata su una sorta di pietra incandescente posta in diagonale; man mano che la palla scivola sulla pietra, si allarga e appiattisce e diventa una sorta di grande piadina allungata. Vi assicuro che il sapore è mille volte meglio del profumo: assolutamente da provare!

Prendiamo la Loft Alì Khan Blvd, per andare a visitare la moschea Masjed-e Nasir-al-Monk (100.000 RLS) con le sue maioliche blu scure e le bellissime vetrate sulle pareti della sala delle preghiere; i tipici tappeti qui come altrove, ricoprono ogni angolo del pavimento. All’entrata ci sono delle vaschette con delle collane, che scopriremo essere dei rosari, e dei mattoncini piatti, a volte intagliati, su cui i fedeli appoggiano la testa mentre pregano; una delle guide nel corso del viaggio ci confermerà che possono essere presi e portati via dalla moschea… speriamo di aver capito bene, altrimenti abbiamo rubato!

Ci infiliamo nel Bazar e-Vakil con i suoi soffitti a mattoni di epoca Zand che, come tutti i bazar che visiteremo, mantengono fresco d’estate e riparano dal freddo in inverno. Nei pressi del bazar, entriamo nel Seray-e Moshir: il caravanserraglio, nato in Iran, che è l’antenato del moderno albergo e si trovava lungo le vie carovaniere, come quella della seta, per dare riparo a persone, animali e rifornirsi di acqua e cibo. Appena usciti dal caravanserraglio, proviamo il gelato alla rosa che vendono poco più avanti ed è una delizia! Ci sorprende però la consistenza, perché avendo dell’amido di mais nella ricetta, risulta colloso.

Continuiamo la nostra visita del bazar tra tappeti, frutta secca e spezie e torniamo alla Madraseh-ye Khan, che prima avevamo trovato chiusa. La madrasa è una scuola teologica, coranica, dove si insegnano, oltre alla religione, le materie del tempo, cioè matematica, fisica e astronomia ed è il naturale prolungamento architettonico della moschea. Quella visitata qui a Shiraz è stata danneggiata dai numerosi terremoti che hanno colpito la città, ma conserva un bel portale d’ingresso.

Percorriamo alcuni vicoli e raggiungiamo Aramgah-e Shah-e Cheragh, ovvero il mausoleo del Re della Luce, un santuario dedicato ai resti terreni di Sayed Mir Ahmad, uno dei 17 fratelli dell’imam Reza (discendente di Maometto), ucciso proprio a Shiraz: ho sempre immaginato i palazzi descritti da Sherazade così, con la cupola a forma di cipolla decorata da maioliche azzurre e i minareti con le punte dorate, da Mille e una Notte, insomma.

Mentre le donne iraniane entrano con un bel chador nero, separate dagli uomini, alle turiste ne viene fornito uno gratuitamente che ricorda un po’ le lenzuola fiorate della nonna: sono assolutamente puliti, ma purtroppo acrilici. Le donne iraniane ridono di gusto nel vederci armeggiare con il lenzuolo che svolazza a causa dalla leggera brezza e alcune si avvicinano discretamente ad aiutarci.

In quanto straniere, veniamo subito avvicinate da una ragazza che è incaricata di farci da guida nelle zone destinate alle donne e a portarci nel museo dove siamo “costretti” ad ascoltare una dichiarazione programmatica con la quale chiaramente non siamo d’accordo, ma che ci guardiamo bene dal commentare apertamente.

All’interno del santuario si entra senza calzature, come in tutte le moschee, ma qui ci sono dei cestini con dei sacchetti per portare con sé le scarpe, dato che il santuario è molto frequentato. Le pareti interne sono ricoperte di specchietti, che formano delle magnifiche decorazioni: il colpo d’occhio è eccezionale, peccato non poterle fotografare. Alcune donne ci fermano per scattarci foto e chiacchierare, il modo in cui vivono la moschea è molto meno restrittivo rispetto alla nostra chiesa, per loro è un luogo di ritrovo, dove oltre che pregare, si può parlare, si può leggere e addirittura dormire.

Ci fermiamo un momento davanti al santuario, seduti sull’erba come vediamo fare alla gente del posto. Notiamo poi una fontana, con addirittura un dispenser di bicchieri di carta. Sarà solo la prima di tante fontanelle con acqua fresca, che troveremo, spesso vicino alle moschee, dove potremo riempire le nostre preziose bottigliette.

Torniamo sulla strada principale, dove ci aspetta il nostro bus e raggiungiamo il Mausoleo Aramgah-e Hafez (150.000 RLS), dove in un bel giardino, un padiglione ottagonale protegge la tomba del massimo poeta iraniano Hafez, che è talmente amato che si dice che in ogni casa ci sia una copia delle sue poesie accanto al Corano. Uno dei nostri amici ha con sé una copia della sua opera e ci propone di fare il faal-e Hafez, cioè aprire a caso il libro di Hafez per conoscere il nostro futuro: non possiamo che accettare speranzosi!

Torniamo all’hotel, una rinfrescata e poi andiamo a cena allo Shapouri Pavillon (circa 410.000 RLS), sicuramente il ristorante più lussuoso del nostro viaggio. E’ una bella villa d’epoca con piscina, dove gustiamo dell’ottimo kebab, che qui viene servito come se fosse del roast beef con tante verdure. L’Iran è uno dei pochi paesi dove ho mangiato verdura non cotta in completa serenità, dato che l’acqua è potabile ovunque.

Dopo cena facciamo una passeggiata fino alla fortezza e ho il primo assaggio, nel vero senso della parola, dell’ospitalità iraniana, infatti, dei ragazzini ci offrono dolci e ci fanno qualche domanda in inglese. Le loro domande come i loro auguri diventeranno un mantra del viaggio: “Welcome to Iran!”, “Where do you come from?”, “What do you think of Iran?”, “What media say in Italy about Iran?”.

Torniamo all’hotel Edam per la notte e ci accorgiamo che i bagni a disposizione delle donne nella hall dell’hotel hanno il simbolo della donna con il chador. Certo che il nostro simbolo con la signorina dalla vita stretta qui sarebbe disdicevole!

27.5

Colazione di buon’ora che sarà, come tutte le altre mattine, a base di uova, marmellata alla carota, pane, latte e te (il caffè credo di averlo visto solo una volta così come la frutta fresca).

Attraversiamo la città col bus e ci accorgiamo che i parchi sono pieni di tende di turisti, arrivati in città per visitare la zona.

Percorriamo i 60 km che ci separano da Persepoli (100.000 RLS) in un’ora abbondante. Abbiamo deciso di visitarla nella mattinata sia per il caldo sia per la posizione ottimale del sole, dato che sono state costruite delle impalcature a protezione dagli agenti atmosferici. Qui conosciamo la nostra guida, una ragazza preparatissima e con un velo monacale che, prima di entrare, ci fa notare la tendopoli in disuso fatta costruire dall’ultimo scià per celebrare in modo sfarzoso, con i maggiori dignitari del mondo, i 2500 anni dell’impero Persiano, scegliendo questo luogo simbolo del potere raggiunto dagli Achemenidi (550-330 aC), prima che Alessandro Magno gli desse fuoco.

Persepoli venne riportata alla luce intorno al 1930, dopo essere stata sepolta per secoli sotto la sabbia. Appena arrivati, si presenta davanti a noi una grande piattaforma alla quale si accede da una scala che poteva essere percorsa anche a cavallo.

Salita la scala, ci troviamo davanti alla porta di Serse o di Tutte le Nazioni, utilizzata da altri esploratori prima di noi che, impuniti graffitari, vi hanno lasciato inciso un messaggio o la data della propria visita.

Passiamo poi attraverso un’altra porta incompleta, ma che ben dimostra la grandezza che avrebbe raggiunto. Qua e là resti di capitelli, di cui alcuni perfettamente conservati che sembrano rappresentare due cavalli che si danno le spalle o due mostri col becco nella stessa posizione.

Ci sono iscrizioni ovunque, ma la guida attira la nostra attenzione su alcune che rappresentano la lotta fra il leone (sole) e il toro (luna) e che simboleggiano l’equinozio.

Proseguiamo verso il palazzo delle 100 colonne, un edificio che doveva coprire 70 mq e che veniva forse usato per ricevere i dignitari militari. Accanto a questo edificio c’era il Tripylon, cioè la sala delle udienze e la Sala delle 32 colonne.

Sui libri di storia è spesso riprodotta l’Apadana, cioè la grande sala delle udienze di Dario I, di forma rettangolare, tipica dei palazzi reali achemenidi, che poteva ospitare anche diecimila persone. Sulla scalinata di Apadana sono state rappresentate le 23 delegazioni che erano venute qui in visita: ad esempio i Medi rappresentati con giubbotto e pantaloni di cuoio, i Susiani in mantello, tunica pieghettata e stivaletti stringati, gli Armeni con copricapo a tesa larga, i Babilonesi con il berretto a punta, i Parti con i pantaloni e il mantello stretto in vita e la barba liscia, gli Etiopi con i nasi schiacciati e i capelli crespi e infine i notabili persiani con il tipico copricapo, la barba e i capelli ricci, che si alternavano con gli immortali, l’élite dell’esercito achemenide.

La guida si congeda da noi e decidiamo di salire alle tombe rupestri di Antaserse II e III, costruite sul modello di Naqsh-e Rostam, che però non sono visitabili, ma che vale la pena raggiungere per la vista a 360° su Persepoli e su tutte le colonne spezzate dei due palazzi.

Guardando da lassù, ci rendiamo però conto che non abbiamo visto una parte dell’area archeologica, quindi decidiamo di andare verso sinistra, dove ci imbattiamo in un’altra bella scalinata, tutta ornata di bassorilievi e iscrizioni cuneiformi, che da accesso ai due palazzi privati di Hadish e di Tachara, che oltre alle colonne conservano anche le porte.

Lasciamo Persepoli con gli occhi pieni di queste meraviglie e raggiungiamo in una decina di minuti di bus Naqsh-e Rajab (50.000 RLS), dove nel mezzo del nulla hanno scoperto dei bassorilievi sassanidi (224-642 dC) rappresentanti la parata di Shapour dopo la vittoria contro l’imperatore romano Valeriano, l’incoronazione di Ardeshir-i Papagan e quella di Shapour I e un quarto bassorilievo attribuibile a Karti, il prete dei preti.

Risaliamo sul pullman e in un’ora raggiungiamo l’antica città di Pasargade, di cui rimane ben poco e che era stata messa in ombra da Persepoli. L’impatto con la tomba di Ciro (150.000 RLS) è particolare: ci troviamo in una piana disabitata e stepposa e nel bel mezzo si ergono i 6 piani di pietra che costituiscono la tomba. Lo scià durante una visita si rivolse alla tomba dicendo: “Ciro, ti saluto, dormi tranquillo, io guardo il tuo paese”… per lo meno fino alla rivoluzione islamica del 1979!

In passato doveva essere circondata da splendidi giardini che la collegavano alla stone tower o al palazzo privato di Ciro, dove si trova l’importante iscrizione in tre lingue “Sono Ciro, il re Achemenide”. Poco distante una bassa collina su cui è stata costruita la cittadella di Tal e-Takht, ma anche di questa costruzione è rimasto poco.

Riprendiamo il nostro bus per un’altra ora e arriviamo a Naqsh-e Rostam (100.000 RLS), che in realtà dista appena 6 km da Persepoli: davanti a noi un altopiano e scavate nella roccia quattro tombe, che da sinistra a destra sono state dedicate a Dario II, Antaserse I e Dario I e, non sulla stessa parete, ma in una sorta di continuazione visiva, quella di Serse I. Maestose. Sopra ogni sepoltura c’è la rappresentazione delle nazioni sottomesse dai vari sovrani e sotto le scene delle conquiste imperiali e delle cerimonie reali. Davanti a questo spettacolo, il Bun Khanak, sede del tesoro, a lungo creduta sede del fuoco sacro.

Torniamo a Shiraz e andiamo a cena in un ristorantino vicino al Rouhollah Bazar (circa 257.000 RLS), purtroppo dei locali scritti in farsi, non posso segnalare il nome! Tornando ci rendiamo conto che la via del nostro hotel è stata invasa da una sorta di mercato, ma a differenza dei nostri, molto meno rumoroso. I venditori ci chiamano, non tanto per proporci qualcosa da acquistare, ma per sapere da dove veniamo, per darci il benvenuto. I venditori non saranno mai soffocanti come nei bazar arabi.

28.5

A malincuore lasciamo Shiraz: sarà che era un ambiente del tutto nuovo per me, ma forse è la città che più mi ha affascinato.

Prima tappa della giornata a circa 25 km da Shiraz è il lago salato di Maharlu, detto anche lago rosa, in quanto in un certo periodo dell’anno, per la presenza di un’alga, il lago assume questo colore, grazie anche alla poca profondità, infatti al massimo arriva a 3 m. Nel periodo in cui l’abbiamo visto noi era appena rosato, ma gli accumuli di sale sembravano quasi degli iceberg su di un deserto bianco.

Seconda tappa, il Sasan Palace di Sarvestan (20.000 RLS), la cui importanza è costituita dalla più antica cupola di mattoni dell’Iran; il restauro del 1956 non ha però chiarito se fosse una residenza per le vacanze, un palazzo del governo o un tempio zoroastriano.

Dopo circa 90 km, arriviamo al lago salato di Bakhtegan, il secondo lago più grande dell’Iran che in inverno ospita anche i fenicotteri.

Il paesaggio è piuttosto monotono, l’erba è secca, gli scheletri neri delle cupole a cipolla in costruzione risaltano sul fondo azzurro del cielo e qua e là qualche montagnola dalla forma singolare.

Raggiungiamo Neyriz, nota sia per il portico che per l’altare della moschea del venerdì, di 5,85 x 7,50 m, decorato in gesso con motivo eslimi, cioè fiori geometrici, costruita in tre diverse fasi tra il 973 e il 1472. Il minareto ricorda però inspiegabilmente una ciminiera.

Riprendiamo il pullman per l’ultima e più lunga tappa della giornata (240 km) che ci porterà nella singolare Meymand (100.000 RLS). Il borgo storico è situato a 2240 m di altitudine ed è un vero e proprio villaggio troglodita, dove i primi abitanti iniziarono a scavare qui più di 3000 anni fa, quelle che oggi sono 406 abitazioni. La cittadina è dotata di tutto ciò che è essenziale per un iraniano: la moschea di Hosseineh, che risale a tre secoli fa, senza minareto, creata unendo tre case troglodite, il vecchio bagno termale, ora in ristrutturazione e persino un museo di antropologia, allestito nel tempio che una volta era dedicato al fuoco, che vale una veloce visita.

La montagna sembra bucherellata da innumerevoli grotte: una vecchina ci fa entrare nella propria abitazione e cerca di venderci delle erbe a pochissimo, ma purtroppo a causa della lingua non riusciamo a capire che cosa siano.

Dormiremo nella Grand Inn (30 euro con cena). Le pareti sono di pietra nuda e anche i letti sono scavati nella roccia con un basso materasso. Solo la strada principale è illuminata, mentre nelle stanze la luce va e viene, quindi è consigliabile portarsi una torcia, anche per raggiungere di sera i bagni, che sono in comune. Se non fosse che alcuni di noi al mattino si sono svegliati con strane punture su tutto il corpo, l’esperienza è assolutamente da fare: sembra di vivere in una puntata dei Flintstones!

Per cena invece ci hanno indicato una specie di garage con tavolacci di legno, ma anche qui, nonostante fosse una struttura in cemento, l’atmosfera era particolare; seduti su dei tronchi a mo’ di sgabello, ci siamo gustati la cena a buffet con pollo, montone, riso e l’immancabile crema di melanzane (kashke bademju) che spesso accompagna delle polpettine.

29.5

Intorpiditi dai letti non proprio comodissimi, andiamo a far colazione dove abbiamo cenato la sera precedente e scopriamo che il nostro autista ha dormito nella pancia del bus, ma nonostante questa accomodazione precaria, non ci lesina sorrisi neanche questa mattina.

Ci rimettiamo in viaggio e in poco più di tre ore raggiungiamo Kerman e i suoi edifici in fango.

Il bus ci lascia in Shohada Sq., dove visitiamo la moschea Masjed-e Jameh (Jameh, cioè del venerdì, è sempre la più importante). La scalinata che porta alla moschea è decorata con degli addobbi verde acido e giallo fosforescente, che creano un effetto un po’ kitsch, in netto contrasto con le lucide e belle maioliche del frontale della moschea. Costruita nel 1349 dC e modernizzata in epoca safavide (1502-1736), è una delle poche moschee senza minareto e cupola. In compenso la Moshtaghie, che visitiamo subito dopo, ha ben tre cupole, di cui solo una non ricoperta da maioliche.

Attraversiamo il Bazar-e Sartasari, uno dei più antichi bazar iraniani e facciamo incetta di frutta fresca e secca, soprattutto di pistacchi, per la qualità dei quali l’Iran è noto.

Raggiungiamo l’Hammam-e Vakil di epoca qajara (1795-1925), che oggi è stato trasformato in una sala da te con musica dal vivo (una canzone a 500.000 RLS). Non sappiamo se facciamo più foto noi agli iraniani o loro a noi, sembriamo delle stars! Alcuni sorseggiano seduti a gambe incrociate su divani che assomigliano a dei grandi letti ricoperti da tappeti.

Proseguiamo sulla via del bazar e raggiungiamo Ganj Ali Khan sq., una grandissima piazza tutta porticata, costruita nel 17esimo secolo per favorire gli scambi commerciali. Sotto uno dei portici proviamo la versione kermana dei dolci faludeh, preparati con amido di mais in un liquido a base di zucchero, menta e ghiaccio.

Proseguiamo la visita del lungo bazar, esplorando i vicoletti che costeggiano le case fatte di fango e raggiungiamo Azadi sq., dormiremo poco lontani da qui all’Hotel Akhavan (26 euro circa), molto bello e pulito.

Per cena andremo invece in un fast food locale (234.000 RLS) e pasteggeremo a patatine fritte e kebab.

30.5

Nella hall dell’albergo di Kerman c’è un poster che mostra Bam prima e dopo il terremoto, che la distrusse nel 2003. Oggi quello che vedremo è una sorta di fase intermedia, perché molto è stato ricostruito, ma si è ancora ben lontani dalla grandiosità precedente a quella terribile notte.

Percorriamo i quasi 200 km che ci separano da Arg-e Bam (entrata 150.000 RLS ed escursione costo 120 euro per 16 persone) che è considerata la più grande struttura costruita in mattoni di fango e per questo protetta dall’UNESCO. Le fondamenta risalgono al periodo achemenide, anche se la maggior parte della città venne costruita in epoca savafide e qajara. Il bazar è composto da camere unite fra loro da volte, c’è un hammam, una moschea e una piazza centrale, Tekiyeh, dove si celebravano eventi religiosi e pubblici. La parte visitabile è chiaramente ristretta, ma non posso far a meno di pensare a come doveva essere imponente, specie nell’ora del tramonto con quella luce particolare che avrebbe esaltato il rossiccio del fango delle alte mura e delle torrette.

Ancora un’ora e mezza di strada e arriviamo alla cittadella di Arg-e Rayen (100.000 RLS), una sorta di Bam in miniatura, anch’essa costruita 1000 anni fa in mattoni di fango essiccati al sole. L’edifico di maggior interesse è la residenza del governatore, che si trova all’interno dei bastioni che sono delimitati da 15 torri, da cui si gode una vista spettacolare.

La prossima tappa della giornata è Mahan, una città di villeggiatura famosa per i suoi giardini… e siamo a 1905 m di altitudine!

Entriamo al mausoleo Aramgah-e Sha Ne’matollah Vali, una costruzione continuata per ben 6 secoli, fatta di fango e con sette porte indiane intarsiate, che ne determinano la fama. Girando intorno alle mura in senso antiorario, arriviamo in un piazzale, dove sono ben visibili la cupola safavide colorata di turchese con due alti minareti e soprattutto i nostri primi due badgir, cioè le così dette torri del vento, dove entra aria calda che viene incanalata verso vasche d’acqua fredda, che la rinfrescano prima di riconvogliarla all’interno dell’edificio, praticamente l’antenato del condizionatore!

Torniamo a Kerman e ci facciamo lasciare in Azadi sq., dove decidiamo di prendere un taxi per il Museo della Santa Difesa, il luogo in cui si ricorda la guerra Iran-Iraq (1980-1988); purtroppo le descrizioni delle vetrinette sono solo in farsi, quindi ci limitiamo a guardare le toccanti foto e le teche con i resti di questa spaventosa guerra, che ha decimato un’intera generazione di giovani iraniani e irakeni. Fuori hanno ricostruito delle trincee con tanto di carri armati e ovunque sventola la bandiera nazionale, a ogni colore della quale è associato un significato specifico: il verde è il sacro, il bianco è la pace, il rosso è il sangue dei martiri e al centro, sulla parte bianca, Allah scritto stilizzato.

Tornati in hotel, ci fermiamo in farmacia, perché a un’amica, le punture ricevute a Maymand hanno dato una terribile reazione allergica: le farmaciste sono preparate, gentili e cercano in tutti i modi di comunicare con noi, nonostante il loro povero inglese.

31.5

Per evitare il gran caldo, partiamo molto presto alla volta del Deserto dei Kalut a circa 2 ore da Kerman (escursione 120 euro per 6 persone). Mi addormento sul bus e riapro gli occhi increduli davanti a queste formazioni rocciose modellate dal vento, che soffia sempre nella stessa direzione ed è vero… sembrano proprio dei castelli di sabbia (yardang) adagiati su una superficie di 145 km di lunghezza e 80 km di larghezza. L’impressione che ho ritrovato anche nelle foto scattate, è di essere piccola piccola davanti a dei giganti. Meravigliosi.

Risaliamo sul bus, timorosi di sporcare con la sabbia, ma il nostro autista è meno preoccupato di noi e si prepara a percorrere i 300 km che ci separano dal caravanserraglio dove passeremo la notte. A Zein O Din, costruito sulla via della seta 400 anni fa, stranamente a pianta circolare, ci dividiamo nelle poche camere (43 euro circa con cena), alcune sono semplicemente chiuse da tende, altre sono strutture di legno sopraelevate, in ogni caso dormiamo su dei materassi appoggiati a terra. I bagni sono in comune puliti e numerosi… sembra di essere in campeggio! L’atmosfera è molto suggestiva, di notte viene chiuso l’imponente portone come si faceva un tempo per difendersi dai predatori del deserto e gli ospiti possono salire sul tetto per godersi fantastici tramonti, con in sottofondo il rumore lontano della strada, cenare con un buffet molto vario e fare acquisti in un piccolo negozietto di souvenirs. Dato che non ci sono molti posti letto, conviene prenotare. Oltre a Meymand, questo è l’unico posto dove non avevamo internet.

1.6

Anche la colazione è con un ricco buffet e ci prepara per raggiungere Saryazd (100.000 RLS), famosa perché chi arrivava qua, trovava due caravanserragli che erano l’ultima tappa prima di Yazd, uno dei quali, l’Old Rabat del 1100, è fatto di mattoni di fango con muri spessi per affrontare il caldo.

Appena fuori dall’Old Rabat, scendiamo a vedere un kanat d’epoca sasanide; come in altre zone desertiche vennero scavati dei canali per ovviare alla mancanza di acqua potabile, sfruttando la forza di gravità, perché la fonte è sempre più in alto del punto di prelievo. In Iran ci sono centinaia di km di kanat per poter raggiungere tutte le zone abitate.

Visitiamo la fortezza Sanambar, o meglio il poco che resta di questa costruzione in paglia e fango, dotata di piscine e kanat per scopi agricoli, che oggi però sono asciutti. Vediamo degli operai al lavoro che stanno confezionando a mano i mattoni, mettendoli al sole ad asciugare.

Poco lontana la fortezza di Saryadz che è uno dei più grandi e antichi depositi di epoca sassanide, dove venivano custoditi grano, vettovaglie e altri oggetti preziosi. Dotata di due cinte murarie concentriche, fatta di paglia e fango, con tanti corridoi, ha anche due ponti che in passato dovevano essere levatoi. La struttura è però chiusa, andiamo sulla strada principale e proviamo a chiedere informazioni, ancora una volta la gentilezza iraniana ci stupisce, ci vanno a chiamare il custode. Nell’attesa, da una pianta sulla strada, “rubiamo” dei frutti del gelso dolci e succosi.

E’ stata una giornata particolarmente calda, infatti, se abitualmente la temperatura era tra i 30 e 35°C, in questa giornata ha toccato i 40°C, sempre però con aria secca.

Raggiungiamo Yadz che seppur molto fredda d’inverno, è torrida d’estate e questo spiega la presenza di badgir su tantissimi tetti.

Visitiamo i giardini di Bagh-e Dolat Abad (100.000 RLS) protetti dall’UNESCO. Il padiglione centrale venne costruito nel 1750 ed è adornato da belle vetrate e dal badgir più alto del paese, ricostruzione dell’originale distrutto di ben 33 m.

Il giardino, ovvero il pardis, da cui deriva la parola paradiso, è la rappresentazione in terra del paradiso nella mente di chi era abituato al deserto, perciò è fresco, vi scorre acqua, è verde e ricco di frutta. L’amore degli iraniani per i giardini è talmente profondo che tantissime donne portano nomi di fiori.

Arriviamo in centro e visitiamo la Masjed-e Jameh, la moschea con un altissimo portale ricoperto di maioliche e due minareti alti 48 m. Sul portale attirano la nostra attenzione i decori a forma di svastica. Che cosa strana, un simbolo per noi così drammatico, in Messico simboleggiava il sole, in Tibet la protezione e qui invece rappresenta l’infinito, l’eternità.

Poco lontano dalla moschea, visitiamo il Bogheh-ye Sayyed Roknaddin, un mausoleo con grande cupola rivestita di piastrelle, che ospitava un osservatorio, una biblioteca con 3000 libri, una farmacia e un centro cerimoniale, il tutto decorato con dipinti ad acqua con antiche iscrizioni kufiche tratte dal Corano.

Facendo attenzione quando attraversiamo, dato che in Iran il pedone viene schivato, piuttosto che lasciato passare, percorriamo la Imam Khomeini St. e raggiungiamo Amir Chakhmaq Sq., nella piazza si nota un edificio con 5 badgir, proprio sotto c’è lo Saheb A Zurkhaneh, dove andiamo a vedere una sessione di Zurkaneh, una disciplina sportiva, praticata da uomini di tutte le età, che utilizza alcuni strani strumenti come i mils, una sorta di birillo che viene fatto roteare e i kabbada, delle catene metalliche con dei dischi alle estremità. Il tutto viene svolto in una fossa ottagonale alternando l’esercizio fisico ad una sorta di danza roteante tipo quella dei dervisci; nel mentre una sorta di dj scandisce il tempo recitando sure del Corano per ringraziare Allah e passi delle opere del poeta Hafez.

Nella piazza si nota un edificio con diverse file di profonde nicchie: è il complesso sacro di Amir Chakhmaq. Proprio al centro parte un tunnel, dove si trova un piccolo bazar, dove mangeremo dell’ottimo pane e proveremo il famoso jigar, ovvero il fegato alla griglia.

Ceniamo al Khane-Dohad Traditional Restaurant, un locale molto grande e con ricco buffet (234.000 RLS) e dormiamo all’Hotel Khoan Kashaneh, in una casa tradizionale (15 euro circa) con camere molto spartane e trascurate, così come la colazione.

2.6

Ci risvegliamo in una città in festa per i due giorni precedenti all’anniversario della morte di Khomeinì.

Per evitare il caldo andiamo a visitare come prima cosa le Dakhmeh-ye Zartoshtiyun (50.000 RLS), cioè le torri del silenzio zoroastriane, utilizzate fino agli anni ’60 da chi professava la prima religione monoteista della storia, nata proprio in Iran. Gli zoroastriani credono nella purezza dei quattro elementi, perciò rifiutano di seppellire i corpi direttamente in terra, oggi infatti, che non possono più farli mangiare dagli avvoltoi, li fanno tumulare nel cemento. Saliamo su entrambe le torri, non tanto perché ci sia qualcosa meritevole di essere visto, ma per il panorama che si gode da entrambe.

Riprendiamo il bus e raggiungiamo lo Ateshkadeh, cioè il tempio del fuoco (50.000 RLS), costruito nel 1934 per custodire la fiamma che, trasferita da Nahid a Yazd, brucia almeno fin dal 470 dC. Il fuoco che è simbolo di purezza, viene alimentato con legno di mandorlo o albicocco da parte di un prete. Proprio sopra all’entrata del tempio c’è il simbolo del Fravahar che è composto da un uomo anziano che rappresenta la saggezza, dalle ali con tre file di piume che indicano che l’uomo deve volare in alto verso il progresso con le buone parole, i buoni pensieri e i buoni fatti, mentre le due corde indicano il bene e il male.

Torniamo nel centro di Yadz e gironzoliamo per il bazar e per i vicoli, finchè non raggiungiamo la Khan-e Lari, un’abitazione lussuosa vecchia di 150 anni, con diversi badgir. Decidiamo poi di visitare la Prigione di Alessandro (50.000 RLS) che è un esempio di architettura mongola, costruita come scuola, ma non ci sono prove che venisse utilizzata da Alessandro Magno come prigione. Una curiosità, nella sala sottostante, oltre a un bel fresco, c’è una sala da te dove servono gelato al pistacchio e allo zafferano… da provare!

Continuiamo a perlustrare i vicoli e notiamo i doppi batacchi delle porte che avevamo sentito dire che erano diversi, per segnalare a chi apriva, se alla porta c’era un uomo o una donna.

Ritorniamo verso l’hotel per verificare se hanno aperto l’ufficio cambi e mentre stiamo aspettando, vediamo un po’ di movimento all’entrata della vicina moschea, per le celebrazioni del giorno. Un uomo ci viene incontro con dei bicchieri con acqua alle rose, accettiamo e non appena finiamo di berla, l’uomo torna con altri bicchieri pieni e così tre/quattro volte… non riusciamo proprio a farlo smettere! L’ufficio cambi non apre, forse per la festività, in compenso tornando verso il centro, ci fermano tutti offrendoci biscotti, caramelle e acqua alle rose.

In centro andiamo a curiosare nella famosa pasticceria Haj Khalifeh Ali Rahbar, dove si scrive su un foglietto cosa si vuole dopo averlo visto su un video e si fa la coda per consegnare la lista.

Ceniamo al ristorante Orient (233.000 RLS circa) situato sulla stessa strada della Masjed-e Jameh, su una bella terrazza con vista sul Bogheh-ye Sayyed Roknaddin e torniamo all Masjed-e Jameh per vederla illuminata di sera. Sulla stessa strada nel pomeriggio avevamo bevuto un ottimo caffè al Venice Cofee, con wi-fi gratis.

Tornando in hotel, pochi metri prima, ci sono molte persone che festeggiano: ci obbligano a sederci, cedendoci le sedie e ci rifilano di tutto, dolce, salato, the, acqua alle rose, non abbiamo cuore di rifiutare!

3.6

Lasciamo Yadz alla volta di Meybod, dove visitiamo il Castello di Narin (100.000 RLS) di epoca sassanide, il più vecchio esistente innalzato con la tecnica del mattone di fango; dall’alto si ha una bella vista sulla città circostante vecchia di 1800 anni, tutta costruita con la stessa tecnica del castello.

Nella periferia della città visitiamo il caravanserraglio di 3 secoli fa e, proprio davanti, un’enorme ghiacciaia (50.000 RLS) a forma conica.

Dopo quasi due ore raggiungiamo Naein e con il bus rimaniamo impigliati in un filo della luce, con delle luminarie, probabilmente appese per le celebrazioni del 04.06: nel tentativo di liberarci lo strapperemo. Ups!

Visitiamo la Masjed-e Jameh (50.000 RLS + 100.000 RLS per la guida), uno dei primi luoghi di culto islamico costruiti in Iran. All’interno finissimi stucchi e un minbar in legno scolpito, mentre all’esterno, una bella facciata, una grande cupola disadorna e un alto minareto. Nei sotterranei una sala di preghiera che porta a dei cunicoli da cui filtra la luce, creando un’atmosfera molto particolare: in alcune foto sembriamo quei santi che vengono dipinti mentre sono illuminati dal cielo!

Percorriamo con il bus 150 km e arriviamo a Isfahan, che nel mio cuore si contende con Shiraz la palma della più bella città vista in Iran. La città si sviluppò sotto il regno sassanide e sotto quello selgiuchide (1051-1220), subendo una battuta di arresto sotto i mongoli, per poi riprendere sotto la dinastia safavide, che vi pose la capitale.

Come prima cosa andiamo a visitare il quartiere armeno di Jolfa, dove lo scià Abbas trasferì in massa la popolazione dall’omonimo villaggio. Nella cattedrale di Vank (150.000 RLS) del 1655, che è il monumento più importante del quartiere, notiamo una certa mescolanza tra motivi islamici e cristiani; gli affreschi sono di colore vivace e rappresentano diverse storie della Bibbia: l’impatto è forte, perché da un lato finalmente capiamo cosa è rappresentato, perché è una tradizione a noi famigliare, e dall’altro il nostro occhio è colpito da questi colori, dopo essersi abituato alla sobrietà e ai colori tenui delle moschee.

Dietro alla cattedrale, visitiamo il Museo della cultura armena che ricorda il genocidio del 1915, quando 1,5 milioni di Armeni vennero massacrati dagli ottomani. Sono esposti codici scritti a mano, il primo libro stampato in Iran e la Bibbia più piccola al mondo, di soli 7 grammi, ma la curiosità è un capello castano (0,1 mm) sul quale è stata scritta, con una punta di diamante, una frase lunga ben 7 mm!

Lasciamo il quartiere armeno, attraversiamo il fiume Zayandhe e andiamo a visitare il palazzo Chehel Sotoun (150.000 RLS), detto anche palazzo delle 40 colonne, perché ha 20 colonne che rispecchiandosi nella lunga vasca antistante sembrano duplicarsi. Il salone era adibito ai ricevimenti, per questo sulle pareti gli affreschi celebrano lo scià in battaglia o durante i banchetti. Tutt’intorno un bel giardino, uno dei tanti che può vantare la città, con giochi d’acqua e fontane.

Raggiungiamo quasi al tramonto Naqsh-e Jahan Imam sq., la seconda piazza più grande del mondo (512 m x 163 m) dopo la pechinese Tien’anmen. Iniziata nel 1602, conserva ancora sui lati corti, i pali di marmo che venivano usati per giocare a polo 400 anni fa! Verso sera, i prati si popolano di famiglie pronte per fare pic-nic intorno alle fontane e le carrozze trasportano turisti rendendo l’atmosfera magica.

Ceniamo a buffet al Bastani Traditional Restaurant (311.000 RLS), sotto i portici del bazar, mangiamo bene come sempre, ma questo ristorante è bello anche come struttura, tutto bianco decorato in oro e specchietti.

Le tre notti che passeremo in questa bellissima città le spenderemo all’Hotel Part (19 euro circa). Bellissimo, pulitissimo, ottime colazioni… peccato le coperte con fantasia “mucca pezzata”!

4.6

Oggi è l’anniversario della morte di Khomeini, alcune attività e monumenti sono chiusi, quindi ne approfittiamo per una giornata di relax. Decidiamo di fare una passeggiata lungo il fiume che è attraversato da 11 ponti, di cui vedremo quelli più storici: il ponte di Si-o-Seh lungo 28 m, che funge anche da diga, con una bella passeggiata chiusa sui lati lunghi, ma con finestrelle strategiche; il ponte di Choobi, detto anche Joui Br lungo 150 m con 21 arcate e il ponte di Khaju lungo 110 m e largo 20 m con due ordini di arcate: nella sezione inferiore, quando non c’è acqua, la gente prende il fresco e in questa giornata di lutto nazionale, molti sono quelli che si riuniscono qui per cantare canzoni tristi. Si dice che gli uomini che riescono a cavalcare i leoni alati di marmo sul ponte, avranno un felice matrimonio.

Torniamo verso il ponte di Choobi e andiamo all’Azam Beryani, una sorta di catena di fast food di cucina tipica iraniana, dove si può gustare il tipico beryani, una sorta di hamburger di montone alla cannella, arrotolato nel pane locale, il naan, che andremo a mangiare sul prato, come se fossimo anche noi iraniani con il nostro pic-nic.

Ci incamminiamo verso il centro e ci distraiamo a leggere dei cartelli (numerosissimi!) che danno consigli al marito per la moglie, ai figli per i genitori e viceversa o generici come ad esempio “Speak nice to the people”, la cosa strana è che sono tradotti anche in inglese… Che senso civico!

Arriviamo sempre al tramonto in piazza Naqsh-e Jahan Imam e curiosiamo nel Bazar-e Bozorg antichissimo, talmente vasto che si può accedere da diversi punti, anche se il principale è la Porta di Qeysarieh. Purtroppo molti negozi e bancarelle sono chiusi, un po’ per l’ora e un po’ per la festività. Vediamo però del movimento davanti ad un negozio, da dove escono tutti con delle vaschette, non possiamo che provare anche noi: ne usciamo con dei faludeh, dolci vermicelli semi-congelati fatti di amido di mais, innaffiati con succo di mirtilli, o di rose o di limone; decidiamo poi di acquistare delle banane, del pane e delle olive e cenare insieme a tutta la gente che affolla la piazza, facendo pic-nic anche noi… forse con il nostro misero pasto abbiamo mosso a pietà chi ci circondava, fatto sta che ci hanno portato di tutto… minestra, pollo in umido, dolci e guai se rifiutavamo o non facevamo foto con loro! Ci siamo inoltre rese conto che gli uomini non ci parlavano o non ci davano la mano in segno di rispetto, non di presunta superiorità e così facevano le donne iraniane nei confronti dei nostri amici. Sono ancora incredula se penso all’ospitalità di questo popolo e che puliti! Finito il pic-nic tiravano su tovaglia, fornelletto, pentole, piatti, termos (organizzatissimi!) e non lasciavano neanche una briciola sul prato… se penso alle cartacce sulle nostre strade!

5.6

Ci alziamo di buon’ora per completare la visita di Isfahan, partendo proprio dalla piazza centrale dove su uno dei lati lunghi c’è l’entrata della Masjed-e Sheikh Lotfollah (100.000 RLS), la sorella “povera” della moschea dello Scià, completata nel 1619 con una cupola di maiolica che cangia dal panna al rosa. Il portale ha dei pregevoli mosaici safavidi e il mirhab è molto bello.

La moschea si trova esattamente davanti al Palazzo Ali Qapu (150.000 RLS), un palazzo alto 38 m, residenza dello Scià Abbas I, di cui ci ha impressionato la lavorazione della Sala della Musica, allo scopo di migliorarne l’acustica e la decadenza della terrazza che da sulla piazza. Delle 52 stanze però se ne possono vedere pochissime. La curiosità è che il palazzo è composto da 6 piani che si vedono nel retro, se si guarda di lato, se ne vedono solo quattro, mentre se lo si guarda da davanti sembrano solo due.

Su uno dei lati corti della piazza, visitiamo la Masjed-e Shah con i mosaici in maiolica azzurra anche sulla cupola, gli splendidi iwan e il magnifico portale d’ingresso; si dice che il costruttore per rispetto ad Allah, il perfetto, abbia inserito appositamente delle imperfezioni come segno di umiltà, ad esempio la porta è esattamente contrapposta a quella di Qeysarieh, ma il resto della moschea non è perpendicolare, ma è girata verso La Mecca. Una particolarità sono i minareti con le iscrizioni ripetute in bianco dei nomi Ali e Maometto.

Con la guida che ci accompagna oggi nella visita, attraversiamo tutto il bazar-e Bozorg e raggiungiamo la Masjed-e Jamé (150.000 RLS), ma nonostante ce lo avessero assicurato, non la troviamo aperta perché è venerdì.

Torniamo verso il bazar e attraversiamo una piazza molto grande, in mattoni chiari e disabitata… sarà che il sole è particolarmente caldo oggi, ma mi sembra una scena da vecchio film western. Poco più avanti vediamo il nostro primo negozio di biancheria intima. Le vetrine sono oscurate da tende nere, mentre fuori c’è esposto un completino decisamente osé!

Raggiungiamo la Ali Mosque con il suo alto minareto e i suoi dipinti con alcuni visi celati e poi prendiamo il nostro bus per raggiungere i Manar Jomban, cioè i minareti oscillanti, famosi perché quando viene suonata la campana, non solo oscilla il minareto che la contiene, ma anche il gemello che si muove all’unisono. Una volta potevano essere fatti oscillare ogni 20 minuti, oggi a causa dei danni strutturali, viene limitato a un solo movimento al giorno: noi l’abbiamo visto intorno alle 14.

Dopo 3 km, raggiungiamo l’Ateshkadeh-ye Isfahan (100.000 RLS), il tempio di fuoco, con in cima una struttura in fango. La salita di circa 20 minuti è faticosa perché non esiste un sentiero e per il gran caldo, ma lo sforzo vale il panorama che si gode sulla città e sulle montagne circostanti: anche qui è pieno di rondini come nel resto della città.

Torniamo verso il centro, gironzoliamo per il bazar per gli ultimi acquisti, a parte i tappeti, caratteristici sono anche i piatti con miniature dipinte in azzurro o in finissimo mosaico di legno oppure scatolette o porta kajal in osso di cammello. Mentre ci beviamo un the ai fiori, in un localino caratteristico, abbiamo ancora una volta la dimostrazione dell’onestà di questo popolo: ci si avvicina un uomo, ci dà una macchina fotografica, ci dice qualcosa sorridendo e se ne va; abbiamo capito, siamo gli unici turisti che ha visto e pensava che l’avessimo dimenticata noi, ma non è nostra! Non sappiamo cosa fare, non vediamo altri turisti intorno, decidiamo di portarla al posto di polizia. Una volta consegnata ci mettiamo a fantasticare sulla possibilità che potesse contenere dell’esplosivo e farci accusare di terrorismo: l’11 settembre ha creato anche queste paure purtroppo.

Tornando verso il nostro hotel, andiamo a curiosare l’Abbasi Hotel, un ex caravanserraglio che era un albergo di lusso ai tempi dello scià; la hall ha mantenuto intatto lo splendore passato, con un cavallo rampante e uno scalone adornato da un’aquila in ottone.

Per la cena torniamo in centro, andiamo in un fast food e ci facciamo fare un take away a base di kebab e lo portiamo in piazza per fare il nostro ultimo pic nic. Ancora una volta, la gente si avvicina per offrirci qualsiasi cosa, per farci le domande di rito e scattarci foto, devo dire che tra di noi quelli che avevano più successo erano quelli biondi, anche tinti.

6.6

E’ giunto il momento di abbandonare Isfahan, ma non possiamo andar via senza vedere la moschea principale, così ci rincontriamo con la guida che ci spiega le bellezze della Masjed-e Jamé (150.000 RLS). L’iwan a sud è costruito in varie fasi che mostrano come l’architettura islamica si sia evoluta in 800 anni, ad esempio si passa dalle forme geometriche dei selgiuchidi al barocco dei safavidi: le modanature a forma di stalattiti rappresentano le barbe degli immam. Nell’iwan nord invece diverse iscrizioni cufiche, mentre in quello a ovest molti mosaici safavidi; nella sala del sultano Ulijeitu, c’è un mirhab in stucco ricoperto di iscrizioni coraniche e floreali.

Con i suoi 20.000 mq è la moschea più grande dell’Iran, con due grandi cupole, di cui quella in mattoni è considerata in Iran la più bella nel suo genere. La curiosità del cortile centrale è che è presente una fontana per le abluzioni con un cubo che riproduce in piccolo la Kaaba, tanto che chi decide di andare in pellegrinaggio a La Mecca (obbligatorio almeno una volta nella vita di ogni mussulmano), spesso viene qua per “far pratica” sulla ritualità da seguire.

Salutiamo la guida, prendiamo il bus e in poco più di due ore raggiungiamo Abyaneh. Sulla strada costeggiamo Natanz, tristemente nota per l’impianto di produzione di uranio arricchito: ci hanno raccomandato di non scattare nessuna foto. Alcuni sostengono, senza prove, che chi transita da queste parti è sotto controllo non solo visivo, ma anche acustico, quindi, nel dubbio, occhio a quello che fate e dite!

Abyaneh (50.000 RLS) è come un museo a cielo aperto che risale a 2500 anni fa. Gli abitanti conservano abiti e dialetto propri: gli uomini vestono una specie di kimono lungo, mentre le donne portano dei pantaloni con sopra delle gonne molto gonfie, tutto coloratissimo. Il paesino è un sali scendi di viottoli, con abitazioni in mattoni di fango rosso, in pessime condizioni, ma tutto questo colore da un effetto originale. Stranamente qui è più fresco, forse perché siamo saliti a 2235 m di altitudine contro i 1574 di Isfahan e forse è proprio per questa differenza di temperatura che gli abitanti di Abyaneh trascorrono l’inverno a Teheran. Gironzolando ci passa davanti una vecchina in groppa a un mulo bianco sovraccarico, il suo velo con fiori coloratissimi sullo sfondo rosso delle case, ci ha dato l’occasione per alcune foto molto affascinanti.

Proseguiamo per Kashan che dista 75 km. La città è famosa per le case di epoca qajara, che testimoniano l’importanza che aveva la città a livello commerciale, e per la produzione di acqua di rose, infatti, molti sono i negozi che vendono questo nettare, che qui è utilizzato soprattutto in cucina.

Il bus ci lascia in Kama-al-Molk Sq. Prendiamo la Fazel-e Naraghi St. quindi giriamo sinistra sulla Alavi St e visitiamo la casa Khan-e Boroojerdi (100.000 RLS), costruita nel 1859 dal genero di un mercante di tappeti, come dote per la futura moglie. Il cortile esterno ha una lunga vasca che delimita i due giardinetti simmetrici, mentre i due cortili interni coperti sono stati decorati finemente con specchi e stucchi, che riportano motivi di caccia, ritratti, miti e vecchie storie persiane. La parte sottostante della casa era refrigerata per l’estate, mentre la parte sopra veniva utilizzata in inverno.

Sempre su Alavi st. c’è anche l’entrata per casa Khan-e Tabatabei (100.000 RLS), dimora di un ricco mercante di tappeti, costruita nel 1880, con belle vetrate e anch’essa con preziosi stucchi. La casa è divisa in tre parti per la famiglia, gli ospiti e la servitù. Va tenuto presente che per vedere bene una casa ci vogliono almeno 40 minuti.

Tra le due case visitate, c’è l’hammam-e Sultan Mir Ahmad (100.000 RLS) costruito 500 anni fa, con soffitti a mosaico bianco e azzurro. Merita una visita soprattutto per il tetto, fatto tutto a cupolette e da cui si gode una bella vista sui badgir della città.

Decidiamo di non visitare la moschea Mir Ahmad, vecchia di 800 anni e dedicare maggior tempo al bazar che è diverso da quelli visti fino ad ora, perché qua e là si aprono delle piazzette con tetto decorato a volta e fontane centrali e perché risulta più moderno nei negozi e nella ricercatezza, anche se la struttura è molto antica.

Il bus ci porta all’Hotel Amir Kabir (21 euro circa) che è un po’ isolato dal resto della città, con stanze spartane, ma pulite; dopo i pic nic, i ristoranti di lusso, questa sera ci lanciamo nello street food. Poco lontano dall’hotel ci sono diversi baracchini che propongono carne alla griglia (187.000 circa); ci fermiamo nel primo che ci ispira e mangiamo dell’ottimo pollo e montone, accompagnato da verdura e due tipi diversi di riso… ci fosse un posto dove si mangia male in questo paese! Spesso abbiamo trovato strani ma deliziosi abbinamenti tra carne e frutta secca oppure il melograno, le albicocche e le prugne ridotte in purè per accompagnare le carni o ancora il riso bollito, ogni volta in spezie diverse, ma sempre delicato.

7.6

Dopo la cena alternativa della sera precedente, non ci resta che abbandonare Kashan visitando il Bagh-e Fin (150.000 RLS), un tipico giardino persiano con cedri cinque centenari e con acque che provengono da una sorgente e vengono incanalate in una serie di vasche, con giochi e saltelli. Al centro del parco, il palazzo dello scià con annesso l’hammam, dove si ricorda l’uccisione di Amir Kabir, considerato eroe nazionale, perché quando ricoprì il ruolo di primo ministro, cercò di ammodernare il regno dello scià.

Riprendiamo per un’oretta il pullman alla volta di Qom, dove si trova il santuario Hazrat-e Masumeh, dedicato alla tomba di Fatemeh, sorella dell’imam Reza. Non ci si può arrivare con il nostro mezzo, perciò veniamo lasciati alla fermata dei trasporti pubblici, dove ci indicano il bus da prendere (10.000 RLS), ma c’è talmente un via vai di pellegrini che è impossibile mancarlo. Saliamo e ci viene il dubbio che noi donne avremmo dovuto sedere dietro e gli uomini davanti, ma non ci sono divisori, come vedremo invece sui bus a Teheran. Arrivati all’entrata, gli uomini vengono fatti passare dopo il controllo al metal detector, mentre noi donne veniamo fatte entrare in una tenda, dove non solo ci passano al metal detector, ma a noi straniere viene dato un chador “distinguibile” con tanto di gancetto sottomento: mi guadagno il mio prato verde con fiorelloni multicolor, che mi varrà il soprannome di “prato fiorito”! Una volta uscite tutte dalla tenda, a parte le risate composte dei nostri amici, veniamo messi in un angolo in attesa di una guida, a quanto pare obbligatoria. Questa è la seconda città santa dopo Mashhad, molto conservatrice, anche perché qui c’è il clero più intransigente e le madrase più importanti.

Entriamo nel cortile centrale e in quanto “infedeli” non possiamo andare ovunque, dobbiamo stare con la guida che ci da una descrizione molto politically oriented, come ci era già capitato a Shiraz. Le cupole dorate sono grandiose, gli iwan, i minareti tutto è decorato da splendide maioliche: è vero, è tutto il viaggio che vediamo belle maioliche, ma qui mi sembra tutto molto più ricco. Nonostante fuori ci fosse scritto che non si potevano fare foto, la guida ce lo permette, l’importante è che non ci allontaniamo da lui, perché potremmo disturbare i religiosi che studiano qui per diventare Imam e Ayatollah, seguendo il ramo sciita dell’Islam.

Usciamo dalla parte opposta da cui siamo entrati e troviamo sullo stesso marciapiede, la fermata del bus per tornare indietro (13.000 RLS, più caro che all’andata). Dopo una decina di minuti, con il termometro che segna 38°C, raggiungiamo il piazzale, dove ci aspetta il nostro sempre sorridente autista, che ci accompagnerà per i circa 140 km che ci dividono dall’ultima tappa del nostro viaggio: Teheran, la capitale spostata nel 1795 da Shiraz.

Il panorama è piatto e brullo, qua e là qualche fiocchetto di erba secca, ma siamo un po’ in ansia, se arriviamo tardi, rischiamo di non vedere il museo nazionale dell’Iran e sarebbe un vero peccato.

Per fortuna il nostro autista, seppur rispettando i continui controlli per la velocità, riesce a portarci in tempo davanti al museo (150.000 RLS), dove conosciamo la nostra guida, che ci dice essere stato in prigione, perché aveva criticato il regime. All’interno vedremo più di 1.000 oggetti di valore storico, molti provenienti dagli scavi di Persepoli e altri provenienti dal resto dell’Iran, come ad esempio l’uomo di sale, i cui resti mummificati, con abiti e utensili, sono perfettamente conservati. Qui vedremo anche il vero colore della scalinata di Apadana, che è quasi nera, in quanto a Persepoli era stato lasciato uno strato di sabbia protettivo. Appena fuori dal museo una ragazza ci chiede di compilare un questionario che le servirà per una ricerca di scuola, in realtà mi sembra molto ben strutturato, come se fosse più un questionario di gradimento ufficiale.

Anche oggi è stata una giornata intensa, perciò andiamo all’Atlas Hotel (30 euro circa), una struttura molto grande con camere belle e pulite, ma con colazione un po’ misera, vicina alla fermata della metro Telequani. Siamo in pieno centro, usciamo per fare due passi e ne approfittiamo per acquistare gli ultimi ricordini in un negozio di tappeti: bellissimi tappetini persiani da mouse!

Per la cena ci fermiamo in un ristorantino poco lontano dall’hotel, il Souro Saat Restaurant (150.000 RLS), è un posto semplice, dove mangiamo bene, ma forse perché siamo in tanti, non sono preparati e dobbiamo un po’ adeguarci a quello che gli è rimasto. Decidiamo perciò di prenotare per la sera dopo in modo da dare tempo al gestore di organizzarsi.

Torniamo in hotel, consapevoli che il giorno successivo sarà l’ultimo prima del volo di rientro.

8.6

Purtroppo per un contrattempo il nostro autista non è potuto venire, così non potremo ringraziarlo di persona, anche il suo sostituto è puntualissimo e verso le 9 siamo già all’entrata del palazzo di Golestan (200.000 RLS), dove venne incoronato l’ultimo scià e dove si svolgevano i ricevimenti reali. Del più vecchio palazzo di Teheran si possono visitare diverse sale, di cui alcune esterne, come l’Ivan-e Takht-e Marmar, veranda del trono di marmo, in alabastro giallo, piena di specchietti decorativi alle pareti, usato per le cerimonie ufficiali e il Khalvat-e Karim Khani, una piccola terrazza, dove si trova la tomba di marmo dello scià Nasser-ol-Din. Passeggiando nel giardino vedrete un badgir e un palazzo imponente con due torri, che è lo Shah Shams-Al Emarat o palazzo del sole, influenzato dall’architettura europea.

La guida ci fa notare le piastrelle decorate con il famoso boteh, che sembra una goccia, una piuma o la chioma di un cipresso, che in Europa chiamiamo disegno kashmir, perché gli indiani hanno iniziato a farne grande uso. A questo simbolo, che troverete sui tappeti persiani o sulle tovaglie dipinte sul cotone grezzo, sono stati dati diversi significati, come quello di lingua di fuoco di Zoroastro o della lacrima di Buddha o di Allah, ma forse la sua origine è da ricercarsi nel mondo floreale, dato che in persiano significa “cespuglio, piantina, mazzo di fiori”.

Entriamo nel museo vero e proprio, con sale ricche di storia, come la sfavillante Talar-e Ayaheh, sala degli specchi, che ospitava il trono del pavone e altri doni fatti allo scià, la Talar-e Zoroof dedicata alle porcellane dei re Qajari, alla Talar-e Salam che era la sala dei ricevimenti, decorata con specchi e stucchi, la Talar-e Almas, cioè la sala dei diamanti, forse per tutti gli specchi presenti insieme alle ceramiche francesi, la Negar Khaneh, la pinacoteca che espone opere di pittori iraniani, la Talar Berelian (Sala dello Splendore), chiamata così perché è addobbata con un brillante specchio, opera di artigiani iraniani e infine la Talar-e Adj o Sala dell’Avorio.

Usciti dal palazzo, raggiungiamo la 15 Khordad Ave dove c’è l’entrata del bazar di Teheran, che si dice essere il luogo con la maggior densità di popolazione al mondo e in effetti ho temuto più volte di perdere il resto del gruppo in mezzo a tutta quella gente, anche perchè ero spesso impegnata a schivare i veloci carretti che portano la merce.

Finalmente attraversato il bazar, ci troviamo in pieno centro, con negozi moderni che non hanno niente da invidiare a quelli europei. Qui mi rendo veramente conto che sono tantissime le donne che si sono rifatte il naso, che qui è un vero e proprio status sociale, perchè indica chi se lo può permettere. Ci fermiamo per pranzo in un localino che serve solo ottimi, anche se piuttosto unti, falafel di ceci (35000 RLS) e poi lungo la strada ci mangiamo anche l’ultimo buonissimo gelato “colloso”.

Passiamo davanti alla semplice moschea dell’Imam Khomeini e riprendiamo il nostro bus che ci aspetta sulla 15 Khordad Ave. Andiamo verso nord sulla Ferdosi str., dove facciamo tappa al museo dei gioielli (150.000 RLS) all’interno della Banca Centrale. Dobbiamo lasciare tutto in armadietti custoditi e passare sotto al metal detector, quindi non potremo scattare alcuna foto. All’entrata del caveau, che contiene i gioielli appartenuti allo scià, vediamo il famoso trono del Pavone, poi troviamo tre corone che come direbbe Bonolis sono “tutte tempestate di pietre preziose”, ci viene mostrato il Darya-ye Nur (mare di Luce), un diamante rosa da 182 carati, secondo solo al Koh-i Noor, che erroneamente la guida ci dice essere custodito a Buckingham Palace sulla corona di Elisabetta II! Errore, è nella Torre di Londra, sulla corona di Elisabetta, moglie di Giorgio VI. Quello che però rapisce maggiormente la mia attenzione, è un mappamondo fatto con 34 kg di oro e 51.366 pietre preziose, dove gli smeraldi sono stati usati per il mare, i rubini per la terra e i diamanti per delineare l’equatore, i tropici, l’Iran, l’Inghilterra, la Francia e il sudest asiatico, inoltre per differenziare l’India hanno usato rubini pallidi e per l’Africa del sud e centrale degli zaffiri!

Usciamo un po’ storditi da tante pietre preziose buttate lì, come se fossero pezzetti di vetro senza valore e torniamo subito alla realtà, perché lungo la Ferdosi st. ci sono diversi murales antiamericani che diventano sempre più espliciti man mano che ci si avvicina al così detto Covo dello Spionaggio Americano. La storia oggi è tristemente nota soprattutto per il recente film Argo del 2012 con Ben Affleck, basato proprio sull’evacuazione dal territorio iraniano di sei funzionari scampati all’irruzione nell’ambasciata statunitense. E’ possibile visitare il covo, prenotando una settimana in anticipo.

Andiamo verso ovest, prendendo la Nogfel Loshato st, quindi la Azadi st. che ci porta in Azadi sq. dove sorge l’omonima torre che, nonostante sia molto fuori dal centro, si può raggiungere con la linea 4 della metropolitana. La torre, alta 50 m del 1971, ha la forma di Y rovesciata ed è stata costruita per celebrare i 2500 anni dell’impero persiano.

Siamo leggermente in anticipo sulla nostra sempre fitta tabella di marcia, quindi prima della nostra ultima tappa, decidiamo di fermarci a metà strada al Park-e Jamshidiyeh, fuori dal centro e dal traffico, dove si gode di un bel panorama e posto ideale dove concederci un aperitivo di commiato.

Ultima tappa del nostro viaggio è la sesta torre più alta al mondo, la Torre Milad (90.000 RLS) con i suoi 435 m, terminata nel 2008 con all’interno un ristorante, negozi e bancarelle. La visita vale la pena solo se la giornata è limpida, anche perché l’inquinamento di Teheran contribuisce già a velare la visuale a 360° che si gode da lassù: anche qui vedrete la freccia che indica La Mecca, che noterete anche in tutte le stanze degli alberghi per indicare ai credenti da che parte girarsi in preghiera.

Sono quasi le 21 quando il nostro autista ci lascia davanti al Restaurant Souro Saat: il gestore è chiaramente felice di vederci, anche se deve essersi preoccupato non poco non vedendoci arrivare, dopo aver acquistato tutte le provviste, per di più, lo scopriremo poi, in un giorno in cui abitualmente è chiuso! La cena è migliore rispetto alla sera precedente, con tante attenzioni come solo questo popolo è capace di dare.

9.6

E’ arrivato il giorno del rientro, abbiamo noleggiato un pulmino per portarci all’aeroporto (3.700.000 RLS per 16 persone), che dista circa 40 minuti dall’hotel.

L’ufficio cambi dell’aeroporto di Teheran apre alle 8.00 e si trova prima del check-in, quindi se partite presto come noi, lo troverete ancora chiuso e sarete costretti ad andare all’ufficio cambi fuori dall’aeroporto, che però non è proprio vicino.

Il nostro volo è alle 8.15 e arriverà a Istanbul intorno alle 10.10; da Istanbul ripartiremo poi alle 12.05 per arrivare a Milano Malpensa alle 14.00 e già a Istanbul notiamo il cambiamento nell’atteggiamento delle persone.

Omar Khayyam, poeta persiano del XI sec diceva che “la vita è un viaggio e viaggiare è come viverla due volte”, ma quando capiti inaspettatamente fra persone come gli iraniani, ti rendi conto che la rivivi innumerevoli volte nei loro visi, nelle loro gentilezze, nella loro generosità e soprattutto nella loro ospitalità.

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