La Via degli Dei, da Bologna a Firenze
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C’era la luna la mattina che Angelo e Claudio si trovarono alla Stazione di Lecco per raggiungere Milano e da lì Bologna. Non gli sembrava vero, dato che a maggio e a giugno avevano dovuto rinviare la partenza: troppo negative le previsioni meteo di una primavera bislacca come sarebbe stata catalogata quella del 2013.
A fine settembre, invece, si era aperta una finestra di bel tempo stabile che dava coraggio e fiducia ai camminatori. Anche la mail ricevuta da Paolo Sottocorona, il meteorologo di LA7, era stata di conforto: “Che l’alta pressione sia con voi!” recitava.
E allora era arrivato il momento di preparare gli zaini con la consueta pesata e la lista delle cose indispensabili (che va a finire che è sempre pesante!) e di partire.
Elena, la figlia di Claudio, era giunta al binario per salutarli e vederli salire su un treno tipico da lunedì: affollato, con la gente in piedi e due carrozze inspiegabilmente e inopportunamente chiuse e non agibili.
Il viaggio sul Frecciarossa è decisamente più confortevole, condito dallo snobismo del viaggiatore vicino che sta leggendo “El Paìs” e al quale Claudio chiede “Scusi, cosa ha fatto il Real Madrid ieri?”. L’algida riposta che riceve è: “Questo è l’inserto culturale ed io non seguo il football”.
Alle 10,20 sono nel piazzale della Stazione di Bologna, da dove ha inizio il cammino a piedi, con lo zaino che, da subito, comincia a far sentire la sua non lieve presenza.
Le strade cittadine non sono particolarmente gradite ai viandanti: troppe auto, gente che urta lo zaino, negozi, boutiques.
Ogni tanto i due chiedono a qualcuno se è la strada giusta in direzione di San Luca. La risposta che puntualmente ottengono è: “Ma ci andate a piedi o in bus? Ma guardate che è lontano!” Alla terza risposta di questo tenore si convincono che l’aspetto di due anziani con possenti zaini alle spalle deve necessariamente suscitare questo tipo di allarmismo che, in fondo in fondo, nasconde una certa apprensione sulle loro capacità di resistenza e di affrontare la salita.
Ma alla fine spunta anche Porta Saragozza, e comincia la lunga sequela dei 666 portici e i quasi quattro chilometri di strada,con la rampa intervallata con una certa regolarità da scale di otto/nove gradini che conducono al santuario. Sulla destra si intravvede la strada che sale ripidamente, mentre sulla sinistra una parete nasconde la vista. “Cosa ci sarà mai?” si chiede Claudio. La risposta gli arriva con una lapide che recita “Mistero Quinto”. Angelo sostiene:” Ma non sarà mica una metafora politica?”.
In un paio d’ore arrivano al santuario, giusto in tempo per vedere la porta del negozio dei “ricordini” che si chiude. Dopo aver fatto provvista d’acqua iniziano la discesa che porta al Parco Talon e che prosegue nel tratto di golena sulla riva destra del Reno. Non è una strada entusiasmante, con il Reno in secca, sterpaglie, sabbia, ragnatele; non esistono piazzole o posti dove poggiare lo zaino e tirare il fiato o, men che meno, sedersi un attimo.
Le merendine di Angelo (alla faccia dei grassi idrogenati) fanno la parte del pranzo e, alla fine, il tratto finisce e sbocca presso l’Oasi San Gherardo di cui non vi è traccia alcuna nella guida e nell’APP scaricata sullo smartphone. Scoprono che si tratta di una vecchia cava convertita in oasi naturalistica con la creazione di zone umide per la nascita di aree floro/faunistiche del territorio.
Non vi è traccia di segnali, come era già successo ad un bivio precedente. Con un po’ di consultazioni della guida e con le informazioni raccolte da una coppia in auto che, probabilmente, contava su una maggiore riservatezza del posto, i due affrontano un penoso tratto in asfalto sino a giungere ad un quadrivio così ricco di segnali che … non sanno che direzione prendere.
Claudio sente al cellulare il b&b di Badolo e Angelo parla con un ciclista volenteroso che si ferma a dare una mano. Dal mix delle informazioni raccolte si capisce la direzione e che l’ultimo tratto è in salita. Fa caldo e inizia il tratto di giornata quando la strada pesa, insieme allo zaino.
Ma ,dopo un lungo tratto su sterrato appare il “Nova Arbora”, insieme al barbuto Giorgio che ha dato le indicazioni al telefono; con lui c’è Donatella che con un sorriso e due birre fresche li accoglie; dopo otto ore, al primo giorno di cammino sono cose oltremodo gradite.
L’ospitalità è molto buona e il massiccio Giorgio (classe 1937) ci racconta un po’ della sua vita, ivi compresa la nascita dell’oasi naturalistica e dei laghi creati che, però, pare abbiano un fondo così sabbioso e drenante che resta difficile mantenerne un livello sufficiente, se non pompando acqua dal vicino Reno.
Con l’occasione si muniscono della nuova carta a scala 25.000 della Via degli Dei, di recentissima pubblicazione e che si rivelerà utilissima nei giorni a venire.
Ma il loro interesse va progressivamente scemando perché pensano alla doccia che li attende e, perché no, alla cena che Donatella ha promesso di preparargli. I tagliolini freschi in brodo, impreziositi dalla crosta di parmigiano ammollo, il tacchino con la verdura e la frutta fresca si rivelano all’altezza della situazione.
Angelo è ancora piuttosto tonico e si aggira per il giardino con la sigaretta e un libro da leggere che ha avuto l’ardire di riporre nello zaino. Claudio è più sfatto e attende solo l’ora di stramazzare a letto, cosa che fa nel giaciglio a due piazze che trova in camera. Sarà l’arrivo più tardivo di Angelo e il suo russare spavaldo a farlo spostare, cercando asilo nel letto singolo approntato nell’altra stanza dell’appartamento a loro assegnato.
Nonostante la dolenzia alle gambe, il silenzio di Badolo lo avvolge e, complice un’aspirina, lo fa ricadere in un sonno di piombo.
2 giorno
L’indomani mattina l’inizio è alla grande, con la ricca colazione che si trovano davanti e che è il miglior avvio di giornata che possa esistere, considerato che il pranzo, in pratica, non esiste.
Al tavolo a fianco dei viandanti ci sono quattro persone giovani che partecipano a qualche convention a Bologna; sono vestite bene e tra di loro parlano di budget, di congiure d’ufficio et similia. Claudio, da buon esodato, ricorda con un sorriso interno questi argomenti che gli sembrano sbiaditi, quasi come fotografie in bianco e nero ingiallite dal tempo. Angelo, tutt’ora in servizio, ridacchia sardonico, come se, già da ora, la materia non fosse di suo interesse.
Ma è tempo di andare, li aspetta il Monte Adone che con i suoi 655 metri non è poi così altissimo, ma rappresenta il campione del contrafforte pliocenico di queste terre che milioni di anni fa erano coperte dal mare e che adesso, erose dal vento e dalla pioggia, assumono le sembianze di strane sculture. Si sale piuttosto facilmente e, arrivati in cima, si apre una splendida visuale, poco appenninica. Sotto, incessante e sordo, si sente il rumore del fiume di auto e di camion che affrontano in salita il famigerato tratto appenninico dell’Autostrada del Sole. La particolarità di dominare l’intera valle sottostante ebbe una sua utilità durante la seconda guerra mondiale, in quanto il Monte Adone diventò un caposaldo tedesco, in queste zone che facevano parte della Linea Gotica che univa il Tirreno all’Adriatico e che costituiva il baluardo nazifascista all’avanzata degli Alleati sbarcati in Sicilia nel luglio del 1943.
La sera prima, al “Nova Arbora” Giorgio aveva avuto modo di raccontare che il b&b era stato sede di un comando germanico e che per ben otto mesi gli alleati non erano avanzati. Era stato l’impegno assunto con i sovietici che, nel frattempo, marciavano verso Berlino. Un tributo che le popolazioni locali avrebbero pagato a caro prezzo.
In cima, contenuto in una cassetta a tenuta stagna di metallo e avvolto in un sacchetto di plastica dove ci sono anche delle penne biro, ci trovano un quaderno dove il viandante, se vuole, può lasciare un segno del suo passaggio. Claudio e Angelo vi provvedono sobriamente, proprio mentre sopraggiunge una coppia, vestita di nero da capo a piedi, con indumenti tecnici, muniti di carta, GPS e chissà cos’altro. Sono due inglesi di Manchester e stanno percorrendo la penisola; viaggiano leggeri perché parte del bagaglio è trasportato. Alla discesa del Monte Adone intendono raggiungere Monzuno con il bus.
La discesa finisce davanti a un bar e a quell’ora un caffè è molto gradito, soprattutto se bevuto seduto a un tavolino, senza scarponi e con lo zaino per terra. Da lì inizia un lungo tratto su asfalto con dei saliscendi che mettono a dura prova le ginocchia. Sono nove chilometri piuttosto duri e resi più pesanti dal caldo. A Claudio non piace l’asfalto e pensa agli inglesi che si erano organizzati con il bus.
Ma, passo dopo passo e dopo una breve sosta su di una panchina e qualche albicocca essiccata di Angelo, la piazzetta di Monzuno appare e, soprattutto, la fontana pubblica. Seduti al “Bar Franco”, davanti a una piadina e a un affogato al caffè è il momento di studiare la tattica. Viene scartato di raggiungere Madonna dei Fornelli, dato che ci sono altri 11 chilometri, in salita, fa caldo e sono le tre del pomeriggio. L’unico albergo di Monzuno è chiuso per turno settimanale (sic) e così pure l’annesso ristorante. Il b&b “Sasso Rosso” che dista altri sei chilometri circa, accetta solo previa prenotazione.
Mica male. Sentendo la ragazza del bar salta fuori il b&b “Il rifugio del viandante”, sul tracciato e tre chilometri più in là, ma…non offre la cena.
Che fare? Provano a chiamarlo e, finalmente, la sorte li aiuta. I titolari, sentiti al telefono, dicono loro che non avrebbero problemi, una volta raggiunta la struttura, a riportarli in auto a Monzuno per la cena e a venirli a riprendere più tardi. Claudio, che è il più provato, grazie alla notizia, alla piadina e al riposo ritrova energie e si decide per questa soluzione. Con meno di un paio d’ore, in salita e sbagliando strada, il b&b è raggiunto. E’ inserito in un bel agriturismo, gestito da due giovani coppie bolognesi che hanno deciso di abbandonare la città e vivere e far crescere i figli in questo bel casolare che tre anni fa è stato completamente recuperato. Di particolare bellezza il soppalco, ricavato dal vecchio fienile, tutto in legno e dove hanno sistemato una bella biblioteca, un angolo di scrittura, una sedia a dondolo.
Claudio e Angelo sono gli unici ospiti e viene loro assegnata la graziosa camera con due letti a castello e bagno privato denominata “Ortica”.
Dopo la doccia e quattro chiacchiere con Luca, questi li accompagna a Monzuno nell’unica pizzeria aperta. Due camerieri sciroccati e mal disposti portano un’onesta pizza e Claudio pensa che, almeno per questa sera, l’itinerario gastronomico segnerà una battuta d’arresto. Dopo, nell’attesa di Luca, si visita il secondo bar del paese che ospita un’impressionante serie di bacheche dove vengono raccolte tazzine di caffè di tutte le marche e di tutto il mondo.
Ciondolano nella piazzetta, fa fresco (i 623 metri di altitudine si fanno sentire) e alle nove in punto il ragazzo viene a riprenderli e li riporta al b& b dove il letto li attende.
3 giorno
La colazione è abbondante e gestita sapientemente da Barbara, con pane biologico, marmellate, torte e biscotti fatti in casa. Allieta la mattinata la presenza di Ernesto, due anni da compiere, che ha già voglia di giocare. Non deve essere male crescere in un posto come questo, con aria buona e tanto verde intorno. Barbara ci porge due sacchetti e ci invita a prendere dal tavolo tutto quello che vogliamo e che ci potrebbe servire sul cammino. Una cortesia molto gradita ed usata a tutti i viandanti che dormono lì.
Ma è ora di partire e “Il rifugio del viandante” è proprio sulla Via degli Dei ed è facile proseguire prendendo un bel castagneto e continuando a salire in direzione del Monte Galletto. I due incrociano Luca, un ventenne di Ferrara che sta facendo la via da solo. Coraggioso il ragazzo che è partito da Casalecchio e sta proseguendo in direzione di Firenze. Lui la sera ha dormito a Monzuno perché aveva prenotato in precedenza al “Monte Venere” che invece Angelo e Claudio avevano trovato sbarrato per il giorno di riposo settimanale.
Si sale senza strappi e, dopo aver superato un gigantesco ripetitore telefonico, vengono raggiunti i 955 metri del Monte Galletto dove spira un forte vento; non per nulla dal 1999 sono state installate quattro mastodontiche pale eoliche per la produzione di energia elettrica. Si apre una bella visuale e anche oggi la giornata è bella, la temperatura ideale e il vento non dà affatto fastidio.
Madonna dei Fornelli viene raggiunta e la sosta al bar del paese è gradevole. Passa anche una giovane coppia, caricata all’inverosimile, dato che viaggiano con la tenda. La ragazza è così piccolina che da lontano sembra che lo zaino cammini da solo, dato che non si scorge la sua testa.
Si riparte e li attende lo strappo di 350 metri che li condurrà ai Piani di Balestra.
Lì la zona sembra un agglomerato di seconde case, probabilmente per i bolognesi. Sono ben tenute e graziose e la strada asfaltata che le raggiunge conferma questa tesi. Non vi è nessuno e Claudio nota che le targhette davanti alle ville recano dei nomi curiosi; una dice “la Bricconcella”, l’altra “Le Tre Monelle”. La mente corre subito a degli scenari che anche voi potete immaginare: quiete silente della zona, privacy che regna sovrana e il resto lo lascio a voi.
Non c’è traccia di Luca il cui passo da ventenne è ben diverso e una piccola umiliazione i due la ricevono da un austriaco, sui quarant’anni che in salita li supera di slancio e con un’andatura sostenuta.
“Qual è il passo giusto? Un passo che si riesce a mantenere per tutto il giorno senza andare in affanno. I principianti tendono ad avere un ritmo accelerato, con troppe soste. Rallentiamo il passo, impariamo un’andatura costante, un poco più lenta di quella che abbiamo nella vita quotidiana e troviamo il nostro ritmo, quello che non ci fa andare in affanno e ci fa camminare per lunghi tratti senza soste, anche con uno zaino sulla schiena, anche in salita”.
Così scrive Luca Gianotti nel suo libro “L’arte del camminare” e queste parole sembrano rimbombare nelle orecchie di Claudio, insieme alla raccomandazione sentita più volte al CAI, quella di mantenere sin dall’inizio della giornata il passo della vacca stracca quell’andatura che si può mantenere per le otto/nove ore di cammino, quando lo zaino pesa intorno ai dodici chili e gli strappi sarebbero letali.
E’ solo così che si riesce a raggiungere il punto più alto della via. Sono i 1202 metri delle Banditacce, in un sentiero immerso nel bosco dove la visuale è limitata. Ci restano un po’ male quando, raggiunta la quota (come viene confermato dall’altimetro di Claudio), lo sperato punto di osservazione in pratica non esiste, dato che il bosco continua a mantenersi piuttosto fitto.
E’ tempo di discesa e di percorrere i 450 metri verso il basso che puntano al Passo della Futa, allo scollinamento che condurrà dall’Emilia alla Toscana. La discesa, nonostante i bastoncini telescopici, si fa sentire sulle ginocchia e le articolazioni, con il peso dello zaino che spinge verso il basso.
Nel bosco sono all’opera i taglialegna con le rumorose seghe a motore e con il sentiero sventrato dagli pneumatici dei trattori cingolati che fanno riemerge l’acqua sedimentata sotto l’argilla.
Ma, come sempre, dal bosco si esce e si trovano sulla SS65 del Passo della Futa, proprio di fronte al cimitero germanico, anche se l’ingresso è 400 metri più sotto. Questo punto del percorso è sicuramente una delle cose più importanti del tracciato per il suo profondo significato. Claudio si libera dello zaino, nascondendolo in un cespuglio insieme ai bastoncini, mentre Angelo non se ne separa.
Il cimitero è stato realizzato nella seconda metà degli anni “50, allo scopo di raccogliere le salme dei soldati tedeschi caduti nel corso del secondo conflitto mondiale. Ne ospita trentunomila circa. Il silenzio è spettrale e la struttura è austera ed essenziale, con al centro un edifico a forma di vela. La sequela di lapidi è impressionante ed ognuna ricorda quattro soldati morti. Si susseguono le date di nascita del 1924 e 1925 (come quella del padre di Claudio) e sono tutte persone che non ce l’hanno fatta a raggiungere i vent’anni. Molto spesso viene indicata in tedesco la dicitura “milite ignoto”. Aggirarsi fra l’erba ben tenuta, con le lapidi spoglie e prive di fiori o di decori, costituisce un vero e proprio viaggio nella somma stupidità della guerra. Ogni nome indicato riguarda un giovane, con le sue speranze, i suoi progetti, la sua famiglia. Tutto tranciato, divelto e distrutto dalla follia della guerra.
Questo non vuol dire dimenticare che queste persone, in questi luoghi magari si sono macchiate di orrori nei confronti della popolazione civile che viveva nell’appennino tosco-emiliano in quegli anni, ma in questo momento è la pietà a prevalere.
Terminata la visita al cimitero è ora di definire dove cenare e dormire. Le prime due telefonate hanno esito negativo perché le strutture ricettive sono chiuse. Solamente alla terza, a Monte di Fò, si ottiene una risposta positiva. Pazienza: occorrono altri tre chilometri, con lo zaino in spalla, ma sapere che all’arrivo si è attesi da doccia e cena ridà vigore ed energia.
E’ il camping “Il Sergente” ad accoglierli, con una parlata marcatamente toscana che, quasi a sorpresa, ascoltano in queste zone.
La signora Maddalena assegna loro l’appartamentino”Villa Giotto” che potrebbe ospitare cinque persone e che consente di riposare in pieno comfort. Adiacente al camping vi è l’omonimo hotel, gestito da parenti, ma da qualche battuta si intuisce che non deve scorrere buon sangue.
La cena è buona (fa da mattatore il pollo al mattone) e condivisa con Luca che ha finito prima di Claudio ed Angelo la tappa; i vent’anni lo spiegano bene, compreso il tuffo nell’acqua fresca della piscina.
Le telefonata di rito, l’aspirina per Claudio e la sigaretta per Angelo costituiscono un degno finale di quest’altra giornata di cammino.
4 giorno
Al risveglio il meteo vuole ricordare a tutti che siamo alle soglie dell’autunno: l’aria è frizzante e tutto è avvolto da un velo di nebbia. Durante la colazione decidono la via da percorrere, prendendo il tratto di strada napoleonico e, tanto per cambiare, si sale per 450 metri circa, dato che il Monte Gazzaro è la prima meta della giornata. Gli spazi aperti e le visuali panoramiche di cui l’Appennino è avaro con questa nebbia o foschia che dir si voglia sembra consolarli: tanto non si sarebbe visto niente lo stesso!
Un bivio si para davanti. E’ ben segnalato ed indica come proseguire: da una parte un sentiero per EE (Escursionisti esperti) che porta alla croce e ad una discesa impegnativa e l’altra per un sentiero più agevole. Il terreno scivoloso li fa optare per la seconda soluzione e, con una discesa di 200 metri circa, viene raggiunto il Passo dell’Osteria bruciata. Il nome deriva dalla macabra storia di un oste che era aduso di accoppare qualche viandante per poi servirlo a cena. Da lì la reazione seccata di qualche altro viandante che pensò bene di bruciare la famigerata osteria. Vi è un largo spiazzo e si intuisce che è un crocevia di diversi cammini, compresa la Viareggio-Rimini.
Una breve sosta per consumare il panino preparato dalla signora Maddalena e tirare il fiato e affrontano una discesa per altri 700 metri, in direzione del Mugello. La giornata di oggi segnerà 1400 metri di dislivello complessivo da percorrere. La meta da raggiungere è Sant’Agata del Mugello, un borgo caratterizzato da una bella pieve dedicata alla santa martire.
L’arrivo è caratterizzato dalle note positive di trovare dei comodi sedili e una fontana in piazzetta e quella negativa dell’Osteriola, l’unico bar del paese che, in regime monopolistico, chiude alle 14,00 per riaprire alle 16,00. Se i tre (con loro Luca sta condividendo il tratto di strada) avevano in mente una birra fresca…se la possono scordare.
La sosta è piacevole, arricchita dalle chiacchiere con Andrea, una persona del luogo che ci racconta le vicende del paese, dalla fabbrica di tabacco a quella di plastica, a cui si aggiungono le sue storie di naja e di quando era alpino. A lui lasciano in sicura custodia i tre zaini in modo da poter visitare agevolmente la chiesa, tenuta molto bene.
E’ tempo di partire per l’ultimo tratto della giornata, i sette chilometri in sterrato ed asfalto che li separano da San Piero a Sieve, dove hanno trovato (a rimorchio di Luca che aveva già prenotato) da dormire al b&b “La Pieve”. Scoprono che al ragazzo ferrarese era stato concesso di percorre da solo la via a condizione che i pernottamenti fossero prenotati con anticipo. Angelo e Claudio, più fatalisti, avevano optato per una prenotazione last-minute, da farsi solo nella seconda metà della giornata di marcia.
Con qualche problema ad imboccare la direzione corretta si riparte, con una bella visuale del Mugello a destra e a sinistra, si supera la graziosa località del Gabbiano e con un tratto finale in asfalto entrano con andatura stanca nella cittadina, attraversando la zona del campo sportivo e del ponte sulla Sieve.
Il b&b è proprio di fronte alla chiesa ed è molto bello: stanze spaziose, bagno faraonico dove la doccia calda, dopo la Ichnusa fresca del Bar Sport, risulta una degna conclusione di giornata.
La signora Monica ci consiglia un ristorante dove cenare e ci consiglia bene: pappa col pomodoro, rosticciana, fegato con cipolle, lampredotto, una trippa del Mugello.
Ma il meglio della giornata deve ancora venire, con lo show del signor Franco, marito di Monica e contitolare del b&b. Con un toscano colorito e piccante ci racconta le vicende del Mugello, dei disastri della TAV e della sparizione del torrente Carza, del progetto di unificazione dei comuni da lui ritenuto parziale e insufficiente. Si sprecano gli epiteti nei confronti dei cittadini della vicina Sant’Agata che viene respinta nell’unificazione e che , secondo lui,dovrebbe andare con Barberino del Mugello. Il progetto di Franco è il “Mugello Unito” e scopriamo che al computer sta elaborando un volantino. Fa politica con divertimento, con lo spirito del bastian contrario e il tutto risulta così tipicamente toscano. Il cavallo di battaglia della serata è la vicenda della villa medicea Cafaggiolo, comprata nel 2008 da un certo Lowenstein che, con un investimento complessivo di 171 milioni di euro intende trasformarla in un mega-resort che potrebbe creare 400 posti di lavoro. Il tutto subordinato allo spostamento di una strada regionale. Anche qui si sprecano i lazzi nei confronti di Rossi, Presidente della Regione Toscana e sul milione in più dei 170 previsti e sulla sua destinazione. Oltre ad Angelo, Claudio e Luca assiste alla performance in calzoni corti e a piedi scalzi, anche una coppia di Faenza che sta facendo la via in mountain bike e soggiorna nell’appartamentino che fa parte della struttura.
Decidono di andare a letto, perché se fosse per Franco lo show continuerebbe ancora, con motti, lazzi, epiteti, ingiurie colorite. In Italia quando si parla di ceto politico, a qualsiasi livello, locale o nazionale, il tema ormai è di dileggio. C’è da rifletterci.
5° giorno
La colazione a “La Pieve” è proprio buona e con torte, biscotti e marmellate preparate dalla signora Monica e si parte alla grande. Uno stop al vicino Panificio Conti consente di dare un’occhiata allo splendido pane toscano e di cacciare nello zaino un saporito ed economico panino che servirà un po’ più tardi.
Nonostante le dettagliate indicazioni di Franco riescono a sbagliare strada, ma la deviazione è poca cosa (occorre seguire l’indicazione della Fortezza Medicea e poi, ad un certo punto, abbandonarla e prendere per il Castello del Trebbio). I 260 metri scarsi di salita consentono di godere di una bella visuale sul Mugello, anche se il castello non è visitabile. C’è una fontana e dopo una discesa che ti riporta sui 200 metri slm si riparte per i 600 metri in salita che, passando per la Badia di Buon Sollazzo, culmineranno al Monte Senario.
In direzione della Badia così chiamata per la sua felice esposizione al sole (i maliziosi lascino pure perdere) avviene il piccolo giallo della…. cavedagna.
Infatti un’indicazione perentoria ti fa abbandonare la strada in sterrato e salire sulla sinistra, dove dopo poco si trova un bivio con una palina e una freccia che non si capisce bene dove indichi. Si prova a salire e il sentiero si restringe, tanto da farli desistere e prendere la strada sulla destra, che sembra di recente realizzazione e che, dopo aver guadato un torrentello, in realtà finisce di botto. Anche la coppia faentina in mountain bike condivide l’incertezza che aumenta quando al consultare della guida si scopre che occorre seguire una….cavedagna. Sconforto generale, dato che in quattro nessuno sa cosa sia! Fervono le consultazioni, si torna indietro e si riprende il sentiero in precedenza abbandonato per scoprire che, poco avanti, riprendono in chiaro le segnalazioni. Tra qualche moccolo, una risata e i lancinanti dubbi su cosa sia una cavedagna alla fine si ritrova l’asfalto e si raggiunge la Badia del Buon Sollazzo, che appare distante e alquanto fatiscente. Passa di lì una persona anziana con l’APE e cade letteralmente dalle nuvole quando gli chiediamo lumi sulla Badia che lui non sa dove si trovi (!).
Appoggiati al guard rail consumano il panino e riprendono le forze e il fiato che sono necessari per affrontare la salita agli 815 metri del Monte Senario che viene raggiunto nel primo pomeriggio.
E’ un eremo dei Padri serviti, dalla struttura importante e con un bel viale di accesso. Il baretto dell’eremo, manco a dirlo, è chiuso, ma c’è una fontana ed il riposo è gradito e allietato da una bella visuale, solo in parte limitata dalle nuvole basse. E’ giunto anche il momento di organizzarsi per il pernottamento e, sempre grazie alle notizie fornite da Luca, Angelo e Claudio contattano il Ristorante Hotel “La Bruna” di Bivigliano che non è contemplato nella guida. Si tratta di una deviazione da quanto previsto dalla guida della Tamari Edizioni che, invece, prevede l’arrivo a Fiesole. Ai due questa tappa appare sovradimensionata ed in eccesso; la fermata a Bivigliano, invece rende più agevole e meglio distribuite le due tappe finali. Arriva l’ok per una camera a due letti e la cena e inizia la discesa verso il paese toscano.
All’ingresso del paese viene fatta una nuova telefonata a Roberto che indica loro la strada da seguire. Hanno un moto di soddisfazione quando trovano l’indicazione di via della Fittaccia, la strada dell’hotel, a cui segue uno di delusione perché il civico iniziale è ben superiore a quota tremila! In realtà continua per molto la strada in discesa (sono circa 300 i metri di dislivello dal Monte Senario) fino a raggiungere l’albergo che è in centro del paese, al civico 5 (!).
L’accoglienza di Roberto e una birra fresca nel giardinetto del locale servono a riconciliarsi con la vita e segue la sana routine della doccia,in un bagno decisamente più spartano rispetto ai livelli di quello della sera prima a San Piero a Sieve.
Luca si reca in visita alla piccola chiesa del paese e viene catturato da alcune agguerrite donne del paese che, in pratica, lo prendono in ostaggio e lo liberano solo dopo la recita del Rosario. E’ sicuramente un buon ragazzo, iscritto al primo anno di Medicina a Padova, scelta per il maggior prestigio rispetto a quella della città natale di Ferrara e, senza farne mistero, anche perché vuol un po’ allontanarsi dall’ambiente familiare ed iniziare un suo percorso. Il tutto comprende la rinuncia ai pranzetti delle nonne, specialiste nella robusta cucina ferrarese, ma tutto ha un prezzo. Ha le idee chiare e la Via degli Dei intrapresa in solitaria conferma la solidità del suo temperamento.
La cena nella trattoria è una piacevole sorpresa: fanno la parte del leone le ficattole con formaggio e prosciutto, ma non sfigurano come primo piatto gli involtini alle pere e formaggio, oppure la rosticciana (costine di maiale). Il fagottino caldo è il dessert, frutto della cucina dei teneri suoceri di Roberto, avanti negli anni, ma ancora al pezzo ed operativi in cucina. Roberto ci racconta un po’ dei suoi progetti sul locale che gestisce dal’inizio dell’anno (in precedenza aveva una pizzeria, sempre a Bivigliano), della concorrenza del vicino Centro sportivo che, in realtà, in estate fa da pizzeria. Il Centro è aperto e vi è anche un po’ di gente e i due hanno la conferma che il paese è stato un paese di villeggiatura per i fiorentini, con seconde case e adesso vissuto anche da gente che trova casa qui, ma va a lavorare in città.
Nella bacheca del Centro sportivo trovano una storiella, che tanto divertente non è, ma che qui si riporta:
Una strana storia
È una giornata uggiosa in una piccola cittadina, piove e le strade sono deserte. I tempi sono grami, tutti hanno debiti e vivono spartanamente. Un giorno arriva un turista tedesco e si ferma in un piccolo alberghetto.
Dice al proprietario che vorrebbe vedere le camere e che forse si ferma per il pernottamento e mette sul bancone della ricezione una banconota da 100 euro come cauzione. Il proprietario gli consegna alcune chiavi per la visione delle camere.
1. Quando il turista sale le scale, l’albergatore prende la banconota, corre dal suo vicino, il macellaio, e salda i suoi debiti.
2. Il macellaio prende i 100 euro e corre dal contadino per pagare il suo debito.
3. Il contadino prende i 100 euro e corre a pagare la fattura presso la Cooperativa agricola.
4. Qui il responsabile prende i 100 euro e corre alla bettola e paga la fattura delle sue consumazioni.
5. L’oste consegna la banconota ad una prostituta seduta al bancone del bar e salda così il suo debito per le prestazioni ricevute a credito.
6. La prostituta corre con i 100 euro all’albergo e salda il conto per l’affitto della camera per lavorare.
7. L’albergatore rimette i 100 euro sul bancone della ricezione.
8. In quel momento il turista scende le scale, riprende i soldi e se ne va dicendo che le camere non gli piacciono e lascia dalla città.
– Nessuno ha prodotto qualcosa – Nessuno ha guadagnato qualcosa – Tutti hanno liquidato i propri debiti e guardano al futuro con maggiore ottimismo.
Nella camera doppia, con arredamento vintage piomba dapprima il silenzio, poi, dopo che Angelo ha leggiucchiato il suo libro, arriva anche il sonno.
6° giorno
Oggi è la tappa dell’arrivo a Firenze e della fine della Via. Come al solito le spalle e le gambe, dopo lo sconcerto iniziale dei primi giorni, hanno iniziato ad adattarsi al peso ed al camminare. Insieme a Roberto si è tracciato il tragitto che su asfalto li condurrà alla Casa del vento, e con la deviazione su sterrato la salita verso Le Croci , fino ai 700 metri de il Poggio del Pratone, dove c’è un bello spiazzo, con un albero e un posto dove sedersi e consumare il panino. La visuale è offuscata dalla foschia, ma intravvedono le colline fiesolane e Firenze. Li raggiunge un uomo con un fucile in spalla e due cani che, freneticamente, battono il terreno e ad ogni metro fatto dal padrone ne faranno almeno dieci. Quattro chiacchiere e un pezzo di strada insieme, si supera il ripetitore e si intraprende la strada del Monte Ceceri per raggiungere Firenze. Fiesole è bella e alcuni tratti di strada sono interdetti alle vetture per i Mondiali di ciclismo. Oggi corrono gli Under 23 e, nel pomeriggio, le donne. Ci sono parecchi appassionati giunti da tutta Italia, a giudicare anche dalle cadenze dialettali che si sentono.
Una salitona li porta a costeggiare un camping e poi c’è l’arrivo in questo giardino pubblico del Monte Ceceri, nobilitato dal cippo dal quale si deduce che da lì Leonardo da Vinci tentava i primi approcci per il volo umano. Un cartello contemporaneo che indica “ATTENZIONE. Pericolo di caduta” sembra un po’ sbeffeggiare l’evento.
Poi, come capita ogni tanto, perdono la via in una bella zona residenziale, ma priva di segnali o di persone a cui chiedere la strada e, alla fine, spuntano in un’affollatissima piazza di Fiesole che fa parte del circuito del mondiale. C’è gente di tutto il mondo con bandiere, bancarelle, panini, gazebo degli sponsors.
Ecco il cartello stradale FIRENZE e da lì inizia la lunga e ripida discesa su asfalto di via Boccaccio con gente che affrontandola in senso contrario sbuffa e arranca per raggiungere il circuito del mondiale.
La città è deserta e l’asfalto non aiuta, ma alla fine raggiungono la deviazione e Claudio a gran voce reclama una sosta ad un bar dove addenta qualcosa da mangiare e da bere. Si era accesa la spia della riserva. Si costeggia l’enorme Villa Schifanoia fino a raggiungere via San Gallo che porta dritta in una piazza del Duomo stipata all’inverosimile e dove il rito delle foto nel luogo di arrivo viene consumato.
Sono le sedici circa e l’ulteriore tappa è la Stazione di Santa Maria Novella per capire un po’ gli orari dei treni e realizzare che ci sarebbero due posti per il Frecciarossa delle diciotto e che lasciare gli zaini al deposito bagagli costa ben sei euro. Meglio raggiungere un bar nella piazza di Santa Maria Novella, con gli zaini, bere qualcosa e attendere l’ora di partenza. Nonostante sia metà pomeriggio, due belle americane nel tavolino a fianco consumano una pizza a testa. I due, che si sono potuti dare solo una lavatina superficiale, devono anche puzzare abbastanza e si scusano con le due donne che la prendono a ridere. Con un “Enjoy your life” avviene il congedo.
Il viaggio da Firenze a Milano li trova ad avere come vicini di posto un tipo e una tipa che non fanno altro che parlare ad alta voce ed ininterrottamente delle loro esperienze in Brasile, con il terapeuta e di altre faccende new age che, alla fine, indispongono anche un po’. L’arrivo a Milano è puntuale ed è impreziosito dal treno locale Milano/Sondrio che deve riportarli a casa che è stato cancellato e sostituito con Milano/Bellinzona fino a Monza e poi da lì, con un altro cambio, si potrebbe raggiungere Lecco. Sulle motivazioni della cancellazione il più totale riserbo.
Ma non possono essere questi piccoli imprevisti a mettere in difficoltà due viandanti al ritorno de La Via degli Dei.
Alla stazione di Lecco Elena e Gabriele li attendono in auto. Li riportano a casa, anche se Angelo non intende rinunziare ad un pezzo di strada a piedi che gli consenta di fumare in tranquillità una sigaretta. Claudio, invece, prima di riabbracciare le sue donne deve sottoporsi ad una rigorosa doccia finalizzata ad eliminare il puzzo del viandante.
Bene; da adesso si inizia a pensare alla prossima camminata.
Claudio Santoro
Tappe dal 23 al 28 settembre 2013
1) Bologna – Badolo
2) Badolo – Monzuno
3) Monzuno- Monte di Fò
4) Monte di Fò – San Piero A Sieve
5) San Piero a Sieve – Bivigliano
6) Bivigliano – Firenze