La nostra India: Rajasthan e Agra

alle 6. L’avranno trasformato in quello previsto per le 6. Il treno non è certo come quello preso due giorni fa; un mondo di pendolari notturni, ammassati sulle cuccette, venditori ambulanti di chai ad ogni fermata, o di calze e oggetti non ben identificati. Storie di miseria assoluta. Piano piano ci accorgiamo che qualcosa non quadra, ogni tanto il nostro treno si ferma, si fa superare, diventa pieno come una scatola di sardine, la nostra tensione aumenta, aumenta. Con il tempo che passa troppo in fretta e i chilometri che non passano mai. Cerchiamo soluzioni alternative per arrivare in tempo all’aeroporto, che però ci paiono poco convincenti. Siamo schegge ansiose, animali in gabbia, non possiamo fare nulla. Arriviamo a Delhi alle 12.15, con ben tre ore di ritardo. Tra la folla corriamo a prendere la metropolitana, per fortuna super efficiente e veloce. AirIndia ci aveva scritto di presentarci almeno 4 ore prima del volo: arriviamo che mancano solamente un’ora e 10 minuti. Per fortuna, nei controlli, l’inefficienza aeroportuale dell’andata si è trasformata in efficienza. Ce la facciamo, siamo al gate, altre code. Con le gambe ancora tremanti per le corse, il cuore in gola per l’ansia, possiamo finalmente tirare un sospiro di sollievo… partiamo!
Un breve viaggio in Rajasthan, terra di grandi contrasti e contraddizioni. Luoghi imperdibili ed emozionanti e visioni da non riuscire a sopportare. Fra tutti, è imperdibile il TajMahal: non ci sono parole. Per quante aspettative si possano avere, le supera, intriso come è di amore e percorso dal sangue e dalla bellezza pura. L’induismo, nelle sue manifestazioni a Pushkar, ma anche a Udaipur e in ogni piccolissimo tempio e tempietto, con i suoi colori e la sua leggerezza rispetto alle religioni monoteiste. L’induismo che ci manda in confusione con i suoi numerosi nomi e la moltitudine delle sue rappresentazioni, significati, che così bene Umberto ha cercato di spiegarci, sapendo bene di avere di fronte due agnostici pieni di sarcasmo e non conoscenza. Gli indiani, multicolori simpatici e diversi e le loro fortezze e i loro templi, i bellissimi bambini che si divertono con gli aquiloni fantastici, la sabbia delle città, il niente. E poi tutto quanto non volevi toccare con mano, la sporcizia – un girone dantesco – solo a Jaipur stanno provando a cambiare; i clacson continui, indifferenti assordanti, simboli di esistenza di uomini motorizzati, le mucche, neutre più che sacre, i cani vagabondi; il cibo che pare un fuoco; i programmi e gli orari che ci hanno stupito sempre, nel bene e nel male; gli ingorghi, i contromano, le strade come piste da sci affollate. Forse abbiamo sbagliato qualcosa nell’approccio, forse bisogna venire qui come un re e una regina, chissà, ma non è stato facile, ci siamo incrinati molto di più che in altre parti , chissà se ritorneremo mai, la visita al TajMahal però è stata come farsi un tatuaggio dentro.