La mia transiberiana
Quello che era nelle mie aspettative e nei mie pensieri prima di partire si è in gran parte realizzato: i paesaggi (lungo tutto il tragitto) sono davvero memorabili, la gente è cordiale e ospitale, le usanze, il modo di vivere e il cibo molto diverso dal nostro. Quello che non mi aspettavo e che mi ha sorpreso positivamente è stata la buona organizzazione del viaggio da parte di transiberiana.Com, il Tour Operator sul web a cui mi sono rivolto per prenotare i biglietti del treno, i pernottamenti e i transfer. Mi aspettavo un viaggio con qualche disavventura o disagio e invece, a parte qualche difficoltà di comunicazione, è filato tutto liscio. Il viaggio, della durata di 24 giorni, si è svolto a tappe con brevi soggiorni nelle città piu importanti toccate da questa lunghissima linea ferroviaria. Quello che segue è una trascrizione succinta degli appunti, delle riflessioni e dei commenti annotati su un quadernetto durante il viaggio.
PRIMA TAPPA: Milano – Mosca (30/06 – 04/07) Il mio viaggio inizia a Linate con il volo SAS delle ore 6.40 diretto a Copenaghen dove atterrerò due ore dopo per poi ripartire alle 10.20 con un altro volo SAS diretto a Mosca. Grazie ad un amico che lavora in una agenzia del CTS riesco ad acquistare un biglietto della compagnia di bandiera scandinava a una tariffa studente. Questo mi consente di pagare il volo di andata Milano\Mosca e di ritorno Pechino\Milano a soli 500 euro tasse e spese incluse. Atterrato a Mosca vengo subito colpito dallo stile ’sovietico’ e della tetra atmosfera dell’aeroporto. Quasi tutte le scritte sono in cirillico e quelle in inglese sono davvero pochissime. Tutto ciò mi conquista e mi affascina ma nello stesso tempo mi fa pensare ai problemi di comunicazione che avrò (e che ho avuto) durante l’intero viaggio. Ritirato il bagaglio mi dirigo, assieme agli altri passeggeri del mio volo, al controllo passaporti. La fila è interminabile ed estenuante tanto quanto la burocrazia e la scrupolosità nei controlli che la polizia russa esegue per ogni viaggiatore. Terminati gli accertamenti doganali mi dirigo verso l’uscita alla ricerca dell’autista del servizio di transfer. Non appena varco la porta automatica una miriade di autisti e agenti di viaggio esibisce ciascuno il proprio cartello seguendo il mio sguardo, la scena è davvero buffa. Ci metto un po’ a trovare l’autista che ha il cartello con il mio cognome e che mi condurrà nell’appartamento dove soggiornerò fino al 4 luglio.
Arrivato a destinazione faccio conoscenza con Nina, la padrona di casa, la quale mi fa subito togliere le scarpe per indossare delle comode ciabatte (del figlio) per non sporcare il pavimento. Nina è una signorona bionda molto sorridente e fortunatamente conosce qualche parola di inglese. L’appartamento è ben arredato e pulito, la stanza assegnatami ha un ampio letto matrimoniale, un enorme armadio, una scrivania e nient’altro. Terminati i convenevoli e le spiegazioni su uso di cucina, bagno e orari, su consiglio di Nina, prendo la metropolitana e mi dirigo in piazza Rossa. La metropolitana di Mosca oltre a essere efficiente, pulita e veloce è anche molto economica: il biglietto costa solo 10 rubli, circa 30 centesimi. Unico neo è che le scritte delle insegne sono tutte in cirillico, nessuna di queste è tradotta in inglese. Per orientarmi e capire a quale fermata devo scendere confronto la forma dei caratteri che compongono i nomi delle insegne con i nomi presenti sulla mia guida corredata di traduzione in inglese.
La piazza Rossa me la immaginavo più grande e imponente, tuttavia conserva ancora il fascino e l’emblema dell’ormai debellato regime sovietico. Di fronte al palazzo dei Grandi Magazzini GUM si impone maestoso il Kremlino con le sue torri solenni e le mura robuste, mentre nei restanti lati di questa piazza rettangolare svettano la Basilica di San Basilio e la Porta della Resurrezione con annesso il Museo Storico di Stato e la Cattedrale di Kazan. Decido di trascorrere l’intero pomeriggio e la serata del mio primo giorno a Mosca a scattar foto ai suddetti monumenti, girovagando per le vie adiacenti della piazza Rossa e bighellonando all’interno del GUM dove prima di rincasare consumo un ’sostanzioso’ pasto in uno pseudo ristorante italiano. Alle 23.30 circa sono già a casa di Nina, stanco e assonnato, mi stendo sul letto per risvegliarmi 10 ore più tardi pimpante e risposato, pronto per una visita più approfondita alla città.
Il mio punto di riferimento nella città, come è prevedibile che sia per tutti i turisti che visitano Mosca, diventa la piazza Rossa. In questa piazza e nelle sue vicinanza si trovano i monumenti, i musei e le chiese più importanti della capitale e per questa ragione trascorro gran parte del mio tempo in questa parte della città. Nei giorni che seguono, visito il parco Alexandrovsky, l’interno della Basilica di San Basilio, il centro commerciale Okhotny Ryad, il Museo Storico di Stato, la cattedrale di Cristo Salvatore (la più grande chiesa ortodossa al mondo) e il monastero Novodevichy. La visita all’interno del Kremlino del mio terzo giorno mi lascia stupefatto e positivamente meravigliato. La bellezza dei musei, delle chiese e dei preziosi cimeli che si trovano all’interno di questa immensa ‘fortezza’ mi fanno rivivere i tempi, ormai perduti, della grande Russia. Ritorno però ben presto alla realtà quando in una pausa di relax che mi concedo in uno dei numerosi cortili vedo sbucare il presidente Putin scortato da una decina di uomini della sicurezza. In pochi secondi una folla di turisti lo avvicina salutandolo e scattandogli foto.
Mosca è una città immensa e meravigliosa che come tutte le grandi metropoli del mondo soffre, però, di tutti quei contrasti legati alla vita quotidiana. Gli sfarzi e le ricchezze contenute nel Kremlino contrastano non poco con lo stile di vita della gran parte della popolazione che vive a Mosca. Sono numerose, troppe, le vecchine (babushke) elemosinanti che si trovano ad ogni angolo di strada e altrettanti sono i giovani che vanno in giro con bottiglie di vodka o birra al seguito. Tutto ciò è triste, ma questo è il prezzo che si paga quando si passa dall’oggi al domani a un regime capitalista… SECONDA TAPPA: Mosca – Ekaterinburg (04/07 – 07/07) Prima di lasciare Mosca e intraprendere la mia tanto desiderata Transiberiana visito il Mausoleo di Lenin che si trova nella piazza Rossa. La partenza del mio primo treno è prevista nel pomeriggio, ho quindi tutta la mattinata a disposizione per togliermi la curiosità di vedere il corpo imbalsamato dell’ex leader comunista. Dopo un interminabile coda riesco finalmente ad entrare: l’ambiente è cupo, austero e le guardie sono immobili e molto severe nello sguardo. La visita dura pochi secondi in quanto è proibito fermarsi davanti al feretro e il flusso di persone deve scrupolosamente scorrere seguendo il percorso guidato. Esco dubbioso e un po deluso, la salma sembra finta, simile a una statua di cera all’interno di una ben costruita scenografia funebre.
Dopo il pranzo l’autista del servizio di transfer mi conduce alla stazione Yaroslavl e mi aiuta a individuare il binario di partenza del mio treno visto che anche qui tutte le scritte sono in cirillico. Nelle circa due ore di attesa che mi rimangono prima della partenza e che trascorro osservando il via vai della gente l’eccitazione e l’emozione sale alle stelle, raggiungendo il culmine mezzora prima della partenza quando salgo sul treno. Dopo aver mostrato alla graziosa controllora il mio biglietto prendo posto nel mio scompartimento composto da 4 posti letto. Il treno sembra confortevole e accogliente. In una delle due estremità del vagone noto subito il samovar, l’enorme serbatoio simile a uno scaldabagno che serve principalmente a scaldare l’acqua per il tè. La mia cabina è pulita e ben ‘arredata’: sul tavolo pieghevole mi colpisce la presenza di un piccolo vaso di fiori finti che fa da ornamento e dona un pò di colore all’ambiente. Dopo aver sistemato il bagaglio faccio conoscenza con Serghei, un simpatico uomo maturo russo che condividerà con me lo scompartimento. Alle 15.57 in punto, come previsto, il treno lascia la stazione di Mosca diretto alla capitale degli Urali, Ekaterinburg.
Il mio compagno di viaggio Sergei si mostra subito molto gentile e socievole, fortunatamente parla inglese. Dopo avermi raccontato di avere due figli e di essersi sposato due volte tira fuori dalla sua borsa del formaggio e del salame che gentilmente mi offre come se fossimo vecchi amici, io accetto molto volentieri. Intanto fuori dal finestrino il paesaggio inizia a mutare e io cerco di osservare quanto più possibile. Alle 19 circa, su consiglio di Serghei, acquisto la cena presso il vagone ristorante alla modica cifra di 100 rubli (circa 3 euri attuali). Il pasto comprende una coppa in plastica contenente una zuppa di pasta liofilizzata (da ravvivare con l’acqua calda del samovar) e un piatto misto con riso bollito (e scondito), pezzetti di pollo e insalata. Chiamarla cena mi sembra esagerato ma piuttosto che rimanere a digiuno mi faccio coraggio e mangio ciò che le mie papille gustative considerano mangiabile.
La prima fermata del mio viaggio avviene nella città di Vlkovka, il treno si ferma per una ventina di minuti circa. Sulla banchina diversi venditori mostrano ai paessaggeri del treno calici, bicchieri, vasi e lampadari in vetro. La qualità è abbastanza scadente ed è forse per questo che nessuno acquista. Prima di prepararci per la notte io e Serghei sorseggiamo del tè caldo parlando del più e del meno. Il momento del tè diventa un rito che si ripeterà spesso e volentieri durante tutto il viaggio, agevolato anche dalla presenza del grande samovar che eroga acqua calda a volontà.
La mattina seguente mi sveglio pipante, illuminato dai raggi del sole che filtrano dal finestrino. Pensavo di non chiudere occhio e invece ho dormicchiato discretamente grazie anche ai tappi per le orecchie che ho messo prima di addormentarmi. Durante tutta la mattinata mi gusto il paesaggio collinare che scorgo dal finestrino, mentre la musica del mio nokiovo che ascolto con gli auricolari mi fa da colonna sonora. Pian piano ci avviciniamo alla meta e la vegetazione non è più caratterizzata dai tipici alberi alti e snelli della Dacia ma da verdi praterie tipiche del paesaggi montani degli Urali. Durante la giornata leggo la mia Lonely Planet, osservo il paesaggio, socializzo con i turisti degli scompartimenti vicini e chiacchiero con Serghei sorseggiando l’ormai immancabile tè. Il tempo passa abbastanza velocemente e alle ore 20.30 circa arriviamo a Ekaterinburg.
Il mio giudizio sulla città è subito negativo. Durante il tragitto dalla stazione all’appartamento dove soggiornerò noto che le strade sono malmesse, i palazzi sono fatiscenti e l’aria che si respira è un mix nauseabondo di polvere, pollini e gas di scarico di automobili. La famiglia che mi ospita è composta da 4 persone: padre, madre e due figli (un maschio e una femmina). Sembrano dei tipi strani, il padre mi accoglie in modo molto freddo mentre la madre e la figlia si mostrano piu socievoli mantenendo anche loro, però, un certo distacco. Dopo i convenevoli di ‘benvenuto’ e una rinfrescata mi spiegano ciò che c’è da vedere nella città, ovvero quasi nulla o comunque cose di poco conto. Ho molta fame, decido cosi di uscire alla ricerca di qualcosa da mettere sotto i denti. Prima di andare via la padrona di casa, Ludmilla, mi chiede di rincasare presto in quanto la mia sveglia del giorno successivo è fissata alle 7.30. Mi spiega che tutti i componenti della famiglia usciranno presto e non possono (o non vogliono) lasciarmi le chiavi di casa. Accetto senza replicare ed esco. Vicino al centro della città trovo con piacere e sorpresa un ristorante italiano: mi ci butto a capofitto e mangio un bel piatto di spaghetti alla carbonara. Dopo aver fatto un giro senza meta tra le vie di quella che sembra la parte migliore di Ekaterinburg rientro per il meritato risposo. Il giorno successivo lo trascorro interamente passeggiando tra le vie del centro scattando foto agli scorci e i monumenti più ‘belli’ della città. Rincaso alle 21 circa e dopo una doccia rinfrescante, senza indugio, vado a letto visto che il programma di viaggio prevede la partenza per Irkutsk con il treno delle 4 del mattino.
TERZA TAPPA: Ekaterinburg – Irkutsk (07/07 – 11/07) La sveglia alle 2.45 per prendere il treno delle 4 non si rivela poi cosi traumatica come pensavo. Dopo una breve colazione e dopo aver salutato la famiglia che mi ha ospitato raggiungo la stazione grazie all’efficiente e puntuale servizio di transfer. All’ora prestabilita lascio la capitale degli Urali per dirigermi a Irkutsk, città siberiana a pochi chilometri di distanza dal lago Bajkal. Il viaggio che mi accingo ad intraprendere sarà quello del tratto più lungo della mia transiberiana. La distanza tra Ekaterinburg e Irkutsk è infatti di ben 3370 km e il treno impiegherà più di due giorni per arrivare a destinazione.
Salito sul treno consegno il mio biglietto di viaggio alla provodnitsa, la controllora responsabile del vagone. Mi fa subito capire che mi farà prendere posto in uno scompartimento diverso da quello prenotato per non disturbare i passeggeri che ci sono all’interno e che dormono ormai da diverse ore. Per me va più che bene anche e soprattutto perchè lo scompartimento che mi assegna è a mia completa disposizione. Mi addormento e mi risveglio 6 ore piu tardi, alle 10.30 circa. Dopo essermi lavato e aver fatto colazione con del tè e delle brioches vado in perlustrazione del treno per confrontarlo col precedente e vedere che tipo di viaggiatori è presente a bordo: questo treno sembra meno curato e meno affollato dell’altro.
Intanto il convoglio prosegue la sua corsa ed io ammazzo il tempo leggendo la mia guida, ascoltando musica e guardando fuori dal finestrino in completo relax e tranquillità. Consumo il pranzo e la cena con del pane e del prosciutto crudo italiano acquistato in un supermercato di Ekaterinburg. La provodnitsa passa spesso per chiedere se ho bisogno di tè ed io accetto sempre molto volentieri. E’ una signora di mezza età, molto vispa e scattante, disponibile e gentile.
Durante la notte il treno si ferma a Novosibirsk ma io nemmeno me ne accorgo perchè dormo beatamente nella mia cuccetta. Alle ore 9.30 della mattina seguente vengo svegliato dalla controllora che bussa alla porta. Non appena le apro capisco subito che non continuerò più il mio viaggio da solo: condividerò lo scompartimento con altre due persone, un bambino e il suo papà. Entrambi non parlano una parola di inglese, sono molto schivi e distaccati; la comunicazione con loro è quasi inesistente. Il piccolo fortunatamente è tranquillo, non fa capricci e se ne sta buono nel suo posticino e questo non è poco per chi, come me, odia i piagnistei e la caciara dei mocciosi. Intanto il paesaggio, fuori dal finestrino, muta: le verdi colline che scorrono al mio sguardo si fanno sempre più rigogliose e fitte di vegetazione. Consumo il pranzo presso il vagone ristorante in quanto i viveri acquistati prima di partire sono quasi terminati. L’ambiente non è molto pulito, i tavoli e le poltrone sono piene di briciole e resti di cibo, le tovaglie macchiate e la cucina, che intravedo entrando, non è il massimo dell’igiene. Decido di mangiare del formaggio e delle uova al tegamino e non appena finisco pago e torno subito nel mio scompartimento.
Il viaggio sembra interminabile ma riesco comunque a farmelo passare anche grazie ai giochini installati sul mio cellulare: passo diverse ore, infatti, a giocare soprattutto a ‘Tetris’ e a ‘Chi vuol esser milionario’. Ceno con ciò che mi è rimasto della spesa che avevo fatto al supermercato di Ekaterinburg e, d’accordo con i miei due compagni di viaggio, alle 22 circa spegniamo le luci per dormire. La mattina seguente mi alzo stranamente molto risposato, come se avessi dormito nel mio letto di casa. Mi sento soddisfatto, ma quando guardo fuori dal finestrino mi incupisco: il cielo è grigio, coperto da una fitta nebbia e la visibilità è ridotta a qualche decina di metri. L’atmosfera si fa un po inquietante, il treno rallenta la sua corsa. Alle 9.30 circa arriviamo, finalmente, alla stazione di Irkutsk.
La solita precisa ed efficiente navetta del servizio di transfer viene questa volta valorizzata dalle spiegazioni e dalle nozioni di carattere turistico-culturale fornite dai due ragazzi che mi conducono all’appartamento dove soggiornerò. I due giovani mi bombardano letteralmente di informazioni e parlano senza fermarsi come un nastro registrato. La casa si trova in un quartiere popolare e malandato. La padrona, Tamara, mi accoglie gentilmente e dopo i solito convenevoli e le spiegazioni sull’uso della casa mi mostra la mia stanza. Dopo una doccia e un buon tè offertomi da Tamara faccio conoscenza con due ragazzi irlandesi che soggiornano nella stanza accanto alla mia. Parlano un inglese molto stretto e faccio molta fatica a capirli. Con loro consumo il pranzo in un fast food del centro e dopo aver finito mi congedo da loro per accingermi a visitare la città da solo in tranquilla libertà. Per tutto il pomeriggio cammino lungo le vie principali di Irkutsk visitando gli scorci più belli indicati sia dalla mia Lonely Planet che dai due ragazzi del transfer di questa mattina. La città è molto carina, può davvero considerarsi la Parigi della Siberia come dice la mia guida: ci sono molti bei palazzi, purtroppo maltenuti, e le strade brulicano di gente multietnica. Faccio rientro all’appartamento per il meritato riposo notturno subito dopo cena.
Il giorno seguente la sveglia è puntata alla 8.30. Dopo la colazione raggiungo Listvyanka, una ridente località sulla sponda sud-occidentale del lago Bajkal a circa 1 ora di distanza da Irkutsk. Qui, nel mercatino adiacente al terminal dei bus, conosco Alexander, uno dei tanti venditori di souvenir. Questo ragazzo biondo con occhi di ghiaccio si propone di farmi da guida e di condurmi al museo all’aperto di case in legno e all’acquario, accetto volentieri. Al museo all’aperto accade un fatto davvero sorprendente e buffo, vengo letteralmente circondato da un gruppo di ragazzi e ragazze di una scolaresca locale che in ‘adorazione’ e simpatia mi assale di domande e apprezzamenti, una ragazzina si offre addirittura come mia futura sposa! Alexander mi spiega poi che molto probabilmente quei ragazzi non avevano mai avuto un contatto cosi ravvicinato con un forestiero e che mi vedevano come una novità, una star. Il paesaggio lacustre della zona del lago Bajkal, il più profondo al mondo, è un po inquietante, c’è un strana e fin troppo tranquilla atmosfera appesantita da banchi di nebbia fitta che si spostano da una parte all’altra velocemente. Alla fine del tour guidato ringrazio Alexander offrendogli del denaro (20 euri) e lui non mi lascia ritornare a Irkutsk se non dopo aver assaggiato del pesce cotto alla griglia, accetto: è davvero buono e saporito. Dopo cena rientro a casa alle 22 circa, stanco e assonnato mi butto a letto per risvegliarmi 10 ore più tardi. Dopo un abbondante colazione a base di omelette con salsiccia, te e biscotti esco e mi dirigo verso il centro della città. Faccio visita a un mercato simile a un souk arabo brulicante di gente mongola, russa e kazaka e prima del pranzo mi rilasso all’ombra di un albero di un giardino situato lungo il fiume Angara. Il pomeriggio lo dedico allo shopping e all’acquisto di souvenir dell’artigianato nazionale visto che questa sarà l’ultima città in terra russa del mio viaggio. Alle ore 20.12, con 2 minuti di ritardo il mio treno diretto a Ulaan Baatar lascia la stazione di Irkutsk.
QUARTA TAPPA: Irkutsk – Ulaan Baatar (11/07 – 18/07) Il viaggio che mi aspetta e che mi porterà nella capitale della Mongolia durerà circa un giorno e mezzo. Lo condivido con Linda, olandese di 22 anni e Philp, belga di 29 in uno scompartimento da 4 posti letto. Il sonno della mia prima notte sul treno viene disturbato dal frastuono prodotto da una scolaresca salita a Ulan Ude, città russa a circa 450 chilometri da Irkutsk. La rumorosa marmaglia occupa quasi completamente l’intero vagone e gli schiamazzi, i gridolini delle ragazze, le lotte di wrestling dei ragazzi e lo sbattere delle porte non mi fanno dormire per niente bene. La mattina mi sveglio molto tardi, non appena il trambusto riprende.
Il paesaggio fuori dal finestrino è caratterizzato da verdi praterie macchiate di tanto in tanto da alberi o piccole case in legno. Questo treno non ha l’aria condizionata, fortunatamente però la presenza di un ventilatore in ogni scompartimento e la possibilità di aprire i finestrini non fanno patire il caldo ai passeggeri. La corsa del convoglio prosegue molto lentamente, le fermate sono frequentissime. Alle ore 12.30 circa raggiungiamo Naushki, ultima città russa al confine con la Mongolia, dopo 16 ore di viaggio e solo dopo aver percorso 717 chilometri. Rimaniamo fermi in questa città di frontiera senza alcun motivo apparente fino alle 18 circa. Ammazzo il tempo conversando con i miei compagni di viaggio e girovagando nei pressi della stazione dove è presente un piccolo mercato. Un ora prima di ripartire viene effettuato il controllo dei passaporti. Si prosegue quindi in territorio mongolo e a Sukhbaatar ci sottoponiamo a un ulteriore controllo da parte della polizia locale. Per rompere la noia per l’ulteriore fermata nella stazione di Sukhbaatar che si protrae per circa 3 ore, Linda e Philip iniziano a cantare e io li seguo a ruota. La giovane ragazza olandese ha davvero una bella voce e un ottimo senso ritmico. Ridendo, scherzando e cantando si fa sera e il sole, in fase calante, ci regala uno splendido e suggestivo tramonto. Alle 5.30 del mattino, finalmente, arriviamo a destinazione: Ulaan Batar.
Alla stazione vengo accolto da Geril, una timidissima ragazza mongola di 19 anni che, ahimè, conosce solo qualche parola in inglese. Ci intendiamo parlando un po a gesti e un po con quelle poche parole di inglese che riesce a capire. Assieme all’autista del servizio di transfer vengo condotto all’appartamento a me assegnatomi. Con mio grande soddisfazione vengo a conoscenza che la casa, composta da 2 stanze, la cucina e il bagno sarà a mia completa disposizione in quanto i padroni sono fuori città. Dopo essermi rinfrescato mi butto a letto e dormo fino alle 9.30 circa, ora in cui Geril suona alla porta. La giovane ragazza vuole preparami la colazione e visto che sono italiano ha pensato bene di cucinarmi degli spaghetti, purtroppo però non sa come si fa. Affamato e desideroso di mangiare pasta dopo aver trascorso 14 giorni ingurgitando schifezze decido di mettermi ai fornelli per prepararmi quel po di spaghetti che mi ha portato e che condirò con del burro e un formaggino trovati nel frigorifero.
Dopo una bella doccia esco in perlustrazione della città: Ulaan Baatar è una città tranquilla e molto semplice. Mentre cammino per strada mi sento osservato dalla gente del posto e noto con disgusto che qui soffiarsi il naso senza fazzoletto e scatarrare rumorosamente per terra sono comportamenti assolutamente naturali e molto frequenti. Colpiscono la mia attenzione positivamente, invece, gli uomini telefono, ovvero persone che si piazzano negli angoli delle strade offrendo ai passanti il proprio telefono cordless per telefonate a pagamento. Dopo aver prelevato soldi locali presso una banca decido di trascorrere un paio d’ore in un internet point che si trova alle spalle di Sukbaatar Square, il centro geografico e culturale della città. Alle 18 incontro Suki, un ragazzo mongolo conosciuto su internet prima della mia partenza che mi farà da guida durante i miei 5 giorni di permanenza a Ulaan Baatar. Parla inglese ma il suo accento mongolo spesso non mi fa capire cosa dice. Con lui, dopo cena, visito il Zaisan Memorial, un monumento in ricordo dell’amicizia tra russi e mongoli durante la seconda guerra mondiale, situato in cima a una collina a circa 2 chilometri di distanza dalla città: il panorama da quella posizione è davvero notevole. La serata si conclude in un discopub dove conosco alcuni amici di Suki. Il giorno successivo incontro la mia guida alle 14, dopo pranzo. Visito il Museo Storico Nazionale e il Museo di Storia Naturale dove ho modo di vedere reperti, resti e scheletri di dinosauri. Nel tardo pomeriggio visito, sempre in compagnia di Suki, il monastero Gandantegchinien Khiid, il più grande e importante della Mongolia dove all’interno ammiro un enorme statua del Buddha alta 25 metri, un opera davvero incantevole. Dopo una visita in un mercato e dopo la cena a base di ravioli di carne al vapore rientro al mio appartamento per il meritato riposo. Prima di addormentarmi guardo un po di TV, un po deluso ma incuriosito noto che in quasi in tutti i programmi ci sono solo tristi cantanti locali soporiferi o lotte di wrestling tra ciccioni, lo sport più amato della Mongolia.
Come da accordi con Suki il giorno successivo partiamo per un escursione di due giorni all’interno del Parco Nazionale Terelj distante circa 80 km da Ulaan Baatar. Il paesaggio è magnifico ed è proprio qui che ho un contatto ravvicinato con i veri nomadi della Mongolia. Pernottiamo, infatti, in una Gher, la tipica tenda mongola, all’interno di un villaggio rurale a stretto contatto con la gente del posto. Gente semplice, ospitale e cordiale che vive con dignità e orgoglio in questi ambienti saggiamente rivestiti per ripararsi dalle intemperie e dove all’interno è possibile trovare televisori, frigoriferi e altri elettrodomestici moderni. In una di queste tende ho avuto modo di assaggiare l’Airag, la bevanda nazionale, dal sapore orripilante, ottenuta dalla fermentazione del latte di giumenta. L’esperienza che vivo durante questa escursione è davvero affascinante soprattutto quando durante la notte mi sveglio per fare pipì e uscendo dalla tenda assisto a un vero e proprio spettacolo della natura mai visto: un cielo stellato che mi lascia letteralmente senza fiato.
Rientrati a Ulaan Baatar ceno presso un ristorante vicino a casa e qui conosco e socializzo con dei ragazzi coreani che stupiti di vedermi mangiare da solo mi vengono vicino per farmi compagnia. Il giorno successivo, assieme a Suki, visito il Bogdo Khan House e il Chayjin Lama, due interessanti monasteri buddisti ricchi di statue e oggetti antichi. Dopo una visita commerciale presso lo State Department Store, dove acquisto alcuni souvenir, e dopo aver consumato la cena a base degli ormai consueti ravioli di carne al vapore, saluto Suki e lo ringrazio per il tempo che mi ha dedicato in questi giorni di permanenza in Mongolia. La partenza per Pechino è prevista alle 8.05 del mattino seguente, cosi rientro a casa e mi predispongo ad affrontare il mio ultimo viaggio in treno della mia memorabile transiberiana.
QUINTA TAPPA: Ulaan Baatar – Pechino (18/07 – 23/07) Il treno per Pechino parte con circa 2 ore e mezza di ritardo, alle 10.45. Non appena lasciamo la stazione di Ulaan Baatar scopro che saremo in 5 a condividere lo scompartimento composto da 4 posti letto: io, 2 ragazze olandesi e un donna mongola e il suo bambino. La cosa non mi disturba ma mi fa pensare a come passeremo la notte.. Il treno è sporco e poco confortevole, molto diverso rispetto a quelli su cui ho viaggiato finora. Gli arredi sono molto spartani e i due inservienti del mio vagone non hanno la grazia e la gentilezza delle provodnitse russe. Il vagone ristorante, dove consumo il pranzo, è la parte più bella e caratteristica di questo treno. Intanto, lentamente, proseguiamo la nostra corsa verso la Cina e, nel pomeriggio, viaggiamo attraverso lo sconfinato e mesto deserto del Gobi. La vegetazione qui è quasi inesistente, a parte qualche cespuglietto che compare di tanto in tanto, e la temperatura è di circa 35 gradi. Al calar del sole assisto a uno splendido tramonto incorniciato da questo inquietante territorio aspro e solitario.
A mezzanotte circa arriviamo a Erlian, prima città in territorio cinese. All’interno di un apposito capannone ogni singola carrozza del treno viene sganciata e sollevata per consentire la sostituzione dei carrelli delle ruote. In Cina, infatti, i binari hanno uno scartamento diverso da quelli presenti in Russia e in Mongolia e pertanto, per proseguire, è necessario cambiare tutte le ruote del treno. L’operazione dura circa due ore e termina con i controlli dei passaporti da parte della polizia cinese che oltre a verificare i documento di viaggio controlla pure la temperatura corporea di ogni viaggiatore con una pistola laser per la prevenzione della Sars. Nelle ore che seguono non riesco a chiudere occhio: il finestrino è bloccato e non si chiude, così durante la notte, oltre al rumore, entra freddo e molta sabbia. La sveglia è alle 8.30, non appena inizia il trambusto dei passeggeri e degli inservienti che iniziano le pulizie. Sono stanco e assonnato e non vedo l’ora di arrivare a Pechino. Consumo il pranzo, offerto dalle ferrovie cinesi, nella graziosa carrozza ristorante mentre il paesaggio fuori dal finestrino cambia: vedo infatti distese vallate completamente sfruttate a coltivazioni. Il cielo è coperto da una pesante foschia causata da un alto tasso di umidità.
Mentre lentamente ci avviciniamo a Pechino assistiamo a uno spettacolo inaspettato: scorci di Muraglia Cinese fanno la loro comparsa in tutto il loro splendore, lo scenario che appare ai miei occhi è a dir poco strabiliante. Alle 16.30, con circa 2 ore di ritardo, arriviamo finalmente alla stazione della capitale cinese. Qui a Pechino soggiornerò in un albergo a tre stelle. In Cina i turisti non possono soggiornare in case private cosi con il servizio transfer raggiungo l’hotel Jingduyuan che si trova a poca distanza dalla stazione. Dopo essermi rinfrescato mi stendo sul letto e mi addormento, mi risveglierò 13 ore più tardi. Al risveglio sono riposato e pimpante, pronto per iniziare la mia visita nella grande capitale cinese.
Dopo una sostanziosa colazione a buffet mi reco subito nella Città Proibita, la parte più interessante e più turistica di Pechino. L’immenso complesso architettonico racchiude tra le sue imponenti mura stupendi palazzi imperiali, sfarzosi padiglioni, graziosi giardini e ampi cortili. Tutto ciò mi conquista e mi affascina.
Alle 15.30 in piazza Tiananmen, che si trova proprio di fronte all’ingresso principale della Città Proibita, incontro Huang, un ragazzo pechinese conosciuto su internet prima della mia partenza dall’Italia. Con lui visito l’immensa piazza, la più grande del mondo, diventata familiare nel 1989 con quel famoso tentativo fallito di manifestazione in favore della democrazia. Quando inizia a piovere, e anche forte, ci ripariamo all’interno di un ristorante dove per circa 3 euro consumo un sostanzioso pasto molto diverso da quelli dei ristoranti cinesi in Italia. Dopo un interessante visita in un pittoresco mercato di oggetti antichi e souvenir consumiamo la cena in uno sgarrupato ma davvero tipico ristorante cinese dove mi abbuffo di ravioli al vapore. La serata termina in un pub lungo la riva di un laghetto in una delle zone piu caratteristiche di Pechino disseminata di locali alla moda e molto originali.
La sveglia del giorno successivo è puntata alle 7. Dopo la colazione Huang mi conduce alla Muraglia Cinese nella zona di Simatai. A differenza della Muraglia di Badaling, che è stata completamente restaurata e che viene solitamente visitata dai turisti occidentali, questa parte di Muraglia sembra in procinto di sgretolarsi ed è forse per questo che è poco battuta dal turismo di massa. Simatai si trova a 110 Km di distanza da Pechino e ci arriviamo dopo circa 2 ore e mezzo di pullman. Quello che i miei occhi vedono non appena giungiamo a destinazione è a dir poco affascinante, è una vera e propria meraviglia. Il tratto che percorriamo è lungo più di 2 km ed è composto da migliaia di scalini e 12 torri. Trascorriamo qui l’intera giornata e arrivati all’ultima torre torniamo indietro ripercorrendo l’intero tratto di Muraglia. Raggiungiamo, infine, il parcheggio dei pullman per mezzo di una teleferica a carrucola che si allunga sopra un piccolo laghetto. Stanchi e affamati facciamo rientro a Pechino e dopo una cena sostanziosa all’interno di un centro commerciale sito in una delle vie pedonali più eleganti e moderne di Pechino saluto Huang e gli do appuntamento per il giorno dopo. La mattina seguente, da solo, visito il Tempio del Lama e il Tempio di Confucio. Nel primo pomeriggio, invece, mi faccio accompagnare da Huang in uno store di componenti per PC dove, per 83 euri, acquisto un Hard Disk da 160 giga per il mio computer di casa. Successivamente visito il Tempio del Paradiso e dopo la cena rientro in albergo per il meritato riposo e per prepararmi per il viaggio di ritorno a Milano del giorno successivo.
Pechino è un’ immensa, affascinante e ordinata megalopoli in metamorfosi. Mi stupisce soprattutto per il suo dinamismo e la sua veloce capacità di trasformazione che, ahimè, sta letteralmente cambiando il volto di questa città. I grandi palazzoni e i grattacieli che sono ovunque in costruzione stanno distruggendo le zone più tipiche e caratteristiche di Pechino cancellando le tradizioni e le usanze di una cultura millenaria. Purtroppo questo è il prezzo che la Cina dovrà pagare per stare al passo coi tempi e per sostenere la sua velocissima corsa verso lo sviluppo. La maggior parte dei pechinesi sembra accettare questi cambiamenti, ma forse è solo apparenza. I cinesi sono persone molto semplici, sorridenti, cordiali e disponibili. Noto però che anche qui, come in Mongolia, sputare per terra è una pratica assolutamente normale. Chissà se anche questa usanza, che la gente sembra non voler abbandonare, verrà sradicata come le altre. Un altro aspetto che mi ha colpito di Pechino è stato il colore del cielo. Nei 4 giorni di mia permanenza nella capitale cinese l’umidità altissima, lo smog e l’inquinamente hanno reso il cielo grigio, lattiginoso, e non mi hanno consentito di vedere il sole nemmeno per 5 minuti! La mia transiberiana termina il 23 luglio con il volo SAS delle ore 14.45 che mi riporta a Milano, via Copenhagen, in circa 9 ore. Faccio rientro a casa stanco ma soddisfatto per aver realizzato un viaggio meraviglioso, indimenticabile, emozionante, lunghissimo e straordinario. Guarda le foto sul mio sito: www.Oissela.It