L’Uzbekistan è un paese affascinante, un luogo d’incanto, grazie a una cultura millenaria
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L’Uzbekistan è un luogo che mi ha sempre affascinato, dove i protagonisti sono Alessandro Magno, Gengis Khan, Tamerlano, Marco Polo…
La Via della Seta premeva nel mio immaginario quando ancora neanche sapevo bene dove collocarla geograficamente, quando ancora non sapevo che un giorno sarei andata anche io a calpestare i suoi luoghi leggendari. Nel medioevo collegava l’oriente e l’occidente, e per questo annovera alcune delle città più antiche del mondo come Tashkent, Samarcanda, Shahrisabz, Bukhara e Khiva, custodi di moschee, minareti e antiche madrase, tutti magnificamente colorati di maioliche e mosaici azzurri splendidamente conservati che fanno rivivere un vero e proprio viaggio nella storia.
E’ uno Stato con quasi 30 milioni di abitanti in Asia centrale. Confina con il Kazakistan a nord ed a ovest, con il Kirkisistan e il Tagikistan ad est, con l’Afganistan e il Turkmenistan a sud, ma sino al 1991 era territorio appartenente all’Unione Sovietica.
L’Uzbekistan è senza dubbio il paese più ricco di storia dell’Asia Centrale. All’interno dei suoi confini spiccano alcune tra le più belle città del mondo.
In Uzbekistan il clima è continentale, arido nelle vaste steppe pianeggianti centro-occidentali, mentre rimane continentale ma diventa moderatamente piovoso (e nevoso in inverno) nelle zone collinari e montuose orientali.
Questo viaggio ci porta a conoscere colui che si proclamava erede di Gengis Khan ed è stato, tra ‘300 e ‘400, uno dei più grandi condottieri della storia: Tamerlano.
L’imperatore per eccellenza di Samarcanda è Tamerlano, che ha ridato un volto nuovo alla città, sia dal punto di vista politico sia dal punto di vista architettonico.
Nato nel 1336, Tamerlano visse per quasi settant’anni, affermandosi come il conquistatore più feroce che la storia umana ricordi: il suo esercito devastò l’Asia dalla Siria e dalla Turchia, fino ai confini della Cina, da Mosca a Delhi.
Dalle steppe dell’Asia centrale alla conquista della Persia cosa è stato l’impero di Tamerlano? L’unione dei popoli islamici o un ponte tra culture diverse? Da una parte, infatti, Tamerlano difende la propria religione, l’Islam, ma combatte contro i mongoli, di cui si proclama discendente, e i musulmani. Non attacca, invece, l’Europa, anzi, favorisce i commerci.
Eppure, dopo la morte, il suo impero si frantuma. Resta Samarcanda, il gioiello del suo Impero.
Venerdì 15 settembre 2017
Ecco il mio sogno avverato: parto.
Devo andare a Milano Malpensa da dove parte il mio Gruppo: siamo in 14. La tour leader Monica sarà la nostra accompagnatrice e lo ha dimostrato: sa il fatto suo. Il volo Turkish è in ritardo di mezz’ora, ma tanto dobbiamo aspettare a Istanbul 6 ore: uno scalo che sfianca, ma mi diverto a fotografare la varia umanità. Quando si riparte (con altra mezz’ora di ritardo), mi prendo 20 gocce per dormire e, in effetti, riposo per due ore.
Sabato 16 settembre 2017
Alle h 6.40 arriviamo a Tashkent, la capitale dell’Uzbekistan, che è il nodo dell’Asia Centrale, nonché la città più grande e cosmopolita. A un’altitudine di 480 mt, la sua fisionomia mutò radicalmente dopo il 1966, anno di un violentissimo terremoto. La città appare oggi come una città priva della sua anima storica, rimasta sotto le macerie, e sostituita dall’austera architettura sovietica. Il risultato è che la Tashkent odierna ha la fisionomia tipica di una città dell’Europa orientale con monumentali edifici amministrativi, immensi parchi e enormi condomini-dormitori che rimandano inevitabilmente agli anni del regime staliniano secondo un piano urbanistico elaborato fin dal 1916. Ma c’è anche l’altra Tashkent, quella vecchia, che ha l’aspetto di una disordinata cittadina uzbeka di campagna, con alberi da frutta e viti nascosti in cortili protetti da muri.
In 10 minuti, percorrendo grandi viali alberati, giungiamo all’Hotel Lotte (un elegante quattro stelle, il migliore del viaggio. E’ situato in una posizione centrale). Colazione galattica (la marmellata di ciliegie ancora col nocciolo), doccia, relax e alle h10 siamo pronti per la conquista della città. Siamo accompagnati dalla giovane guida locale che parla molto bene l’italiano: Sherzod. Un intero bus è a nostra disposizione per gli spostamenti e gli autisti si alternano nelle giornate successive. Io sono seduta davanti in prima fila, comoda anche per fotografare, ma devo stare attenta al mio stomaco.
Scherzod ci racconta un po’ di storia, di come vivono, la famiglia, del sistema scolastico, della religione (mussulmani sunniti), la moneta (togliere 4 zeri agli importi in sum e si ottengono gli euro), la lingua. Tutto è in fase ancora di ricostruzione dalla riacquistata indipendenza, e indipendenza vuol dire volontà di riappropriarsi dell’antico credo mussulmano, forzatamente soppresso durante l’occupazione sovietica; libertà di sostituire, nei nomi delle strade e nella mente delle persone, gli eroi russi con quelli nazionali e i caratteri cirillici con quelli latini; e possibilità di cambiare le alleanze minimizzando l’influenza sovietica per avvicinarsi all’Europa – anche se la seconda lingua rimane il russo.
Capitale del Paese, situata nella parte orientale dell’Uzbekistan, Tashkent fu fondata nel 750 circa dagli arabi per poi essere completamente distrutta da Gengis Khan durante il XII secolo; ricostruita durante il quattordicesimo secolo, ed occupata dai russi durante il XIX secolo, è divenuta capitale della Repubblica Uzbeka nel 1930. Un tempo è stata la quarta città dell’Unione Sovietica per dimensioni con una popolazione oggi pari a 2,5 milioni di abitanti.
La città vecchia che ha inizio alle spalle del bazar Chorsu è la parte che ha meno subito l’influenza russa.
Iniziamo dal complesso di Hazrani Imom, il centro spirituale di Tashkent: la madrasa di Barakh Khan, la moschea Tellya Sheikh (o Imam Hazrati), il mausoleo del santo Abu Bakr Kffal Shashi, l’istituto islamico di Imam alk-Bukhari. Ecco la Madrasa di Barak-Khan, splendida con le sue mattonelle smaltate a vetro ed i mosaici. In alcune piastrelle i versi di una poesia datata 1520 dedicata alla città ‘’ Ma che regno è questo! Nemmeno i prati del paradiso sono in grado di reggere il confronto con l’antica Shash. Colui che rimane ad abitare qui a lungo si scorderà i giardini del paradiso. E’ vero che è meglio morire a Taskhent piuttosto che stentare la vita dall’altra parte del mondo!!!’’.
Le madrasse oggigiorno sono diventate però centro di commercio di prodotti artigianali locali.
Di fronte, la Teleshayakh Mosque è il centro religioso principale dell Uzbekistan e il museo conserva il grande Corano, il più antico del mondo. E’ stata costruita nel XVI secolo da Suyunidzh-Khan, nipote di Ulugh Bek. È diventato il luogo dell’Ammini-strazione spirituale dei mussulmani dell’Asia centrale ed è anche il luogo dove si trova la più ricca biblioteca di manoscritti orientali. La biblioteca di Teleshayakh Mosque viene utilizzata per conservare una copia del Corano conosciuta in tutto il mondo come Corano del califfo Osman. L’antico manoscritto è la fonte primaria dell’Islam, è stato scritto verso la metà del VII secolo. Di dimensioni molto grandi, contiene 353 pagine di pergamena con il testo originale del Corano. Non si può fotografare.
E fuori un gruppo di donne con i denti d’oro, ma sono solo ricoperti. Hanno sempre il capo coperto ed una lunga palandrana quando non sono più giovani. Si fanno fotografare volentieri e spesso per strada si propongono per essere ritratte o fare una fotografia con te. Gente sorridente, gentile.
Raggiungiamo quindi il bazar Chorsu che è il più grande mercato agricolo e vale una visita per respirarne l’aria vivace e magari per fare qualche acquisto, è affascinante camminare per le viuzze di questo mercato coperto da una cupola gigantesca di colore verde, di costruzione russa, tra i sorrisi delle contadine dai denti d’oro. E’ questo un enorme mercato prevalentemente alimentare su due piani. E’ vastissimo e, intorno ad una fontana circolare si sviluppano i banchi dei venditori e di piccoli agricoltori che qui portano i prodotti da loro coltivati. E’ un tripudio di spezie, frutta secca, dolciumi, carni, formaggi, frutta e verdure. Si possono anche trovare prodotti d’artigianato locale.
A pranzo al Ristorante Navvat, un locale colorato del centro. La prima cosa quando arrivi, in ogni ristorante, sono servite delle ciotole di verdure miste (crude, ai ferri) molto saporite che inizi subito a mangiare. Buonissimo il pane (nan). Io ho bevuto solo acqua e tè, ma gli uzbeki bevono prima di pranzo almeno due bicchierini di vodka, perché per loro il vino (che mi dicono ottimo) è la bevanda delle donne, anche se ha 13°. Buona la birra. In Uzbekistan l’Islam è moderato e molto tollerante in fatto di alcool.
Una cosa che mi ha molto colpito è che abbiamo mangiato sempre carne (tranne un pranzo), ottima, di ogni tipo e cucinata in tutti i modi e varianti: carne di manzo, pecora, agnello, montone, pollo e anche se è un paese islamico, di maiale. L’unico inconveniente per me è che la speziano con il cumino.
Ad ogni pasto ci è stato servito un brodo o passato che devo dire ottimo, delicato e saporito, con verdure e pezzi di bollito sempre molto morbidi.
Relax in hotel e nel pomeriggio, a piedi, una passeggiata tra i palazzi pubblici. Oggi sta arrivando il Presidente della Repubblica e tutte le strade sono controllate dalla polizia. Funziona anche l’acqua delle fontane solitamente chiusa. Ma lo hanno fatto per me? Gentili! Abbiamo visitato anche la monumentale metro-politana (costo 50 cent di euro) perché molto bella, tipo quella di Mosca, ricca di marmi e stucchi, l’unica nell’Asia centrale. La metropolitana fu progettata come rifugio antiatomico e quindi all’interno è severamente vietato fotografare, un vero peccato, data la straordinaria bellezza che spesso ne contraddistingue l’architettura e le decorazioni (questa foto è da web). Che escursione termica: da 29 a 16 gradi!
Continuiamo a piedi sino alla statua equestre del Tamerlano (Amir Temur) in una grande rotonda verde al centro della città moderna con la mano del conquistatore che indica la via sulla fattispecie di quelle degli imperatori romani. Sul monumento c’e scritto lo slogan di Tamerlano: “ La forza sta nella giustizia”.
Domenica 17 settembre 2017
Nel nostro hotel stanno preparando nei giardini una cerimonia matrimoniale, ma noi partiamo per la Valle di Fergana che si trova a circa 420 km ad est di Tashkent– 220.000 kmq –. E’ una grande oasi con il terreno più fertile e il clima migliore di tutta l’Asia Centrale, dove vive più di un terzo della popolazione uzbeka. Qui nacquero numerose rivolte contro gli zar e i bolscevichi, e qui, negli anni ’90, nacque l’estremismo islamico dell’Asia centrale (proprio ad Adijon, nel 2005, ci fu una celebre rivolta soffocata in un bagno di sangue dal presidente Karimov). Oggi la popolazione della valle resta la più cordiale e ospitale del paese, anche se questa è la zona dove è più sentita l’influenza religiosa. Sono anche celebri, nella zona, un raffinato artigianato e la mitica lavorazione della seta.
Quando si entra e si esce dalle città ci sono posti di blocco. Basta fare lo stop, ci fanno in automatico la foto al mezzo e si riparte. Solo nella Valle di Fergana devi scendere dal bus e presentarti al posto di polizia per una specie di visto dello straniero, che devi far rivedere al ritorno.
La Valle di Fergana è stata aperta agli stranieri solo da pochi anni ed ora stanno rifacendo la strada. Il percorso lo abbiamo fatto con 5 auto perché i bus sono interdetti, ma i nostri giovani autisti giocano un po’, corrono troppo, anzi si rincorrono, allora vengono richiamati all’ordine. A 2000 metri si vedono le montagne del Pamir con la neve, ma oggi è molto offuscato. Ci siamo fermati in un posto panoramico e c’era questo piccolo negozio. Le palline sono di formaggio di pecora e latte acido e vengono insaporite con erbe.
Partendo da Tashkent si deve fare il passo di Kamchik, a 2450 m di altezza, prima di arrivare a Kokand. Uno splendido antipasto, perché da sopra il passo si può ammirare una vista sublime sulla valle di Fergana. Anche solo la strada vale il viaggio. Ma la visita di Kokand conferma che è un peccato non passare dalla valle.
La valle è coltivata a campi di cotone, circondati da alberi di gelso, punteggiati da orti e villaggi; con i suoi frutteti e i canali d’acqua emana una sensazione di pace. Gente ospitale, bazar variopinti, e l’opportunità di portarsi a casa la migliore seta.
Ecco il nostro gruppo ai 2000 metri per la sosta idraulica e la vista sulla vallata.
Fermata tecnica e ne approfittiamo per assaggiare il pane saporito con tutti i disegni e decorazioni. Il pane tradizionale uzbeko veniva usato secoli fa anche come moneta, tanto che ciascuna provincia usava ‘stamparlo’ al centro con un simbolo proprio.
Kokand è la prima città che si incontra quando si entra nella Valle di Fergana che per il suo aspetto lussureggiante è una gradevolissima visione dopo centinaia di chilometri nel nulla. E’ uno dei centri principali della valle e una delle città più antiche dell’Uzbekistan. Come pure altre città della Valle di Fergana la città è nata in un’ oasi molto popolata sull’antica rotta carovaniera che attraversava la valle. La popolazione locale ospitava le carovane nel loro viaggio in queste terre molto accoglienti. Nel 13 secolo durante l’invasione mongola la città fu distrutta. Secondo fonti storiche la città di Kokand si ricostruisce nel 1732 durante il regno di Abdu- Raim Bek e nel 1740 la città prende il suo nome attuale.
A pranzo e poi visitiamo il Palazzo di Khudoyarkhan che è uno dei pochi esempi di Palazzo reale del 19 secolo conservatosi nel territorio della Asia centrale.
E’ stato costruito nel 1870. Si ac-cede da un bellissimo portico ad arco incorniciato da due torrette. Il restauro del palazzo ha reso tutta la brillantezza ai mosaici blu, verdi e gialli che coprono tutta la facciata. Non si possono visitare tutte le stanze del palazzo, perché molte non sono state sottoposte ai lavori effettuati qualche anno fa, ma si può comunque vedere qualche sala riccamente decorata con soffitti affrescati, un modello del palazzo o il museo della gioielleria, dell’abbigliamento e dell’oreficeria.
La moschea più imponente di Kokand è la Moschea Djuma che fu costruita agli inizi del 1800 ed ha nel centro un minareto alto 22 metri. Bel portico con 98 colonne di legno rosso proveniente dalla India che permettono di sostenere il soffitto in legno, lavorato e dipinto con rappresentazioni floreali rosse, verdi, blu e gialle.
Visita interessante anche alla Medressa di Norbutabek fondata nel 1799 che fu chiusa dai bolscevichi. Oggi è in fase di ristrutturazione e non è ancora utilizzabile, ma ci hanno permesso un giro veloce.
Raggiungiamo quindi l’Hotel Asia Fergana, dove ceniamo.
La nostra tour leader Monica ci comunica una notizia che non ci piace: la compagnia aerea uzbeka sembra che abbia annullato il volo interno di martedì 19, dando poche alternative. Staremo a vedere.
Lunedì 18 settembre 2017
Sono le ore 8 e già una coppia di sposi nel nostro hotel sta facendo il servizio fotografico.
Non ho mai visto tante spose come in Uzbekistan: tutti i giorni, a tutte le ore. Mi dice Sherzod (la nostra super guida), che gli abiti sono quasi sempre a noleggio.
A proposito di Sherzod, approfittando di una telefonata della mamma che gli diceva: ‘guarda che tuo fratello ha 24 anni e devo trovargli una moglie…’ ci ha spiegato che è usanza che il figlio più grande debba sempre rimanere con i genitori, soprattutto per quando diventeranno anziani, ma è la madre che cercherà la moglie per i suoi figli ed il fratello di Sherzod accetterà perché questa è la tradizione. Spesso capita che il futuro sposo conosca la data delle nozze, ma senza ancora sapere chi sarà al suo fianco!
Da Fergana raggiungiamo oggi Marghilan cittadina sorta lungo le vie del mercato carovaniero. Che stupendo mercato, tutti volevano regalarci qualcosa, farsi fotografare e fotografarsi con noi.
Spettacolo! Non ho resistito è ho messo un collage di 32 foto, ma dovrebbero essere 200.
Lungo la strada vari forni del pane: è il meraviglioso forno a pozzo tandir, sulle cui pareti sbattono i pani crudi, che restano miracolosamente attaccati in verticale per i pochi minuti necessari, a quelle alte temperature, per cuocere a puntino. Ho già fame.
Poco più avanti raggiungiamo a piedi la fabbrica più famosa del Paese, la Yodgorlik, che utilizza ancora per la produzione gli antichi metodi tradizionali. Visitiamo questa antica e celebre fabbrica di produzione della seta, dove vengono illustrate le fasi della produzione.
Qui si può fare conoscenza infatti con l’arte serica in tutte le sue fasi di lavorazione, dall’allevamento del baco da seta, la preparazione dei fili, la torcitura, la colorazione, dalla filatura e tessitura secondo i metodi tradizionali tramandati per secoli da una generazione all’altra.
La fabbrica è stata fondata nel 1972 ed è la più grande in questo settore per volume di produzione e qualità. Dal 1982 al 1993 era di proprietà pubblica e nel 2000 è stata privatizzata. Nel 1996, quattro dei lavoratori più produttivi sono stati mandati in India per seguire alcuni corsi di “utilizzo di coloranti naturali”. Yodgorlik” è una fabbrica la cui produzione dipende completamente dal lavoro manuale e finora è stata considerata il migliore e unica del suo genere in Uzbekistan. Ci sono 450 persone attualmente impiegate in questa fabbrica e le donne rappresentano il 60%. Circa 6000 metri sono tessuti in un mese. Abbiamo poi visitato il negozio dove vendono tessuti (se devo essere sincera, questo tipo di disegno a fiamma non è di mio gradimento), sciarpe e pashmine.
Prosecuzione per la cittadina di Rishtan che nel corso dei secoli fu conosciuta come la città dei maestri ceramisti ed uno dei centri di maggior rilevanza in tutta l’Asia centrale per la produzione della famosa ceramica smaltata con gamma completa delle sfumature del colore blu e turchese. La lavorazione, secondo tradizione, fu introdotta nel XII sec potendo contare su un ricco giacimento di argilla di qualità nel sottosuolo dell’area a circa 1,5 m di profondità.
A cavallo tra il XIX ed il XX sec. quasi tutti in città erano ceramisti. Oggi ci sono circa 2000 artigiani che producono (con tecniche tradizionali o macchinari moderni) circa 5 milioni di pezzi l’anno. La tipica decorazione è costituita da linee blu e grigie dette iskor.
Noi visitiamo una bottega artigianale di produzione della ceramica per la cui finezza e bellezza la città e la valle di Fergana sono note. Interessante il materiale che utilizzano, cominciando dall’argilla – che recuperano in un loro terreno- a cui va aggiunto il quarzo e la polvere di vetro: il risultato è straordinario.
Anche a pranzo siamo ospiti della Said Akmad ceramica: un pranzo – forse tra i migliori – veramente ottimo sotto una pergola.
Rientriamo a Tashkent intorno alle 20. La strada è lunga e tortuosa e c’è gente che guida come pazzi, anche contromano per sorpassare i camion lenti, e poi pecore, capre, pedoni… di tutto.
Cena al ristorante libanese 1991: mi piace sempre questa cucina.
E’ confermato: non si può partire domani mattina con il volo per Urgench. La compagnia uzbeka ha confermato 5 partenze nel primo pomeriggio e tutti gli altri alle 18.30. Ok, anche con gli imprevisti, la nostra Monica ci organizza la giornata di domani. La capitale offre molto.
Martedì 19 settembre 2017
Ce la prendiamo con comodo, con un nuovo programma per la giornata a Tashkent. Una giovane signora che parla molto bene l’italiano viene affiancata per la giornata e ci farà da guida.
Prima visita al Museo delle vittime della repressione politica a Tashkent , vicino alla grande Torre TV, è il museo che racconta la storia dell’Uzbekistan nel periodo sovietico e si concentra sulla dimostrazione di momenti tragici di persone che sono state uccise dal governo in quei tempi. Mi ha incuriosito l’alberetto in basso a destra: è un gelso innestato in un altro albero e resta nano.
Attenzione: tutte le aiuole in Uzbekistan hanno il basilico, nelle varie specie e profumi come varietà decorativa. Io pensavo, ogni volta che mi profumavo le mani, alla pasta con pomodoro e basilico. Sono italiana! La pasta piace molto anche a Sherzod, il nostro amatissimo uzbeko, perché ha imparato a mangiarla in Italia quando studiava da noi, ma non è promosso, perché vuole spaghetti numero tre (!!?? grrrr).
E’ ancora presto ma la guida ci porta a vedere, e poi abbiamo finito per mangiare, una pietanza nazionale. Il piatto per eccellenza è il plov uzbeko, riso speziato contornato da uva passa, piselli o mele cotogne. Il Plov viene servito durante i matrimoni, e in generale, in occasioni importanti. Realizzato con cipolla, carota, carne e riso, esso era un tempo il piatto della popolazione appartenente alla fascia più ricca, mentre i più poveri si accontentavano di degustarlo il giovedì sera. Disponibile in ben 50 qualità.
Il pentolone è entrato nel Guinness dei primati per la grandezza e la quantità di Plov durante un tradizionale festival culturale. Per ottenere questo record sono serviti 50 chef provenienti da tutto il Paese. Sono stati utilizzati 1.500 chilogrammi di manzo, 400 chili di montone, 2.700 chili di carote, 220 chili di cipolle, 440 litri di olio e 57 chili di sale. Il pilaf è considerato il piatto nazionale dell’Uzbekistan.
Visitiamo il Museo delle arti applicate, che ha sede in un antico palazzo, della fine del XIX secolo, di un ricco diplomatico russo. Il museo, inaugurato nel 1937, raccoglie numerosi reperti (oltre 7000 tra ceramiche, gioielli, manufatti in legno, splendidi vestiti e ricami) e rappresenta uno splendido esempio dell’architettura residenziale della ricca borghesia dei primi anni del 1900. E’ l’edificio in sé – progettato secondo lo stile tradizionale di Tashkent – a risultare più interessante dei suoi stessi contenuti.
Una passeggiata nel pomeriggio in zona pedonale di Tashkent, tra i mercatini con i cimeli dell’Armata Rossa, testimonianza di un passato molto recente, ma alle 18.20, finalmente, partenza in volo con aereo di Francesco Baracca per Urgench, punto d’accesso per la visita di Khiva.
Eccoci a Khiva, patrimonio Unesco, la più intatta e remota città della Via della Seta in Asia Centrale e sorge nel posto dove in tempo vi era un’oasi nel deserto.
Il nostro è l’hotel Asia Khiva in ottima posizione, di fronte ad una delle porte di ingresso della Itchan Kala (ovvero la parte murata della città di Khiva), anche se un po’ datato nell’arredo.
Non ho resistito: mentre gli altri cenavano, alle 22.30 mi sono goduta da sola, (con il telefonino acceso con la pila: la strada è sterrata e piena di buche) le luci della notte e le strade, le mura, il minareto e molti edifici di grande rilievo storico e culturale. Nella parte centrale, però, c’è la pavimentazione, qualche luce, alcuni ragazzi che ti chiedono sempre da dove vieni e come ti chiami.
Che emozione! La cittadella antica, interamente contornata da possenti mura, è veramente un museo a cielo aperto. E’ bello quando tutti i turisti se ne sono andati fare questa splendida passeggiata capace di riportarti indietro, in un tempo totalmente sconosciuto.
Devo essere sincera non avevo mai sentito nominare Khiva ed è stata una grande positiva sorpresa! Da vedere c’è tanto, ma domattina rivedrò Khiva alla luce del sole.
Martedì 20 settembre 2017
Aiaah ho crampi di stomaco. Ma se non ho mangiato ieri sera? Speriamo che passi, intanto bevo tè.
Eccoci nella parte antica di Khiva, la città museo dell’Uzbekistan, (che è stata inserita dall’Unesco nell’elenco dei luoghi considerati “Patrimonio dell’Umanità) si chiama Ichon-Kala ed è circondata da una lunga e possente cinta di mura di fango, lunghe 2,5 Km e aperte da quattro porte.
Meno male che ho goduto la città ieri sera, perché oggi faccio il percorso con il gruppo, ma non godo per niente. Non faccio naturalmente le scale che salgono sul tetto e quelle che portano sul minareto, ma le foto me le passano. Monica ha predisposto un Gruppo ‘Sogno di Tamerlano 2017’ in WhatsApp e tutti noi ci abbiamo messi i filmati – che purtroppo qui non possono essere inseriti – e le foto caratteristiche.
Ci fermiamo ad ammirare il fotografatissimo minareto Kalta Minor, più tozzo che alto, in quanto era la base di un minareto che secondo i piani doveva permettere di vedere fino a Bukhara; peccato che una volta che il khan morì il progetto non fu terminato. Il minareto, iniziato nel 1851, ma mai terminato, è rivestito di maioliche turchesi e doveva essere il più alto del mondo islamico (il progetto era di 70 mt. ma la costruzione è terminata a 26). Oggi però sembra più una ciminiera che un minareto.
Altra tappa molto suggestiva è la moschea Juma che con le sue 218 colonne di legno che sostengono il tetto sembra più simile a un bosco magico che a un luogo di culto.
La Madrasa del Khan Mohammed Amin (scuola coranica) è la più grande del suo genere e poteva ospitare 250 studenti, ma ora è stata trasformata in un albergo.
Abbiamo visto molto altro, ma non ricordo i nomi, e poi stavo veramente male. Per mia fortuna nel gruppo ci sono medici, per cui mi consigliano, anche se poi, sbagliando, faccio di testa mia.
Bella, anche se vista solo all’esterno la moschea estiva di Thre khan, una splendida facciata con colonne e soffitto intagliato e dipinto di rossi, blu e gialli.
Un piccolo angolo del complesso del Palazzo di TashHauli, un esempio mozzafiato dell’architettura secolare asiatica del XIX secolo.
Proprio nella piazzetta di fronte c’è un negozietto dove proponevano ai turisti souvenir. Quante variopinte scarpette di lana hai comperato Lodovico a un euro l’una? Dieci? Tutti regali ai tuoi amici (so che hanno apprezzato).
Pranzo al Ristorante Mirza Boshi, in un bel locale all’aperto, dove io mangio una patata lessa e bevo tè: peccato!
Prima di ripartire alla nostra tour leader portano il completo che hanno tagliato e cucito in due ore: costo complessivo 30 euro.
Lasciamo Khiva che è tutta una maiolica, legno, pietra e mattoni, con le mura di fango e mi è piaciuta tanto tanto la sera quando non c’era nessuno, con un’atmosfera estremamente suggestiva, ma stamattina invece era come S. Marino.
Ancora una breve visita in un negozio artigianale a Khiva e si parte per Bukhara.
Il percorso attraversa il deserto del Kyzyl Kum nella regione di Khorezm, lungo la via che si snoda ai margini del grande letto del fiume Amu Darya, che attraversa il “deserto rosso”, il Kyzyl Kum, una vasta piana coperta di dune sabbiose. Proprio questo era l’antico fiume Oxus descritto da Erodoto e incontrato da Alessandro Magno: non sempre le sue acque sono visibili in questo tratto di percorso, spesso segnato piuttosto da un grande alveo in secca, che regala ugualmente, tuttavia, un paesaggio di insolita bellezza.
Tra le varie fermate abbiamo chiesto una sosta per la vista dei campi di cotone, dato che non ci si poteva fermare dove lo raccoglievano.
Ho letto su Focus:
Il cotone è diventato l’“oro bianco” dell’Uzbekistan, base dell’economia nazionale. Dal 1991, cioè da quando è diventato indipendente, il Paese di Tamerlano è il sesto produttore al mondo del settore, benché sia solo il 56° per superficie. Ogni anno le campagne uzbeke forniscono un milione di tonnellate di fiocchi: 50 chili per abitante. E se invece del cotone prodotto consideriamo quello esportato, il Paese di Tamerlano balza al secondo posto in classifica. Preceduto solo dagli Stati Uniti.
Un miracolo. Ma con effetti collaterali negativi, a volte drammatici. Il più evidente è proprio quello del Lago d’Aral, che era il secondo specchio d’acqua dell’Asia Centrale (dopo il Caspio). Oggi sulle rive del lago ci sono barche e battelli arenati a chilometri dal bagnasciuga: anni fa erano usati per la pesca, oggi sono spettrali cimeli di un disastro ambientale.
Il dramma dell’Aral è aggravato dal fatto che oggi i fiumi portano con sé fertilizzanti chimici e pesticidi, usati dall’agricoltura. Probabilmente la densità di inquinanti nei corsi d’acqua uzbeki non è più alta di quella registrata in certi fiumi europei come Po e Danubio. Ma solo “probabilmente”, perché in realtà nessuno la misura. Inoltre, poiché il lago non ha emissari, tutti i veleni si accumulano in modo irreversibile. La riduzione dell’invaso fa il resto, perché aumenta fatalmente la concentrazione delle sostanze tossiche.
Un altro effetto collaterale dell’”oro bianco” è il lavoro minorile. Che in Uzbekistan non è un fatto occasionale, ma sistematico. In autunno, secondo molte denunce di varie associazioni umanitarie, migliaia di ragazzi dai 7 anni lasciano le scuole per lavorare al raccolto nelle piantagioni, a salari minimi. Tanto che diverse catene commerciali soprattutto inglesi hanno aderito a una campagna per il boicottaggio del cotone di origine uzbeka.
In bus ci siamo ‘goduti’ 500 km in 7 ore e mezza su una strada lungo il deserto sino a Bukhara : 280km sono stati costruiti da russi, 140 dai coreani e gli ultimi 80 i peggiori. Tutta una buca: per seguire l’asfalto il bus faceva movimento ondulatorio e sussultorio. E’ un fondo stradale totalmente dissestato. Il giusto paragone sono le montagne russe, solo che il giro in giostra dura 2/3 minuti, questo faticosissimo trasferimento, soprattutto per me, è durato troppe ore, mettendo a dura prova nervi e stomaco.
Io stavo veramente male, ma ho tenuto duro sino alla fine, poi arrivati a Bukhara all’hotel Dargoh il mio stomaco ha deciso finalmente di liberarsi e darmi tregua. Per stasera solo tè. Gli amici invece sono andati a cena in una casa tipica ‘Rahmon’.
Mercoledì 21 settembre 2017
Il Dargoh è un piccolo albergo, semplice, aperto da poco tempo e non sono molto organizzati, ma è di una comodità unica: siamo nel centro storico, in una stradina a 50 metri dalla piazza col laghetto. Mi vien da ridere perché Monica ha gentilmente tirato loro le orecchie e ha dato loro delle dritte per migliorare il servizio e già il giorno dopo avevano attentamente dato esecuzione ai suggerimenti. Brava Monica!
Intera giornata dedicata alla visita di Bukhara, città museo sopravvissuta nel tempo.
Bukhara è la città più sacra dell’Asia centrale. Possiede edifici millenari e un centro storico che è cambiato poco nel corso dei secoli. Fu quando era capitale dello stato samanide (IX e X secolo) che essa, considerata il “pilastro dell’Islam”, fiorì come centro culturale e religioso dell’Asia centrale. Nel 1220 la città fu espugnata da Gengis Khan e nel 1370 cadde sotto l’influenza di Tamerlano, rinascendo a nuova vita artistica e culturale nel 1500, quando divenne capitale del khanato di Bukhara. Allora la città doveva essere davvero splendida: possedeva decine di bazar e caravanserragli, oltre 100 Medresse, le celebri scuole coraniche (con almeno 10.000 studenti) e più di 300 moschee! Il lento declino della Via della seta fece spegnere lentamente la città, finché, nel 1753, Muhammad Rahim, rappresentante locale di un sovrano persiano, si proclamò emiro, fondando la dinastia Manghit, destinata a durare fino all’arrivo dei bolscevichi.
La prima visita è al Mausoleo di Ismail Samani : il più antico monumento di Bukhara. Situato fuori dalla città vecchia nel parco Kirov, è la tomba di Ismail ibn Ahmad che regnò dal 892 al 907 e fu tra i primi nel mondo dell’Islam a farsi costruire un monumento funebre ricco e sontuoso. Il mausoleo è in mattoni e ha una forma architettonica originale poiché si presenta come un cubo sul quale è stata sovrapposta una semi-sfera. La disposizione dei mattoni ha 18 angolazioni diverse e crea sui muri contrasti di luci e di ombre che variano secondo l’intensità della luce esterna.
E poi al mercato: che gioia!
Appena fuori del mercato, ecco il Mausoleo di Ismail Samani, Kashma-Ayub , luogo sacro con l’acqua della “sorgente di Giobbe”, ritenuta curativa, ma è chiuso, lo stanno ristrutturando.
Raggiungiamo quindi la splendida Moschea Bolo Hauz che sorge accanto ad una vasca situata di fronte all’ingresso della fortezza Ark. Era il luogo ufficiale di culto degli emiri e la sua costruzione risale al 1718. E’ preceduta da un grande portico adornato da venti colonne di legno intarsiato di pioppo, noce e olmo, che sorreggono un soffitto a cassettoni di splendida e raffinatissima fattura. Veniva chiamata moschea delle 40 colonne perché le venti colonne in legno intagliato che ornavano la facciata specchiandosi nel bacino d’acqua raddoppiavano di numero. Splendido anche l’interno.
La colossale Fortezza Ark, di cui rimangono impressionanti mura restaurate dai sovietici, è la costruzione più antica di Bukhara. Era una città regale all’interno della città, e fu abitata fino al 1920, anno in cui fu bombardata dall’Armata Rossa. La cittadella è circondata da colossali mura, in buona parte restaurate e che danno ancora un’ottima idea del suo splendore di un tempo.
Vi si accede tramite una scalinata, che termina con un solenne portale. All’interno scopriamo subito la Moschea Juma (del Venerdì), che risale al 1500, mentre, girando sulla destra si incontrano gli antichi appartamenti del kushbegi (cioè il primo ministro) dell’emiro, che oggi ospitano una mostra di reperti archeologici. Più avanti, sulla sinistra, si entra poi nella parte più antica della cittadella, la corte delle udienze e incoronazioni, l’ultima delle quali fu quella di Alim Khan nel 1910. Questo ambiente (chiamato Kurnish Khana) fu costruito intorno al 1605 e presenta un portico di colonne lignee intagliate, che protegge un trono marmoreo e un baldacchino. La camera nascosta che si trova sulla destra, guardata da un leone in marmo, era la sala del tesoro, dietro alla quale c’era l’harem. Gli altri ambienti del forte sono oggi stati destinati a vari musei, fra i quali è interessante quello che illustra la storia di Bukhara nei secoli.
Di fronte alla fortezza si apre il Registan, ma prima, proprio sotto le mura dell’Ark, hanno abbattutto tutte le vecchie abitazioni perché vogliono costruire un mercato coperto con le cupole, come i caravanserragli di un tempo.
Il Registan è la principale piazza medievale della città con la Moschea del venerdì, la scuola coranica e il minareto che sono tra i monumenti più caratteristici di questa favolosa città Unesco.
La definiscono il “luogo sabbioso” dove dal XV secolo fino ai primi decenni del XX i cittadini erano soliti riunirsi per affari, istruzioni, preghiere e dominata dal Minareto di Kaljan , simbolo della città. Alto 49 metri, diametro alla base di 9 metri e fondamenta che scendono al terreno per oltre 10 metri, venne costruito nel 1127 come torre di avvistamento, come loggia da cui chiamare i fedeli alla preghiera cinque volte al giorno e come torre per le esecuzioni capitali poiché dalla sua cima venivano gettati i condannati a morte. Il minareto è fatto di mattoni coperti di stucco ed è ornato a varie altezze da strisce colorate e lucide in cotto smaltato.
Si prosegue in zona pedonale, ma alcuni percorsi sono interdetti in quanto stanno rifacendo tutta la pavimentazione. Nel Medioevo Bukhara era una grande città commerciale con tante bancarelle e caravanserragli e si potevano subito scoprire per la forma dei tetti a cupola. All’interno bazar o mercati, ognuno dei quali si specializzava nella vendita di un prodotto particolare all’interno dei ‘toq’, le famose cupole dove si poteva go-dere il fresco anche nelle giornate più calde e ancor oggi sono conservate le cupole dei gioiellieri, dei cambiavalute e dei venditori di cappelli.
L’Abdulaziz-khan madrasah, che si trova di fronte alla Madrassah di Ulughbek a Buhara, è stata costruita nel 1652. Queste due madrasah compon-gono un unico complesso ar-chitettonico chiamato Kosh Madrassah . C’è molto da ristrutturare nelle due madrasse..
Di grande interesse è la decorazione di muri con immagini che sono state innovative nell’architettura tradizionale di quel tempo . Il portale della madrassa è ornato con il drago cinese e Semurg, un leggendario uccello persiano (dato il noto divieto islamico di rappresentare esseri viventi).
Prima di rientrare in hotel e pranzare al Ristorante Suzanna, ci fermiamo nella ex Moschea Maghoki-Attar: la più antica moschea dell’Asia centrale ed oggi è un museo della storia del tappeto, dove sono esposti molti tappeti uzbeki e dell’estremo oriente.
I tappeti Bukhara sono tra i più conosciuti in tutto il mondo. Sebbene alcuni motivi decorativi che ornano i tappeti siano originari di questa città, i famosi tappeti di Bukhara, tanto apprezzati in Occidente, in realtà vengono realizzati in Turkmenistan, che un tempo faceva parte del khanato di Bukhara. Bukhara sono considerati i senza tempo, il loro impianto di disegno è pressoché immutato da secoli.
Molti turisti giudicano Bukhara più bella di Samarcanda. Probabilmente questo giudizio deriva dal fatto che Bukhara, contrariamente a Samarcanda, si è conservata meglio nel quartiere storico. Questo è sicuramente vero, come è vero che Bukhara è uno degli insediamenti più antichi nell’Asia Centrale. Con i suoi edifici millenari ed un centro storico tuttora abitato (che non è cambiato molto nel corso degli ultimi due secoli) Bukhara è un esempio unico delle città lungo la Via della Seta.
E alla sera cena nel ristorante tipico Adras con breve spettacolo, ma io continuo a bere tè.
Uno degli angoli più suggestivi della città è la Lyabi-Hauz, una piazza costruita intorno ad una grande vasca nel 1620, il cuore e il centro catalizzatore della città, ed è a due passi dal nostro hotel. La piazza, vissuta dalla gente del posto secondo antiche tradizioni, è adornata da gelsi secolari e su di essa si affacciano importanti monumenti. Sul lato est si affaccia l’imponente facciata della Medressa di Nadir Divanbergi, nata come caravanserraglio e trasformata dal khan in madrasa nel 1622. Nell’ampio cortile interno negozietti di prodotti artigianali.
Gente allegra, canta e balla.
Sempre nella piazza si trova la statua di Hoja Nasruddin a cavallo di un asino, e i locali fanno la fila per fare una foto con Hoja che era un Mullah e a lui sono legate una serie di ironiche storielle con perle di saggezza popolare.
Giovedì 22 settembre 2017
Un’altra notte a Bukhara all’Hotel Dargoh. Ci piace.
Torniamo tutti insieme nella piazza per commentare la facciata della Medressa di Nadir Divanbergi. La fascia in alto del portale d’ingresso è stranamente decorata con due Simurgh (cioè l’Araba Fenice) che si fronteggiano, sotto le quali si vedono due cervi di foggia diversa e uno solo dalle fattezze umane in cima.
In bus per fare 500 metri e poi si cammina lungo strade sterrate e a un certo punto, come un miraggio, ecco spuntare da sopra le terrazze delle case 4 pennarelli verde/turchese. Straordinario il Chor Minor, costruito nel 1807 con i fondi del ricco mercante turcomanno Khalif Khoudoïd copiando in scala ridotta una moschea che aveva visitato in India. Attualmente è in ristrutturazione sia l’interno che la vasca esterna dell’acqua. Chor-Minor viene tradotto come “quattro minareti”. Questo nome è ben giustificato: gli angoli dell’edificio quadrato-rettangolare di madrasah sono veramente decorati con quattro minareti piccoli coronati da cupole azzurre, diverse in decori l’uno dall’altro.
Ognuno dei quattro minareti è di diversa forma. Gli elementi di decorazione delle torri si ritiene riflettano la comprensione religioso-filosofica delle quattro religioni del mondo. Almeno è facile vedere che alcuni elementi sembrano una croce, un pesce cristiano e la ruota di preghiera buddista.
Si raggiunge quindi Qasr-I-Arifan, appena fuori Bukhara, considerato il più importante santuario religioso della città. È senza dubbio la meta di pellegrinaggio più visitata a Bukhara per vedere la tomba di Baha Al-Din Al-Naqshbandi, morto nel 1389, che si distingue come uno dei più grandi filosofi mussulmani e mistici del Medioevo in Asia Centrale. Le sue idee e l’influenza sarebbero poi diffuse ben oltre l’Uzbekistan.
Se nella vita vai per 7 volte a Bakha Ad-Din Nakshbandi, il complesso commemorativo del protettore di Bukhara, è come andare alla Mecca una volta.
E’ usanza posizionare a fianco della tomba di un personaggio ritenuto Santo, una grande pertica sormontata da una coda di cavallo. Attorno a quella di Nakshbandi ruotano 3 volte i pellegrini credenti.
Le donne vogliono tutte essere fotografate e si mettono in posa.
A 4 km. da Bukhara ecco la residenza estiva di campagna degli emiri: Sitorai Mokhi Khosa. Il complesso è stato costruito nei primi anni del 1900, voluto dall’emiro di Bukhara come sua residenza estiva. Il nome significa “giardino delle stelle e della luna”. Nel Palazzo d’estate si possono ammirare e godere la tranquillità dei giardini in cui vivono alcuni pavoni e vengono coltivate diverse qualità di rose. Il sito è sotto protezione dell’Unesco. Molto elegante, con affreschi, stufe olandesi, vetri colorati, specchi, ed è stato costruito in un mix di stili architettonici orientali e occidentali. Il palazzo è stato trasformato in un museo e le stanze del palazzo ospitano un museo che racchiude vestiti, oggetti del passato, tesori provenienti da Cina, Russia e Giappone.
Il Museo di arti decorative e applicate è in un edificio dove un tempo venivano ospitate le delegazioni straniere, comprende le seguenti mostre permanenti:
. mobili, porcellane cinesi e giapponesi, dei gioielli e oreficeria locale.
. abbigliamenti ricamati in oro.
. ricami e piatti della fine del XIX e l’inizio del XX secolo (tappeti, biancheria, ceramiche, ecc . )
Particolare il burka uzbeko. Le donne lo hanno indossato (coprendo la testa) sino al 1980. Il viso veniva nascosto dal crine di cavallo.
L’emiro quando faceva troppo caldo andava in fondo al giardino del palazzo di campagna dove, isolato, aveva un palazzo a due piani con piscina dove aveva sistemato l’harem di 40 concubine, le quali passavano il tempo ricamando e… aspettando il proprio turno.
A pranzo al ristorante Bella Italia, dove io ho continuato a bere tè e mi sono persa dei buoni piatti locali ed una fetta di pizza.
Relax dopo pranzato in hotel, ma io non resisto ed esco da sola: devo godermi Bukhara, girovagando senza meta, fuori dai soliti percorsi.
Bukhara la città gialla, la città più sacra dell’Asia centrale, dove Marco Polo si fermò per ben tre anni!
Parto dalla piazza Lyabi-Hauz, con la sua grande vasca, l’unica rimasta delle circa 200 che permettevano l’approvvigionamento idrico di una città semidesertica, nata migliaia di anni fa, chissà per quale ragione, a centinaia di chilometri da qualsiasi corso d’acqua. Il suo ruolo di crocevia dei mercanti si intuisce da subito dai grandi bazar coperti che si attraversano. I bazar coperti, oltre ad essere molto freschi in questa stagione calda sono realizzati con delle soluzioni architettoniche molto ardite da un punto di vista di tecnica delle costruzioni, in particolare in relazione alla formazione delle cupole e degli archi ed al passaggio nelle volte da forme geometriche poligonali a circolari.
Basta uscire 100 metri dalla piazza e si è in un altro mondo. Case fatiscenti, strade di terra battuta, al massimo con due palate di cemento, scarichi. Questa è la parte che sembra poco abitata, invece tutte le case hanno un cortile interno con un pergolato e si può sbirciare dentro solo se qualcuno entra od esce. Si vedono bambini solo quando escono da scuola, non si vedono giocare per strada.
I quartieri più popolari di tutte le cittadine uzbeke si sviluppano in un dedalo di viuzze in terra battuta, spesso disconnesse e ricolme di resti di materiali da costruzione. Le casette hanno un piccolo cortile interno racchiuso da un alto muro di cinta, circondato da un porticato in legno decorato (aiwan), adornato con piante, alberi da frutto e gli immancabili tapchan per la siesta. Le acque grigie di uso domestico vengono convogliate in una stretta canaletta che scorre a cielo aperto lungo il percorso delle stradine. Sopra la testa dei passanti, in barba alle più elementari norme di sicurezza, c’è un reticolo di fili e cavi destinato alle varie utenze.
Ancora giovani sposi in città per il servizio fotografico. Ritorno in piazza, fa molto meno caldo alle 18. Arrivano i venditori di tappeti e ceramiche. Ho comperato solo banane che mangerò per cena. Cena all’aperto al ristorante Old Bukhara: la temperatura è perfetta. Un tizio sembra la controfigura di Hoja a cavallo di un asino della Piazza Lyabi-Hauz. Alla cena partecipa anche Vittoria, moglie di Sherzod. Loro abitano a Bukhara. Lei è russa, ma parla benissimo l’italiano (in Italia ci è stata più volte) anche perché fa la guida turistica in città.
Venerdì 23 settembre 2017
Lasciamo Bukhara: mi è piaciuta tanto, tanto. Nonostante sia stata sottoposta negli ultimi anni ad invasive opere di restauro, è riuscita a conservare il fascino ed il carisma che aveva catturato anche l’anima dei fratelli Polo.
Si va…. su strade bruttine, ma deserte, ecco anche uno stabili-mento per la produzione del gas, di cui l’Uzbekistan è un buon produttore. Tutte le auto qui vanno a gas. Quanto ad auto c’è uno stabilimento di produzione della Chevrolet, per cui molte delle auto in circolazione sono di questa marca.
Lungo la strada vediamo centinaia, forse migliaia, di casette tutte uguali quasi tutte vuote, tutte con lo stesso progetto: sono case popolari molto piccole che lo stato ha fatto costruire per le giovani coppie.
Raggiungiamo in bus dopo 265 km. Shakhrisabz, la città verde. Dai tempi di Alessandro Magno vi era una sorta di scorciatoia carovaniera che conduceva a Samarcanda attraverso un valico montano che passava da qui.
Il centro storico di Shakhrisabz è incluso nella lista dei siti patrimonio dell’Umanità dell’UNESCO.
E’ questa la città natale di Tamerlano, leggendario fondatore della dinastia Timuride che regnò in Asia Centrale e nella Persia orientale dal 1370 al 1507, la città che è stata uno dei centri della diffusione dell’islam.
La storia della città di Shakhrisabz copre un periodo di piu di 2000 anni. Gli scavi archeologici mostrano che già nel corso dei secoli 6-7 nella parte sud-ovest della città venivano costruite edifici importanti.
L’impatto con il luogo è stato uno spettacolo di esuberante bellezza: cupole meravigliose, ceramiche finemente decorate (anche se in parte ristrutturate) con mille tonalità (dal verde, al blu, all’azzurro) che ti stordiscono.
Ecco il complesso di Dorut Tilavat (Casa della meditazione) che venne costruito nel XIII secolo dopo la morte del leader religioso Shamsiddin Kulal, fondatore del Sufismo. Visita della Moschea, del Mausoleo e della cripta di Tamerlano.
Tra i monumenti di Shakhrisabz ecco la residenza estiva di Tamerlano Ak Saray di cui sfortunatamente sono rimaste solo tracce delle due torri di 65 metri composte di mosaici in ceramica blu, bianca e oro: deve essere stato un’opera ciclopica straordinariamente bella. Le imponenti dimensioni del palazzo sono caratteristica della politica dell’architettura dell’epoca timuride: un’iscrizione sul portale dice “Se avete dei dubbi sul nostro potere, guardate i nostri edifici“, aveva lo scopo di impressionare i visitatori stranieri. Abbiamo memoria di un ambasciatore spagnolo dell’epoca che è stato sorpreso e affascinato dal miracolo architettonico e ne ha lasciato una descrizione dettagliata.
Il palazzo, costruito intorno al 1400, venne distrutto già nella seconda metà del XVI sec. e si pensa che metà della città vecchia sia stata eretta con i mattoni dell’Ak Saray. E’ patrimonio Unesco. Pranzo al ristorante Kish Mish e poi si parte perché abbiamo 110 km. prima di arrivare a Samarcanda e la strada non è delle migliori. Ci fermiamo lungo la strada per fotografare le montagne e subito accorrono i bambini per le caramelle offerte. E arriviamo in serata a Samarcanda all’Hotel Registan Plaza, sembra un albergo di Las Vegas. Cena in albergo. Ma dopo cena non resistiamo. A piedi arriviamo sino al Registan, l’antico centro commerciale della Samarcanda medioevale, perché è ancora il cuore del centro cittadino. Purtroppo non è illuminato, ma è il luogo più fotografato dell’Uzbekistan ed io godo lo stesso. Inserirò la foto domani.
Arrivando abbiamo sentito nelle vicinanze musica a palla e ci siamo avvicinati per capire se era un matrimonio. In effetti la sala matrimoniale è addobbata sontuosamente e un’orchestra suona, una cantante si fa sentire, gli sposi ballano e molti dei presenti fanno circolo. Siamo stati invitati e avremmo potuto essere ospiti d’onore – gli stranieri sono di buon auspicio per gli sposi – e partecipare a un vero e proprio banchetto con decine di portate per poi essere trascinati nelle danze dove, complici le numerose bottiglie di vodka, uomini e donne fino ad allora seduti in tavolate separate si scioglieranno in balli e canti. Il tutto sotto gli occhi compassati della sposa che secondo il cerimoniale asiatico deve rimanere impassibile per tutta la durata della festa. Avanti…a nanna!
Sabato 24 settembre 2017
“Samarchan è una città nobile, dove sono bellissimi giardini, e una pianura piena di tutti i frutti, che l’uomo può desiderare. Gli abitanti, parte son Cristian, e parte Saraceni, e sono sottoposti al dominio d’un nepote del Gran Can.” Cosi scriveva Marco Polo ne “Il Milione” raccontando il suo viaggio.
Giusto per dare una dimensione del valore storico di Samarcanda: è una delle città più antiche del pianeta: 2500 anni di storia e coetanea dell’antica Roma. Qui sono passati da Alessandro Magno a Gengis Khan, a Tamerlano.
Ore 8.45 si parte per la conquista del mito. Prima tappa Il Mausoleo di Gur Emir ospita la tomba del Tamerlano e dei suoi familiari. Nel XIV sec Tamerlano fece di Samarcanda la capitale del suo impero. Nell’arco di alcuni decenni riuscì a creare un vasto impero che si estendeva dall’India al Mediterraneo. La sua nuova architettura con enormi portali ad arco, alte cupole azzurre e raffinate mattonelle smaltate ha fatto nascere lo stile imperiale centroasiatico. Il mausoleo di Tamerlano è il luogo dove lui è sepolto, due dei suoi figli e due dei suoi nipoti. In realtà aveva dato disposizioni per costruire una cripta per lui a Shakhrisabz, però quando morì di polmonite nel Kazajstan, mentre progettava una spedizione contro la Cina durante l’inverno del 1405, il passaggio per Shakhrisabz era bloccato per la neve, e così fu sepolto a Samarcanda, in un edificio che, a quanto pare, lui aveva destinato a figli e nipoti.
Naturalmente è nella parte vecchia di Samarcanda che ci sono i monumenti da vedere e naturalmente si tratta di monumenti bellissimi. A cominciare dal Registan, un complesso di madrase (le scuole coraniche) maestose e imponenti. Gli edifici sono adornati da mosaici di lapislazzuli. Un gioco di incastri armonioso che rende quest’insieme di madrase uno dei monumenti più straordinari dell’Asia centrale. Questo era il centro commerciale della Samarcanda del medioevo. E’ costituita da tre grandi scuole coraniche:
– La Madrassa di Ulug Bek è la più antica, terminata nel 1420, al cui interno si trovano mosaici rappresentanti temi astronomici,
– la Madrassa Sherdar completata nel 1636 , con mosaici rappresentanti dei leoni un esempio unico dell’arte islamica che vieta la rappresentazione di figure sia umane che animali,
– la Madrassa Tilla Kari ha la particolarità di avere dei rivestimenti d’oro e un cortile molto piacevole al suo interno.
All’interno delle madrase si aprono poi cortili, ballatoi e cellette, in un insieme architettonico allo stesso tempo imponente e armonioso, dove ora ci sono negozi con prodotti artigianali e anche molto particolari, come le piastrelle e il negozietto di strumenti musicali.
Ma la piazza è bella anche per la gente. Ti siedi e guardi chi passa….e un mondo ti passa davanti.
Tutto il complesso del Registan è da fotografare nei particolari, anche la ragazzina uzbeka con le sopracciglia unite mi colpisce, ma aggiungo solo una colonna in fase di ristrutturazione che ha una intercapedine tra i mattoni e l’esterno.
Poi a pranzo all’Old City: sempre molta verdura e carne. Curioso che cucinino anche intere teste di aglio, che vanno mangiate. Oggi finalmente ho pranzato: tregua al mio stomaco, ma non ho bevuto la vodka.
Il monumento più grande di Samarcanda è sicuramente la moschea Bibi-Khanym: gigantesca, la sola porta principale era alta trentacinque metri. Probabilmente quando fu costruita (su ordine della moglie di Tamerlano) intorno al 1400 era una delle maggiori del mondo islamico. Si trattò di un’architettura al limite delle possibilità per quanto consentito dalle tecniche costruttive di allora. Il che fu anche la sua rovina; l’edificio crollò definitivamente nel corso del terremoto del 1897. Quella che si presenta oggi al fedele e al visitatore non è pertanto la moschea originale: gravemente danneggiata dall’incuria e dal sisma che devastò Samarcanda, fu ricostruita a partire dal 1974 dal governo filo-sovietico della Repubblica sovietica di Uzbekistan, e ancora oggi non è stata completata, sebbene sia in larghissima parte accessibile.
E poi, appena fuori della moschea, siamo al Bazar Siab, che è uno dei più antichi mercati colorati e brulicanti dell’Asia centrale. Camminandovi si ha l’impressione che la macchina del tempo si sia messa in moto, e che i tempi d’oro della via della seta non siamo mai finiti.
Proseguiamo con la visita della necropoli dei nobili Shaki Zinda, monumento funebre che non ha eguali in tutta l’Asia centrale. Situata sul pendio della collina dell’antica Samarcanda domina maestosamente la città medioevale fondata da Tamerlano. La tomba di Kusama ibn Abbas, il cugino del profeta Maometto è la sepoltura più antica del sito.E’ un luogo molto suggestivo dove sono sepolti anche i famigliari di Tamerlano, oltre ai nobili e i reggenti della città. I mausolei sono coperti di piastrelle molto raffinate, rivestite con smalto e il colore è superlativo.
A cena al ristorante Noviy Arbat. Locale in tipico stile sovietico molto kitsch.
E dopo cena, prima di rientrare in hotel, ecco due immagini di Samarcanda by night.
Prima abbiamo rivisto illuminati il Mausoleo di Gur Emir, poi il Registan con i colori verde e azzurro, dalle cupole brillanti, che vengono annoverate tra le meraviglie del mondo più incredibili che si possano vedere, ed è vero.
Poesia allo stato puro, in un mix tra architettura, ingegneria, pittura e romanticismo.
Peccato che sia stato quasi tutto ricostruito negli ultimi decenni a causa dei terremoti che hanno devastato la nazione. Sarei comunque rimasta ore e ore all’interno del complesso con la mente che viaggiava a epoche lontane.
Domenica 25 settembre 2017
Oggi si va all’Osservatorio Astronomico di Ulugh Beg, costruito nel 1420. Ulugh Beg, governò la regione edificandovi svariati punti studio inerenti le scienze e l’approfondimento della matematica e dell’astronomia. Sorge su una collina da cui si gode un bellissimo panorama sulla città vecchia. Della struttura originaria, recentemente ristrutturata, resta una parte dell’astrolabio di 30 metri.
Eih abbiamo un pezzo da 90 nel gruppo, anzi ne abbiamo più di uno. Qui si sente come a casa la cara Loretta, astrofisica di fama mondiale, alla quale è stata dedicato anche il nome di una asteroide. Già che ci siamo…e Alberto? Campione italiano motocross per 9 anni! E poi, e poi, gli altri nascondono la propria vera identità, ssssttt: Piero, Susi, Angela, Lodovico, Marisa, Fernanda, Beatrice, Mauro, Loredana, Rosy ed io, Paola.
Si prosegue sino al centro di manifattura della carta Meros, prodotta sin dall’antichità dalla pianta del gelso. La carta di Samarcanda era famosissima in Asia per qualità e durata. Bella la presentazione delle varie fasi di lavorazione, bella la location con i canali d’acqua corrente che fanno girare il mulino.
Naturalmente hanno un negozietto con tipici prodotti fatti con la carta.
Poco fuori Samarcanda, sulle sponde del fiume Siob, sorge, in un piccolo edificio alla sommità di una collinetta, la Tomba del profeta Daniele, un sarcofago lungo ben 18 metri. Le sue dimensioni dipendono dalla leggenda che il corpo del santo cresce di un centimetro l’anno, per cui il sarcofago deve essere continuamente allungato. Le sue spoglie (che risalgono al V sec.) furono portate qui dallo stesso Tamerlano, in segno di buon auspicio, dalla località di Susa, in Iran, dove c’è quella che si sostiene essere la vera tomba del profeta.
Il Museo dell’Afrasiab, invece, a nord di Samarcanda, racconta la storia, la vita, la cultura e le tradizioni delle persone che vivevano in questa zona in tempi diversi e lasciarono il loro marchio sotto forma di opere d’arte, utensili e strumenti. Tra i manufatti si trovano infatti i resti di antiche spade, ossari, coltelli e altri oggetti appuntiti, frecce, monete, ceramiche, antichi manoscritti e libri, statue e altri oggetti antichi della vita quotidiana. I reperti di grande valore storico conservano frammenti di affreschi del palazzo di Samarcanda, appartenuto alla dinastia Ihshidas, che ha governato qui nei secoli VII-VIII. In particolare, le pareti sono state conservate quasi completamente con scene della vita dei governanti. Ringrazio Metamondo: mi ha dato il diploma di partecipazione.
E poi siamo andati al Ristorante Istiqlol, molto elegante, fra i top di Samarcanda. Una visita ai Magazzini Gum: come quelli di Mosca 35 anni fa! Ci sono solo cineserie. Dopo una breve passeggiata in centro si va in stazione. Abbiamo la prenotazione sul treno veloce che da Samarcanda porta a Taskent. Il controllore a un certo punto chiama ‘’Paola Pascotto, Paola Pascotto..’’. Avevo cambiato posto e a lui è risultato subito lo scambio, non so come. Si viaggia comodi a 230 km/h e arriviamo in due ore e mezza alla capitale, dove ci ha raggiunto, nel frattempo, l’autista del bus che invece ha fatto il percorso stradale con le nostre valigie.
Ultima cena al Ristorante Piligrim, con spettacolo.
Siamo arrivati alla fine del nostro viaggio. Si va in hotel, sempre al Lotte, per l’ultima notte in Uzbekistan.
Lunedì 26 settembre 2017
Sveglia nel cuor della notte (h 4) perché il nostro aereo parte alle h 8.15 per Istanbul.
Salutiamo Scherzod, la nostra gentile guida. E’ ancora giovane, si è molto documentato e sa rispondere su qualsiasi argomento inerente la storia e i luoghi visitati. Dovrebbe solo, e questo è un suggerimento per il quale lui non si deve offendere, parlare con una vibralità descrittiva, senza appiattimento delle descrizioni.
Si parte, ciao Uzbekistan.
Tra Taskent e Istanbul mi sono solo divertita solo a fotografare la gente: stanca, annoiata, addormentata. Troppa attesa a Istanbul, ma finalmente alle 19 siamo a Milano. Grazieee Monica, medaglia alla nostra tour leader! Grande una volta e mezza l’Italia, l’Uzbekistan è ancora un paese misterioso fuori dalle grandi rotte turistiche. Eppure racchiude una storia millenaria fatta di straordinari incroci culturali e religiosi che vale la pena di scoprire. La semplicità e la genuinità di questo popolo, per fortuna non è ancora corrotto dalla occidentalizzazione. Alla prossima, ciao… P.S. per l’elaborazione di questo diario ho acquisito molte informazioni e notizie dal web, tenendo conto naturalmente delle dotte spiegazioni del nostro amato Sherzod.