Kaliméra Karpathos 2
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Partiamo dunque alla ricerca di sabbia e acqua, di quell’acqua cristallina e dai mille pesci colorati che nelle nostre zone non si riesce a trovare. La costa vicina all’hotel è stupenda e si rivela come quel compromesso che cercavamo tra relax e movimento. Vi sono infatti tre spiagge, tre calette, tutte diverse: Mikra Amoopi, la più piccola come suggerisce il nome, dal suolo sabbioso e dagli ombrelloni di paglia; Mega Amoopi, la più grande e attrezzata e infine la ciottolosa spiaggia di Votsalakia. La cosa che rende unico questo tratto di costa è la presenza di locali, taverne e bazar dai prodotti tipici proprio lungo la spiaggia. È qui che abbiamo degustato i migliori piatti di carne (l’autoctono “souvlaki”, simile al nostro spiedino di carne) accompagnati dalla famosa salsa “tzaziki” allo yogurt e spezie; è qui che la notte di San Lorenzo siamo riusciti a vedere le stelle cadenti, dopo anni di tentativi nei nostri cieli, disturbati e molestati dalle luci artificiali che appartengono al nostro vivere comune. Decidiamo quindi di goderci la tranquillità del posto anche per il giorno seguente, temendo che possa svanire come le cose belle sono solite fare.
terzo giorno
Noleggiato il quad (un po’ malconcio ma funzionale) presso “Million motorbike” (gestito da due ragazzi simpaticissimi e disponibili, che ci hanno dato un sacco di dritte utili alla nostra avventura), partiamo alla volta di Pigadia, capoluogo e fulcro commerciale dell’isola, piccola Caorle greca, per salire su una delle barchette turistiche ormeggiate al porto che ci consentirà di far tappa su alcune delle spiagge più belle della costa est, talvolta difficili da raggiungere via terra: Achata, la piccola ma magica baia dalle rocce che scendono quasi a strapiombo sul mare; Apella, dai colori definiti e contrastanti verde e bianco, soprannominata non a caso “i Caraibi del Mediterraneo” e onorata del titolo di miglior spiaggia mediterranea nel 2008; Agios Minas, dai piatti e sottili sassi. Per concludere in bellezza una tal giornata all’insegna del profondo blu, decidiamo di cenare alla taverna Helios ad Amoopi dove ci vengono offerte le famose “loukoumades”, ossia ciambelle fritte al miele e cannella, che ci addolciscono il palato prima di un lungo riposo necessario per ciò che ci avrebbe atteso il giorno seguente.
quarto giorno
Decidiamo, incoraggiati da un cielo ceruleo e pulito, dopo aver fatto il pieno (memori della presenza di soli due distributori su tutta l’isola e, inoltre, vicini tra loro) e muniti di un’unica cartina geografica minuscola, in quanto retro di un annuncio pubblicitario, di spostarci in direzione sud. La prima località che troviamo è Afiartis, regno di Eolo e patria dei surfisti, dalla spiaggia divisa in tre calette: Devil’s Bay (Baia del Diavolo), dove spira un vento più forte (in realtà il vento che soffia sull’intera isola, e in particolare qui, il Maltemi, nell’estate torrida che abbiamo appena passato si è rivelato come un innocuo venticello che regala una docile tregua, ma gli abitanti del luogo ci hanno confermato che questa del 2012, è stata un’eccezione!), la Gun Bay (Baia del Cannone) e la Chicken Bay (Baia di Pollo), chiamata così perché vi si danno lezioni di surfing ai principianti e in particolare ai bambini. Proseguiamo seguendo la nostra tabella di marcia avvicinandoci alla zona dell’aeroporto dove molti resoconti turistici nel web segnalavano la presenza di una spiaggetta isolata da tutto e da tutti; un piccolo cartello dallo sfondo azzurro e dalle lettere bianche “spennellate”, ci avvisa di essere finalmente arrivati a Diakofti (attenzione a non confonderla con Diakostis, nel lato ovest dell’isola), un tratto di costa dalla spiaggia dorata e dai fondali pieni di conchiglie e pesciolini variopinti, un’insenatura ellenica dimenticata da Dio, dove in piena stagione estiva, accoglieva come unici, affascinati visitatori i sottoscritti e un’altra coppia di inglesi attempati ma sorprendentemente nudisti! È inutile esporre il motivo per cui abbiamo riposto per un po’ la scaletta di viaggio, godendoci il sole, la tranquillità e l’infrangersi delle onde sui nostri piedi assetati di refrigerio. A malincuore, ma con tanta voglia ancora di esplorare questa magica isola, siamo partiti poi alla volta di Agrilaopotamos, sulla costa sud-ovest (tanto che da qui è facilmente visibile l’isola di Kassos, la più meridionale del Dodecaneso), curiosi di visitare la famosa “Kantina Manolis”: il mio ragazzo, enologo, sperava di poter scoprire e imparare i segreti della tradizione vitivinicola greca ma, divertiti, abbiamo scoperto che si trattava di una sorta di “roulotte” adibita a bar, molto molto rustica, con un piccolo frigo per le bibite ghiacciate. Al vederlo abbiamo pensato a tutti i controlli igenico-sanitari e alle conseguenti multe che si scatenerebbero da noi in Italia ma la simpatia del proprietario (Manolis, appunto) e dei suoi clienti (tra cui alcuni italiani che frequentano assiduamente l’isola) ci hanno fatto cambiare decisamente idea, ritenendolo un posto umile ma genuino. Abbiamo poi proseguito, su una strada sterrata (agibile per quad, ciclomotori e auto…) per raggiungere Agios Theodoros, una splendida baia disposta al termine di un ripido e ghiaioso promontorio (raggiungibile a piedi), dai pochi ma rustici ombrelloni in paglia e dai ciottoli piccoli e levigati, dove ci siamo concessi un bagno “d’esplorazione” (copiosa infatti era la fauna ittica, soprattutto vicino agli scogli alti e rocciosi). Visitata la chiesetta lì vicina (dai tipici colori bianco e azzurro) e degustato un “Nes Cafè” (bevanda che, letteralmente, spopola a Karpathos, in diverse varianti), decidiamo di proseguire sul lato ovest, allontanandoci però leggermente dalla costa, tanto che la strada ritorna asfaltata (peccato, dato che ormai c’eravamo abituati al suolo deformato, che faceva tanto “avventura”): Arkasa ci incanta con le sue rovine del IV-VI secolo, la chiesetta bianchissima e candida di Santa Sofia e l’adiacente pavimento in mosaico scoperto appartenuto alla basilica paleocristiana di Santa Anastasia. A nove chilometri troviamo Finiki, un tempo centro di scambi con i Fenici e ora piccolo villaggio di pescatori famoso per i ristorantini di pesce, dalle insegne bianco-azzurre (qui abbiamo mangiato degli ottimi piatti di pesce, dai prezzi contenuti, al “Nikos restaurant”). Sulla via del ritorno, complici le lunghe giornate estive e assolate di questa magica isola, ci fermiamo a Menetes, paese bianchissimo dell’entroterra, incastonato come un nido d’aquila sul versante scosceso del colle, e che ci appare interamente in tutti i suoi contorni color pastello una volta raggiunta la chiesa della Dominazione della Madonna dalle tegole rosse. Sfiniti ma soddisfatti, ci siamo concessi una cena nella carinissima taverna “Esperida” ad Amoopi dove, a fine pasto, ci hanno portato, a sorpresa e in omaggio, un buon gelato.
quinto giorno
Non contenti della sfaticata precedente, partiamo di buon’ora, dopo un’abbondante e deliziosa colazione in hotel (con prodotti tipici quali miele e yogurt e altre leccornie) verso la costa nord-est: passando per Aperi, il paese più benestante dell’isola dato che alcuni suoi abitanti emigrarono in America, giungiamo a Kyrà-Panagia, con la sua baia ampia dai pini pendenti sul mare e con la chiesetta bianca dalla cupola rossa che la sovrasta e caratterizza. Qui, pur essendoci pochi hotel e strutture turistiche, vi è molta gente e decidiamo dunque di proseguire, ancora asciutti, in su fino a Spoa, paesino di 200 abitanti, che ci regala la vista dei primi mulini a vento greci, in disuso, ma molto scenografici. La strada tutta interna e asfaltata che da Spoa ci porterà fino allo specchio cristallino e caraibico di Lefkos, sul versante ovest, merita di essere battuta: versanti scoscesi, case rustiche abbandonate, capre che pascolano senza recinti e casette verde smeraldo, nido di api, decorano il paesaggio e il loro ricordo renderà poi più difficili la partenza e il distacco da questo luogo incontaminato. La baia a ferro di cavallo di Lefkos, pur essendo incantevole, risulta ai nostri occhi un po’ troppo commerciale e affollata, in confronto a ciò a cui eravamo abituati. Sulla strada di ritorno facciamo tappa a Othos, il paese più alto dell’isola, dove mi risultava essere presente il Museo del Folclore, il cui custode era un artista autoctono, il signor Kapsis. Non riuscendo a trovare la sede, ho chiesto informazioni ad alcune donne anziane del paese (è incredibile come, nonostante l’età di queste e la tranquillità e l’isolamento dell’isola, sapessero parlar un inglese maccheronico ma comprensibile) che mi hanno comunicato la morte dell’anziano signore, nella speranza che qualcuno come lui, continui a esporre gli usi e costumi dell’isola a turisti curiosi di conoscerli. Congedateci da esse con tale speranza, decidiamo di fermarci a Pigadia per un’ultima visita al capoluogo: degustiamo un tipico caffè greco al suono della lira, che tante volte aveva allietato anche i personaggi omerici di cui avevo studiato le gesta.
Sesto giorno
L’ultimo giorno con il nostro mezzo, decidiamo di mettere alla prova la sua forza e temerarietà, facendoci accompagnare nella nostra esplorazione finale: raggiungere Olympos, il paesino arroccato tra le cime dei monti, fondato nel VII secolo e rimasto isolato fino agli anni Ottanta del Novecento. In effetti, giunti qui, sembra che il tempo non sia mai passato: mulini a vento, forni in mattone e vestiti folkloristici dai colori sgargianti caratterizzano l’atmosfera. Spopola l’artigianato locale, gli asinelli vengono usati per il trasporto di merci e sacchi di farina, telefono e computer appaiono come elementi di tempi e luoghi lontani da questo viver quotidiano. Certo è che la globalizzazione ha portato anche qui, come altrove, la speculazione su questi paesaggi incontaminati, diventati quindi luoghi-simbolo di una tradizione osannata quasi esclusivamente per il turismo, per far business, mantenendo così quel poco di genuino che c’era in partenza. La visita ci occupa l’intera giornata e, una volta tornati ad Amoopi, consegniamo il quad e ci prepariamo alla giornata successiva, l’ultima in questo gioiellino di isola.
settimo giorno
Ci fa alzare con un presentimento: come tutte le cose belle, anche la nostra visita a Karpathos è destinata a finire. Decidiamo così di rilassarci nella spiaggetta vicina all’hotel, quella di Mikra Amoopi; ci concediamo anche il lusso di un ombrellone e di due sdraio a 6 euro (davvero conveniente). Ma Karpathos ha ancora altre sorprese da riservarci: facciamo infatti amicizia con il nostro vicino di ombrellone, un ragazzo del posto che, come se fossimo amici da una vita, ci presenta i suoi amici e poi la sua famiglia, lì con lui e pronta a godersi una giornata di sole. E così la nostra giornata trascorre in un battibaleno, facendo tuffi dagli scogli (e i Greci naturalmente ci vincono), mangiando un gelato che ci offrono a sorpresa, senza interessi e tornaconti, parlando del calcio italiano, della nostra lingua, di come il popolo greco e quello italiano siano in sintonia e in simbiosi. È arrivato il tramonto e dobbiamo salutarci, con mille pensieri e promesse nella testa, che spero un giorno di poter esaudire. Decidiamo di mangiare al “Four seasons” di Amoopi dove i camerieri, gentilissimi, ci sorridono offrendoci un “ouzo” (aperitivo a base di anice) e della frutta a fine pasto, rendendo così ancora più impervia la via del distacco. Passa poi la notte, la nostra ultima notte nell’isola, turbolenta e burrascosa al ricordo della settimana che se ne sta andando, del caldo Maltemi che culla il sonno, dei gatti che tante volte ci hanno coccolato le gambe nelle taverne sulla spiaggia; della gente solare che abbiamo incontrato, che sta conoscendo la crisi ma che ha voglia di andar avanti e di dialogare e conoscere il mondo attraverso lunghe chiacchierate. Loro veramente sono custodi di una cultura millenaria e di un fare genuino e disinteressato. Loro veramente ci hanno fatto innamorare della Grecia, rendendoci gelosi di quello che c’hanno regalato e strappandoci qualche lacrima alla partenza. Non è stata una vacanza questa, ma una stupenda lezione di vita. “Kaliméra Karpathos”. Questo non è un addio, ma un arrivederci.