Istria, terra di contrasti
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Fasana è un dolce paesetto veneto, coi suoi vicoli sul mare; i selciati sconnessi e grigi; i piccoli porticati; la gente rada e triste che parla un veneto bellissimo (hanno dimenticato l’italiano, e per loro ormai l’italiano è il dialetto). Davanti a Fasana, nel cielo fin troppo dolce e azzurro, si stende l’isola di Brioni. C’è Tito. La gente ne parla con un tono spento e allusivo. Qui, non c’è dubbio, non siamo altrove: questo è un luogo tipico dell’Italia. Ora io mi chiedo: se fossi di Fasana, o di Pola, sentirei la nostalgia dell’Italia? Sentirei, come in un sogno, il bisogno di sentirmi cittadino di una nazione perduta e che ha dato per sempre i suoi caratteri al mio paese?
Forse, se fossi un uomo semplice, sentirei questa nostalgia e questo bisogno. Se fossi invece quello che sono – cioè un uomo complicato – penso che troverei stupenda questa Italia non italiana: costa azzurra e tenera lungo un entroterra “diverso”. “Nazione” e “cultura” sono due nozioni che devono disgiungersi, anche se una secolare abitudine le mescola dentro di noi… La storia non coincide con quella di una nazione. La storia è una storia di culture…
Pier Paolo Pasolini, “L’Italia non italiana (Il Caos)” – 1969
Una leggenda narra che il Creatore decise di dare a una parte della Terra le sembianze del Paradiso: nacque così l’Istria, un giardino lussureggiante baciato dal mare, sorta di richiamo per chi vuole vivere felice. Il diavolo però invidioso cercò di rovinare l’opera: strappò il sacco in cui l’angelo custodiva le pietre non ancora usate e sparpagliò migliaia di rocce sul suolo istriano, contribuendo a creare una terra di contrasti. Gli angeli raccolsero i pezzettini di paradiso rimasti tra i sassi sparsi, proteggendoli con le onde del mare. Nacquero così le isole Brioni, di fronte alla costa.
Per le vacanze estive, con Stefania e Fabio il nostro bambino di due anni e mezzo, abbiamo scelto proprio l’Istria, terra di contrasti non solo per i suoi paesaggi ma anche per l’incontro tra la cultura slava e italiana. Anziché soggiornare lungo la costa, affollata di villeggianti, abbiamo preferito affittare una casa nell’interno, paragonato alla Toscana per le bellezze naturali e i borghi antichi. L’ottima rete viaria ci ha consentito poi di raggiungere facilmente le tante località d’interesse. Lungo la costa si sono succedute molte dominazioni, lasciando tanti ricordi. Rovigno è una perla, un borgo di case antiche vegliato dalla cattedrale che richiama atmosfere veneziane. L’arte bizantina è rappresentata da un vero capolavoro, la Basilica Eufrasiana di Parenzo, mentre la dominazione romana è ricordata dall’Anfiteatro di Pola con le sue aeree arcate che si stagliano nel cielo azzurro. Oggi la vocazione turistica spesso ha trasformato le spiagge in veri e propri formicai, ma le isole Brioni conservano intatto il loro fascino, anche se è possibile visitarle solo con un frettoloso giro organizzato. Nell’interno le atmosfere sono molto più tranquille: paesini di pietra sorgono appollaiati sopra colline, riportando indietro fino al Medio Evo.
Nella casa in affitto nella campagna di Pazin, ci ha accolto Danijela, squisita padrona. Il bell’edificio giallo a due piani, affacciato su un grande prato verde, si è rivelato ideale per i giochi di Fabio, permettendoci di trascorrere fresche serate allietate dal paesaggio collinare coperto di boschi, tipico dell’Istria centrale.
La seconda settimana ci siamo trasferiti a Valun sull’isola di Cres, una sottile striscia di terra che si allunga per decine di chilometri a sud dell’Istria. Il pittoresco paese di pescatori si trova in una baia incantevole e ha mantenuto intatto il suo fascino, nonostante quasi tutte le case siano ormai affittate ai turisti. L’isola ha un aspetto selvaggio, alternando vaste distese boscose a brulli pendii rocciosi coperti da macchia mediterranea. La mano dell’uomo sembra essere intervenuta solo nei lunghi muretti di pietra che dividono il territorio. Piccoli paesi di case di pietra, come Beli e Lubenice, si affacciano a picco sul mare offrendo magnifici scorci panoramici. A sud, l’isola di Lussino è separata da Cres solo da un canale. La sua vocazione è molto più orientata al turismo ma Veli Losinj è ancora un borgo incantevole di case pastello affacciate sulla profonda baietta.
Ed ora il diario di viaggio.
Sabato 11 agosto: Roma – Pazin
Per raggiungere l’Istria decidiamo di viaggiare di notte. La scelta si rivela indovinata: lungo tutto il percorso autostradale italiano il traffico è scarso, a parte il tratto friulano, e Fabio dorme tranquillo. La Slovenia ormai fa parte dell’Unione Europea e al confine non c’è nessun controllo. Riusciamo comunque a transitare per un valico secondario, evitando le autostrade slovene che ci costringerebbero ad acquistare il bollino. La Croazia invece entrerà nell’Unione solo il prossimo anno, ma al posto di confine non ci guardano neppure i documenti.
Alle dieci siamo già arrivati a destinazione. Trascorreremo otto notti in una casa nei dintorni di Pazin. Abbiamo preferito soggiornare nell’interno, come già accennato, invece che lungo la costa, sfruttando il fatto che Pazin si trova praticamente al centro dell’Istria e da qui potremo raggiungere facilmente tutte le nostre mete.
Gli appartamenti “Zarecki Krov” (www.zareckikrov.com) si trovano vicino al paesino di Zarecje. Sono ospitati in una bella casa, affacciata su un prato verde, attrezzato con una grande piscina gonfiabile. Il pianoro precipita poi verso il fiume Pazincica: subito sotto si raggiunge un laghetto con una cascata, apprezzato dalla gente che vi fa il bagno, anche se l’acqua è piuttosto scarsa per la presenza di una diga a monte. La signora Danijela, con la sua famiglia vive al piano superiore, mentre il primo piano è stato diviso in due appartamenti per gli ospiti; il nostro ha un soggiorno con angolo cucina, una camera da letto e una cameretta, dove viene sistemato il lettino di Fabio. Durante il nostro soggiorno sarà un piacere cenare al fresco nell’ampio terrazzo, godendo la bella vista sulla campagna.
All’ora di pranzo raggiungiamo Pazin per fare un po’ di spesa e cambiare i soldi. Il capoluogo dell’Istria è una cittadina di provincia, senza il fascino dei paesi in pietra della regione, ma presenta un paio di attrazioni, il castello e la chiesa di San Nicola, che visiteremo nei prossimi giorni.
Il pomeriggio la notte insonne trascorsa al volante si fa sentire e schiaccio un meritato sonnellino, mentre Stefania intrattiene Fabio. Recuperate le forze, raggiungiamo il laghetto sotto casa. Il ripido sentiero ci porta fino al fiume che scorre tra le rocce formando una serie di cavità e anfratti. La pioggia però ci costringe a tornare subito sui nostri passi. Sarà l’unica di tutto il viaggio e termina con un grande arcobaleno doppio.
Domenica 12 agosto: Pola
Iniziamo le nostre gite attraverso l’Istria da Pola, unica vera città della regione. La sua nascita è legata all’antico mito greco degli Argonauti. La loro nave, partita dalla lontana Colchide sul Mar Nero, risalì il Danubio (dal cui nome in greco antico, Istros, secondo alcuni deriverebbe quello della penisola). Giunti sull’Adriatico, gli Argonauti nel timore di ritornare in patria senza il mitico Vello d’Oro e avendo perso il loro eroe Giasone, decisero di fermarsi e fondare una nuova città. Durante la sua lunga storia, Pola ha vissuto due particolari momenti di splendore: al periodo della dominazione romana che ci ha lasciato il magnifico anfiteatro e sotto l’impero austro-ungarico che la scelse come suo principale centro navale, trasformandola in una grande città cosmopolita. Quando nel 1947 la città fu assegnata alla Jugoslavia, la sua popolazione, dopo la decadenza del ventennio fascista, era quasi integralmente italiana: 28.000 dei 31.000 abitanti abbandonarono beni e proprietà fuggendo in Italia. Nelle case rimaste vuote s’installarono nuovi abitanti sfollati dall’interno.
Parcheggiata l’auto sul lungomare vicino all’anfiteatro, raggiungiamo a piedi il centro storico; la pianta ricalca quella della città romana, sviluppandosi in un promontorio attorno alla collina centrale sormontata dalla cittadella. Il lato verso terra era chiuso da mura, demolite per agevolare l’espansione della città; oggi si conservano solo alcune porte. La Porta Gemina, databile intorno al II-III secolo, conduce al Museo Archeologico, ospitato nel grande edificio un tempo sede del ginnasio austriaco. La raccolta comprende reperti provenienti da varie località dell’Istria. Durante l’impero romano la penisola fece parte della Regio X “Venetia et Histria”, separata dalla “Dalmatia”, e questo particolare non sfuggì molto più tardi ai nazionalisti italiani. L’esposizione comprende antiche monete romane e una testa di Agrippina Minore dai bei riccioli; la statuetta acefala di una divinità femminile, seduta su un trono, proviene da Nesazio (I-II sec. d.C.), centro principale della popolazione illirica degli Histri. La sua conquista da parte dei romani (177 a.C.) fu particolarmente cruenta: la città fu espugnata e saccheggiata solo dopo un lungo assedio e la deviazione delle acque che la rifornivano. Prima dell’entrata delle truppe romane buona parte della popolazione, tra cui il re Epulo, preferì il suicidio alla resa. La seconda parte della raccolta è dedicata all’epoca cristiana. Il mosaico che ritrae San Pietro e Gesù giovane senza barba proviene dall’abside della basilica di Santa Maria Formosa a Pola; alcuni sarcofagi paleocristiani ritraggono angeli e oranti con le braccia alzate. Il meraviglioso cofanetto in avorio di Pirano è un lavoro bizantino con scene dionisiache incorniciate da rosette, raffigurate sulle varie facce (IX-XI secolo). La sezione successiva torna indietro nel tempo con insediamenti risalenti al neolitico e all’età del bronzo. Nel lapidario molti cornicioni sono decorati secondo classici schemi di grovigli vegetali; uno presenta un volto tondo con orecchie di asino (forse un sileno?). Molte steli recano inscrizioni in latino, una lapide una grande croce.
A fianco del museo si trova l’ingresso di una galleria che attraversa tutta la collina centrale; fu scavata dagli austriaci come rifugio bellico prima della Grande Guerra. Dietro l’edificio sorgono invece i resti del piccolo Teatro Romano, addossato alla collina: sono sopravissute le fondamenta della scena e parti della cavea con la scala laterale di accesso sormontata da archi di conci isolati. Dal teatro si risale la collina raggiungendo il Castello; costruito su commissione del governo veneziano nel Seicento, presenta una pianta quadrata, protetta da un fossato e bastioni a punta. Oggi ospita il Museo Storico dell’Istria, diviso in varie sezioni. Salendo in cima alla moderna torretta tinteggiata di bianco si gode un vasto panorama sulla baia, chiusa da penisole coperte di boschi; nel mezzo i cantieri navali e un isolotto. Sullo sfondo la mole dell’Arena incombe come un gigante sopra gli edifici della città. Una sala è dedicata alla corazzata “Svent Istvan”, orgoglio della marina austroungarica, affondata da motosiluranti italiani il 10 giugno 1918 vicino Zara, mentre era diretta al canale di’Otranto per cercare di forzare il blocco dell’Adriatico. Le foto d’epoca ritraggono la nave piegata su un lato prima di affondare. Un’altra sezione è dedicata alle due spedizioni al polo nord organizzate dall’impero Austro-Ungarico nella seconda metà dell’Ottocento. È interessante notare come l’antico impero, ormai prossimo alla sua fine, cercasse di mantenersi al passo con i tempi. Fabio comunque appare molto più interessato ad arrampicarsi sopra i cannoni dei bastioni.
Completata la visita, scendiamo nuovamente al museo e, recuperato il passeggino, iniziamo finalmente la visita del centro storico di Pola. Il corso principale, invaso dai tavoli dei ristoranti, si sviluppa con un percorso circolare attorno alla collina del Castello. Subito raggiungiamo la Cattedrale. La facciata tardo-rinascimentale risale al sedicesimo secolo, mentre il campanile di fronte alla chiesa fu costruito il secolo successivo con blocchi di pietra prelevati dall’Arena. Nell’interno a tre navate sono sopravissuti alcuni elementi antichi: grandi capitelli nelle colonne, resti del pavimento a mosaico (V-VI sec.) attorno all’altare ricavato da un sarcofago romano.
Il corso prosegue fino alla grande piazza, sede un tempo del Foro, sul quale si affacciavano tre templi affiancati. Solo il tempio Augusto è sopravissuto fino ai nostri giorni, mentre sopra gli altri due si è insediato il Palazzo Comunale, come appare evidente dalla visione posteriore. Il tempio di Augusto si presenta snello e slanciato, con alte colonne dai bei capitelli corinzi. All’interno la cella mostra blocchi irregolari ed è coperta da un soffitto ligneo a capriate. Ospita una piccola esposizione di sculture, tra cui si distingue uno schiavo privo di testa con la corda al collo, inginocchiato davanti al padrone del quale sono rimasti solo i piedi con i calzari. La visione di un tempio romano integro, in una città dei nostri giorni, rappresenta sempre un momento emozionante. Il Palazzo Comunale invece è frutto di una mescolanza di stili ed è preceduto da un loggiato, sopra il quale, davanti a una bella trifora, sventolano le bandiere di Unione Europea, Italia e Croazia. Proseguendo nella passeggiata, dietro a un negozio raggiungiamo i resti di un bel mosaico, scoperto dopo i bombardamenti della seconda guerra mondiale. Insieme a motivi geometrici, ritrae nel pannello principale il mito della punizione di Dirce: i gemelli Anfione e Zeto legano la donna a un toro infuriato, per vendicare i maltrattamenti subiti, dopo la loro nascita, dalla madre Antiopa che era stata messa in cinta da Zeus. Il mosaico ricopriva il pavimento della sala centrale di una casa romana, presumibilmente del III sec. Poco lontano verso il mare, l’affascinante Santa Maria Formosa, un tempo cappella di una grande basilica, presenta una tipica architettura bizantina, con pianta a croce greca e tamburo quadrato. La costruzione di bianche pietre, coperta da tetti di tegole, ha un aspetto veramente antico. Il nostro giro attraverso la città vecchia termina all’Arco di Sergio, eretto a proprie spese da Salvia Postuma, per commemorare il marito Lucio Sergio Lepido, tribuno di una legione durante la battaglia d Azio con cui Ottaviano sconfisse gli uccisori di Cesare. Un tempo appoggiato alla Porta Aurea inserita nelle mura, per questo è decorato solo sul lato verso la città. Ha l’aspetto di un arco trionfale, con il fornice fiancheggiato da due belle coppie di colonne corinzie e rilievi di Vittorie alate nei pennacchi degli archi: il fregio presenta amorini, ghirlande e bucrani. Il bar di fianco fu apprezzato da Joyce, come ricorda la statua di bronzo che lo ritrae seduto a un tavolino sulla terrazza.
Completato il giro del centro storico, finalmente arriva il momento di visitare l’Anfiteatro, il monumento romano più celebre dell’Istria. Contemporaneo del Colosseo, fu costruito fuori dalle mura cittadine lungo la Via Flavia proveniente da Aquileia e Roma, utilizzando la pietra bianca locale. Il prospetto verso il mare presenta due ordini di archi, sormontato da un terzo con finestre quadrate; il lato opposto poggia invece su una collina e per questo ha un solo ordine di archi. Dall’interno si comprende come la scomparsa quasi integrale della cavea abbia conferito all’edificio quell’aspetto così affascinante e caratteristico con gli archi eterei che si stagliano sullo sfondo del cielo azzurro, come in un acquedotto romano. Delle quattro torri, che consentivano l’accesso alla parte alta della cavea, solo due sono sopravissute. L’anfiteatro poteva ospitare fino a ventimila spettatori e come il Colosseo era coperto dal velarium, un telo protettivo per riparare dal sole. Nelle camere sotterranee è ospitata una mostra dedicata alla coltivazione della vite e dell’olivo nell’antichità, con anfore provenienti dal più grande “giacimento” di anfore al mondo, scoperto in una via vicino all’arena. Nel grande spazio interno gli operai che stanno allestendo un palcoscenico mi ricordano come il monumento sia utilizzato ancora oggi per festival e spettacoli (nel 1981 ha ospitato persino una puntata di “Giochi Senza Frontiere”!). Nel 1583 Pola rischiò di perdere la sua Arena, quando il senato della Serenissima, versando la città in uno stato di sempre maggior decadenza e desolazione, si propose di smontare l’edificio pezzo per pezzo e ricostruirlo a Venezia. A sventare tale proposito fu l’azione del senatore veneziano Gabriele Emo, e per questo suo impegno, nell’anno successivo la città di Pola pose su una torre dell’Arena una lapide a perenne memoria e gratitudine.
Per terminare in bellezza la giornata decidiamo di fare una puntata al mare. Pola è circondata da molte spiagge rocciose; all’ufficio turistico ci hanno consigliato quelle nella penisola Verudela, a sud della città. La zona è piena di complessi alberghieri, come ci appare subito chiaro dal caos che regna nel grande parcheggio. Attraversata una pineta, sbuchiamo in una spiaggia di ciottoli affollata come un formicaio, anche se il colpo d’occhio sulla penisola coperta di alberi è piacevole.
La sera a casa Fabio si diverte un mondo a fare “Din-do-lon” sul cavalluccio a dondolo che gli ha portato Danijela.
Lunedì 13 agosto: Beram – Pazin – Isole Brijuni
La mattina raggiungiamo Beram (in italiano Vermo), a pochi chilometri da Pazin. Il paesino di case in pietra sorge sopra una collina, dominato dall’alto campanile di San Martino, ma l’attrattiva principale si trova nel cimitero. La chiesetta di Santa Maria delle Lastre è decorata da un bel ciclo di affreschi, una sorta di Bibbia dei poveri. Per visitarla bisogna farsi accompagnare da una signora a un chilometro dal paese. Il santuario, immerso in un boschetto, si presenta come una bella chiesetta coperta da tegole, preceduta da un portico con tre arcate, una per lato. Il campanile a vela sopra la facciata ha una bifora che porta una sola campana. L’interno è diviso da un arco che separa l’aula dal presbiterio con l’altare. Il soffitto di legno a cassettoni è dipinto a vivaci colori. Le pareti conservano un ciclo di affreschi risalenti al 1474, opera di Vincenzo da Castua, che ci ha lasciato la propria firma sopra la porta laterale. L’autore probabilmente è coetaneo di quel Giovanni da Castua che affrescò la chiesa di Cristoglie in Slovenia, che avevo visitato qualche anno fa. Gli affreschi nel soggetto e nello stile tradiscono un’origine nordica, espressione della cultura popolare del tardo Medioevo. Sulle pareti sono rappresentate scene della vita di Maria e Gesù: qualcuno ha cavato gli occhi a Erode, Gesù insegna ai dotti del tempio impegnati a leggere libri. In altre scene l’arcangelo Michele pesa le anime, mentre San Giorgio uccide il drago osservato sullo sfondo da persone che sbucano tra case dall’aspetto cubista. Nella fascia superiore dell’intera parete sinistra si sviluppa la processione dei “Magi a cavallo con donne, cavalieri e soldati” vestiti nella moda del XV secolo. L’affresco più interessante si trova comunque nella controfacciata. Si tratta di una “Danza della Morte”, una processione di scheletri e personaggi alternati, che vuole ricordare l’uguaglianza di tutti gli uomini di fronte alla morte. Si riconoscono un re, una dama e un vescovo; l’oste con botticella e cappello ha un volto molto espressivo. Queste rappresentazioni, in voga nel Medioevo, sono sparse in gran parte dell’Europa. Una delle più celebri si trova a Cristoglie in Slovenia, ma un’altra l’avevo ammirata a Tallin in Estonia, per non parlare di quella che è andata distrutta durante la seconda guerra mondiale nella cattedrale di Lubecca.
Di ritorno a Pazin, raggiungiamo il castello. Il fiume Pazincica (in italiano Foiba) in corrispondenza della città ha scavato un baratro, profondo un centinaio di metri, proseguendo poi sottoterra dove forma un paio di laghi. Il castello si affaccia proprio sopra lo strapiombo. Questo paesaggio ha ispirato Jules Verne, nonostante non avesse mai visitato il paese. Nel romanzo “Mathias Sanddorf” il protagonista imprigionato dagli austriaci nel castello, riesce a evadere ma precipita nel fiume. Afferrato un tronco, è trascinato sottoterra per ore dalla corrente, fino a sbucare all’entrata del fiordo Limski. Il castello è considerato la fortezza medievale meglio conservata in tutta l’Istria. Durante la sua storia ha cambiato più volte proprietario, appartenendo ai Conti di Gorizia, fino a passare insieme a tutta la contea agli Asburgo nel 1374. Entrando si accede a una vasta corte quadrata, circondata da alti edifici in pietra, al cui interno è ospitato un museo. Al pianterreno visitiamo la falegnameria e l’officina del fabbro. Queste ricostruzioni delle botteghe artigianali di un tempo sono sempre affascinanti e suscitano l’interesse anche di Fabio. Ai piani superiori attraversiamo numerose sale con le pareti intonacate a calce, nelle quali sono esposti abiti popolari, utensili agricoli e oggetti di vita quotidiana. La cucina tradizionale è incentrata intorno al focolare, mentre nella torre sono conservate armi e strumenti di tortura.
Il pomeriggio visitiamo le isole Brijuni (Brioni in italiano), un arcipelago di isolette di fronte alla costa a nord di Pola. Durante gli anni della Jugoslavia erano conosciute per i lunghi soggiorni di Tito, che vi ricevette celebrità da tutto il mondo. Oggi sono state trasformate in un parco e ospitano una serie di alberghi di lusso. Per i comuni mortali l’unica soluzione per esplorarle è ricorrere a un’escursione organizzata; il punto d’imbarco è il paese di Fazana (in italiano Fasana). Sul piacevole lungomare affollato di vacanzieri, affacciano casette tinteggiate a vivaci colori e una piazzetta con la chiesa in pietra e il campanile. Le isole Brioni sono subito di fronte e per raggiungerle la barca impiega solo una decina di minuti. Il tour organizzato prevede solo la visita dell’isola maggiore, utilizzando un trenino con grande gioia di Fabio. All’approdo l’esercito degli escursionisti è diviso in base alla lingua; il gruppo degli italiani è indirizzato subito verso l’esposizione dedicata ai soggiorni di Tito sulle isole. Davanti all’edificio è parcheggiata la Cadillac del 1953, utilizzata per scorazzare i suoi illustri ospiti. Tito amava farsi regalare animali esotici, che erano poi ospitati sull’isola e oggi sono conservati impagliati al piano terra dell’esposizione. I loro discendenti si trovano nel safari park che visiteremo con il trenino. Al piano superiore una serie di foto ingiallite ritrae il dittatore in compagnia di leader da tutto il mondo. È stato calcolato che sulle isole hanno soggiornato quasi un terzo dei capi di stato dell’epoca. Il percorso rappresenta una sorta di cammino nella storia del dopoguerra; nelle isole Brioni fu fondato il Movimento dei Paesi Non Allineati, che non aderivano ai due grandi blocchi della Guerra Fredda. Tra le foto riconosco la regina Elisabetta e un giovane Gheddafi (subito il pensiero corre alla sua recente tragica fine). Breznev sfoggia due folte sopracciglia nere e non mancano neppure Fidel Castro e Arafat. Oltre ai politici Tito amava ricevere attori famosi; alcune foto lo ritraggono in compagnia di Sophia Loren e Liz Taylor, con il suo infondibile vestito bianco che lo distingueva dagli altri politici. Nei prossimi giorni Danijela ci confesserà che i vecchi oggi rimpiangono i suoi tempi, quando c’erano molte più certezze e il regime non era poi così opprimente come altre dittature comuniste. Nella vicina chiesetta gotica di San Germano, Tito aveva fatto collocare copie di affreschi medievali delle chiese istriane, per mostrarle ai suoi ospiti; vi ritroviamo la Danza della Morte di Beram che possiamo ammirare più agevolmente rispetto all’originale di questa mattina.
La guida ci illustra la storia dell’isola. Alla fine dell’Ottocento, l’industriale austriaco magnate dell’acciaio, Paul Kupelwieser, acquistò le Brioni, trasformandole in una località balneare mondana con magnifici alberghi. Per liberare le isole dalla malaria chiamò Robert Koch, lo scienziato premio Nobel per la medicina, scopritore della causa della tubercolosi e del colera. Nelle cave di pietra, a lui è dedicato un bassorilievo commemorativo. Le isole divennero meta dell’élite europea e mondiale. Il figlio di Kupelwieser, morto il padre, assunse la gestione delle isole, ma dopo una serie di affari sbagliati nel corso della grande crisi del 1929, si tolse la vita sparandosi con un fucile da caccia; le isole furono acquistate dallo stato italiano, per poi passare alla Jugoslavia dopo la seconda guerra mondiale.
Finalmente arriva il momento dell’escursione in trenino, tanto attesa da Fabio. Durante il percorso attraversiamo gran parte dell’isola, caratterizzata da un paesaggio ricco di alberi, con vaste distese di prati secchi in questa stagione sui quali pascolano liberi daini, cervi e mufloni. Nel safari park sono ospitati vari animali esotici: zebre, struzzi e antilopi sono liberi di scorazzare entro grandi recinti, mentre l’elefante ha a disposizione una grande “casa”. Durante la sosta Fabio saluta le pecore e i grandi buoi bianchi. La guida ci segnala altre attrattive dell’isola: passiamo vicino alle varie residenze di Tito, alcune delle quali oggi sono destinate al presidente croato, alle costruzioni in cemento che un tempo ospitavano le bestie feroci, a un ulivo millenario, fino a raggiungere la grande villa rustica romana affacciata sul mare. È un peccato non poterla visitare, come anche il museo archeologico e il giardino botanico; dal trenino riusciamo solo a scorgere i colonnati degradanti verso il mare.
Tornati al molo d’imbarco, ammiriamo le grandi barche a vela ormeggiate. Le isole Brioni sono diventate una destinazione apprezzata dai VIP; passeggiando sulla banchina incrociamo Niccolò Ghedini, dal volto più cadaverico che in televisione.
Martedì 14 agosto: Rovinj – Bale
La mattina raggiungiamo Rovinj, perla della costa istriana (in italiano Rovigno). Il paese antico sorgeva su un’isoletta separata dalla costa da uno stretto canale, che fu interrato quando cominciò a svilupparsi nell’entroterra. La secolare dominazione veneziana ha lasciato profondamente il segno. Oggi il borgo antico con le sue strade acciottolate che risalgono la collina è stato risparmiato dalle costruzioni moderne, ma tutto intorno si è sviluppato un grande centro turistico. Lungo le banchine del porto si alternano i pescherecci, le imbarcazioni che fanno la spola con le isole tutto intorno e i natanti dei ricchi. In alto domina la mole della chiesa di Sant’Eufemia con il suo campanile, un vero gigante al confronto delle abitazioni, come un Gulliver tra i lillipuziani.
Lasciata l’auto nel parcheggio al porto settentrionale, ci incamminiamo verso la città vecchia. Dalla piazza del mercato lo scorcio è subito incantevole, con antiche case a più piani affacciate direttamente sul mare e vegliate dall’alta mole del campanile. La strada che porta a piazza Tito attraversa l’istmo che collega il centro antico alla terraferma. Il palazzo barocco sede del museo, ospita una mostra dedicata agli strumenti di tortura medievali. La fantasia umana quando si tratta di crudeltà è veramente illimitata. Una grande bilancia a due piatti era utilizzata per pesare le presunte streghe, che si riteneva fossero più pesanti per il loro patto con il diavolo. Naturalmente tutto era molto opinabile: il giudice determinava a sua discrezione quale dovesse essere il peso della donna in base all’altezza, oppure metteva su un piatto una Bibbia e stabiliva che la poveretta doveva pesare meno del libro! La dama di Norimberga invece era una grande sagoma di legno a forma di donna con lame affilate all’interno, sistemate in modo da non colpire organi vitali del condannato rinchiuso dentro, tanto per prolungarne la sofferenza. La cintura di castità dentata appare quasi il male minore! Dopo tante miserie, l’ariosa Piazza Tito rappresenta una boccata di aria fresca. Il grande spazio triangolare si apre da un lato sul mare, con il piccolo molo da cui partono i traghetti per le isole. Il lato della piazza verso la città antica è caratterizzato da palazzi in stile veneziano, mentre su quello opposto affacciano edifici che richiamano architetture triestino-austriache: sull’ottocentesca Torre dell’Orologio spicca il leone della Serenissima, prima collocato sulla torre del ponte che dava accesso all’abitato insulare. Proseguendo sulla banchina lungomare raggiungiamo una piccola esposizione multimediale dedicata alla batana, la piatta imbarcazione utilizzata per la pesca, simbolo di Rovinj. Un modello è esposto subito di fronte. All’interno è possibile ascoltare le bitinada, tipiche canzoni dei pescatori.
In Piazza Tito sul luogo dell’antica porta, sorge l’Arco dei Balbi, sormontato dalla testa di un turco e più in alto dal leone di San Marco. Attraversata la porta, si entra nella città vecchia, un mondo pittoresco di viuzze e piazzette su cui affacciano alti palazzi pieni di finestre, balconi e ballatoi. Sembra di essere tra calli e campi di Venezia; i panni stesi pendono da tutte le parti. Unica differenza il fatto che le vie risalgono il ripido colle, costringendomi a una faticaccia da mulo con il passeggino di Fabio. In caso di pioggia immagino come possa diventare scivolosa la discesa! Lungo la Grisia, la via principale, si allineano ormai da anni le gallerie degli artisti locali. Seguendola, raggiungiamo la cima del colle, dominata dall’imponente molte della chiesa di Sant’Eufemia. Costruita nel Settecento, è il più grande edificio barocco in Istria, a ricordo del periodo di massimo splendore. La candida facciata è abbagliante nella luce del sole. All’interno, in fondo alla navata destra si trova il grande sarcofago di S. Eufemia, la patrona di Rovigno martirizzata a Calcedonia in Asia Minore sotto Diocleziano. La leggenda racconta come la giovinetta Eufemia, torturata in vari modi, rimase fedele a Cristo e fu gettata in pasto ai leoni che la uccisero, ma non divorarono il corpo, conservato dai cristiani di Calcedonia finché la città fu occupata dai Persiani e il sarcofago trasferito a Costantinopoli. Dopo una forte tempesta, all’alba del 13 Luglio dell’anno 800, sulle coste di Rovigno arrivò un grande sarcofago di marmo. Gli abitanti cercarono invano di sollevarlo, finché un bambino con le sue due mucche riuscì a portarlo sulla collina, dove ancora si trova nell’attuale chiesa. La mole del sarcofago giustifica la leggenda. Sopra l’altare, una statua raffigura la santa insieme alla ruota della tortura, mentre tiene in mano un modellino di Rovigno; ai suoi piedi i due piccoli leoni passano quasi inosservati. Sui muri intorno al sarcofago quadri ottocenteschi rappresentano l`arrivo del sarcofago sulle coste di Rovigno e il martirio della giovinetta. Dall’interno della chiesa è possibile salire in cima al campanile. Ispirato a quello di San Marco a Venezia, è alto quasi sessanta metri; sulla sua sommità svetta una statua di bronzo raffigurante Sant’Eufemia, che ruota indicando con la mano destra la direzione del vento. Il panorama è veramente magnifico. Rovigno appare una distesa di tetti di tegole, pieni di fumaioli costruiti durante la sua grande crescita demografica, quando intere famiglie vivevano in un unico ambiente scaldandosi con un caminetto. I due porticcioli della città sono affollati di barche, mentre tutto intorno lo spettacolo è offerto dalla natura con penisole e isolette coperte dal verde degli alberi che si stagliano sul blu del mare. La discesa dal campanile lungo le ripide scale è rallentata dalle molte turiste che procedono senza scarpe per non scivolare.
Per scendere dal colle seguiamo un percorso alternativo, perdendoci tra i vicoli e riuscendo a evitare le scale, difficoltose con il passeggino. Fabio cullato dal dondolio dei ciottoli si addormenta e così, affascinati dall’incanto di Rovigno, decidiamo di prolungare la nostra permanenza con un pranzo a base di pesce.
Il pomeriggio visitiamo Bale, un paesino a una decina di chilometri dalla costa. La scorsa primavera nell’inserto “Viaggi” della “Repubblica” avevo letto un articolo di Paolo Rumiz, dedicato al suo viaggio a piedi attraverso l’Istria. Nel percorso da Trieste alla punta meridionale della penisola, l’autore segnala proprio Bale, come il paese più affascinante (Vallo d’Istria in italiano). L’abitato antico sorge su una collina; la sua popolazione è sempre stata in larghissima parte italiana ma, dopo la seconda guerra mondiale, la maggioranza scelse la via dell’esodo. Per primo raggiungiamo il palazzo castello della famiglia Bembo. Recentemente restaurato, si presenta come un massiccio edificio gotico veneziano in pietra bianca con la facciata racchiusa tra due torri; una targa ricorda il soggiorno nel palazzo di Giacomo Casanova, che non avrebbe perso l’occasione per intrecciare una relazione amorosa. Sull’altro lato della piazza sorge il municipio con loggia, sul quale oggi sventolano le bandiere croata, italiana e europea. Passando sotto l’arco di fianco al palazzo, sormontato da un bassorilievo in pietra scura con il leone di San Marco, si accede al minuscolo borgo. Per attraversarlo bastano pochi minuti, percorrendo affascinanti stradine acciottolate sulle quali si affacciano case in pietra collegate da archi; molte cadono a pezzi, essendo disabitate dalla partenza degli italiani. La piazza centrale non è pavimentata; anche qui molte case giacciono rovinate. In mezzo l’alto campanile di pietra ha l’aspetto di una torre con cuspide; la chiesa di San Giuliano invece ha una facciata bianca in stile gesuita, realizzata nell’Ottocento, anche se la sua storia è molto più antica. L’interno purtroppo non si può visitare, come anche la cripta corrispondente alla chiesa del nono secolo.
Mercoledì 15 agosto: Motovun – Groznjan – Roc – Hum
Dopo i giorni passati trascorsi a esplorare la costa istriana, oggi ci dedichiamo all’entroterra. Per primo raggiungiamo Motovun (in italiano Montona), la località più famosa della regione. Il paese sorge sopra una collina isolata nella valle del fiume Mirna. Avvicinandomi rimango affascinato dalla visione delle case come spruzzate sulla cima della collina, mentre in basso si estendono vaste distese di vigneti. Come altri paesi della regione, in passato era abitato principalmente da italiani, fuggiti dopo la guerra, per poi diventare negli anni della Jugoslavia una colonia di artisti. Il borgo medievale è minuscolo e per questo si deve lasciare la macchina lungo la strada che risale la collina. Il biglietto del parcheggio per molti di questi paesini deve rappresentare la principale fonte d’introiti! Il percorso in salita verso la parte antica è fiancheggiato da gallerie e negozi dedicati alla gastronomia locale, tra cui primeggiamo il vino e i tartufi. Si giunge poi di fronte a una prima porta, che si apre in una torre vegliata in alto da un leone di San Marco che regge un libro aperto. Nella lunga galleria sono esposti vari bassorilievi, tra cui lo scudo in pietra di Motovun con cinque torri e un altro leone di San Marco che questa volta tiene tra le zampe anteriori un libro chiuso. La simbologia è importante: il libro aperto indicava una città che doveva pagare le tasse a Venezia, mentre il libro chiuso indicava un’alleata esentata. Si esce quindi su una strada, invasa dai tavolini dei locali, una sorta di terrazza affacciata sulla valle e dal lato opposto caratterizzata da un lungo palazzo rustico. Una seconda porta, attraversata da una ripida galleria in salita, sbuca nella piazza del paesino. Sul lato interno della porta veglia l’onnipresente leone di San Marco. La piazzetta rettangolare è dominata dalla semplice facciata gialla della chiesa rinascimentale di Santo Stefano, disegnata niente meno che dal celebre architetto veneziano Andrea Palladio. La torre merlata in pietra del campanile ha invece un aspetto medievale, alleggerito da bifore. Il lato opposto è interamente occupato da un basso edificio tinteggiato di giallo che fungeva da municipio; uno stemma reca un’aquila bicefala e un’iscrizione in latino. Il pozzo consentiva di accedere all’acqua della riserva sotto la piazza; un grande albero quasi nasconde il solo albergo di Motovun. Il minuscolo borgo racchiuso dalle mura, quasi si riduce a questa piazza. Ne percorriamo subito le poche viuzze. Seguendo poi il giro delle mura apprezziamo il panorama sulla valle, con la collina di Motovun che si erge isolata sopra ampi paesaggi di boschi e coltivazioni. Come molti centri dell’Istria Centrale, anche Motovun ha la sua manifestazione culturale estiva, un apprezzato film festival che immagino si possa svolgere solo nella piazza centrale intitolata ad Andrea Antico (1470-1540), compositore, stampatore, editore e grafico, come recita la targa bilingue in croato e italiano. Leggendo le guide scopro una curiosità: Motovun ha dato i natali al pilota di Formula Uno Mario Andretti.
Da Motovun raggiungiamo Groznjan (Grisignana in italiano), altro paesino di collina forse ancora più affascinante, che questa volta si sviluppa in piano rendendone la visita molto più agevole a noi muniti di passeggino! Dopo il crollo di Venezia Groznjan soffrì un lungo declino, interrotto negli anni sessanta quando fu riscoperto da un gruppo di artisti che stabilì i propri studi negli edifici abbandonati. Passeggiando tra le stradine incrociamo vari ragazzi con strumenti musicali; il paese, infatti, è sede di una scuola per giovani musicisti e durante l’estate ospita concerti ed eventi musicali. Entrando in paese s’incrocia subito la grande chiesa dedicate ai Santi Vito, Modesto e Crescenzia; l’alto campanile presenta la caratteristica struttura istriana sormontata da una torretta esagonale con cuspide. Fabio si addormenta nel passeggino per il gran caldo; con Stefania ne approfittiamo subito per pranzare in tutta tranquillità al “Pintur”. In una piazza circondata da belle casette e ombreggiata da alberi, gustiamo il miglior pasto del viaggio: tagliatelle con sugo d’Istria e filetto al tartufo per me, tagliatelle al gulash di manzo e spiedini per Stefania. Al risveglio di Fabio, proseguiamo la visita del paese. Le sue case in pietra, ben restaurate, sono ancora più affascinanti di quelle di Motovun. Molte ospitano piccole gallerie di quadri e sono decorate da stemmi scolpiti su architravi. Prima della porta della città, una minuscola piazzetta in pendenza presenta una graziosa loggia rinascimentale. All’esterno la vista si apre sulla campagna; in lontananza si scorge Motovun sopra una collina.
Riprendendo le nostre esplorazioni, ci spostiamo nella zona di Buzet, principale centro per la ricerca del prezioso tartufo. Nella piazza principale del sonnolento villaggio di Roc (in italiano Rozzo), accanto alla chiesa parrocchiale di San Bartolomeo, si trova l’antica cappella romanica di Sant’Antonio Abate. La rustica facciata in pietra è quasi interamente occupata dal campanile a vela che ha perso la campana. All’ufficio del turismo hanno le chiavi per aprirla; nel nudo interno sulla parete destra sono visibili antichi graffiti in glagolitico, tra cui l’abbecedario di Rozzo risalente al Duecento che rappresenta l’alfabeto glagolitico croato detto anche quadrato. La strada verso Hum, nota come Via dei Glagoliti, commemora l’importanza della regione come centro di diffusione per l’antico alfabeto slavo, attraverso undici monumenti installati negli anni settanta del secolo scorso.
Hum (in italiano Colmo) si vanta di essere “la città più piccola del mondo”, perché nonostante sia solo un villaggio di poche case (con una popolazione residente di ventitré abitanti), ha tutto ciò che caratterizza una città: mura di cinta, una porta, una chiesa e un campanile. La formula si può considerare uno slogan turistico veramente riuscito, perché solletica la curiosità dei turisti e anche la nostra: il parcheggio a pagamento davanti al cimitero, infatti, è pieno di auto. Secondo una leggenda ai giganti che crearono l’Istria erano avanzate poche pietre e le utilizzarono proprio per costruire Hum. In effetti, il minuscolo villaggio, con le sue possenti mura e l’alto campanile, ha un aspetto imponente che risale addirittura all’XI secolo quando l’Istria faceva parte del regno dei franchi. Una particolarità è che al di fuori del borgo medievale non è sorta nessuna città moderna a compromettere la visione magica del luogo, come sempre accade. Nell’antica porta cittadina, aperta in un edificio in pietra secondo l’usanza medievale, è stata collocata una nuova porta di bronzo con il calendario dei lavori agricoli. Attraversato un grande ambiente coperto, si sbuca subito nella piazzetta del villaggio. Lo spazio limitato è in forte pendenza. In alto sulla sinistra, sopra una scalinata sorge la chiesa parrocchiale dedicata all’Assunzione di Maria, ricostruita nell’Ottocento con una semplice facciata alleggerita da quattro lesene e culminante in un timpano. Il campanile isolato è una torre merlata con orologio e bifore, sormontata da una cuspide senza torretta. Su un altro lato il bell’edificio in pietra, con portico aperto da un grande arco, era utilizzato come loggia cittadina e dal XVI secolo vi avveniva la scelta del Conte di Colmo che sarebbe rimasto in carica per un anno. Per attraversare tutto il villaggio bastano pochi minuti, percorrendo un paio di stradine con ciottoli spesso sconnessi, fiancheggiate da case grigie e marroni. Terminato il giro, raggiungiamo il cimitero sulla collinetta dietro il parcheggio, ma la cappella romanica di San Girolamo ha chiuso da poco i battenti. È un peccato perché al suo interno sono segnalati affreschi d’influenza bizantina, risalenti al XII secolo e dedicati alla vita di Gesù. Non ci resta che dare un’occhiata al campanile a vela con due campane.
Giovedì 16 agosto: Porec – Fiordo Limski
Dopo la parentesi di ieri, riprendiamo l’esplorazione della costa, visitando Porec (Parenzo in italiano). Tutta la regione è interamente dedicata al turismo balneare estivo, ma la città nasconde una delle meraviglie dell’Istria, la Basilica Eufrasiana. La struttura ripete quella di Rovinj: lo sviluppo urbano si è esteso molto al di fuori della piccola penisola che ospita il centro antico. Questa volta le stradine sono tutte in piano, rendendo la nostra visita e quella della frotta di villeggianti molto più agevole. Per primi incrociamo i resti dell’antica cinta muraria veneziana: sono sopravissute tre torri del XV secolo; all’inizio del Decumano la Torre Pentagonale ospita un ristorante. La struttura del centro risale alla città romana, con il Decumano che costituisce ancora il corso principale, una strada pedonale con il pavimento di pietra lucida, sul quale affacciano bei palazzi con portali in pietra, finestre gotiche e balconi. Uno di essi ospita il Museo Regionale che al pianoterra espone reperti archeologici. Un bassorilievo ritrae un patrizio davanti a un albero di olive: la produzione locale doveva essere molto apprezzata anche a quei tempi. La via termina in Trg Marafor, sul luogo dell’antico foro romano. Poco oltre, quasi sulla punta della penisola, si trovano i pochi resti di un tempio antico, tra cui un angolo del timpano.
La ragione principale di una visita di Porec resta comunque la Basilica Eufrasiana, meraviglioso esempio di arte bizantina comparabile con le chiese di Ravenna, inserita dall’Unesco tra i patrimoni dell’umanità. Per primo accediamo a un piccolo cortile quadrato, circondato da un porticato con due colonne per lato, sormontate da capitelli a canestro decorati con intrecci vegetali. Da una parte sorge il Battistero con la Torre Campanaria, dall’altra la Basilica. Mentre Fabio scorazza per il cortile, ci alterniamo nella visita. Il Battistero ottagonale, come la Basilica, risale al VI secolo all’epoca del vescovo Eufrasio. Coperto in alto da un soffitto ligneo, è illuminato da una finestra per lato; al centro la vasca a immersione in pietra ci riporta indietro nel tempo. Da esso si accede alla Torre Campanaria, molto più recente poiché risale al Trecento. Dalla terrazza, sotto la “classica” cuspide finale, si gode una bella vista, prima di tutto sul complesso stesso della Basilica coperto da tetti di tegole rosse. I mosaici sulla facciata sono quasi scomparsi e lo spazio aperto del cortile appare minuscolo rispetto alla profondità del portico. Le case di Porec con i tetti di tegole da quassù appaiono meno pittoresche di quelle di Rovinj, mentre nella baia spicca la piccola isola di Sveti Nikola sovrastata da un grande albergo. Ridisceso al cortile, raggiungo il Palazzo Vescovile; nei suoi grandi ambienti sono esposti dipinti religiosi, antiche sculture in pietra e mosaici provenienti dal primo oratorio. La visita prosegue all’aperto proprio con il primo edificio di culto del complesso, l’Oratorio di San Mauro datato IV secolo e ritenuto il più antico tempio cristiano dell’Istria. Oggi è sopravvissuto il pavimento musivo, originariamente parte di una grande casa romana residenza di Mauro, primo vescovo di Parenzo martirizzato sotto Valeriano (metà III sec.). La chiesa pubblica fu costruita dopo l’Editto di Milano del 313 che liberalizzò il cristianesimo; si trattava di un edificio a una navata con un’abside. Il pesce, simbolo di Cristo, presente sul mosaico risale a quel periodo. Una cappella triabsidata contiene l’arca con le reliquie di san Mauro e sant’Eleuterio, opera di marmo del Duecento.
Finalmente entro nella grande basilica paleocristiana a tre navate del VI secolo. Il soffitto è a capriate; ogni colonna è sormontata da capitello e pulvino secondo lo schema bizantino, mentre i sottarchi recano belle decorazioni geometriche stuccate, tutte diverse come anche quelle dei capitelli, a canestro o ricchi d’immagini di animali. Lo sguardo tuttavia è subito attratto dal tesoro della chiesa, i mosaici nell’abside, un vero trionfo di colori risalente all’epoca di Giustiniano, considerato tra i migliori esemplari di arte bizantina. Mi soffermo ad ammirare i particolari. Nell’arco trionfale Cristo è seduto su un globo azzurro in mezzo ai dodici apostoli. Sotto l’arco, si trova l’agnello circondato dai busti di sante martiri, racchiusi entro medaglioni. Il mosaico principale del catino absidale raffigura Maria in trono con il Bambino, incoronata dalla mano di Dio che scende fra un mare di nuvole colorate su uno sfondo dorato (mi torna in mente l’analogo cielo nel mosaico della chiesa dedicata ai Santi Cosma e Damiano a Roma). Maria è affiancata da angeli e santi, tra i quali San Mauro e il vescovo Eufrasio che le offre un modello della basilica; tra Eufrasio e l’arcidiacono Claudio compare un bambino, figlio di quest’ultimo. Le figure, rappresentate sopra un prato fiorito, hanno volti classici, non ancora ieratici come nell’arte bizantina più tarda. Tra le finestre sono rappresentate due scene della vita di Maria: nell’Annunciazione Maria seduta su un trono appare pensosa e indossa una veste magnifica, mentre nella Visitazione una piccola figura femminile, una serva, spia la scena dietro una tenda. Completa la magnificenza dell’abside, la fascia inferiore decorata da pannelli con diversi schemi geometrici, ottenuti con pietre colorate incrostate di madreperla; al centro si trova il trono del vescovo. Lo spazio centrale dell’abside è dominato dal grande ciborio di marmo, costruito nel Duecento. Il baldacchino, decorato con mosaici, è sostenuto da quattro colonne con figure di colombe nei capitelli; nella parte frontale è raffigurata l’Annunciazione, con l’Angelo da un lato e Maria dall’altro. Nell’abside settentrionale non mi sfugge un altro frammento di mosaico: Cristo incorona i Santi Cosma e Damiano.
Ancora storditi da tanta magnificenza, riprendiamo a passeggiare per Porec. Fabio, dopo tanto correre, si addormenta nel passeggino anche per il gran caldo. Ne approfittiamo per gustare un ottimo pranzo di pesce nel cortile del ristorante “Ulisse”.
Lasciamo quindi Porec, puntando verso sud in direzione di Rovinj. Durante l’era glaciale il mare si spinse nell’entroterra per una decina di chilometri creando Il Fiordo Limski, circondato da pareti boscose. Il suo nome, in italiano Canale di Leme, ricorda il limes romano, confine tra le regioni di Parenzo e Pola. In macchina raggiungiamo l’estremità interna del fiordo, dove ci imbarchiamo per una breve escursione. Navigando verso il mare aperto (che non raggiungeremo), la vegetazione curiosamente presenta colori diversi sulle due sponde: verde da un lato, già autunnale dall’altro. I gabbiani ci fanno compagnia, attirando l’attenzione di Fabio, fino ai grandi allevamenti di molluschi e pesci. Terminato il giro, ci rilassiamo nella spiaggia vicino all’imbarco, anche se la presenza umana purtroppo si avverte negativamente per la sporcizia in giro.
La sera tornati a casa, ancora una volta ci godiamo il fresco della campagna, dopo il caldo torrido della costa.
Venerdì 17 agosto: Punta Kamenjak
L’Istria ha la forma di un triangolo; la sua punta meridionale, la stretta penisola di Kamenjak una decina a chilometri a sud di Pola, è un territorio selvaggio protetto da un parco naturale. L’ingresso si trova dopo il paesino di Premantura, ma arrivati rapidamente a destinazione grazie alle ottime strade dell’Istria, finiamo imbottigliati nella lunga coda di auto che vogliono entrare nel parco. Procediamo a passo d’uomo per più di mezzora fino alla biglietteria. Mentre siamo in fila tra le case del paese, abbiamo l’occasione per farci un’idea di come possa essere una vacanza al mare in agosto sulla costa istriana: frotte di villeggianti, spiagge affollate, traffico impazzito e lunghe schiere di case in affitto affacciate sull’asfalto! Entrati nel parco, proseguiamo su strade sterrate, seguendo le auto che sollevano una vera tempesta di sabbia. La penisola è una striscia di terra completamente disabitata, caratterizzata da colline coperte da una bassa macchia mediterranea. I cartelli segnalano i punti di accesso alle numerose calette per le quali il parco è famoso; noi puntiamo alla Kolombarica Beach, segnalata dalle guide. Parcheggiata l’auto, scendiamo sulla costa occidentale, raggiungendo un’area con lunghe lastre di roccia degradanti verso il mare, scenografica ma letteralmente invasa dai bagnanti. Con Fabio facciamo attenzione a non scivolare, limitandoci a qualche pediluvio nelle pozze formate tra i massi. L’acqua è cristallina e per gli adulti è un piacere fare il bagno, anche se il mare è un po’ mosso, mentre i ragazzi più ardimentosi si tuffano dall’alto delle rocce a fianco di una grande grotta. In mezzo al mare un faro si leva su una minuscola isoletta. Per pranzo risaliamo in cima al pianoro: il “Safari Bar” è quasi nascosto in mezzo alla vegetazione. Stefania si siede con Fabio ai tavolini affacciati sul mare, mentre io mi occupo di procacciare il cibo. Al bar la fila è lunga ma alla fine riesco ad acquistare un panino con i cevapcici.
Dopo pranzo cambiamo lato, spostandoci in una caletta sulla costa orientale che avevamo intravisto nel percorso di andata. Il posto è incantevole: una spiaggia di ciottoli ombreggiata dagli alberi e decisamente meno affollata. L’acqua è una tavola grazie al fatto che la baia, piena di barche a vela ormeggiate, è protetta da un anello quasi completo; sullo sfondo si scorge l’isola di Cres. Fabio è tutto contento di bagnare i piedini tra le rocce, ammirando granchi e gamberetti.
La sera tornati a casa, a cena siamo ospiti di Danijela che ha apparecchiato la tavola all’aperto e ci offre un gustoso agnello cotto nel forno a legna. Siamo in compagnia di suo marito, che non parla italiano ma lo capisce, e del nipote Moreno, un ragazzo con il quale Fabio si divertirà a giocare per tutta la sera, lanciando bocce colorate per il piazzale. Chiacchierando ci conosciamo meglio. Danijela si è trasferita con la famiglia in questa grande casa da ormai vent’anni ma oggi i figli sono grandi e anche i genitori non vivono più con loro. Così ha pensato di adattare un piano per affittarlo ai turisti. La concorrenza tuttavia è notevole, perché nell’area di Pazin ci sono più di duecento case in affitto e non è facile valorizzare la propria, anche se è magnificamente collocata nella campagna e offre ampi spazi ai suoi ospiti. Il lavoro per mandare avanti la struttura è tanto. I tempi sono difficili e Danijela si adatta anche a lavori saltuari in campagna, mentre il marito fa il trasportatore. Il suo italiano è perfetto; è originaria di Umag, sulla costa vicino al confine sloveno, dove in passato era presente una numerosa comunità italiana. Le chiedo cosa ne pensi della prossima entrata della Croazia nell’Unione Europea; mi ricorda che la scelta è stata approvata da un referendum, ma poi mi confessa che tutti sono molto dubbiosi, anche per l’attuale crisi economica. Per ora comunque la temuta introduzione dell’euro è rimandata di almeno un altro anno e poi chissà cosa succederà. Per consolarla le ricordo che la Croazia potrà accedere ai fondi comunitari per finanziare importanti progetti, anche se il periodo è poco propizio e ormai in Europa siamo veramente in tanti. Speriamo per lo meno che la graduale entrata nella grande casa europea dei paesi balcanici eviti in futuro il ripetersi delle guerre che hanno insanguinato l’ex Jugoslavia. Danijela ricorda con terrore quei tempi: la guerra non ha mai raggiunto l’Istria ma il marito fu richiamato alle armi e rischiò di dover andare a combattere.
Sabato 18 agosto: Gracisce – Pazin
L’interno dell’Istria è ricco di affascinanti paesini medievali. Questa mattina visitiamo Gracisce, a una decina di chilometri da Pazin lungo la strada che porta sulla costa orientale. Attraversata la Porta Occidentale che si apre attraverso un edificio, ancora una volta ci troviamo di fronte a una visione che sembra riportarci indietro di secoli. Una delle particolarità più notevoli di Gracisce è la struttura urbana: il paese, un tempo circondato da mura, è diviso in distretti, ciascuno con una propria piazza e chiesa. Per prima raggiungiamo la grande chiesa parrocchiale dedicata ai SS. Vito, Modesto e Crescenzia. La facciata ha il consueto aspetto di una chiesa gesuita, mentre il campanile si leva isolato a dominare l’abitato, terminando con una cuspide esagonale secondo uno schema ormai familiare. Il cimitero tutto intorno, trovandosi alla fine dell’abitato, apre la sua vista su una vasta porzione della campagna circostante, ricca di colline. Tornando verso il centro e attraversato un arco sotto la cappella di Sant’Antonio, raggiungiamo la piazza centrale. In mezzo sorge la chiesetta tardo-gotica della Madre di Dio, edificata nel 1425. Preceduta da una profonda loggia e coperta da un tetto di tegole con un minuscolo campanile a vela, è un vero gioiellino. Dalle finestre aperte si scorge il grande affresco sulla parete di fondo, dedicato all’Adorazione dei Magi. Verso la Porta Occidentale, il Palazzo Solomon risale al XV secolo ed è il considerato il più bell’edificio profano tardo-gotico nell’Istria Centrale. Al centro della facciata si apre una grande bifora molto elegante. Seguendo dalla piazza la strada tra la cappella di Sant’Antonio e la Madre di Dio, raggiungiamo un’altra chiesa in pietra, Sant’Eufemia, risalente al Trecento. Una breve passeggiata ci porta poi al sito della Porta Sud, con la grande torre circolare sopravvissuta fino ai nostri giorni. Per completare l’esplorazione del paese non ci resta che il quartiere a sinistra della Porta Occidentale, dove la chiesa di San Pancrazio, ormai sconsacrata, ha perso il campanile a vela ed è utilizzata come magazzino. Gracisce è veramente affascinante; unico neo l’impossibilità di visitare gli interni dei suoi monumenti, come spesso accade in Istria. Molte case giacciono in rovina e durante la nostra visita abbiamo incontrato pochissime persone.
Tornati a Pazin, visitiamo la chiesa di San Nicola. La bianca facciata è molto semplice: la struttura corrisponde alle tre navate, la centrale più alta. All’interno colpisce il bel presbiterio gotico, con un soffitto a ragnatela interamente affrescato nel Quattrocento. I dipinti però, consumati dal tempo, sono di difficile lettura. Curioso il volto scolpito con la lingua di fuori sotto un costolone. Sulla parete sinistra un affresco ritrae un gruppo di dame con il capo coperto, mentre grandi stemmi in pietra riproducono le insegne araldiche di famiglie nobili. Nell’area retrostante il sagrato si trova il massiccio campanile che s’innalza fino a 45 metri: costruito nel Settecento, è una torre a pianta quadrata in calcare bianco, sormontata da una torretta ottagonale con cuspide. Il suono delle sue campane ha attratto più volte Fabio nei giorni passati. Spinto dalla curiosità di seguire le orme dell’eroe di Verne, vorrei visitare l’abisso sotto il castello. Un ingresso è accanto al ponte che lo scavalca, ma alla biglietteria mi avvertono che la grotta con il lago sotterraneo non è accessibile. E’ possibile solo percorrere il sentiero a cielo aperto che scende fino in fondo alla foiba per poi risalire sull’altro lato. I giorni scorsi Danijela mi ha segnalato che l’acqua è poca e così decido di risparmiarmi la scarpinata.
Il pomeriggio del nostro ultimo giorno in Istria, decidiamo di goderci la bella casa che ci ospita, rilassandoci nel prato e ammirando il bel panorama sulla campagna.
Domenica 19 agosto: Valun
Dopo una settimana trascorsa in Istria, ci dispiace lasciare la casa di Danijela. Al momento dei saluti siamo un po’ tristi; la nostra gentile ospite ci riempie di altre attenzioni, regalando un materassino gonfiabile a Fabio per la sua prossima vacanza al mare. Le auguriamo tutto il bene possibile, che lei ci ricambia visto che Stefania è in dolce attesa. Danijela ci chiede se conosciamo qualcuno che potrebbe essere interessato all’acquisto della sua casa, ormai troppo grande. I figli non sembrano voler continuare l’attività dei genitori; è un vero peccato dopo tanti anni spesi per costruire quest’angolo di paradiso in mezzo alla natura.
Per raggiungere l’isola di Cres, dobbiamo attraversare il breve braccio di mare che la separa dall’Istria. Superata Gracisce, la strada raggiunge la costa orientale della penisola. Il mare s’incunea tra alti monti boscosi, creando uno scorcio magnifico. Proprio sulla punta è stato costruito un albergo, ma dall’alto della strada per fortuna si vede solo il bar. Ci fermiamo per una sosta, facendoci sorpassare da molte macchine che ci precederanno al traghetto. All’imbarco di Brestova ci incolonniamo in coda, ma siamo in troppi e il traghetto non ha spazio per tutti. Aspettiamo così un’oretta fino alla corsa successiva.
La navigazione è molto breve, appena una ventina di minuti. Fabio è tutto eccitato, incuriosito dalle macchine che entrano nella “pancia della nave”. Saliamo sul ponte superiore godendoci la vista dell’isola che si avvicina. Anche Porozina sull’isola di Cres è solo un gruppo di case di fronte all’approdo. La fila delle macchine in attesa dell’imbarco sull’isola è ancora più lunga. La strada sale subito dipanandosi stretta con molte curve. Al bivio per Beli le macchine sono in colonna. A Cres vive una rara specie di avvoltoi, il grifone, e un esemplare è fermo proprio sul ciglio della strada. Tutti vogliono fotografarlo: è bruttino, proprio come nei cartoni animati di Robin Hood! Ha una targhetta legata alla zampa e qualcuno si è fermato probabilmente per chiedere aiuto al centro di Beli impegnato nella tutela della specie. La strada prosegue alta, seguendo la cresta dell’isola; passando da una costa all’altra, alterna la visione dell’Istria con quella delle isole nel golfo del Quarnaro, con la bassa distesa di Krk subito di fronte. I paesaggi variano secondo l’esposizione: vaste distese boscose oppure brulli pendii rocciosi coperti da macchia mediterranea. La mano dell’uomo sembra essere intervenuta solo creando i lunghi muretti di pietra che dividono il territorio in tanti piccoli appezzamenti. L’agricoltura è inesistente e in passato tutta l’attività umana era incentrata sull’allevamento delle pecore. Ancora oggi Cres sembra avere mantenuto il suo carattere selvaggio. Finalmente giungiamo in vista della cittadina di Cres, principale centro dell’isola: dall’alto appare distesa in fondo a una profonda insenatura, con la marina affollata dalle barche a vela. Lasciata la strada principale, deviamo in direzione di Valun nostra meta finale. Saliamo superando una notevole pendenza, finché la vista si apre magnifica sul mare con la lunga striscia dei monti dell’isola e l’Istria sullo sfondo, per poi scendere a precipizio verso Valun.
Nel paesino di pescatori gli spazi sono molto limitati e quasi tutte le case, sul pendio della montagna che scende verso la baia, sono affittate ai turisti. Per questo l’accesso ai veicoli è limitato e si deve lasciare la macchina al parcheggio a pagamento sopra il paese o lungo la strada che scende a precipizio verso il mare (se si trova posto!). Poiché risiederemo in una casa, paghiamo solo una volta per tutta la settimana. Siamo fortunati e troviamo posto a pochi passi dalla scala che porta fino all’appartamento. La strada ha una pendenza notevole e le macchine sono posteggiate con sassi davanti alle ruote. Ci accoglie la signora Branka, che parla perfettamente italiano e vive a Cres città. L’appartamento si trova all’ultimo piano di una palazzina nella parte alta di Valun. Dalle finestre si gode una vista magnifica sui tetti delle case, la baia incantevole e i monti boscosi tutto intorno. Scaricare i bagagli su e giù per le scale è una vera faticaccia.
Il pomeriggio, scese alcune rampe di scale, siamo subito nella piazzetta del paese, affacciata sul minuscolo porticciolo. La chiesa parrocchiale ospita un’iscrizione in glagolitico; nei prossimi giorni Fabio sarà sempre attratto dal suono delle sue campane. Valun ha due spiagge, alle estremità opposte del paese. Oggi raggiungiamo la più grande, una lunga distesa di ciottoli ai piedi di una montagna boscosa. Ci sistemiamo all’ombra degli alberi; l’acqua è cristallina grazie al fondale roccioso. Facendo il bagno in alcuni tratti è decisamente fredda.
Lunedì 20 agosto: Cres
La mattina ci rilassiamo sulla spiaggia di Valun davanti al campeggio. Più piccola dell’altra, offre la possibilità di godere la vista del paese, particolarmente apprezzata da Fabio a mezzogiorno quando suonano le campane della chiesa. Il campeggio è frequentato soprattutto da tedeschi e austriaci, a differenza dell’altra spiaggia nella quale avevamo l’impressione di essere in Italia.
Dopo pranzo decidiamo di spostarci alla città di Cres per visitarla. La parte antica un tempo era racchiusa da mura, delle quali oggi sono sopravissute solo alcune porte con il leone di San Marco che ricorda i lunghi secoli della dominazione veneziana. Percorso un dedalo di stretti vicoli, apprezzando l’ombra che ci protegge dal gran caldo, sbuchiamo in una piazzetta. Il palazzo della famiglia Petris risale al XV secolo e presenta belle bifore in stile gotico veneziano. Ospita un museo ma è chiuso. In mezzo alla piazza si trova la statua di Frane Petric (Francesco Patrizi), filosofo, matematico e astronomo nativo di Cherso, vissuto nel Cinquecento. Dopo pochi passi sbuchiamo nel mandracchio, il porticciolo medievale. Nella grande piazza lo spazio centrale è occupato dall’acqua con le barche ormeggiata, dando l’impressione di una città veramente affacciata sul mare. I palazzi intorno sono dipinti con vivaci colori pastello; tra essi spiccano la Loggia del Comune e la Torre dell’Orologio. Ci sediamo ai tavolini di una gelateria per godere la visione e ripararci dal sole; Fabio dorme beato nel passeggino. Attraversando la porta nella torre, sbuchiamo davanti alla cattedrale, la chiesa di Santa Maria della Neve. Nella facciata spicca il bel portale rinascimentale; nella lunetta Maria con il Bambino ha tratti molto delicati. L’alta mole del campanile si erge isolata al centro della piazzetta. Naturalmente anche la chiesa è chiusa e non possiamo visitarla. Riprendendo a vagare tra i vicoli, incrociamo semplici ma affascinanti cappelle in pietra; al di fuori delle antiche mura si trova invece il monastero francescano con la grande chiesa, ma possiamo affacciarci solo nei due chiostri rinascimentali.
La sera a Valun ceniamo nella trattoria sulla piazzetta. Il successo sembra avere dato un po’ alla testa al locale, citato in tutte le guide. La mattina volevamo prenotare un tavolo ma ci hanno risposto che non era necessario; la sera però scopriamo che in realtà non accettano prenotazioni per due e ci tocca aspettare a lungo. Alla fine ci sistemano insieme a una coppia emiliana di mezza età che deve sorbirsi l’esuberanza di Fabio per tutta la cena. Per accelerare i tempi ordiniamo solo una portata ciascuno, risotto agli scampi e sogliola alla griglia, ma le porzioni sono veramente scarse.
Martedì 21 agosto: Lubenice
Anche oggi, ripetendo la giornata di ieri, passiamo la mattina in spiaggia dedicando il pomeriggio a una gita. Questa volta ci muoviamo tardi, dopo il sonnellino pomeridiano di Fabio, perché la distanza che ci separa da Lubenice è molto breve. La strada per raggiungerlo è veramente stretta, lasciando lo spazio per il passaggio di una sola macchina. Lungo il percorso scorgiamo il lago Vransko, importante riserva di acqua dolce proprio nel cuore dell’isola. Il paesino di Lubenice sorge appollaiato quasi quattrocento metri a picco sopra la costa occidentale di Cres. Il panorama fino all’Istria è eccezionale, una visione degna di un’aquila. In basso si scorge lontana un’incantevole spiaggia bianca, considerata la più bella dell’isola e raggiungibile via mare oppure da Lubenice attraverso un’estenuante discesa (e risalita!) a piedi. Al nostro arrivo gli escursionisti provenienti dalla spiaggia appaiono estenuati e corrono subito a rinfrescarsi alla fontanella in piazza. La visione del paese è altrettanto affascinante. Per prima s’incrocia una semplice chiesetta in pietra, dietro la quale sorge un grande campanile dal tetto a punta, completamente sproporzionato rispetto alla cappella. Nella piazza subito dietro durante l’estate è organizzato un apprezzato festival musicale, terminato da pochi giorni. Addentrandomi tra le case in pietra del paese, mi accorgo come molte giacciano in uno stato di abbandono perché la popolazione residente si è ridotta a una ventina di unità. Un edificio ospita un’esposizione dedicata all’allevamento delle pecore, un tempo principale attività sull’isola. In fondo al paese si raggiunge un altro punto panoramico; è l’ora del tramonto e i turisti sono appollaiati tra le rocce per godere la visione del sole, che accende il cielo scendendo dietro la costa dell’Istria.
Prolungando la nostra permanenza nell’affascinante paese, ceniamo nella sua unica trattoria, gustando un ottimo e abbondante agnello arrosto, insieme a un gustoso pecorino. Lubenice ci saluta con un’ultima incantevole visione: la falce della luna ha sostituito in cielo il sole e il suo riflesso argenteo forma una delicata striscia nel mare ormai scuro come l’inchiostro.
Mercoledì 22 agosto: Beli
Dopo il consueto mare mattutino, il pomeriggio visitiamo Beli nel nord dell’isola, rivolto verso il golfo del Quarnaro e l’isola di Krk, sul lato opposto rispetto all’approdo del traghetto. Per raggiungerlo percorriamo a ritroso la strada seguita il giorno del nostro arrivo, apprezzando di nuovo i paesaggi dell’isola con i grovigli di muretti in pietra e il panorama sulle isole vicine. La strada per Beli si distacca da quella principale diretta al traghetto, precipitando stretta e piena di curve verso la costa orientale. Subito si scorge una spiaggia in fondo a una piccola baia, una delle tante dell’isola accessibile unicamente via mare. Attraversate le vaste foreste della cosiddetta Tramuntana, la regione settentrionale dell’isola, improvvisamente appare il paesino di Beli, con le case disposte a cerchio sopra una collina affacciata sul mare. Fabio dorme tranquillo; decidiamo quindi di rinviare la sua visita e raggiungere la spiaggia. La strada ha una pendenza incredibile e ci porta fino a un grande campeggio attrezzato. Tutta l’area ha subito pesanti interventi: sulla spiaggia di ciottoli affacciano direttamente i bungalow dei villeggianti (dalle porte aperte scorgo i televisori accesi) e vari locali. L’affollamento è notevole e nel parcheggio a pagamento c’è un unico posto disponibile che mi richiede una difficile manovra. Niente a che vedere con l’affascinante mare di Valun.
Finalmente Fabio termina il suo riposino pomeridiano e possiamo raggiungere il paese. Lasciamo la macchina vicino al centro ecologico Caput Insulae, dedicato alla protezione del grifone. Questa specie di avvoltoio dalla testa bianca ha sempre prosperato sull’isola, ma la diminuzione della popolazione di pecore, suo principale alimento, ne ha messo in pericolo la sopravvivenza. I giovani grifoni possono volare solo per cinquecento metri e ogni estate molti cadono in mare, disturbati nei loro nidi dalle navi che passano troppo vicine alla costa. Il centro li ospita per un periodo, per poi rimetterli in libertà. Alcuni però non si sono più riabituati alla vita selvaggia e sono diventati ospiti fissi del centro. Nella grande voliera fanno una certa tristezza, mentre la carcassa di asino coperta di mosche, loro cibo, fa un po’ senso. La visita del centro è comunque interessante per conoscere meglio questi maestosi uccelli, che arrivano a migrare fino in Africa; una parte è dedicata alla regione della Tramuntana, ricca di foreste vergini e antiche leggende di personaggi incantati. Fabio appare più interessato a questi aspetti che alla visione dei grifoni, apprezzando molto la casetta delle fate e il labirinto con gli elfi, oltre alla pecora e all’asinello ospitati in un recinto.
Il paesino di Beli è uno degli insediamenti più antichi dell’isola. Attraversando le stradine acciottolate in salita, raggiungiamo la piazza principale sulla quale affacciano una piccola cappella in pietra e la grande chiesa parrocchiale. La vista spazia sul golfo del Quarnaro, mentre vagando nei vicoli si incrocia qualche scorcio suggestivo con pozzi e archi che attraversano case in pietra dall’aspetto antico. In piazza Fabio si unisce a un gruppo di scatenati bambini croati in vacanza con i genitori che si rincorrono giocando.
Giovedì 23 agosto: Osor – Veli Losinj – Mali Losinj
Giornata dedicata alla visita dell’isola di Losinj, la veneziana Lussino. Da Valun, tornati sulla strada principale di Cres, questa volta pieghiamo verso sud. Il tratto fino a Osor è pianeggiante e molto più scorrevole. Le isole di Cres e Losinj sono collegate da un sottilissimo istmo che fu scavato già dai romani o dai loro predecessori illiri; in questo modo fu creato un canale largo appena una decina di metri che consentiva alle imbarcazioni di passare dal Quarnero al Quarnerolo senza dover circumnavigare le isole di Cherso e Lussino. Il paese di Osor si affaccia proprio su tale passaggio, nell’estremo lembo meridionale di Cres. Al nostro arrivo, passate le nove del mattino, il ponte girevole è stato aperto per consentire il passaggio alle imbarcazioni. Terminata la processione delle barche a vela, il ponte viene chiuso di nuovo. Tutto sembra essere manuale con un addetto impegnato ad azionare una leva. Fabio è entusiasta per il successivo passaggio di auto e camion sul ponte, che apprezza ancora di più della precedente processione di barche nel canale.
Per la sua posizione strategica, durante lunghi secoli fino al Medio Evo, Osor (Ossero in italiano) è stata il centro più importante delle due isole, sede di un vescovado, per poi iniziare un’irreversibile decadenza dal XV secolo. Una leggenda fa derivare il nome antico della città, Apsoros o Apsorus, da Apsirto, fratello di Medea la mitica principessa della Colchide. Cres e Lussino erano chiamate nell’antichità Apsirtidi perché secondo la leggenda vi trovarono rifugio Giasone e gli Argonauti con il Vello d’Oro. Medea vi avrebbe ucciso il fratello Apsirto che la inseguiva, gettandone i resti in mare; due sue membra avrebbero formato le isole di Cres e Lussino. Come nel cristianesimo città differenti si contendono le reliquie dei santi, nell’antichità avveniva lo stesso con le leggende: lo scorso anno in Georgia avevo visitato la fortezza romana di Gonio sul mar Nero che si attribuiva anche lei la leggenda dell’uccisione di Apsirto, trasformato questa volta in un bimbo innocente.
Osor oggi è diventata una sorta di affascinante città museo, ricca di chiese e palazzi con stemmi di antiche famiglie, che si attraversa a piedi in una decina di minuti. Sulla piazza principale si affacciano alcuni interessanti edifici. Il Municipio, sede di un museo archeologico, presenta un profondo portico chiuso da un grande arco ed è sormontato da una torre con l’orologio; la cattedrale dell’Assunzione ha un’aggraziata facciata trilobata in pietra chiara, che mi ricorda quella di Sebenico in Dalmazia, e un bel portale rinascimentale con una statua della Madonna con il Bambino nella lunetta. Al suo interno durante l’estate sono ospitate apprezzate serate musicali. Nella piazzetta subito dietro si leva l’alta mole del campanile, come sempre separato dalla chiesa, e la statua bronzea del compositore croato Jakov Gotovac, rappresentato seduto su una poltrona con le gambe accavallate; neanche Fabio può resistere alla tentazione di toccargli il piede penzoloni. Le stradine della città ospitano varie sculture di bronzo dedicate alla musica, riproduzioni di opere di famosi scultori croati, tra cui Ivan Mestrovic. Già lo scorso anno in Montenegro sulla cima del monte Lovcen avevamo visitato il mausoleo dedicato a Njegos da lui progettato. Il passato ritorna invece nelle numerose chiese: la piccola e graziosa cappella di San Gaudenzio, patrono locale, le grandi rovine dell’abbazia benedettina con la chiesa di San Pietro, oggetto di scavi archeologici per opera dei francesi, e la chiesa di Santa Maria nel Cimitero, prima cattedrale di Osor. Tutte purtroppo sono chiuse e non è possibile visitarle. Ritornati in piazza, il museo archeologico invece ha aperto i battenti. La collezione comprende bassorilievi provenienti dall’antica cattedrale di Santa Maria, monete della repubblica romana, una testa di Augusto e grandi stemmi araldici in pietra delle ricche famiglie di un tempo. Il palazzo del vescovo ospita una raccolta ancora più interessante. Il piano terra espone l’originale della Madonna con il Bambino sopra il portale della cattedrale ed illustra la storia di Santa Maria al Cimitero, con le sue sei fasi costruttive (a partire dal V-VI secolo). Il trono del vescovo è ottenuto riunendo bassorilievi antichi: nello schienale due uccelli afferrano un agnello con gli artigli. Al primo piano apprezzo i grandi libri miniati di canti liturgici con le note su quattro righi, la “Serie dei Vescovi di Ossino dei quali si è potuto ricavare la memoria” da Paolino nel 530 fino al 1828 e paramenti sacri ricamati in oro. Il sarcofago di San Gaudenzio ricorda la leggenda secondo cui il corpo del vescovo, morto ad Ancona, sarebbe stato riportato miracolosamente da una tempesta nella sua Ossero dentro un’arca di legno.
Completata la visita di Osor, riprendiamo la macchina e, superato il ponte girevole, siamo finalmente nell’isola di Losinj (Lussino). Il nome dei suoi due centri principali può generare qualche confusione: oggi Mali Losinj (Lussinpiccolo) è molto più grande di Veli Losinj (Lussingrande) ma in passato era il contrario. Rispetto a Cres, Losinj ha una maggiore vocazione al turismo, con tanto di aeroporto, una costa ricchissima di piccole baie e un paesaggio caratterizzato da vaste pinete. Per primo raggiungiamo Mali Losinj, ormai frequentatissimo centro di villeggiatura balneare. La cittadina è distesa in fondo a un profondo porto naturale. La parte antica si trova sulla collinetta dominata dalla cattedrale; per esplorarla bisognerebbe salire e scendere molte scale ma Fabio dorme nel passeggino e fa un caldo bestiale. Decidiamo quindi di limitarci a una passeggiata lungo la grande Riva, sulla quale si allineano le case appartenute ai capitani delle navi di un tempo, ricordo della grande prosperità raggiunta nell’Ottocento. Le case tinteggiate a colori pastello formano un bello scorcio insieme alle barche a vela dei ricconi di oggi.
Mali Losinj è circondata da ampie pinete affacciate sul mare. Raggiunta in macchina Suncana Uvala, ci troviamo di fronte a un gigantesco albergo, che ci catapulta in pieno nelle fauci del turismo di massa. La costa rocciosa rende difficile la balneazione per cui gran parte degli ospiti affolla la piscina, mentre altri sfruttano i numerosi campi sportivi; altri ancora sono sdraiati all’ombra degli alberi, dove per lo meno possono godersi il fresco. Appena Fabio si sveglia fuggiamo in tutta fretta da questo tempio delle vacanze e da tutto il suo cemento. Unica consolazione e che concentrando qui i moderni alberghi, la città di Lussinpiccolo ha mantenuto invece intatto l’aspetto di un tempo.
Il fascino delle isole croate torna subito a Veli Losinj. Lasciata la macchina nel parcheggio in cima al paese, raggiungiamo subito la chiesa di Santa Maria proseguendo poi fino alla robusta torre rotonda costruita dai veneziani per difendere la città dai pirati. Ospita un piccolo museo. Al pianoterra alcune foto a grandezza naturale riproducono l’Apoxiomenos, la magnifica statua bronzea di un atleta trovata in fondo al mare nel 1999, risalente all’epoca romana. L’originale è conservato a Zagabria ma alla biglietteria ci dicono che il prossimo anno sarà trasferita in un nuovo museo a Mali Losinj. I piani superiori sono dedicati alla storia di Lussingrande, con citazioni di famosi capitani di navi, un modellino del tre alberi “Esempio” (1877), un disegno del “Francesco Giuseppe” (quattro alberi varato nel 1887) e vari stemmi di famiglie; lo spettacolo più bello è offerto comunque dalla vista che si gode dalla terrazza. Il paese, con i tetti di tegole e le terrazze fiorite, è raccolto attorno alla piccola e profonda baia, un vero gioiello di case tinteggiate con vivaci colori, dominato dalla grande chiesa rosa. Con pochi passi la raggiungiamo. Gli spazi sono veramente ristretti: i ristoranti hanno sistemato i loro tavoli fin quasi dentro l’acqua. Un avventore un po’ brillo rischia di fare un bel bagno! La chiesa di Sant’Antonio Eremita, leggermente più in alto, incombe con la sua mole. Naturalmente è chiusa ma almeno dalla porta aperta, sbarrata da una cancellata, si può apprezzare l’unico ambiente, una grande navata con altari laterali decorati da tele; sul soffitto un grande dipinto ritrae al centro Maria con il Bambino. La fastosità barocca dell’interno ricorda l’epoca dei grandi commerci marini, con i capitani di Lussingrande che facevano a gara per decorare la chiesa. L’isola di Losinj è nota per la sua popolazione di delfini, per fortuna da qualche anno una specie protetta, tutelata nell’ambito del progetto Blue World. Il Centro Marino è dedicato proprio a questo simpatico mammifero ma Fabio è troppo piccolo per apprezzarlo e rinunciamo a visitarlo. Nel frattempo la luce del tardo pomeriggio ha acceso ancora i colori del porticciolo; il riflesso nell’acqua delle case colorate sembra un quadro impressionista.
Venerdì 24 agosto/ Sabato 25 agosto: Valun
Esaurite le gite, gli ultimi giorni della vacanza ci rilassiamo a Valun. Per compensarci dalla delusione della cena nella trattoria centrale, pranziamo al ristorante “Mama Lu”. Il locale, come gli altri, si trova proprio sulla banchina lungomare; davanti è ormeggiata la nave da pesca del ristorante e nei giorni scorsi abbiamo incrociato varie volte una cameriera che puliva il pesce direttamente sul mare, attirando frotte di gabbiani. Il pesce, infatti, è freschissimo e la grigliata ottima e abbondante.
Anche per il viaggio di ritorno decidiamo di sfruttare la notte. Lasciamo Valun nel tardo pomeriggio, raggiungendo rapidamente l’imbarco di Porozina. La fila è molto più corta rispetto all’andata; nell’attesa consumiamo la cena al sacco. Quando ci imbarchiamo, è già buio e Fabio è tutto eccitato per la navigazione notturna, attratto dal faro lampeggiante rosso verso cui ci dirigiamo. Sbarcati in Istria, per non rischiare di perderci nelle stradine dell’interno, procediamo lungo la costa orientale della penisola in direzione di Fiume, attraversando vari paesini tutti dediti alla villeggiatura balneare. Prima di Fiume ci immettiamo nell’autostrada diretta verso Lubiana in Slovenia. Noi però dobbiamo tornare in Italia e quindi usciamo poco prima del confine per immetterci nella direttrice che dalla Dalmazia porta verso Trieste. Mancano solo sei chilometri al confine sloveno, ancora per pochi mesi punto d’ingresso nell’Unione Europea. La fila però inizia appena usciti dall’autostrada. Per fortuna Fabio dorme tranquillo: si sveglierà solo a Roma sul Raccordo Anulare! Per arrivare alla dogana impieghiamo più di un’ora; al confine riusciamo comunque a cambiare le poche kune che ci sono avanzate.
In Slovenia il traffico scompare e anche in Italia le autostrade sono deserte. Alle cinque del mattino, superata Firenze, ci fermiamo in un autogrill: quasi deserto appare spettrale, ma un caffè è indispensabile per completare l’ultimo tragitto del viaggio. Alle otto siamo già a casa.