Islanda, ghiaccio e fuoco
Il mio viaggio si avvale dei suggerimenti di Tamara Ferioli, una giovane artista che ama l’Islanda a tal punto da farla diventare una vera e propria musa ispiratrice. Seguire i suoi suggerimenti e la sua passione ti porta a vivere emozioni ripetibili solo nella bellezza delle sue opere che profumano d’Islanda in ogni tratto. Ma mi sto dilungando e come si fa in questi casi? Si riparte dall’inizio.
L’Islanda è raggiungibile anche grazie a una compagnia low cost (la WOW) che collega Milano Malpensa con l’aeroporto internazionale di Keflavik. L’orario non è dei migliori e, anche se la compagnia è rinomata per la puntualità, si atterra a mezzanotte e cinquanta… ma è come se fossero le 6:00 del pomeriggio dato che un bel sole di luglio illumina le terre nere del Reykjanes, la penisola dove è stato costruito l’aeroporto internazionale sui resti della vecchia struttura militare che gli americani avevano costruito negli anni Quaranta.
Il FlyBus in una quarantina di minuti per una strada circondata da terra nera e resti di vecchie eruzioni, collega il volo con la stazione degli autobus della capitale Reykjavik. Aggiungendo l’opzione “+” al biglietto si ottiene la possibilità di essere accompagnati con un furgoncino direttamente alle strutture alberghiere. Appena entrato in camera dopo un viaggio così lungo, è abbastanza normale… andare in bagno. Ed ecco il primo impatto con la terra islandese… anzi con l’acqua islandese. Non essendo ancora abituati, sarete accolti da una puzza di uova marce: la prova di autenticità dell’acqua nei bagni islandesi.
Il primo giorno è dedicato alla visita di Reykjavik, la capitale di Stato che si trova più a Nord nel mondo. La città ha centoventimila abitanti che arrivano a duecentomila con il conglomerato urbano, che equivale a due terzi della popolazione islandese. Il suo nome significa “Baia Fumosa” e ci dice molto sulla terra in cui sono atterrato. Il centro è molto piccolo e l’architettura è da classica città di pescatori con tante piccole case rivestite di lamiera e con piccoli giardini. La domenica mattina devo aspettare le 10:00 per poter fare colazione e poi salgo la collina che sovrasta il centro dove sorge la Hallgríms-kirkja, una moderna chiesa nel tipico stile basaltico islandese inaugurata nel 1986 dopo quasi quarant’anni di lavori. La sua torre di 73 metri permette una splendida vista sulla città e sulla baia in cui giace. Reykjavik è Patrimonio Unesco della letteratura e, infatti, la sua chiesa principale prende il nome da un poeta: Hallgrimur Pétursson. Dalla chiesa mi incammino verso il Pond, un delizioso laghetto nel centro della città, circondato da statue e su cui sorge il moderno municipio. Da lì proseguo verso la piazza centrale e l’oceano. Appena arrivo verso l’acqua, sono attratto da una moderna costruzione che domina la baia. Si tratta dell’Harpa, un elegante centro culturale con sala per concerti, inaugurato nel 2011 e progettato dall’architetto danese Henning Larsen in cooperazione con l’islandese Olafur Eliasson. Si può entrare gratuitamente e ammirare estasiati i giochi di luce che l’alveare di finestre si diverte a fare con il mare e il cielo azzurro, adombrato di grigie nuvole.
Dall’Harpa (se registrate su Facebook la vostra presenza all’interno, il Wi-Fi è gratuito) mi incammino verso il porto antico dove si trovano vecchi magazzini di pescatori ora adibiti a ristoranti, bar e biglietterie per le varie escursioni che partono da lì. Dopo essermi rifocillato con un ottimo Fish & Chips, ho la sensazione di aver visitato già quasi tutta la capitale e decido di iscrivermi a una battuta di Whale Watching (memore di non averla fatta l’anno precedente in Norvegia). Quando partiamo con la barca, inizia a piovere e il mare è molto mosso (per fortuna ho digerito benissimo il pranzo). La barca è affollata e, quando ormai siamo al largo e ci indicano le balene, inizia una guerra per lo scatto, fatta di gomitate e braccia allungate. Alla fine vedo e fotografo qualche pinna che emerge dalle acque (sempre che sia una pinna dato che un museo particolare che visiterò qualche giorno più tardi mi farà pensare ad altro). Tornato al porto e un po’ deluso dall’esperienza, omaggio la statua a Ingólfur Arnarson (il fondatore della città) e mi incammino per la Laugavegur, la via principale, ricca di negozi, gallerie d’arte e locali. La mia camminata termina sul lungomare ad ammirare la statua Sólfar di Jón Gunnar Arnesen che ricostruisce, in salsa moderna, una vecchia nave vichinga. Per la serata mi aspetta la finale degli Europei nella piazza principale della capitale, piena di turisti e il pensiero è a cosa avrei potuto vivere se la squadra miracolo islandese fosse giunta in finale invece di sorbirmi una noiosa Francia-Portogallo e festeggiare insieme ai portoghesi, per non pensare al freddo di una notte con il sole.
La seconda giornata è impegnativa. Mi alzo presto per raggiungere a piedi l’aeroporto. Ovviamente si tratta dell’aeroporto di Reykjavik per i voli domestici che si raggiunge con una camminata di una ventina di minuti dal centro della città. Mi aspetta il volo per Akureyri nel nord dell’Islanda. Dopo una quarantina di minuti atterro nell’aeroporto della seconda città d’Islanda dove mi attende la guida per un tour che mi sono comprato dall’Italia. Come molti islandesi, si tratta di una donna che tra i venti e i trenta anni ha fatto un’esperienza nel continente per poi rientrare nella amata isola natia e, in questo caso, essendo vissuta a Fano, parla un ottimo italiano anche se il tour è in lingua inglese. Saliamo sul piccolo autobus e aggiriamo il fiordo dove si trova la città per una lunga giornata.
Se non hai visto le cascate non sei mai stato in Islanda. Finalmente, inizio a vedere delle cascate e parto con una delle più affascinanti: la Goðfoss, la cascata degli dei. La leggenda narra che, quando nell’anno 1000 il Parlamento Islandese votò una legge per cui il cristianesimo sarebbe dovuto essere religione di stato, in una popolazione che ancora venerava antichi dei e folletti, Þorgeir Ljósvetingagoði, il lögsögumadur di quell’assemblea, cioè colui che era incaricato di recitare in forma di poesie le leggi promulgate, prese tutte le statuette di divinità che aveva in casa e le gettò in questa cascata che divenne, appunto, la cascata degli dei. Subito dopo, si scatenarono violente eruzioni in tutto il paese.
Da lì, ci spostiamo verso lo splendido lago di Myvatn che alterna un paesaggio di acque di un celeste acceso con il verde che ricopre le colate laviche che sono giunte fin al suo interno. A ogni eruzione il panorama della zona può cambiare e si formano e si distruggono isole e scogli all’interno del lago. Ma non è niente rispetto a quello che stiamo per vedere e cioè le splendide rocce appuntite che formano la vallata dello Skútustaðagígar. In mezzo a queste rocce infernali che sono state scenografia per la serie Games of Thrones, si intravedono panorami mozzafiato sul lago e su fumate bianche lontane che, subito dopo aver pranzato con una classica zuppa di agnello, andiamo a visitare. Dai verdi prati alle rocce nere, ci spostiamo verso un inferno rosso. Si tratta di Hverir e della sua Námafjall, cioè un’area geotermale ricca di fumarole e fanghi bollenti. Gli spruzzi d’acqua, a una temperatura attorno ai 100 gradi, producono caratteristici depositi solfurei in tutta la zona e sembra letteralmente di essere su un altro pianeta. La nostra guida, Islandese di Fano, porta il furgoncino stupendamente su un lungo tratto in sterrato tra colline di lava e panorami che variano dall’inferno nero a vallate verdi irlandesi, fino a giungere a un parcheggio da cui ci incamminiamo per ammirare le maestose e famose cascate di Dettifoss. Quindi, dopo un altro breve tratto di strada e un’altra camminata, ci addentriamo nel gigantesco canyon dell’Ásbyrgy, frutto del lavoro dell’acqua in milioni di anni. Percorrendo la camminata del Gönguleiðir, tra le varie formazioni rocciose se ne incontra una gigantesca che ricorda, almeno nella cultura popolare, la forma di un troll. L’Ásbyrgy, secondo il poeta Einar Benediktsson, si formò dall’impronta del cavallo del dio Odino. In effetti, la sua forma ricorda quella lasciata dai ferri di cavallo in terra. Se siete da quelle parti vi consiglio di cercare il Botnstjörn, un delizioso laghetto in mezzo a un bosco pieno di pace (quanto ne abbiamo bisogno) e magici folletti (o quanto meno moscerini).
Il tour prosegue visitando la piccola cittadina di Húsavik, rinomata per il Whale Watching (ma io ho già dato, forse sbagliando, il giorno prima nella capitale). Al ritorno non mi faccio lasciare all’aeroporto ma proseguo a visitare Akureyri. La seconda città d’Islanda è dominata da una chiesa conosciuta come la Cattedrale del Ghiaccio e costruita da Guðjon Samuélsson, lo stesso architetto della chiesa di Reykjavik visitata il giorno prima. Anche qui, una via principale, una piazzetta, un porto nel fiordo e la città è visitata. Giusto in tempo per gustarmi il plokkari, una specialità islandese fatta di patate, formaggio e pesce. Un aereo (che si prende come se fosse un autobus) mi riporta a Reykjavik.
Terzo giorno ancora impegnativo: mi aspetta una barca per una gita tra i ghiacci a (solo) sei ore da Reykjavik, lungo la ring, l’unica strada che gira attorno all’isola. Si tratta di un percorso tra panorami di lava nera o rivestita di verde muschio, a seconda di quanto è antica l’ultima eruzione che l’ha formata.
Nel viaggio di andata mi concedo una sola pausa colazione per visitare una cascata perché ci ricordiamo sempre che, se non hai visto le cascate, non sei stato in Islanda. Siamo nel sud dello Stato, a pochi chilometri da Vik e si incrocia la ripida doccia della Skógafoss, sicuramente meno imponente rispetto a quelle viste il giorno precedente. Io mi soffermo estasiato, sotto la pioggia, ad ascoltare il rumore dell’acqua che precipita, in un senso di pace in un mondo sconvolto dalla violenza. Non è poco per una bella vacanza.
Ma non c’è tempo per soffermarsi se non vogliamo perdere l’appuntamento con la nostra barchetta.
Partenza alle 7:40 del mattino. Arrivo alle 13:30 (con la sola pausa colazione/cascata descritta prima). Barca prenotata alle 14:00. Tempismo perfetto! Siamo arrivati a Jökulsárlon, la laguna in cui il ghiacciaio Vatnajökull irrompe con violenza, rompendosi e creando iceberg di diverse dimensioni che nuotano pacifici. La pioggia che ci ha accompagnato tutto il giorno ci da un attimo di tregua e si apre in un paesaggio straordinario che è stato usato come scenografia in molti film tra cui (e questa è la mia specialità) ben due episodi della saga di James Bond: Bersaglio mobile e La morte può attendere.
Fa molto freddo e, sulla mia giacca vento tecnica da sci, indosso il gilet salvagente, prima di salire sul mezzo anfibio che ci porta per una “romantica” crociera tra i ghiacci. Sulla barca ci accoglie una simpatica guida austriaca che, in inglese, ci racconta che la laguna tra il 1975 e oggi è cresciuta dagli iniziali 7,9 chilometri quadrati agli attuali diciotto, per lo scioglimento dei ghiacci. Ci raccoglie anche un piccolo iceberg per faci toccare il ghiaccio e assaggiare una inimitabile granita all’islandese (metti il ghiaccio in bocca… facile da preparare). È un’esperienza indimenticabile e piange il cuore a dover intraprendere il viaggio di ritorno a Reykjavik ma il pensiero di poter visitare ciò che abbiamo dovuto saltare all’andata ci rincuora.
La prima tappa è una bella passeggiata di circa un’oretta, sotto il diluvio universale nei boschi del Parco Nazionale dello Skatfatell, per andare a vedere la deliziosa cascata di Svartifoss. La foto a fianco alla cascata bagnati fradici è la medaglia al valore della camminata.
Sulla via del ritorno, visitiamo Vik e le sue nere e suggestive spiagge. So già cosa state per chiedermi: nessuno fa il bagno ma la foto piena di emozioni è assicurata. Il percorso per arrivare alle spiagge si prende da una specie di autogrill sulla strada dove ceniamo con degli ottimi hot dog.
Come dopocena, in una serata illuminata dal sole, ci fermiamo a visitare un’altra cascata che avevamo intravisto dalla strada. Si tratta della Seljalandsfoss e ha la particolarità di poter passeggiare fin dietro alla cascata. Tanto eravamo già bagnati per la pioggia…
Da lì rientriamo a Reykjavik dove arriviamo più o meno alle 23:30 ma la luce del sole e l’entusiasmo per la bellezza di ciò che abbiamo visto ci fa pensare di essere ancora nel pieno del pomeriggio.
Il quarto giorno cerco di fare qualcosa di meno impegnativo e mi dedico a un classico che però è obbligatorio la prima volta in Islanda. Mi iscrivo al tour del Golden Circle. Si parte alle 9:00 del mattino e un comodo autobus dotato di wi-fi ci accompagna in uno dei giri più classici dello stato scandinavo. Da Reykyavik ci si sposta verso nord-est nell’entroterra. Generalmente, il centro dell’Islanda ha solo sentieri ed è anche abbastanza pericoloso per le eruzioni e i possibili terremoti. Ma il Golden Circle è un giro classico e molto semplice. Si entra in una terra particolare ricca di verde (sinonimo del fatto che non è distrutta da eruzioni da molto tempo). Si vedono addirittura delle piante: dei pini importati dall’Alaska per rendere il terreno meno franoso. In una terra così particolare la prima tappa si ha in un luogo assolutamente surreale. Si tratta della fattoria di Friðheimar, una struttura in cui in enormi serre che sfruttano la principale risorsa del paese (l’acqua bollente) si producono dei pomodori dolcissimi da fare concorrenza al sapore mediterraneo. Fare colazione con una zuppa di pomodoro in Islanda è un’esperienza da provare e se volete un Bloody Mary all’islandese, basta chiedere.
Dalla fattoria, in pochi minuti, si raggiunge Geysir. Ora, se si chiamano geysir in tutto il mondo è proprio perché esiste Geysir. Si tratta di un’area geotermale meno impressionante per dimensioni e colori rispetto a Hverir visitata il primo giorno nel nord ma famosa e da una caratteristica unica. Le pozze di acqua sparano i famosissimi spruzzi che tutti i turisti hanno immortalato nelle proprie foto. Una di esse, denominata Strokkur, ha una precisione quasi svizzera. Praticamente ogni otto minuti forma l’enorme bolla blu che si disintegra nel caratteristico spruzzo di vapore.
Dopo Geysir si va a visitare una delle cascate più imponenti di tutta l’Islanda. Gullfoss ha in realtà una doppia caduta d’acqua in sequenza che crea un rumore assordante. Un sentiero porta a pochi metri dalle cascate e di questo si deve dire grazie a Sigridur i Brattholti, la donna che, per prima, nel 1875 tracciò la strada che, ora, milioni di turisti percorrono.
Da Gullfoss, seguendo la strada del Golden Circle, si intravede una lunga e nera costa rocciosa. È emozionante: si tratta del confine tra la faglia Nordamericana e quella Euroasiatica. State entrando nel Parco Nazionale del Þingvellir, patrimonio UNESCO dell’Umanità. Il nome è formato dalle parole “Þing” (parlamento) e “vellir” (pianura) e ha un significato storico importante in quanto, nell’anfiteatro naturale formato dallo scontro tra le due faglie, si formò nel 930 un vero e proprio Parlamento in cui i politici dibattevano con i cittadini le leggi. Fu lì che, nell’anno 1000, Þorgeir Ljósvetingagoði decretò il cristianesimo religione di stato, creando i presupposti per la vendetta degli dei, come vi ho raccontato il primo giorno. Il 7 giugno 1944 nel Þingvellir venne proclamata l’indipendenza dell’Islanda. Inutile soffermarmi sul fatto che si tratta di un posto emozionante sia dal punto di vista naturale che storico.
Dopo una tripletta di giornate in giro per l’Islanda, decido di prendermi un giorno per dedicarmi di nuovo alla capitale e, in particolare, ai suoi musei. Ovviamente, la mia voglia di natura mi porterà a un giro non proprio convenzionale. Alle 10:00 mi presento davanti all’Hafnarhús che si trova vicino al porto (ed è infatti una vecchia fabbrica del pesce riconvertita). È uno dei tre musei che formano il Reykjavik Art Museum, cioè il Museo d’arte moderna della capitale (il biglietto è valido per tutti e tre in giornata). Le sue sale offrono spesso mostre di giovani artisti islandesi e nel mio caso si tratta di una esibizione di opere legate alla natura del posto. Ma essenzialmente la struttura ospita permanentemente le opere di Erró, forse il più grande artista Pop islandese.
Dopo la visita, mi reco al porto dove acquisto un biglietto per il traghetto che mi porta a Viðey, l’isola degli artisti, che si trova davanti alla capitale. Si tratta di un luogo selvaggio in cui camminare in stretti sentieri nei prati e incrociare opere d’arte. La bella giornata (pur con le solite nuvole) aiuta ad apprezzare meglio l’atmosfera. In giornate in cui l’Europa è travolta da atti terroristici senza senso che nessuna religione può giustificare, questa terra senza dei merita la visita per la torre disegnata da Yoko Ono in cui la frase “Immagina la pace” è scritta in tutte le lingue. Un’utopia? Forse. Poi il percorso è delineato dalle imponenti “milestones” di Richard Serra che segnano la strada. L’isola è un paradiso per gabbiani, anatre e centinaia di uccelli di varie tipologie.
Tornato sulla terra ferma, attraverso a piedi la città per passare davanti alla stazione degli autobus (e prenotarmi il viaggio per il giorno dopo) e arrivare al secondo museo del Reykjavik Art Museum, il Kjarvalsstaðir la cui struttura permanente è destinata alle opere di un altro grande d’Islanda: Kjarval.
Sulla strada per tornare a casa (salterò il terzo museo, l’Ásmundarsafn, dedicato alle statue di Ásmundur Sveinsson e Elín Hansdóttir), termino alla grande la mia giornata dedicata alla cultura con un museo unico al mondo… nel senso che ne esiste proprio solo uno: il Museo Fallologico Islandese… sì, avete capito bene: proprio il museo del… fallo. La premessa è che si tratta dell’unico museo a Reykjavik che fornisce un quaderno-guida in lingua italiana. Ci sarà un perché? Il suo interesse è forse più sociologico che scientifico comunque, può sembrare strano, ma si tratta di una cosa seria: il museo contiene duecentonove peni e parti di pene, appartenenti a pressoché tutti i mammiferi terrestri e marini presenti in Islanda, cinquantacinque campioni appartenenti a sedici differenti specie di cetacei, un campione estratto da un orso polare, trentasei pezzi provenienti da sette differenti specie di foche e trichechi, e centoquindici campioni originari di venti differenti tipi di mammiferi terrestri. Ha anche ricevuto la promessa legalmente certificata di quattro campioni di membri di Homo Sapiens… In aggiunta alla sezione biologica del museo, i visitatori possono ammirare la collezione di circa trecento stranezze artistiche e altri pratici utensili, collegati al tema. Tra queste, la sezione umoristica offre una vignetta di una barca di turisti che si accalcano a fotografare un pezzo di balena che emerge dalle acque ma il disegna entra nelle profondità e dimostra che quello che stanno fotografando non è altro che la punta del suo… bé, avete capito… e io ho pensato alla mia avventura del primo giorno. La collezione nasce dalla passione di Sigurdur Hjartarson, laureato in Storia all’Università Islandese con un Master di Storia Latino-Americana presso l’Università di Edimburgo, in Scozia. Ha scritto e tradotto una ventina di libri, principalmente sulla storia latino-americana e sullo spagnolo. Ma un giorno qualcuno gli ha regalato un fallo di un cetaceo…
La sesta giornata parto per il tour del Parco Naturale di Snæfells. Si tratta di una penisola a nord di Reykjavik con al centro c’è un enorme ghiacciaio che si vede più o meno dappertutto e dalle cui coste frastagliate in rare giornate di luce perfetta si può vedere la Groenlandia.
La prima tappa è la laguna di Ytri Tungu dove spesso si vedono i leoni marini spiaggiati a riposare. Non sono fortunato e mi accontento di osservare migliaia di uccelli e una spiaggia nera e fangosa con splendidi panorami tra il ghiacciaio e le alte onde dell’oceano.
In una terra priva di violenza, una targa sulla strada ci ricorda che in quei luoghi nella seconda metà del 1500 visse il più famoso serial killer islandese: Axlar-Björn. Raggiungiamo così Hellnar, una cittadina innalzata sull’oceano con degli scogli impressionanti. Ci spostiamo verso Arnarstapi dove parte lo Ströndin, un sentiero a picco sugli scogli che ci fa godere di panorami impressionanti tra cui un famoso scoglio a forma di arco di trionfo su cui si infrangono le onde. Il sentiero collega a piedi i due piccoli paesi in poco tempo ed è assolutamente da percorrere. Un gigante di pietra alla partenza protegge i camminatori dal non cadere nelle acque.
Da lì, il tour prosegue verso SvalÞúfa dove si vedono delle curiose formazioni sulle acque che sono un ricordo dell’ultima eruzione. Si trova anche un piccolo museo del parco dove assaggiare e odorare i fiori e le radici che si possono trovare in quell’area naturale. In zona è notevole anche il panorama dal faro e la vicina spiaggia nera.
Da lì raggiungiamo la famosa spiaggia nera di Djúpalónssandur. Una volta lasciato l’autobus, ci si inerpica per un sentiero in mezzo a impressionanti e appuntiti resti dell’ultima colata lavica. Si incrocia perfino una specie di lago alpino, prima di raggiungere la spiaggia. Qui il paesaggio è da film di fantascienza. La spiaggia nera è curiosamente decorata dai resti rossi per la ruggine di una nave che naufragò in quel punto. Sono lì come un’opera moderna (una cosa che in Italia sarebbe proibita per la paura atavica dei genitori di qualunque graffio possa accadere ai propri figli).
Un’altra spiaggia nera anche se più piccola è quella che si trova nella piccola cittadina di Ólafsvik.
Il tour prosegue con l’avvistamento di una delle montagne più famose d’Islanda, la Kirkjufell (il Monte Chiesa), famosa per le sue striature e perché si specchia nel lago che la circonda. Molto scenografica, è stata infatti location di numerosi film tra cui I sogni segreti di Walter Mitty.
L’ultima tappa del percorso è il lago Vatnaileð che impressiona per la forma a ferro di cavallo dovuta alla lingua di lava che l’ultima eruzione ha lasciato nel centro.
La mattina successiva sarei dovuto andare alla Blue Lagoon prima di partire per il volo di ritorno nel pomeriggio ma il caldo torpore islandese, la saudade, la voglia di sedermi di nuovo a vedere le acque del porto mi ha fatto saltare quest’ultima tappa nel dubbio che fosse troppo affollata e turistica. Proprio ora che mi ero abituato all’odore dell’acqua. Ti amo Islanda.