In India alla scoperta del Karnataka meridionale

Itinerario inconsueto che riserva incredibili sorprese artistiche
Scritto da: gildam21
in india alla scoperta del karnataka meridionale
Partenza il: 01/02/2011
Ritorno il: 03/02/2011
Viaggiatori: due
Spesa: 1000 €
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Bangalore, Bengaluru in lingua kannada, è la porta principale di accesso al Karnataka, uno stato indiano forse poco conosciuto turisticamente, ma ricco di bellezze artistiche inimmaginabili.

Sbarchiamo dall’aereo dopo circa un’ora di volo da Kochi nel Kerala, ed apprezziamo la comodità di questo mezzo dopo le innumerevoli ore passate in macchina su strade disagiate.

L’aereoporto di Bangalore è ultramoderno ed all’esterno troviamo la solita marea di autisti che attendono uomini d’affari occidentali in continuo arrivo nella capitale mondiale dell’informatica. Federico Rampini nel suo saggio “La speranza indiana” parla del verbo “to bangalore” che negli USA è ormai sinonimo di delocalizzare, Bangalore infatti ospita i call centers di molte società internazionali, ed ha sviluppato un’industria della tecnologia informatica famosa in tutto il mondo.

Una superstrada ci conduce verso la città, dove nuovi quartieri ultramoderni, convivono con con la parte storica, che un tempo veniva chiamata “la città dei giardini”, per i suoi bellissimi e numerosi parchi.

Decidiamo di visitarne almeno uno, il più famoso: i Lalbagh Bothanical Gardens (www.lalbaghhgardens.com). All’ingresso ci accoglie un’incredibile collina calva sormontata da una curiosa torre di guardia a forma di pagoda, la volle il principe indiano fondatore del parco, che lo fece coltivare prevalentemente a rose rosse dalle quali deriva il suo nome, che in persiano significa giardino rosso.

Successivamente gli inglesi, all’epoca del Raj, vi acclimatorono una grande quantità di alberi e piante provenienti da ogni parte dell’impero che gli conferirono il primato, tuttora insuperato, di parco naturale più ricco in varietà vegetali di tutta l’Asia del Sud. E’ possiblie visitarlo sia a piedi che approfittando di ecologiche e comode auto elettriche. Sicuramente imperdibile è la Glass House, una grande serra liberty, dove abbiamo potuto farci un’idea del Flower Show, la mostra floreale che viene allestita due volte l’anno: il 26 gennaio per la festa della repubblica e il 15 agosto per l’anniversario dell’indipendenza.

Anche Bangalore ha una viabilità caotica e congestionata, riusciamo per miracolo a fotografare la sede del governo dello stato: un edificio moderno in stile anglo-indiano, poi saliamo al Bull Temple (tempio del Toro Nandi), luogo di particolare venerazione locale. In questa zona della città mancano i marciapiedi, le mucche girano per la strada indistrubate ed è impossibile trovare un posto decente per una sosta toilette.

Ci avviamo verso Mysore. Abbiamo cambiato autista, quest’ultimo sembra molto più preparato e professionale del precedente, apprendiamo che sua figlia Archana gestisce un’agenzia di viaggi (archana.tours1@gmail.com), per la quale anch’egli lavora, che è specializzata nell’organizzazione di tours privati per turisti stranieri. Lungo la strada visitiamo un setificio, le saree di Mysore sono infatti, ricercate in tutta l’India per la loro finezza. L’ambiente di lavoro è rumoroso e poco illuminato, la manod’opera è composta solo da donne, alcune delle quali lavorano col proprio bambino in braccio, tutte ci guardano con espressione rassegnata, ci sentiamo a disagio e, uscendo, lasciamo un’offerta che, secondo l’autista, servirà per offrire loro un thè…

Verso Mysore: il palazzo reale, i templi stellari e il santuario di Sravanabelagola

Il paesaggio del Karnataka è completamente diverso da quello di Tamil Nadu e Kerala. Ora ci troviamo sul plateau del Deccan un altopiano che occupa una vasta zona compresa tra i Ghati occidentali e quelli orientali, l’altidudine varia tra i 900 ed i 1200 metri slm, ed in questa stagione (gennaio-febbraio) la temperatura è gradevole: caldo secco nelle ore centrali della giornata (circa 30°) e fresco alla sera (da 15 a 20°), durante il nostro soggiorno non abbiamo avuto un giorno di pioggia. Alle distese di risaie ed ai boschetti di palme si è sostituita la vegetazione arida e polverosa della savana, mentre la situazione delle strade è leggermente migliorata rispetto a quella dell’estremo sud. Arriviamo in serata alla città reale di Mysore e ci stabiliamo al Lalita Mahal Palace (www.lalithamahalpalace.in). L’albergo si trova a circa 5 km dal centro e vederlo in distanza è un vero colpo d’occhio: situato su una bassa collina è un palazzo in marmo bianco con la facciata a doppio colonnato sormontata da una cupola simile a quella della basilica di St. Paul a Londra. Edificato nel 1920 come foresteria per gli ospiti illustri del Maharaja di Mysore, negli anni 70, dopo un lungo periodo di abbandono, fu trasformato in albergo di lusso ed è consigliabile sicuramente a chi voglia rivivere per qualche giorno il fasto delle antiche corti indiane. In effetti è molto sontuoso, la nostra camera è quasi una suite, con attiguo salottino e due ampi terrazzi, purtroppo però, i servizi igienici sono poco efficienti e l’aria condizionata non è regolabile. In ogni caso cenare nella grande sala dei banchetti con la volta bombata, azzurra e bianca, ispirata alle porcellane Wegwood, è una bella esperienza, anche se il cibo non è particolarmente appetitoso ed il servizio è un pò lento, difetti imputabili forse alla gestione statale.

Eccoci a Somnatpur

Il giorno successivo ci rechiamo a Somnatpur, un villaggio situato a circa 30 km da Mysore, per visitare il tempio stellare dedicato al dio Kesava. Le sue dimensioni sono modeste, ma la sagoma a forma di stella, ripresa ed ampliata dal basamento, lo rende particolarmente originale e i raffinati bassorilievi che lo ricoprono interamente, lasciano il visitatore senza parole. E’ l’unico tempio stellare ad essere giunto fino a noi in perfetto stato di conservazione, grazie all’intervento dei sacerdoti che lo ricoprirono interamente di sabbia per salvarlo dalla furia iconoclasta delle orde mussulmane. Il posto è di grande suggestione grazie alla posizione isolata ed all’assenza totale di pellegrini in quanto considerato monumento archeologico di importanza nazionale. Accanto all’ingresso una piccola buca delle lettere rossa appesa ad un albero ricorda che imbucando una cartolina le verrà apposto l’annullo postale con l’immagine del tempio. Rientrati a Mysore ci rechiamo a Chamundy Hill, la collina su cui sorge il tempio hindu dedicato a Sri Chamundeswari (la dea Durga). L’edificio costruito nell’XI secolo è dotato di un’imponenente gopuram alta circa 40 metri che permette l’ingresso dei fedeli attraverso un bel portone di legno interamente rivestito d’argento con decorazioni a sbalzo. La collina è raggiungibile sia in macchina che salendo una scalinata di circa 1000 gradini, accesso solitamente preferito dai pellegrini che lo percorrono a scopo devozionale. Giunti in cima si può godere di una splendida vista della città di Mysore e dei suoi monumenti principali, tra cui spicca per suo il candore, il complesso del Lalitha Mahal Palace. Il tempio è oggetto di grande venerazione da parte dei fedeli che ne affollano il piazzale antistante salutandosi, chiacchierando, recandosi ad acquistare ceste di offerte presso i banchi del vicino mercato e mettendosi in coda per passare il controllo al metal detector situato all’ingresso, dove il corteo è spesso interrotto dalla presenza di qualche mucca sacra che passa indisturbata o che giace sdraiata per terra a sonnecchiare. Noi seguiamo il flusso dei pellegrini ma, purtroppo non ci è permesso l’accesso al Sancta Sanctorum, in quanto non siamo di religione hindu. Visitando le zone a noi consentite, passiamo davanti al recinto dove vengono pubblicamente contabilizzate le offerte in denaro. Vediamo infatti, seduti ad un tavolo rettangolare, una decina di uomini estremamente concentrati che suddividono e contano un’incredibile quantità di banconote, accanto a loro, per terra, fra mucchi di monete, alcuni bambini (maschi), con la medesima concentrazione, le dividono in base alle dimensioni, gettandole in secchi di latta. Ci soffermiamo ad osservare l’attività frenetica dei contabili, e la nostra guida ci spiega che un’altra fonte importante di introiti per il tempio proviene dalla vendita dei capelli, che molti fedeli, bambini compresi, si fanno rasare completamente ed offrono alla divinità per adempiere a voti o richiedere grazie. Questi chiome vengono vendute a centri specializzati che le selezionano e le decolorano per commercializzarle poi nei paesi occidentali, dove sono molto richieste per il confezionamento di parrucche o extensions. Nel pomeriggio ci rechiamo al Palazzo del Maharaja: si tratta si un edificio monumentale in stile indo-saraceno completamente ricostruito ad inizio ‘900, in seguito ad un incendio, è situato all’interno di un parco estremamente curato, dove si trova anche un piccolo tempio Hindu. I visitatori sono prevalentemente indiani, dal loro abbigliamento: turbanti e “Gandhi cap” per gli uomini e pallu drappeggiato sulla testa per le donne, capiamo che molti provengono dagli stati indiani del nord, sono numerose anche le scolaresche in gita accompagnate dagli insegnanti. Mysore è una meta turistica molto frequentata soprattutto durante il festival di Dussehra, che ha luogo di solito nel mese di ottobre per celebrare la vittoria del bene sul male, in questa occasione hanno luogo numerose manifestazioni e cortei che fanno rivivere alla città gli antichi fasti della corte reale.

Il palazzo, dotato di un infinito numero di stanze, è di una magnificenza che supera ogni possibile immaginazione. Il percorso turistico (da eseguire a piedi nudi) prevede l’attraversamento di un limitato numero di sale ora trasformate in museo, dove tra marmi, stucchi, caleidoscopiche vetrate e monumentali lampadari di cristallo, è possibile ammirare una galleria di quadri con i ritratti dei sovrani e dei membri della famiglia reale ed una sequenza di tele che riproducono in modo particolareggiato, le fasi di un corteo reale. Proseguendo troviamo i doni che venivano offerti al sovrano, tra i quali spicca una bella collezione di armi ed una serie di scatole in materiali preziosi dove gli ospiti illustri ponevano le loro credenziali prima di presentarle al sovrano, copie molto più modeste di questi contenitori, sono utilizzate tuttora nei ristoranti della città per porgere il conto dei clienti. Purtroppo è necessario lasciare all’ingresso macchine fotografiche e cineprese perchè è assolutamente vietato riprendere gli interni. Il tetto e la facciata del palazzo sono interamente ricoperti di lampadine (pare 90.000) che il sabato e la domenica alla sera per due ore e durante il festival di Dussehra vengono accese producendo un effetto straordinario.

Dopo la visita la palazzo ci rechiamo al Deva Raja Market, dove visitiamo il settore dedicato al commercio dei fiori freschi. L’abitudine di adornare le acconciature ed il corpo con i fiori è sempre stata molto diffusa in India. Il Pandit Nehru, che veniva chiamato “l’uomo della rosa”, tutte le mattine infilava nell’occhiello della sua giacca candida un fragrante bocciolo di rosa appena colto. Guido Gozzano, che visitò il subcontinente all’inizio del ‘900, riporta quanto segue nel suo diario “Verso la cuna del mondo“: “chi ha un’ultima moneta, si compera trenta rose, le rose che si vendono già decapitate, in piramidi irrorate di continuo, e le infilza su una cordicella d’argento per la ghirlanda quotidiana, o passa dal profumiere per mezz’oncia di benzoino (tutti si profumano e s’infiorano in questo paese: anche i cocchieri, anche i bovari)”.

In effetti soprattutto le donne portano ancora con estrema eleganza bellissime acconciature di fiori freschi che spiccano sul nero lucido delle trecce e degli chignon. Ad un primo esame questi fiori sono talmente perfetti da sembrare finti e sicuramente vengono sostituiti più volte nel corso della giornata per assicurarne freschezza e profumo. Questo spiega la presenza a Mysore di un mercato dedicato esclusivamente al commercio dei fiori recisi che per il visitatore occidentale è sicuramente un luogo fuori dal comune per l’intensità delle sensazioni visive ed olfattive che offre. Ci si muove in un fitto dedalo di stradine fra banchi stipati di ceste ricolme di corolle; alle pareti sono appese collane e decori simili a grandi salsicce interamente formate da fiori di vari colori che vengono acquistate come offerte votive per i templi. I venditori provvedono sul momento al confezionamento degli ornamenti floreali infilando velocemente i boccioli con ago e filo. La visita è veramente imperdibile e si conclude attraversando la sezione ortofrutticola del mercato che, pur essendo anch’essa molto colorata, presenta una minore originalità. Ultima esperienza a Mysore è la chiesa di Santa Filomena, è una cattedrale in stile neogotico costruita dagli inglesi per la comunità cristiana presente nello stato. Questa tappa, che rientra in quasi tutti i tour organizzati, non è particolarmente significativa.

In viaggio per Sravanbelagola

Ripartiamo il giorno successivo per Sravanbelagola dove, sulla collina di Vindygiri, sorge un famoso santuario della religione jainista, che si connota per l’atteggiamento non violento dei suoi adepti, i quali rispettano tutte le forme di vita esistenti sulla terra comprese le più piccole come insetti e vermi. Per ovvi motivi i jainisti non esercitano l’agricoltura e si indirizzano a professioni che non comportino un contatto con la natura, nel passato erano prevalentemente banchieri e gioiellieri questo spiega il fasto e la sontuosità che caratterizza molti templi di questa religione. Tornando a Sravanbelagola ciò che colpisce a prima vista è la statua monolitica di granito candido del profeta, Gomatheswara o Bahubali, alta 17 metri e visibile a distanza di kilometri, che svetta sulla sommità del monte. Circa 700 gradini scavati nella diorite nuda e liscia e protetti da una ringhiera, permettono di raggiungere con fatica la vetta. Naturalmente è obbligatorio lasciare le scarpe alla base, ma fortunatamente sono concesse le calze, che nelle ora più calde proteggono un pò dal calore emanato dai gradini arroventati.

Chi non se la sentisse di affrontare l’ascesa sotto il sole cocente, può ricorrere, come abbiamo fatto noi, a 4 portatori che offrono per 800 Rupie a passeggero + la mancia, la possibiltà di fare il percorso in una portantina di giunco chiamata “dholi”. Indubbiamente in questo modo la salita è più comoda e una sosta a metà percorso permette ai portatori di riposarsi ed ai turisti di godere del panorama a mezza costa.

Giunti sulla vetta entriamo nel cortile del tempio dove possiamo osservare da vicino la statua di Baubali, costruita nell’anno 1000, introno ad essa un porticato dove, in apposite nicchie, si trovano le statue, molto più piccole, dei successivi profeti della religione jainista. Sicuramente le dimensioni della statua e il suo sorriso celestiale ed assorto colpiscono il visitatore. Il profeta è rappresentato completamente nudo con pampini d’uva attorcigliati alle gambe a significare l’immobilità della sua concentrazione. Volendo è possibile ottenere da sacerdote una benedizione, lasciando un’offerta. Il tempio è realizzato in pietra calcarea di un bel colore dorato, decorata a bassorilievi in molti punti ed è circondato da un corridoio, protetto da una cinta di mura, che i fedeli percorrono girando in senso orario e recitando mantra.

La vista che si ha da questa postazione è veramente incredibile ed il luogo spazzato dal vento è ricco di grande suggestione. Ho anche cercato di immaginare la grande festa per l’adorazione di Bahubali che viene celebrata ogni 12 anni, e durante la quale i sacerdoti, inerpicandosi su apposite impalcature, inondano parecchie volte al giorno il simulacro del profeta con recipienti colmi di latte, succo di canna da zucchero, acqua benedetta, zafferano, fiori e addirittura foglie d’oro e d’argento. L’ultima cerimonia si è svolta nel 2006 ed ha attirato sul posto oltre tre milioni di visitatori tra fedeli e turisti.

La discesa eseguita di corsa dai portatori è molto veloce, più lunga e complicata invece è la trattativa per determinare l’importo della mancia, che che si conclude lasciando i portatori insoddisfatti nonostante l’importo sia stato da noi aumentato più volte.

Ci dirgiamo ora verso Hassan per visitare i templi stellari di Belur ed Halebid situati nelle vicinanze e considerati i più significativi del periodo Hoysala (XI-XIV sec.).

La costruzione del tempio di Belur dedicato a Chennakesava (Visnu-Krishna) durò per circa un secolo e ricorda la vittoria dei sovrani Hoysala sulla dinastia Chola. Lo raggiungiamo a fatica, dopo aver subito un vero e proprio assalto da parte dei venditori di cartoline e souvenir. Si trova all’interno di un recinto murario, di fronte ad esso, dentro una mandapa, un padiglione sostenuto da colonne, si può ammirare una statua del toro Nandi, che sembra sia la più bella dell’India ed è ricavata da un unico blocco di granito perfettamente levigato. L’animale è rappresentato in posizione di riposo, accucciato sulle proprie zampe, i cui zoccoli riportano accurate incisioni a motivi floreali, anche il collo e la coda sono ornati di gioielli e corone di fiori riprodotti nella pietra in maniera estremamente realistica. La statua è oggetto di grande venerazione e si riesce a stento a vederla facendosi spazio fra la moltitudine di pellegrini.

La guida ci spiega che i templi stellari derivano il loro appellativo oltre che dala forma del basamento anche dal fatto che i sacerdoti ne stabilivano l’orientamento in base alle congiunzioni astronomiche, mentre il luogo della costruzione veniva identificato nel punto in cui si fermava un toro sacro lasciato libero nel recinto destinato all’edificazione.

Due sono le caratteristiche di questi templi, oltre alle dimensioni ridotte rispetto ai templi del Sud India: la presenza all’interno di più di un Sancta Sanctorum e poi l’estrema cura nel dettaglio dell’ornamentazione che ricopre interamente l’interno e l’esterno degli edifici. Questa zona all’epoca degli Hoysala era famosa per la lavorazione del legno di sandalo e dell’avorio, e tale abilità si trasferì per volere dei sovrani alla lavorazione della steatite, una pietra che è tenera al momento dell’intaglio ma si indurisce successivamente, permettendo la conservazione nel tempo delle sculture.

E’ difficile spiegare a parole la perfezione dei particolari nei fregi che ornano il tempio dalla base alla sommità, basti dire che le immagini degli animali e delle figure umane sono tutti caratterizzati singolarmente ed è difficile trovarne due uguali. I bassorilievi hanno una precisa simbologia: partendo dalla base il corteo di elefanti rappresenta la forza, sopra di esso i cavalieri al galoppo rappresentano la potenza, man mano che si sale troviamo animali fantastici, pavoni, carri da guerra completi di armi e soldati a testimoniare l’importanza strategica dell’esercito ed infine scene molto particolareggiate tratte dai poemi epici hindu o ispirate ai fasti della raffinata vita di corte spesso allietata dall’esercizio di arti come la musica e la danza. Sicuramente da non perdere è l’immagine di una danzatrice, definita la Monna Lisa indiana, il cui ineffabile sorriso ricorda quello della Gioconda di Leonardo da Vinci.

A pochi chilometri di distanza visitiamo il tempio di Halebid, l’antica capitale del regno Hoysala. Qui lo stile è molto simile a quello dei due precedenti mentre le dimensioni sono maggiori e nel recinto sacro, al quale si accede attraverso una gopuram molto eleborata ed ornata anche da sculture a tema erotico, troviamo una piscina sacra destinata alle abluzioni. Questo tempio anch’esso molto interessante dal punto di vista artistico e ricco di dettagliati bassorilievi, purtroppo è rimasto incompiuto e come quello di Belur presenta notevoli danni soprattutto ai fregi inferiori, causati dalle invasioni mussulmane, nonostante questi inconvenienti è sicuramente da visitare.

Lasciamo la zona meridionale del Karnata per dirigerci a nord dove altre meravigliose scoperte ci attendono.

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lalbagh monolito

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lalbagh Cristal palace

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danzatrice sacra detta Monna Lisa

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somnatpur tempio stellare

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lalitha mahal palace notturno

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Mysore Palazzo

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Mysore Devaraja market



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