La Sardegna come non pensavi di scoprirla: dimentica le spiagge, è questo il modo giusto (ma insolito) per esplorare l’isola selvaggia

Un’esperienza insolita per periodo, territorio e itinerario. Se in tanti scelgono di visitare la Sardegna in piena estate e godere delle sue magnifiche spiagge, questo tour ci pota a scoprire l’entroterra sardo attraverso l’Ogliastra nel periodo che intercorre tra la vigilia di Natale e San Silvestro. Curioso? Folle? Scopriamolo
Indice dei contenuti
Sardegna: eBike in Ogliastra. Diario di viaggio
24 dicembre – Tortolì, primi raggi d’inverno
La vigilia di Natale ci trova in volo: atterriamo a Cagliari Elmas poco dopo mezzogiorno. Ad attenderci c’è Simone, della “Sardinia E-motion”. Aspettate a lasciarvi coinvogere dall’entusiasmo del nome… per ora solo pragmatismo: il nostro “agente in Sardegna” ci consegna i panieri, il roadbook e ci guida in auto verso Tortolì, dove ci aspettano le nostre eBike parcheggiate all’hotel La Corte. Il paese ci appare un po’ sfiatato, bisognoso di cure, ma il clima ci consola: luce affilata da inverno sardo.
Nel cortile dell’hotel, tra il tintinnio delle tazze e il rombo lontano del traffico, Simone ci illustra dettagliatamente l’itinerario dei prossimi sei giorni. Vorremmo mangiare qualcosa prima di questa maratona iniziale, ma lui non s’intenerisce, ha una scaletta serrata: attrezzi per emergenze, punti di interesse da segnalarci (alcuni purtroppo chiusi, come la grotta Su Marmuri o il nuraghe S’Ortali ‘e su Monti), deviazioni consigliate (Marina di Gairo e cascate di Santa Barbara). Infine, sessione tecnica: funzionamento delle bici a pedalata assistita, fanali e batterie.
Ci rilassiamo più tardi sul balcone, ancora baciato dal sole, con un’insalata di tonno e fagioli e una tisana bollente. Sotto il nostro alloggio, Corso Umberto I vibra di voci, passi, chiacchiere: un frastuono che ci accompagnerà fino a notte fonda.
25 dicembre – Arbatax e le torri saracene: tra rocce rosse e panorami selvaggi
Alle 9:30 è previsto il prelievo dei bagagli: niente indugi sotto le coperte, oggi si parte presto. Affacciandoci alla finestra, tutto tace. Nessuno in giro, solo silenzio. Scendiamo per una colazione rapida e intima: cappuccino e cornetto – vegano per me – ma Leonardo, attirato da uno yogurt, lo assaggia con leggerezza. Più tardi, però, comincerà ad accusare un lieve fastidio addominale che peggiorerà proprio nei pressi della Torre di San Gemiliano. Per fortuna avevo previsto tutto: due Imodium nello zaino e problema (quasi) risolto.
Lasciamo Tortolì imboccando la SS 125 “Orientale Sarda”, piuttosto trafficata, e seguiamo la direzione del porto di Arbatax, prima meta della giornata. Il nome insolito della cittadina ha origini arabe, e di fronte al porto, in lontananza, si scorge Santa Maria Navarrese, incastonata in una splendida insenatura davanti all’isola dell’Ogliastra – la visiteremo il penultimo giorno. Ad Arbatax ci fermiamo ad ammirare la torre saracena di San Michele, situata alla sinistra del lungomare. Poi, svoltando a destra, ci troviamo di fronte alle celebri rocce rosse di porfido che rendono unico il panorama marino.
Sempre in sella, raggiungiamo la spiaggia di Porto Frailis e ci dirigiamo poi verso la Torre di San Gemiliano, vicino alla Marina omonima. In passato sorvegliava le spiagge di Orrì e di Cea ed era in collegamento diretto con la Torre di Barì, più a sud. È possibile salire fino in cima grazie a delle scale metalliche che portano prima alla casamatta e poi alla piazza d’armi, da cui si apre una vista splendida sul litorale ogliastrino. Stavolta vado solo io: Leo è ancora in fase di recupero. Poi facciamo uno spuntino con ciò che avevamo comprato ieri sera al Conad di Tortolì.
Proseguiamo seguendo le indicazioni per la spiaggia di Basaura, che fotografiamo, poi ci dirigiamo verso il lido di Orrì. Costeggiamo la costa, fermandoci su diverse spiagge sabbiose, selvagge e bagnate da acque limpide. Per visitare il Lido di Cea deviamo leggermente dal percorso. La penultima sosta è al nuraghe Sellersu, costruito in blocchi di basalto: si compone di una torre centrale affiancata da due laterali e domina la baia di Cea dal margine orientale dell’altopiano di Teccu.
Concludiamo la giornata alla Torre di Barì, una splendida struttura spagnola situata su un piccolo promontorio da cui si gode una vista mozzafiato sull’intera costa. Da lì, seguiamo le indicazioni per il campeggio “Ultima Spiaggia”, poi teniamo alla nostra sinistra il canale Riu Bau Samu fino a raggiungere il B&B Campu Moru.
Qui le cose si fanno più… rustiche. Chiediamo subito coperte extra: la stanza è piuttosto fredda e striminzita, il letto cigola, l’autoclave si fa sentire e il termoconvettore vibra rumorosamente – Leo, detto “da Vinci”, per le sue idee geniali, userà una penna biro come tampone per ridurre le vibrazioni. La proprietaria, però, è molto gentile e ci accoglie nella sala colazioni, dove ha acceso il forno a legna, che scalda ma rilascia anche un forte odore di fumo. Possiamo usare il microonde per riscaldare la nostra polenta da campeggio e ci prepariamo diverse tisane, gentilmente messe a disposizione da Sonia.
La mattina seguente la colazione è abbondante e gustosa, anche se la sala resta un po’ affumicata. Conosciamo anche il marito Nello, lo chef, e il loro figlioletto. Due piccoli animali – un gattino e un cagnolino – giocano tra i tavoli.
26 dicembre – Salita tra borghi fantasma e foreste fino all’Hotel Scala San Giorgio
Anche oggi il cielo è dalla nostra: la luce tersa e l’aria limpida danno il via alla nostra seconda tappa a colpi di pedale. Il percorso inizia con un tratto pianeggiante che ci illude un po’, ma dopo il sesto chilometro la strada comincia a salire in modo costante fino a Gairo Sant’Elena, che raggiungiamo al ventesimo chilometro. Per risparmiare il più possibile la batteria delle bici, affrontiamo la salita con fatica, a ritmo lento, immersi nel paesaggio silenzioso.
Ci fermiamo per una breve sosta a visitare i resti di Gairo Vecchio, il borgo fantasma abbandonato nel 1951 dopo una grande frana che ne compromise la stabilità. Le case, ormai ruderi, raccontano storie di vita interrotta. Riprendiamo il cammino risalendo la valle sul versante opposto, dove ci imbattiamo in una situazione simile: anche Osini ha vissuto lo stesso destino, con un “Vecchio” e un “Nuovo” a raccontare una frattura tra passato e presente.
Da Osini Nuovo svoltiamo a destra in direzione di Ulassai, incastonato tra due imponenti picchi rocciosi. È un paese montano affacciato sul mare, circondato dalla spettacolare catena dei Tacchi, che svettano austeri contro il cielo. Proseguiamo ancora fino alle grotte di Su Marmuri, che però – come già sapevamo – sono chiuse in questo periodo.
La strada continua a salire, sempre più ripida, attraversando una foresta fitta e maestosa. Dopo un lungo tratto asfaltato, passiamo su sterrato: è lì che comincia la parte più selvaggia del percorso. Alla fine, verso le 15:30, arriviamo al nostro rifugio per la notte: l’Hotel Scala San Giorgio, letteralmente nel mezzo del nulla.
In camera troviamo due stufette già accese, ma il bagno è un blocco di ghiaccio. Prenotiamo la cena in hotel: ci apparecchiano vicino a un grande caminetto acceso, che rende il nostro angolo accogliente, anche se il resto del salone resta freddissimo. Leo cena con un piatto di carne, mentre per me c’è una rassicurante pasta al pomodoro accompagnata da patatine fritte.
La notte è tranquilla… per me. Mi stendo sul letto singolo accanto a quello matrimoniale – per non sentire i movimenti di Leo – avvolta come un bruco nella coperta, riscaldata dalla borsa dell’acqua calda che mi sono saggiamente portata dietro. Dormo profondamente, russando beata, e disturbando il mio consorte che si sveglia con la luna storta.
27 dicembre – Discesa tra Tacchi e nuraghi, fino alla cascata di Sàdali
Stamattina Leo elabora un piano per abbreviare il percorso: l’idea è di tentare una scorciatoia che ci porti alla meta di oggi risparmiando un po’ di batteria, viste le difficoltà di ieri. Si consulta con il gestore dell’hotel, che conferma la fattibilità del tragitto alternativo, pur avvertendoci che non ci sono indicazioni. Fuori la brina luccica sotto il primo sole.
Per caso incrociamo Simone, che sta venendo a recuperare i nostri bagagli. Gli esponiamo le nostre preoccupazioni sull’autonomia delle bici. Lui ha la soluzione: lasciare due batterie di scorta in carica presso un bar a Ussassai, il Caffè “Chessa Maria”. Ci dà anche un’altra notizia: a causa di problemi personali della proprietaria, stanotte non potremo dormire al B&B La Rosa Gialla di Seui. Cambiamento di programma: dovremo spingerci ancora oltre, per altri 10 chilometri, fino a Sàdali. Simone ci invierà una nuova traccia GPS per il tratto aggiuntivo.
Ritorniamo sulla traccia originale, cercando di rispettare la tabella di marcia. I nuraghi nei pressi dell’hotel, che avevamo previsto di visitare, sono però irraggiungibili: le strade che vi conducono sono completamente invase dal fango e da pozzanghere enormi. Decidiamo di proseguire, ma ci concediamo una sosta nei pressi di Sa Brecca ’e Usala, proprio sotto un pinnacolo roccioso dallo sviluppo verticale impressionante. A piedi ci avviciniamo all’apertura di una diaclasi che sprofonda per circa cento metri: sul fondo si scorgono massi incastrati tra le pareti della frattura. Qui, nel cuore del Supramonte, il paesaggio è dominato dai Tacchi, le tipiche falesie calcaree il cui nome deriva dalla somiglianza con il tacco di una scarpa. Dal loro bordo si domina l’altopiano, con scorci maestosi: da lassù vediamo Ulassai e parte della strada percorsa ieri.
Iniziamo poi la discesa lungo la cosiddetta Scala di San Giorgio, un valico naturale che unisce la valle del Rio Pardu a quella del Flumineddu, un canyon situato a oltre 900 metri d’altitudine, dichiarato Monumento Naturale della Sardegna. La discesa è ripidissima fino alle porte di Osini. Lì svoltiamo a sinistra e imbocchiamo una strada sterrata che si snoda per circa 5 km lungo una vecchia ferrovia dismessa: un tratto solitario e suggestivo che ci conduce fino a Taquisara.
Dalla fine dello sterrato ci immettiamo sulla SS198 e seguiamo l’asfalto fino a Sàdali, piccolo paese dell’entroterra barbaricino, premiato con la Bandiera Arancione del Touring Club. Il suo centro storico, ben conservato, è una piccola meraviglia: tra le case antiche scorre una cascata che si getta proprio davanti alla chiesa cinquecentesca di San Valentino. L’acqua precipita per circa sette metri, per poi scomparire all’interno di un baratro chiamato Sa Ucca Manna, una grotta naturale recintata dove le acque scorrono per 150 metri nel sottosuolo, per poi riemergere nella parte bassa del paese e irrigare i campi.
Pernottiamo al B&B Fragus e Saboris de Sardigna: come spesso accade, al nostro arrivo l’ambiente è ancora freddo. Pioviggina. Aspettiamo che Da Carrabusu apra per cenare con una pizza. Io sono un po’ in ansia per i vicini di stanza, temendo possano essere rumorosi, ma alla fine, pur rientrando tardi, non disturbano granché. Come ormai da tradizione, dormo nel letto singolo accanto al matrimoniale, dove Leo si spaparanza beato.
28 dicembre – Nel cuore del Gennargentu: Perda Liana, nuraghi e il lago Alto Flumendosa
La giornata inizia con una colazione “self-service”, ma l’atmosfera tranquilla viene presto interrotta dall’arrivo del proprietario, che ci accoglie tossicchiando e con grande foga inizia a decantarci le meraviglie della sua attività erboristica. Ci parla con orgoglio del vivaio, dei prodotti naturali e in particolare dell’idrolato di timo, che – a suo dire – è un elisir dai mille benefici: digestione, pelle, sistema immunitario… tutto. Ce ne versa un bicchierino da assaggio, con la promessa che ora saremo protetti per un anno intero da ogni male. Ironia della sorte: di lì a poco sarebbe scoppiata la pandemia di Covid e noi non avevamo acquistato neanche una boccetta della miracolosa pozione.
Lasciamo alle spalle il B&B e ci addentriamo nel cuore del Parco Nazionale del Gennargentu, lungo un itinerario solitario e spettacolare, dominato dalla sagoma maestosa e inconfondibile del Perda Liana, che ci accompagna per gran parte del tragitto. La sua figura svettante, che si rivela e si nasconde tra curve e saliscendi, cattura lo sguardo in continuazione. Non a caso si racconta che Galep, il disegnatore del fumetto Tex, si sia ispirato proprio a questo monte per molte delle sue ambientazioni.
In mezzo a un paesaggio aspro e solenne, incontriamo il nuraghe Ardasai, imponente e solitario, adagiato in posizione strategica tra i monti. Più avanti, già all’interno della foresta di Montarbu, ci fermiamo accanto a una cartina del Gennargentu Arzanese scolpita su roccia, e proprio in quel momento ci raggiunge la compagna di Simone, solerte e premurosa, che si assicura che tutto proceda come previsto. Supponiamo che abbia già portato i nostri bagagli a destinazione.
La strada si snoda ora in direzione del lago Alto del Flumendosa, che ci appare all’improvviso in tutta la sua bellezza: sembra un lago alpino, con il suo specchio d’acqua immobile che riflette i rilievi circostanti. La Natura, con i suoi colori e profumi, ci abbraccia, e noi la lasciamo fare. Solo più tardi scopriamo che si tratta in realtà di un bacino artificiale, nato da un’imponente opera idraulica con tre centrali idroelettriche, una diga alla stretta di Bau Mugerris e un sistema di gallerie e condotte forzate, tra cui una lunga ben 7 km che arriva fino a Villagrande Strisaili, la nostra meta di oggi.
Seguiamo la sponda del lago, scendendo progressivamente di quota lungo una strada che alterna curve dolci e tratti più decisi. Il paesaggio cambia ancora: dove i boschi si diradano, prendono il sopravvento arbusti radi e massi calcarei affioranti. Gli unici esseri viventi con cui condividiamo questi spazi sono mucche, pecore, capre e qualche maialino che si muovono liberi, padroni assoluti di questo angolo remoto. Le auto sono un’eccezione rara.
Raggiungiamo Villagrande Strisaili, il paese degli ultracentenari, nel pomeriggio. Alloggiamo presso il B&B Aria’ona: arrivati in centro, lasciamo le bici nella gelateria dei proprietari, attualmente chiusa. Stavolta la stanza è ben riscaldata e, sorpresa delle sorprese, ha una vista meravigliosa: il panorama si apre sulla costa lontana, che ammiriamo ormai al tramonto. La cena ce la procuriamo alla pizzeria della famiglia Loi e Mossudu, gli stessi gestori della locanda dove passeremo la notte. Possiamo consumare la pizza nella sala colazioni, scaldata da un caminetto acceso: un momento semplice ma perfetto, in una giornata che si conclude con un senso di quiete e pienezza.
29 dicembre – Strada fantasma di Talana e Santa Maria Navarrese
Lasciamo Villagrande Strisaili e ci dirigiamo verso Lotzorai, attraversando uno dei tratti più impressionanti (e pericolosi) dell’intero viaggio: la strada fantasma di Talana. Si tratta di un vecchio tracciato chiuso al traffico dal 2004 a causa di una serie di frane devastanti. Sono 14 chilometri da brivido, in cui i guardrail sono spesso assenti, divelti o penzolanti nel vuoto, come scheletri arrugginiti sospesi sul ciglio del precipizio.
La carreggiata è malridotta, spesso interrotta da smottamenti o crepe profonde, e ciò che un tempo era un collegamento regolare oggi somiglia a un percorso post-apocalittico. Per rimettere in sesto la strada servirebbero interventi di ingegneria complessa, sopra e sotto l’asfalto, come se fosse necessario ricostruire non solo una via di passaggio ma anche il terreno stesso che dovrebbe sostenerla. Eppure, proprio in questo scenario estremo, il panorama è eccezionale: profondi burroni, pareti rocciose a strapiombo, viste vertiginose che tolgono il fiato, nel bene e nel male.
Superata la “strada che non c’è”, veniamo risucchiati in un turbinio di tornanti lungo la SP56, una discesa continua e serrata che ci conduce a Lotzorai, dove arriviamo verso mezzogiorno. Ci accoglie il B&B Sa Crai, ospitale e tiepido. Ci concediamo una pausa con un tè caldo, lasciamo in carica la batteria della bici usata in camera e ci rimettiamo in movimento con quella di scorta, destinazione Santa Maria Navarrese.
Arrivati nel borgo marino, ci accoglie una spiaggia immensa e deserta, su cui infuria un mare impetuoso. Le onde, alte e spumeggianti, avanzano come una carica di cavalieri bianchi, furiosi, che si rincorrono e si scagliano uno contro l’altro in un assalto senza fine. Lo spettacolo è potente, primordiale.
Passeggiamo lungo la battigia e ci spingiamo verso il centro del paese, dove incontriamo una torre spagnola del XVI secolo, che chiude la spiaggia sul lato nord, come un guardiano silenzioso rivolto al mare. È un luogo sospeso tra forza della natura e memoria storica, perfetto per chiudere una giornata che ha saputo unire il brivido dell’avventura con la bellezza dell’essenziale.
30 dicembre – Esplorazione del Golgo: Su Sterru, le piscine e ritorno tra i laghi dell’Ogliastra
È arrivato anche il bicchiere della staffa: l’ultimo sorso di viaggio prima di riporre le bici e salutare l’Ogliastra. Iniziamo la giornata con una colazione generosa e dai sapori decisi: ricotta acida e pane carasau, la “carta musica” sarda, croccante e sottile come un foglio antico. Dopo esserci rifocillati, ci mettiamo in viaggio verso Baunei, un paese di origine pastorale aggrappato alla montagna, affacciato sulla pianura che si apre verso sud-ovest. I primi insediamenti qui furono scelti proprio per la posizione protetta: un rifugio naturale contro i venti gelidi di grecale e tramontana.
Lasciato il centro abitato, imbocchiamo una ripida strada a est, che si inerpica sull’altopiano. Con le bici elettriche ci lanciamo in una serie serrata di tornanti, affrontando le pareti scoscese a strapiombo, mentre il panorama si apre via via più ampio sulla bassa Ogliastra. La salita è impegnativa ma maestosa, e culmina in un belvedere che regala uno scorcio mozzafiato sul paesaggio sottostante, quasi irreale nella sua vastità.
Da lì, tra saliscendi che si alternano come un respiro, raggiungiamo l’altopiano del Golgo, nel cuore del Supramonte di Baunei. Una terra isolata e silenziosa, dove il tempo sembra essersi fermato. Davanti a noi, la chiesetta di San Pietro, semplice e severa, custodisce nella sua quiete antica un curioso ospite: un bètilo, un monolite alto poco più di un metro con scolpito un volto umano sulla superficie. Risale all’epoca nuragica e segnava anticamente un luogo sacro, forse una tomba dei giganti, da cui fu rimosso. L’effigie, scolpita nella pietra, sembra ancora sorvegliare silenziosa l’altopiano.
Poco distante dalla chiesa, nel paesaggio basaltico, troviamo As Piscinas, vasche naturali che raccolgono l’acqua piovana. Accanto a esse si spalanca Su Sterru, una voragine verticale di 270 metri, una delle più profonde d’Europa nel suo genere. Il bordo è protetto da transenne, ma il baratro resta comunque vertiginoso. La cavità ovoidale si allarga fino a 40 metri di diametro alla base, e al suo interno vive il geotritone sardo, un piccolo anfibio quasi mitologico, abitante segreto dell’oscurità.
Lasciamo questo scenario primordiale e, dopo una discesa inizialmente su sterrato, passiamo da Triei e Ardali per fare ritorno a Lotzorai. Durante il tragitto, rischio di investire un’anziana signora, che fortunatamente riesce a scansarsi in tempo. C’è ancora luce, così decidiamo di prolungare l’escursione e ci dirigiamo verso la Diga di Santa Lucia, lungo il torrente Sa Teula. Il lago artificiale, piccolo ma incantevole, si accende di riflessi dorati mentre il sole al tramonto lo accarezza con gli ultimi raggi.
Per cena, come la sera precedente, finiamo alla pizzeria al taglio del paese. Il gestore è sempre un po’ confuso e scoppiato, fatica a seguire le ordinazioni, ma alla fine riusciamo a mangiare. Semplice, spartano, ma tutto sommato efficace: anche oggi, missione compiuta.
31 dicembre – Ultimo atto: il ritorno dalla nostra avventura sarda
Antonio Canu, taxista di Baunei, ci accompagna da Lotzorai all’aeroporto di Cagliari Elmas, intrattenendoci lungo la strada con racconti di asini che conoscono il sentiero e camminano da soli nella notte mentre il padrone dorme e di un mondo rurale sardo ormai estinto.