In australia non tornano indietro solo i boomerang

A TORNARE INDIETRO IN AUSTRALIA NON SONO SOLO I BOOMERANG Rieccomi qua seduto sul 747/400 della Cathay Pacific con il comandante che ci sta informando sulle condizioni meteo a terra, le hostess che stanno controllando se le cinture sono allacciate e lo schienale correttamente sollevato e il tutto mentre stiamo sorvolando la miriade di luci dello...
Scritto da: Matcorsa
in australia non tornano indietro solo i boomerang
Partenza il: 27/07/2002
Ritorno il: 17/08/2002
Viaggiatori: in coppia
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A TORNARE INDIETRO IN AUSTRALIA NON SONO SOLO I BOOMERANG Rieccomi qua seduto sul 747/400 della Cathay Pacific con il comandante che ci sta informando sulle condizioni meteo a terra, le hostess che stanno controllando se le cinture sono allacciate e lo schienale correttamente sollevato e il tutto mentre stiamo sorvolando la miriade di luci dello skyline di Sydney all’alba. Sono infatti le sei di mattina e tra una decina di minuti atterreremo.

Come sono finito nuovamente in Australia? Semplice. Volevo dimostrare che a tornare indietro in Australia non sono solo i boomerang. E comunque con tre settimane di ferie a disposizione, un amico con anche lui tre settimane di ferie e che soprattutto con la fidanzata che non ne ha, il gioco è fatto.

Il fatto di mettere piede in terra vacanziera ti fa sentire felice, tanto da farti quasi scordare le lunghe ore di volo.

Eccoci arrivati finalmente. Usciamo dall’aeroporto e … fa freddo e piove. Dev’essere una costante tra me e Sydney. Tre anni fa l’ho lasciata con il brutto tempo e ora la ritrovo col brutto tempo. Fa niente. È bellissima lo stesso e anche con la pioggia ha il suo fascino.

Doccia veloce e giù in città in direzione Circular Quay sede dell’Opera House e dell’Harbour Bridge i simboli di Sydney.

Con calma percorriamo George Street, la lunghissima via che taglia in due la città, da sud a nord.

Qui, di fronte all’Opera House e con alle spalle l’Harbour Bridge, io e il mio amico restiamo in silenzio e dopo un po’ ci guardiamo. Non è la stessa cosa di tre anni fa. Allora il solo vedere l’Opera House ci aveva fatto venire la pelle d’oca dall’eccitazione. Ora non è così. Me lo aspettavo, sia chiaro, però pensavo fosse diverso. Felice, contento, emozionato ma … non come tre anni fa.

Comunque sempre spettacolare ed eccezionale e … unica, e siccome il cielo non si è ancora deciso a stabilizzarsi, entriamo al Queen Victoria Building, il centro commerciale più bello d’Australia.

Usciti dal centro, guardiamo l’orologio: è ancora troppo presto per andare a dormire per cui cosa facciamo? Proprio in questo momento sopra le nostre teste passa il monorail per cui ….. Prendiamo il monorail, la caratteristica monorotaia sopraelevata che corre attorno al centro cittadino e di cui facciamo ….. Cinque giri. Mi spiego meglio. Il biglietto vale una giornata intera per cui uno, una volta salito su può restarci per quanto tempo vuole. Questa però non era la nostra intenzione. Volevamo fare un giro solamente, solo che i fusi orari e la stanchezza ci ha fatto ….. Addormentare, per cui siamo scesi dopo diversi giri e svegliati delle risa degli altri turisti presenti, solleticati dal nostro russare.

Saliamo allora sull’edificio più alto della città e dell’Australia: la AMP tower, un pilone di cemento alla cui sommità c’è una specie di trottola gigante capovolta da dove godi una visuale della città a 360 gradi.

L’indomani facciamo colazione direttamente in hotel e usciamo, scoprendo ancora un cielo nuvoloso.

Prendiamo l’autobus per raggiungere la spiaggia di Bondi posta ad una decina di km dal centro cittadino, dove dopo una mezz’oretta, siamo con i piedi in spiaggia, di fronte all’oceano a guardare una banda di surfisti in erba indaffarati ad ascoltare dall’istruttore le regole per diventare, un domani, professionisti. Le onde adatte ci sono, anche se io stesso in acqua, oggi, non c’entrerei, vista la temperatura.

Percorriamo da sud a nord e da nord a sud tutta la spiaggia salendo nei due promontori che la delimitano e da dove si gode una bella visuale della cittadina e del mare. Durante la loro estate qui dev’essere uno spettacolo ancora più bello.

Rientrati in città, la sera ci rechiamo laddove tre anni fa abbiamo soggiornato: King Cross, il quartiere a luci rosse della città, il quartiere che a differenza degli altri protrae la vita ben oltre le dieci di sera. Nonostante il luogo possa far pensare a pericolo, King Cross è un luogo abbastanza sicuro, anzi molto più sicuro che non certe nostre zone. Il fulcro è lungo la via principale dove i sexy shop, i locali trasgressivi e prostitute convivono a fianco di take away e ristoranti. Buttadentro da tutte la parti ti invitano ad entrare. Il soggiorno a Sydney senza una visita a King Cross non è una visita completa.

Il giorno dopo, ripristinati totalmente dai fusi orari, ci alziamo scoprendo Sydney sotto una splendida giornata solare, e questo ci ha resi ancor più di buon umore di quanto già lo fossimo.

Se è così, facciamo la crociera sulla baia, visto che tre anni fa quando l’abbiamo fatta c’era brutto tempo. La nostra scelta è ricaduta su una della durata di un paio d’ore, da dove passiamo per tutti i punti più caratteristici della baia.

Il pomeriggio lo dedichiamo alla parte est della città, quella più verde, dove ci sono i parchi. Passeggiamo per Hyde Park, the Domain e altri che non ricordo il nome, poi verso sera quando la luce solare ha lasciato posto a quella artificiale, decidiamo di attraversare l’Harbour Bridge a piedi per avere una visione diversa della città, scoprendo che non è affatto corto da fare a piedi.

Comunque, inutile dire che lo spettacolo è stupendo. La città colorata da migliaia di luci offre il meglio di se.

Trascorriamo la serata a King Cross (mi pare giusto) dove entriamo a “curiosare” in uno degli innumerevoli sexy shop e dove alla fine, ceniamo. Non al sexy shop, ovviamente.

Il giorno dopo ci facciamo portare con un taxi ad un autonoleggio, scelto attraverso alcuni depliant, e, svolte le formalità di noleggio, ci danno un’utilitaria 1.4 benzina colore azzurro cielo che ben si mimetizza con la splendida giornata odierna.

Oramai pratico della guida con il volante a destra, porto tranquillamente l’auto fuori dalla città percorrendo anche la trafficata, ma unica George street, che era diventata per noi un piccolo simbolo.

Lanciamo l’auto (velocità massima 110 Km/h) verso Katoomba, cittadina-perno per le escursioni alle Blue Mountains, che raggiungiamo dopo un paio d’ore, passando per paesi dai nomi impronunciabili, di chiara derivazione aborigena, ma molto belli e caratteristici.

A Katoomba ci dirigiamo verso quello che rappresenta la maggior attrazione delle Blue Mountains: le Three Sisters, le tre sorelle, un trio di formazioni rocciose pressoché delle stesse dimensioni che secondo una leggenda sono state tramutate così per sfuggire ad un pericolo e mai più riconvertite in esseri umani. Come Biancaneve, per intenderci, solo che queste tre, aspettano ancora il principe, e anche se ci fosse, baciare una montagna non è il massimo.

Un altro cavallo di battaglia della zona sono le escursioni che si possono fare con una funivia a strapiombo che sorvola la zona, oppure con una specie di ferrovia che scende quasi in verticale lungo un costone di roccia, da dove poi puoi fare una passeggiata all’interno della foresta. Avendo tempo a disposizione, facciamo entrambe le cose e di cui non ci siamo pentiti.

La passeggiata è stata quella più interessante, forse perché ti trovi a camminare all’interno di un “bosco botanico”, con piante tutte diverse dalle nostre e dalle dimensioni enormi, ed anche perché le altre due (la funivia e la ferrovia) sono un po’ americanate, con tanto di musica di Indiana Jones.

Il resto della giornata lo dedichiamo a raggiungere Camberra.

Oggi la giornata non è un gran ché. Non piove (per ora), ma è nuvoloso.

Decidiamo di attraversare la città e di raggiungere il Parlamento a piedi.

Nell’arrivarci passiamo di fianco ad una serie di edifici che la maggior parte sono sedi di ambasciate di Stati esteri, anche se molti di questi edifici, per la funzione che svolgono, sono molto anonimi. Alcuni li riconosci solo avvicinandoti all’ingresso e dalla bandiera esposta.

Raggiunto, il parlamento che si trova sopra una collinetta e da cui godi una bella visuale della città (se non piovesse), entriamo a visitare le stanze del potere politico australiano, visto che il potere politico australiano si trova in ferie (settimana bianca). Così almeno ci ha detto una ragazza che si occupa di accompagnare i turisti. In effetti sia l’aula del senato che quella dei deputati sono vuote. L’ambiente, pulitissimo e senza una virgola fuori posto, merita una visita. Qualche onorevole o senatore ci deve essere comunque, perché all’esterno c’è qualche giornalista in attesa di fare interviste.

Ci avevano detto che una splendida visuale della città, la si gode dalla sommità della torre delle telecomunicazioni oppure sopra una collinetta opposta che non ricordo il nome. Ci rinunciamo perché sia l’una che l’altra, sono coperte dalle nuvole per cui non riusciremo a vedere nulla, e poi di nebbia ne avrò quanto basta quando torno a casa.

Comunque gli abitanti del luogo ci hanno detto che Camberra vale bene una visita durante la primavera-estate quando tutte le piante e i fiori, di cui la città è ricchissima, sono in germoglio. La città, infatti, è circondata da parchi e specchi d’acqua che rendono il meglio di loro durante i mesi caldi.

Ripresa l’auto, ci dirigiamo verso Melbourne, dove una volta arrivati, l’abbandoniamo subito in un parcheggio per non incasinarci con le trafficate ed immense strade cittadine.

Vogliamo renderci conto di com’è la città, per cui saliamo sul suo edificio principe: le Rialto Towers, due torri di vetro di cui una veramente alta, e dalla cui sommità si gode un panorama a 360 gradi della città rivelandoci che non ha niente da invidiare alla sorella Sydney. Girovaghiamo per il centro fatto, come un enorme rettangolo di strade e palazzi, alcuni di quest’ultimi in stile vittoriano. Di là del fiume (Yarra) è stato costruito un enorme complesso, chiamato Crown Plaza, dove ha sede un lussuosissimo hotel, dei centri commerciali, innumerevoli ristoranti, discoteche, negozi, ecc. Trova posto anche un mastodontico casinò con non so quanti tavoli da gioco e slot machines.

Esternamente, un passaggio pedonale che separa il Plaza dal fiume è stato addobbato per i turisti con una spettacolare fontana a getti alternati che compone infiniti giochi acquatici.

Ci alziamo il giorno dopo con una meravigliosa giornata calda e solare, considerando che siamo in inverno e all’estremo sud del continente. Cosa facciamo? Avevo sentito parlare bene di St. Kilda, il quartiere balenare più famoso di Melbourne, per cui dopo esserci informati su come raggiungerlo, eccoci su uno dei tanti tram cui la città beneficia per raggiungere la località.

Bel posto. A renderlo ancora più bello è la splendida giornata. Oltretutto lungo la strada principale che costeggia il mare, c’è un mercatino dove vendono un po’ di tutto.

La spiaggia poi è presa d’assalto dagli appassionati di jogging. Come per Sydney però, anche qui a St. Kilda siamo fuori stagione per cui tutte le attività e movimento di persone sono limitate, per cui dopo aver cazzeggiato ancora un po’ sul lungomare, non ci resta altro che fare dietro front e prendere il tram per Melbourne.

Rientrati in città, andiamo ad Albert Park, un enorme polmone verde in città, che per gli appassionati di automobilismo è il circuito d’esordio del campionato mondiale di formula uno. Attorno al lago del parco c’è infatti una anonima striscia d’asfalto che si anima e si trasforma in occasione della gara d’esordio.

Facciamo un intero giro a piedi del circuito, e ci mettiamo ad osservare una partita del loro football che è una via di mezzo tra il rugby e il football americano.

Rientrati in città, ce ne andiamo a mangiare all’Hard Rock Café.

Oggi la giornata non è un gran ché. Non piove, ma è nuvoloso, anche se ogni tanto qualche spiraglio di sole si vede.

Il nostro itinerario odierno è quello di passare per la Great Ocean Road, definita come una delle strade costiere più belle al mondo, dove le scogliere si gettano a picco sul mare e dove quest’ultimo le ha modellate nelle più bizzarre forme.

Lasciato Melbourne, ci dirigiamo a verso sudovest in direzione della Great Ocean Road appunto e dove poco più di un centinaio di km e dopo qualche paese più o meno grosso, ne incontriamo il monumento che ci conferma l’inizio.

Per nulla avrei rinunciato a questi posti. Prima di partire, in Italia avevo letto qualche guida informativa e tra i luoghi più belli era evidenziata proprio questa strada, da dove poi c’erano The Twelve Apostles, The Sentinel, Loch Arc Gorge, ecc. Il cavallo di battaglia erano i Dodici Apostoli.

Entrati nella strada panoramica ci rendiamo subito conto che è qualcosa di eccezionale, soprattutto nei tratti dove la strada costeggia proprio l’oceano antartico. Strapiombi di spettacolare bellezza.

Passati alcuni paesi dove dici che un giorno forse ti trasferirai qui, parcheggiamo l’auto in prossimità del cartello che indica i Dodici Apostoli. Non so se sono dodici o di più, so solo che sono maestosi ed imponenti. Questi faraglioni si stagliano al cielo separati da un breve braccio di mare. Le onde, talvolta impetuose creano spettacolari giochi acquatici.

Ce ne stiamo un bel po’ di tempo ad ammirare il panorama e a scattare foto e poi riprendiamo l’auto per abbandonarla qualche chilometro più avanti in prossimità di un’altra serie di formazioni rocciose: il Loch Arc Gorge, un anfratto scavato dall’acqua che ne ha modellato le rocce a forma di archi, tra cui uno maestoso, troneggia solitario in mezzo all’oceano.

Così come più avanti, altre formazioni rocciose simili. Praticamente la strada obbliga ad una fermata dopo l’altra.

Posti simili si vedono in televisione o nelle riviste specializzate, ma come dico sempre, l’esserci e vederli a 360 gradi è tutt’altra cosa. Si respira l’aria, si sentono sulla pelle. Una cartolina, una foto o una ripresa video sono sì preziose, ma sono solo una parte dell’insieme.

Terminata la Great Ocean Road, entriamo nell’entroterra australiano per dirigerci verso Adelaide, solo che quest’ultima dista qualche centinaio di chilometri più avanti e oramai è buio e si è fatto tardi per cui raggiunto Mt. Gambier decidiamo di pernottare.

Mt. Gambier è un paese di modeste dimensioni che ha come caratteristica due laghi vulcanici che però non offrono gran ché in questa stagione. L’acqua infatti è torbida.

Qui ceniamo in un modesto ristorante-take away di proprietà di un simpatico italiano che però ha ormai perso quasi tutta la lingua italiana, però non ha perso la simpatia. Terminata la cena, rimaniamo a scambiare due parole con lui, contentissimo di poter finalmente parlare con due connazionali. Ci racconta un po’ della sua storia, non tutta felice, delle caratteristiche del paese in cui vive e della gente stessa. Rifiuta addirittura di rispondere al telefono per non lasciarci andare via. Commovente. Talmente contento della nostra presenza che a difficoltà riusciamo a congedarci da lui. Non passano tanti turisti in questi luoghi.

Partiamo di mattina per poter raggiungere Adelaide il più presto possibile.

Una fermata per fare colazione a Kingston dove c’è un ristorante che ha ben pensato di pubblicizzarsi costruendo una gigantesca aragosta proprio di fronte all’entrata.

Un’altra a Murray Bridge, dove tengono alcuni battelli a ruota che meritano visti.

Arrivati ad Adelaide trascorriamo il pomeriggio e la mattinata del giorno seguente ad Adelaide, che però non mi è piaciuta granché. Sicuramente i luoghi periferici sono migliori, però oramai abbiamo preso il biglietto aereo e di spostarci dal centro non era conveniente.

L’abbiamo girata in lungo e in largo trovando interessante il museo d’arte e di storia aborigena situato nella zona universitaria della città, e la zona sportiva con lo stadio da rugby.

Arrivata sera, andiamo a cenare in un ristorante gestito da un italiano (non di cucina italiana) il quale proprietario si è piazzato al nostro tavolo e se n’è andato dopo un’ora, continuando a parlare per tutto il tempo, sparando tante di quelle cazzate … Per il resto, complice anche la pioggia, non abbiamo fatto altro. Ho sentito parlare molto bene dei dintorni di Adelaide, tra cui la Barossa Valley, dove si produce un ottimo vino, o della zona costiera, però per volontà nostra, Adelaide l’abbiamo evitata.

Il pomeriggio dell’indomani, infatti, abbiamo preso il volo per Perth, raggiungendolo dopo circa quattro ore. Questo deve far pensare alle distanze australiane.

Atterriamo a Perth, avvolta da un cielo azzurrissimo e dopo aver preso posto in un centrale backpacker a prezzo scontatissimo, ce ne usciamo a scoprire la città, la quale mi è piaciuta fin dall’inizio, equiparandola a Sydney, e forse qualcosa di più.

La città non è grande, però a girarla tutta a piedi, ci impieghi un bel po’.

Il cavallo di battaglia lo fa la zona pedonale composta da una miriade di negozi per turisti e bar-caffetterie.

Alla fine però tutto stanca, perché i negozi vendono tutti le stesse cose per cui scendiamo in stazione situata proprio in centro e ce ne andiamo a Fremantle, la località balneare più famosa di Perth, situata ad una ventina di minuti di treno dal centro cittadino.

Fremantle è stata famosa anni fa per aver ospitato l’America’s Cup, la più famosa competizione velica al mondo e in un paese dove la vela è uno degli sport più importanti, fate voi.

Oggigiorno, complice anche la sconfitta contro gli americani e mai più vinti, è caduta un po’ in decadenza anche se durante la sera, e specialmente nei fine settimana, si anima di gente che la sceglie per cenare fuori città.

Non offre gran ché se non il museo marittimo che però è in restauro per cui chiuso. Una vecchia prigione-punto di osservazione, che a mio avviso farebbero meglio demolire. Un lungomare abbastanza occluso da imbarcazioni sollevate per essere riparate. Una bella zona pedonale che però non ho visto granché movimento durante il giorno.

L’indomani pianifichiamo i giorni restanti al rientro per cui visto che ce ne mancano ancora parecchi e che Perth non è certo una città immensa, programmiamo per domani di andarcene via per qualche giorno a scoprirne i dintorni che dicono essere eccezionali.

Andiamo a visitare la zecca (the mint).

Anticamente era la zecca ufficiale di stato. Ora quest’ultima è stata spostata altrove e qui è stato lasciato il conio delle monete d’oro, d’argento e di platino a scopo collezionistico.

In una stanza attigua in una teca sempre protetta, ti danno la possibilità di tenere in mano un vero lingotto d’oro, lasciandomi senza fiato per il peso. Vengo poi a sapere che quel “cosino” pesava dodici chili.

Prima di uscire ovviamente ti fanno passare attraverso uno shopping center dove però a differenza dei vari negozi cittadini, qui devi stare attento perché i “prodotti” vengono venduti a “peso d’oro”. C’è addirittura una macchinetta che inserendo una moneta da due dollari te ne conia una raffigurante la zecca. Ovviamente inserisco la moneta venendo circondato da una folta schiera di turisti desiderosi di assistere all’evento.

Oggi come tempo atmosferico, non sembra una gran giornata anche se talvolta il sole sembra vincerla. Speriamo bene perché oggi dobbiamo abbandonare per tre giorni la città e visitare luoghi che offrirebbero il meglio di sé con il sole. All’autonoleggio ritiriamo l’auto con cambio automatico.

Usciti dalla città dirigiamo l’auto a nord verso il deserto dei pinnacoli un luogo caratterizzato da strane formazioni rocciose che si ergono in pieno deserto, e a ridosso dell’oceano. Questo posto è a circa duecento chilometri da Perth, distanza che percorriamo tutta senza fretta.

Dopo tre ore di strada giungiamo a Cervantes, paesello che serve come punto di riferimento per raggiungere il parco dei pinnacoli. Da qui lasciamo la strada asfaltata per immetterci in una di terra battuta color rosso fuoco che però, causa mancanza di sole, non appare così “infuocata”.

Dopo una decina di chilometri entriamo nel parco del deserto dei pinnacoli dove, sempre seduti nell’auto, ci instradiamo nel percorso segnato, zigzagando tra queste strane formazioni rocciose e fermandoci nei vari punti di osservazione disseminati un po’ ovunque.

Non commento lo scenario perché sarei come al solito riduttivo. Dico solo che di questi pinnacoli ce ne sono a migliaia di varie dimensioni e di varie fattezze. A questo aggiungiamo che sono adagiati in un manto di sabbia giallissima, che a pochi metri c’è l’oceano blu e che il cielo si sta schiarendo … fate voi. Uno spettacolo … veramente. Oltretutto non ci sono turisti.

Riprendiamo la macchina e ci lanciamo verso un’altra meraviglia naturale del Western Australia: la Wave Rock. Che però si trova a settecento chilometri in direzione sudest, e considerando che duecento ne abbiamo appena fatti, che è passato da poco mezzogiorno, che i limiti di velocità sono di 110 chilometro orari, che facciamo? Proviamo.

Lancio l’auto a centodieci talvolta centoventi cercando almeno di raggiungere il paese che serve il flusso di turisti che si recano a visitare la wave rock: Hayden.

Corri, corri e corri a duecento chilometri dalla meta ci vediamo raggiungere da un’auto della polizia che con abbaglianti e luci accese, ci intimano di fermarci. Obbediamo, al ché i poliziotti scendono dall’auto e mi domandano la patente italiana, la patente internazionale, la carta d’identità e il passaporto. Nient’altro? Dico io.

Mi dicono che viaggiavo a 123 chilometri orari e che il limite era di 110. Per così poco, non vorranno mica farmi la multa? Tempo due minuti e mi consegnano un verbale lungo tre chilometri da presentare alla posta entro 28 giorni per il pagamento. Pena l’addebito sulla carta di credito che ho depositato all’autonoleggio. Non si scappa. Importo 100 dollari australiani. Poco più di cinquanta euro. Va beh. Oramai l’ho presa e me la tengo.

Comunque tutto questo mi ha fatto proseguire il viaggio inchiodato sui centocinque chilometri orari e cambiare tutti i piani, ovvero la rinuncia a raggiungere Hayden in serata.

Ci tocca quindi pernottare un centinaio di chilometri prima, e precisamente a Narembeen, un paese di un centinaio di anime che raggiungiamo a sera tardi. Il che non è poco considerando che l’illuminazione stradale non c’è, paesi nemmeno e le strisce sulla carreggiata assenti. Ho guidato nella completa oscurità rallentando notevolmente e gioendo non appena sono entrato nel paese.

La scelta dell’alloggio è stata forzata dall’unico motel esistente e che a quest’ora, ed essendo venerdì sera, ha il bar sovraffollato di gente (locali) indaffarati a portare a termine un torneo di freccette.

Qui infatti a centinaia di chilometri da qualsiasi altra forma di vita diversa dalle mucche e pecore, la gente non può far altro che ritrovarsi al bar del paese per passare la serata.

Veniamo radiografati da tutti i presenti. Probabilmente da qui non passano tante persone. Anche i proprietari del motel sembrano stupefatti dalla nostra presenza. Questa mancanza di villeggianti la si vede anche dalle stanze, che non sono tanto pulite.

Usciamo a prendere un po’ d’aria pulita, dato che il locale sembra una ciminiera. Silenzio desertico. Il cielo senza alcuna nuvola si presenta in tutto il suo splendore. Non essendoci illuminazione artificiale si possono vedere le stelle che qui, nell’emisfero australe, sono in gran numero superiore. Riusciamo anche a vedere la croce del sud che è la nostra stella polare, solo che qui indica, ovviamente, il polo sud e che, sempre qui, è stata presa come simbolo tanto da essere inserita nella bandiera nazionale.

Me lo dicevano, in Italia, che nell’emisfero australe avrei visto una volta stellata bellissima. Io ascoltavo, anche se non ero pienamente convinto. Ora devo proprio ricredermi.

Il giorno dopo ci alziamo all’alba e sotto una splendida giornata di sole, tanto che partiamo subito per la Wave Rock senza fare colazione (la faremo più avanti).

Dopo un paio d’ore e dopo aver parcheggiato l’auto ci troviamo di fronte a questa strana meraviglia della natura. Una immensa onda (circa 150 metri di lunghezza) che sembra sia stata tramutata in pietra proprio nel momento prima di infrangersi.

Sarà la stagione (inverno), ma anche qui non ci sono turisti per cui le foto le facciamo tranquillamente senza dover attendere che qualcuno si sposti. Ci arrampichiamo anche sopra seguendo un percorso segnato, e da dove si gode un discreto panorama del “nulla” australiano. Al di là della wave rock, infatti di rilievi non ce ne sono altri che interrompano le linearità dell’orizzonte. Sopra alla roccia invece, il paesaggio sembra quello visto tre anni fa alle Devil’s Marble nel Territorio del Nord. Una serie di formazioni rocciose (alcune sferiche) che sembrano in posizioni precarie per cui sembrano sul punto di rotolare giù.

Se mi state chiedendo se tutti questi chilometri per vedere questa formazione rocciosa valgono la pena di essere fatti? La mia risposte è: Si. Multa compresa.

Riprendiamo l’auto e ci lanciamo in direzione sudovest, verso la costa, con la speranza di trovare qualche paese con un discreto numero di abitanti.

Passata una prima zona semi desertica, la vegetazione inizia a farsi vedere con imponenti piante di conifere e quant’altro ancora, tanto che passiamo anche attraverso una zona montagnosa. Non come quelle di Heidi e Peter, però con saliscendi talvolta ripidi.

Con la nostra calma, e dopo aver evitato per un pelo un frontale con un canguro aspirante suicida, raggiungiamo la costa e precisamente Cape Leeuwin dove anni addietro sbarcarono parecchi immigrati e dove oggi un faro ne guida la rotta.

Fa freddo. Il cielo è una stellata unica e di una bellezza indescrivibile.

Dopo esserci alzati andiamo a visitare il faro che però è chiuso. Un cartello all’esterno ci informa che in questo punto c’è la separazione dei due oceani: a destra c’è l’oceano indiano, a sinistra l’oceano antartico.

Riprendiamo quindi l’auto e ci dirigiamo a nord verso Cape Naturaliste fiancheggiando tutta la costa.

Tappa alla Mammuth Cave, dove però io, che soffro di claustrofobia e dei luoghi stretti e chiusi in generale, non entro. Entra il mio amico e così io passo la mia mezzora inoltrandomi nella lussureggiante foresta seguendo una specie di non tanto definito sentiero.

Altra tappa a Yallingup e alla vicina Margareth River una coppia di paesi famosi per il surf. E dalle onde, immagino che chi ama questo sport ne ha da divertirsi.

Poi ecco arrivati a Cape Naturaliste che sembra la fotocopia di Cape Leeuwin, con tanto di faro bianco.

Non rimaniamo gran ché tanto per cui, messo qualcosa sotto i denti, osservato il panorama, ce ne torniamo a Perth ponendo fine a tre splendidi giorni in giro per il primo entroterra del Western Australia.

Rientrati in città dopo tre giorni di assenza, decidiamo di visitare quei posti di Perth che ancora non abbiamo visto.

La splendida giornata di sole ci porta subito ad attraversare con il ferry lo Swan River dove dall’altra parte c’è una bella zona residenziale, una bella veduta, il consolato italiano (che a noi non ce ne frega niente, ma c’è) e un giardino zoologico. Oltre che una splendida veduta della città.

Il quartiere in questione deve essere una tra le zone più “in” della città, viste le abitazioni e la cura dell’insieme.

L’indomani prendiamo l’autobus che ci porterà in una mezzora in un paesello appena al di fuori della cintura urbana dove ha sede l’acquario.

Il tragitto per arrivarci ci ha fatto vedere e passare attraverso una serie di quartieri dove dici subito che un giorno qui ci verrai a vivere. Tutte le case sono immerse nel verde e tutte ad una manciata di minuti dal mare.

L’acquario lo visitiamo senza grande interesse perché abbiamo visto quello di Sydney tre anni fa e questo mi sembra la brutta copia. Quello che attira la nostra attenzione è il paese “ospitante” dell’acquario, che però non ricordo il nome. Qui riesci a vedere, tra le persone, che tutto viene svolto, ma nulla con affanno. Vedi la gente che è contenta e soddisfatta. Appena terminano di lavorare prendono la barca ed escono a pescare, oppure stendono l’asciugamano in spiaggia e prendono il sole. Lo stress qui, se c’è, è raro e voluto.

Trascorriamo tutta la giornata in questo paese facendo anche la conoscenza di una coppia tedesca che vive da parecchio tempo qui.

Rientrati a Perth dedichiamo quello che resta della giornata a passeggiare lungo il porto fluviale che è dominato da una strana costruzione che ospita il museo della “campana”??? e che ovviamente a noi non interessa. Poi andiamo a cenare come al solito nei “nostri” locali di Fremantle. Tanto con il treno si raggiunge in brevissimo.

L’indomani dopo esserci alzati ci dirigiamo verso la collinetta che domina la città e su cui è stato istituito un parco cittadino di nome Kings Park, alla cui base c’è anche il parlamento dello Stato del Western Australia.

Sarà alto un centinaio di metri sul livello del mare (in una nazione prevalentemente pianeggiante è un record) però da quassù godi una splendida visuale, forse la migliore, della città. Abbracci infatti tutta la città.

Non lontano c’è il giardino botanico a cui non rinunciamo e dove conosciamo una signora addetta alla biglietteria del parco, di origini friulane emigrata quaggiù da tempo.

Dedichiamo il tempo rimanente allo shopping, perché questo è l’ultimo giorno australiano. Il giorno dopo, infatti, ci aspettano una ventina di ore di volo che fortunatamente “volano” abbastanza in fretta.



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