I love New York! di che paura a Chinatown

... Prima di incollarvi allo schermo voglio iniziare con i ringraziamenti. Innanzi tutto vorrei ringraziare chi ha avuto il coraggio e la pietà (scherzo...) di portarmi in viaggio con loro: ossia i miei tre cugini, Brescianini Gadaldi Manuela, Roberto e Chiara. Senza di loro non sarei mai potuto andare nel posto che è stato il mio sogno fin...
Scritto da: Luigi S.
i love new york! di che paura a chinatown
Partenza il: 13/12/2003
Ritorno il: 21/12/2003
Viaggiatori: fino a 6
Spesa: 1000 €
Ascolta i podcast
 
… Prima di incollarvi allo schermo voglio iniziare con i ringraziamenti. Innanzi tutto vorrei ringraziare chi ha avuto il coraggio e la pietà (scherzo…) di portarmi in viaggio con loro: ossia i miei tre cugini, Brescianini Gadaldi Manuela, Roberto e Chiara. Senza di loro non sarei mai potuto andare nel posto che è stato il mio sogno fin dalla nascita, nel paese che io amo. L’America. E come non ringraziare il loro cugino Claudio, con la moglie Jennifer e i figli Elisa e Antonio, che da sette anni ormai si è stabilito a metà strada fra Boston e New York e che ci ha ospitato, nel migliore dei modi, per due giorni! E tutte quelle persone che ho incontrato per la strada, in albergo, sull’aereo, chi ha incrociato il mio sguardo… Chi mi ha fatto sentire entusiasta di stare con i piedi in America! Senza dimenticare poi chi, nei mesi precedenti al viaggio, ha sopportato le mie biffe domande, le richieste inerenti e fuori tema… In parole povere Steve, guida per caso di New York del sito di “Turisti per caso”, Valerio Giubilei… Insomma… Tutti! Compresi quelli a cui ho scritto privatamente tramite mail e che simpaticamente e doverosamente hanno dato luce ai miei dubbi da viaggiatore al battesimo. Prima d’ora la vita mi aveva portato solo fino in Svizzera… Oltretutto in macchina… Quindi, come primo viaggio, non si può desiderare di meglio. Questo mi porta a ringraziare doverosamente chi mi ha portato materialmente dall’altra parte dell’Oceano Atlantico, in un altro continente, ovvero la nostra compagnia aerea, l’Alitalia. Non dimenticando Giuseppe Aveboni, socio in affari di mia cugina Manuela, che pazientemente ci ha portato tutti insieme e appassionatamente all’aeroporto della Malpensa, venendo poi anche a prenderci al ritorno. E i miei genitori che mi hanno permesso materialmente il viaggio nonostante mio fratello fosse tornato da un viaggio a Cuba una settimana prima che partissi io.

Questo viaggio mi porterà sul suolo americano per la durata di una settimana e si snoderà fra tre città (comprese in due Stati). Questo per consentire a tutti noi di andare a tagliare per primi il traguardo per essere, appunto, i primi e per ora unici (tra la cerchia di parenti… Ovvio) ad andare a visitare la cittadina di Naragansett (spero ancora si scriva così…), nello Stato del Rhode Island, dove abita il cugino Claudio, trasferitosi da circa sette anni. Durante la rimpatriata non mancherà una bella gita alla cittadina di Newport, famosa per aver ospitato l’America’s Cup! Agognata e sospirata, arriva il giorno della partenza. L’indimenticabile 13 Dicembre, che nella mia provincia, Brescia, è anche il giorno dell’arrivo di Santa Lucia, simil Babbo Natale. L’aereo, un Boeing 777, s’alza in volo prima delle 11.00 per atterrare in perfetto orario, dopo nove ore di volo, all’aeroporto JFK di New York. L’aeroporto è chiamato così ma è una cittadina a sè, un’immenso incrociarsi di gates e finger. Lo stesso vale per i controlli all’arrivo. L’organizzazione è efficientissima! All’uscita l’impatto è biblico: tutto sembra come nell’immaginazione. Un telefilm. Ecco scorrere imperterritte le limousine, i famosi taxi gialli, i fuoristrada quelli veri, quelli americani, quelli immensi… Dopo una prima incertezza prendiamo un autobus che ci porterà alla Grand Central Station, per dar modo a ogni turista poi di raggiungere il proprio hotel. I grattacieli si vedono ancora il lontananza, quasi non si riconoscono, la strada è caotica, la guida dell’autista… Disumana… Fino a che poi, tutto d’un tratto, ecco il conto alla rovescia. Si entra nel tunnel che passa sotto l’Hudson River e che sbucherà nella città. L’uscita da questo tunnel è incredibile. Ecco New York che ti si presenta davanti ai tuoi occhi, l’emozione comincia a salire, l’ansia diventa appagamento… Ragazzi. Siamo a New York. Il bus scarica tutti alla stazione capolinea, da lì si è nel vortice della città. Bagagli al seguito cominciano a percorrere la strada che ci porterà al nostro albergo, il Belvedere, sulla 319 West/48th street. Arrivati a destinazione ci diamo una veloce sistematina e poi via… Nel bel mezzo della metropoli mondiale! E’ ed è stato un sondare il terreno, erano più o meno le 2.30pm, le 20.30 in Italia, la prima immersione nella città. La vicinanza del nostro albergo con Times Square ci dà modo di visitare questo simbolo conosciuto in tutto il mondo, in questo bellissimo incrocio di due vie molto famose, la Broadway e la Fifth Avenue. La stanchezza avanza e pure la voglia di sgranocchiare qualcosa, quindi la serata ci porterà un in Deli, gli shop che più convengono in questa città. E dato che è la nostra prima volta non ci facciamo mancare il tipico pasto americano: panino con patatine e Pepsi. La giornata ci porterà, stremati, a letto alle 8.00pm per essere svegli il giorno dopo verso le 6.00am. Per alcuni almeno. Io sono quello che più ha sentito il fuso, (o ero fuso di mio… Boh…). Difatti, non guardando l’orario, mi fiondavo al bagno per prepararmi ad uscire, pronto per una nuova giornata. Accorgendomi, poi, che era solo mezzanotte. Il giorno dopo avanza. La nostra mattinata ci porterà a fare colazione nel nostro bar preferito, a pochi passi dall’albergo, da Pigalle, colazioni newyorkesi con radici francesi. Mentre la giornata di snoda tra Times Square, Rockfeller Center e vari negozi. A differenza di tanti io ho trovato bellissimo e magico il Rockfeller Center, con questo immenso albero acceso sempre, con tutta la gente attorno e con i flash di migliaia di macchine fotografiche sempre negli occhi. A fianco di questo c’è un interessante negozio, lo store della NBC. Dentro si può trovare tutti gadget possibili immagginabili di tutto ciò che la NBC produce. Tra questi gadget di Friends, di Will&Grace, di Law&Order… Di tutto… La sera puntatina nei soliti Deli per attanagliare la fame. La notte poi, diciamo meglio il fuso, ha ancora la meglio su di me. Ma questo volta l’orologio ha la precedenza, le 4.00am, ma di dormire non ne voglio sapere e come se niente fosse mi preparo per l’uscita giornaliera. Il lunedì. Il giorno dei grandi spostamenti. Grazie a Roberto e Chiara io e Manuela siamo dimagriti minino qualche chilo (eravamo già dei figurini ma sbattere via qualche chilo in più non fa mai male…). Con tutta la strada a piedi che ci hanno fatto fare la maratona la vincevamo di sicuro noi. Per paura di essere dimagriti troppo decidiamo di rifocillarci in maniera esosa senza spendere molto. La meta è Little Italy ovviamente. Per arrivarci attraversiamo Chinatown, cosa inevitabile visto che il distretto italiano è ormai circondato da quello cinese. L’avanzata nei confronti degli abitanti del distretto cinese avanza… Ma non solo quella. Tutto d’un tratto ci troviamo a cavallo di baracchini cinesi, gente e gente solamente a tratti asiatici, ci rendiamo conto improvvisamente che i soli europei siamo noi. La paura in alcuni di noi è forte, in altri (Roberto) è nulla e per lui questa cosa non frega una mazza. Ad un tratto la mitica Chiara esce sbottando dicendo: – “Che paura a Chinatown!” Ci ritroviamo a guardarci in faccia l’uno con l’altro, nel bel mezzo della caotica China americana formiamo un quadrato di tensione! E ad un tratto scoppia fra tutti una risata fragorosa. Ora che sembrava che nessuno potesse farci niente e potessimo continuare tranquillamente la nostra camminata, ci rendiamo contro che mezzo block ci guarda stupito e incuriosito. Ci raggomitoliamo e ridacchiando ci defiliamo, rendendoci conto che questa battuta di Chiara aveva preso improvvisamente e innocentemente un risvolto da “tormentone” del nostro viaggio in USA. Little Italy ormai si presneta tipica davanti ai nostri occhi, con questi continui riferiementi al Tricolore, alle case pitturate di bianco rosso e verde. Il Ristorante a cui affidiamo il nostro pancino e il famosissimo “La Mela”, una vera istituzione, dove anche i più celebri personaggi dello spettacolo e della politica americana si sono fermati a lasciare la loro traccia. Le pareti interne letteralmente tappezzate di fotografie lo dimostrano. Il pranzo è delizioso e “tanto”, nel vero senso della parola. Il pomeriggio prosegue per andare a visitare quello che più di tutti è diventato un simbolo obbligato, una tappa irrinunciabile. Ground Zero. Senza problemi arriviamo al WTC… Quello che si prova è un miscuglio di sensazioni. Fa una certa impressione stare là, ci si sente piccoli, indifesi, paurosi, a certi momenti a me sembrava ci si potesse distaccare fisicamente… Più ci si allontana più sembra che la vita continui: ed è così che deve essere, è così che si deve reagire. Gli americani per questo vengono etichettati “freddi” ma è così che si deve essere, reagire alzandosi senza dimenticare. Il ritorno da Ground Zero all’hotel è solo ed unicamente a piedi… Che è molto, forse irrinunciabile dato la gran quantità di cibo che dobbiamo smaltire. Per chi ha sotto mano una cartina di Manhattan lo può confermare, guardando Ground Zero e la zona del nostro hotel. Senza contare che quel famoso lunedì era quello più brutto (meteorologicamente), con neve, pioggia, freddo e vento. E senza ombrello! (cioè… Siamo mitici…) La fatica però è, diciamo, ripagata dagli acquisti che si presentano sulla strada. Uno è per la sosta all’Hard Rock Cafè. La sera il rientro è anticipato visto che alle 20.30 ci aspetta un treno che ci porterà per 3 ore in mezzo ad altrettanti Stati, per raggiungere il cugino Claudio. L’arrivo in Stazione, Pennsylvania Station, è normale. Il tabellone degli orari dell’AmTrack segna il nostro treno in perfetto orario. Ci mettiamo comodi aspettando che sullo stesso tabellone appaia il numero del binario che ospiterà il nostro treno, partito da Washington e diretto a Boston. La Stazione è molto ben improntata. I passeggeri in attesa al centro della sala e ai lati tutti i gates con relativa scala mobile che porta ai binari sottostanti. Entrando nelle partenze, di fronte, ci si trova i gates dal numero 1 al numero 4. Dalle parti invece scorrono i gates successivi con l’aggiunta di West e Est. (es. 5W-5E, 6W-6E, 7W-7E e così via). L’orario della nostra partenza si avvicina ma sul tabellone nessun binario è indicato. Preoccupati, non sapendo com’è, cominciamo a guardarci in giro per poter chiedere informazioni. Al che Chiara parte diretta verso un soldato per chiedere le agognate informazioni. La richiesta e la risposta, originariamente in inglese, sono storiche: CHIARA: – “Scusi, volevo un’informazione. Devo prendere il treno per Boston che parte alle 20.30, sono le 20.30 ma non c’è ancora niente…” Risposta: “E’ questione di minuti…

Sul tabellone intanto, in parte alla scritta Boston, compare la scritta STAND BY. Poco dopo appare il numero del gate 6W, la visione di quello che vedono i nostro occhi è simil-apocalittico. Mezza stazione si riversa all’entrata della scala mobile che porta al treno, la sala si svuota, tutti corrono… Appena scesi un capostazione, con braccio puntato contro indicando le ultime carrozze del treno, indica e fà capire (soprattutto a noi quattro poveri disperati…) che bisogna riempire le ultime carrozze prima si salire sulle prime lasciando mezze vuote quelle dietro. Tempo 5 minuti e il treno parte. C’è gente o c’è nessuno il treno in pochi minuti parte. Gli americani! Ecco come fanno funzionare la Stazione a New York: non è come in Italia, non come a Milano ad esempio che il numero del binario esce mezz’ora prima che il treno parta, in modo che il passeggero salga a suo comodo dove e come vuole, facendo questo e quello prima di partire. A New York si aspetta tutti insieme in questa sala partenze Il numero del binario, finchè non arriva il treno e non si prepara alla partenza (e soprattutto fino a che non scadono i secondi esatti alla partenza) non esce, costringendoti a farti venire l’ansia per non sapere poi da che parte devi correre quando il numero uscirà. E soprattutto obbligandoti a svegliarti perchè se perdi anche pochi secondi rischi di prendere il treno. Se riesci a scendere al treno poi ti obbligano giustamente a riempire prima le ultime carrozze e poi quelle che precedono. Pochi minuti o secondi e il treno già si muove. I primi minuti sono tutti sotto un tunnel, quello dell’ Hudson River, per poi uscire di colpo nella città. Personalmente siamo sbucati nel Bronx (ma era sera, non si vedeva pressochè niente), e poi abbiamo cominciato ad attraversare tutti quegli Stati che ci porteranno alla stazione del nostro arrivo, Kingston (Rhode Island). Gli Stati che abbiamo attraversato sono New York, Connecticut, Rhode Island. L’arrivo a Kingston, verso le 11.00, è… Paradisiaco. Non sembrerebbe visto la stanchezza di tutta la giornata e delle tre ore di viaggio… Ma quello che i i nostri occhi vedono è un sogno. Una casetta di legno bainca e verde, nella semi oscurità, ci accoglie facendoci capire di essere in una stazione ferroviaria. Le luci dei lampioni illuminano a zone anche il parcheggio, piccolo e quasi imbiancato dalla neve. Oltre a noi tre scendono quattro persone che appene scese dal treno scompaiono dalla nostra vista… Forse perchè siamo così presi dalla bellezza del luogo che non ci siamo nemmeno accorti che esistevano… Uno scorcio veloce al parcheggio e subito salta all’occhio il cugino Claudio, che a modi carrambata viene preso d’assalto dalla felicità di tutti noi. Io, a dir la verità, è la prima volta che lo vedevo nella mia vita (dato che tra e lui non c’è parentela), ma la felicità è comunque tanta. Le prime impressioni, prese dai compagni di viaggio, danno come “uguale”, forse un pò ingrassato, quello che è sempre stato il loro cugini dall’ultima volta. L’avvio verso la macchina è pressochè fulmineo visto che siamo ormai cinque pezzi di ghiaccio all’esterno di una “Stazione”. La macchina, meglio monovolume tipico americano, ci accoglie e ci riscalda. Partendo Claudio mette subito una cosa in chiaro: non sfotterlo per la ridicola velocità a cui sta viaggiando (nonostante sia un patito di auto e di motori). Velocità normalissima e rispettatissima dagli americani. Ma non solo quella: siamo obbligati ad indossare tutti la cintura di sicurezza, pure Chiara che è stata “alloggiata” tre file indietro rispetto al guidatore! Cinque adulti, il più piccolo sono io (21 anni), on the road. Claudio ci spiega che i limiti di velocità in America sono rispettati, anche per l’efficienza della polizia che vigila le strade letteralmente giorno e notte, anche nascondenosi tra le piante se necessario. E che quindi si deve sempre stare attenti. Pian piano, comunque, ci porta a vedere subito l’Oceano, a tre passi da casa sua, che guarda caso quella sera era una delle rarissime all’anno in cui era calmo. Con la Luna poi era una cosa a dir poco fantastica… Subito dopo si va a casa sua… Ancora sensazioni stupende, con le case tipiche di legno, con la verandina e la doppia porta, una d’entrata e l’altra da utilità, che d’estate fa da zanzariera e d’inverno protegge cambiando la zanzariera con un vetro. In parte alla casa i garage, due, uno per il monovolume e l’altro per la Volkswagen Golf, importata direttamente dall’Europa, truccata ed elaborata da tipico appassionato d’auto. Cosa concessa l’elaborazione automobilistica in America. Entrando in casa ci accoglie sua moglie Jennifer, americana di origine. (Da giovane è venuta in Italia a studiare italiano e ha trovato lavoro in una fabbrica di Brescia, fallita qui ma ancora presente in America. Lì ha conosciuto Claudio, abitante a Leno (Brescia) ma con lavoro in città. E’ rimasta qui 11 anni, fino a quando, oltre all’inizio della crisi della fabbrica e della sua gravidanza, ha deciso di tornare in USA. E Claudio ha deciso di fare domanda di trasferimento e venire qui a Naragansett.) Siamo rimasti un bel pò in casa a parlare e poi, immancabilemnte, siamo crollati. Non prima di aver chiesto a Jennyfer di farci fare una prima colazione da veri americani. Il giorno dopo siamo in piedi verso le 8.00am belli pimpanti, pronti ad entrare nella vera vita americana. In tavola ci aspetta il caffè americano, uova e pancetta affumicata, i famosissimi bagel (ciambelle di pane guarnite da chicchi vari, o origano, o rosmarino, e così via…), succo d’arancia e i celeberrimi muffins. Ma i muffins veri, quelli giganti. Quello che sembrava una scommessa, ovvero mangiare un muffins senza fatica, si rivela persa. E’ veramente difficile mangiare un muffins, quelli veri sono proprio giganti, quasi delle vere fette di torta. Quello che ci aspetta poi fuori dalla porta di casa è a dir poco favoloso. Siamo capitati nel bel mezzo delle praterie americane, quelle tutte boschi e piante, dove sembra che le case siano e le strade siano solo lì provvisoriamente… In attesa che la natura superi l’uomo. Gli animaletti che ci accolgono come animali domestici sono animali che noi riteniamo domestici. Ovvero gli scoiattoli. E non è ancora niente. Visto che Claudio ci assicura che in certi periodi e in alcuni casi ti può capitare che nel tuo giardino passeggi tranquillo il cervo! Che storia… Finalmente poi facciamo conoscenza con i figli di Claudio, Elisa, 12 anni, e Antonio, 6 anni, che si preparano ad andare a scuola. (Frequentano una scuola cattolica privata per decisione dei genitori. Per questo sono costretti a portare delle divise, pantaloni e giacca o gonna e giacca per lei, pantaloni e giacca per lui. Nella pubblica i ragazzi sono pressochè come quelli in Italia, con vestiti alla moda, spesso strappati o lacerati, e con le ragazze con i top corti anche d’inverno solo per moda). Elisa è nata in Italia e ci è rimasta per 3 anni, quando poi si è trasferita in USA. L’italiano in casa di Claudio si parla continuamente, sopratutto il dialetto bresciano, ed Elisa parla quasi alla perfezione la nostra lingua. In rari casi, Elisa, con noi, parlava inglese. Antonio invece è il più birichino: capisce tutto quello che si dice, come sua sorella capisce benissimo sia l’italiano che il dialetto bresciano, ma fargli parlare l’italiano è un ‘impresa assai ardua, pressochè vana. Comel ingua la rinnega e dall’altezza dei suoi 6 anni ha già le idee chiare: se i suoi verranno in Italia per 15 giorni a trovare i nonni lui rimarrà in America! … Tornando al discorso, quel martedì era dedicato alla visita di Newport, pochi chilometri da Naragansett. E’ una città deliziosissima, famosa anche perchè sulla sua costa sono presenti numerosissime ville di finanzieri e ricchi americani degli anni 20. Compresa la villa che ospitò il matrimonio tra John Fitzgerald Kennedy e Jacquelyne. Per Manuela, titolare di una agenzia immobiliare, è un lustrarsi di occhi! Segue poi una passeggiata su un sentiero che costeggia ogni singola villa e che ci fa respirare, per qualche ora, della buona aria sana. A Newport visitiamo il bellissimo porto, con le barche tutte belle pulite e all’attracco, tutto molto ben pulito ed ordinato. La sera, per la cena, ci riserviamo il diritto di mangiare la pizza fatta in America, comprata in una piccola pizzeria. E ce le portiamo a casa da gustare con tranquillità. Jennyfer ci spiega che le pizze le compra sempre bianche, ovvero senza pomodoro, solo per il fatto che là usano mettere il sugo al posto del pomodoro, e che il gusto cambia radicalmente. In ogni modo la pizza è stata buonissima, davvero da leccarsi i baffi! Durante la cena inoltre Antonio mi invita a visitare la sua camera. Accetto. La camera è piena di pupazzi e di poster di un ranger americano, famosissimo in America e in Canada perchè gira documentari sui coccodrilli e ne ha catturate quasi tutte le specie. Inoltre campeggia a furore il poster di Valentino Rossi, altro suo idolo. La camera di Elisa e altrettanto tipica delle ragazzine americane, con i poster dei cantanti americani. Mi sorge spontaneo chiederle chi dei cantanti le piaccia e lei prontamente mi risponde: – “Linkin Park”! Antonio entra irruento e la deride dicendole: – “Boys, boys…”! La sera ci si ritrova sempre al tavolo a raccontarsi di anni lontani e perdendosi negli oltre cento canali della Tv satellitare di Claudio. Passiamo anche per Rai international… Ma la famiglia sbotta per il fatto che ogni sera, dal lunedì alla domenica, venga trasmesso Porta a Porta! Il giorno dopo, di buon mattino, siamo svegli per il ritorno a New York. Claudio è già al lavoro, alle 8.00am ci chiama per salutarci! Jennyfer prepara i bambini e poi ci porta in stazione a Kingston per riprendere il treno. A malincuore ci salutiamo e ritorniamo alla caotica città! Arriviamo poco dopo mezzogiorno e ci dirigiamo in hotel per restarci fino a metà pomeriggio per riposare. Prima di sera ci raccomandiamo di uscire a mangiare. Ma, causa stanchezza, crolliamo tuti e quattro e ci risvegliamo solo la mattina dopo. Il giovedì si ripresenta arduo. A piedi Roberto ci costringe ad arrivare fino ad Ellis Island per potersi imbarcare in una delle tante “boat” che portano a vedere la Statua della Libertà. Quel giorno il vento è forte e le barche si scuotono paurosamente, al che i nostri programmi cambiano. Ci incamminiamo per andare a vedere il famoso porto del Pier 17, con vista al ponte di Brooklyn. Successivamente ci incamminiano per far visita al monumento dei caduti del Vietnam, vicino a Wall Street. A metà giornata ci rincamminiamo per ritornare nel centro città e passiamo a fare uno spuntino in un ristorante che ci è piaciuto a tutti. Si chiama “Pick a bagel” e si trova proprio di fronte all’Hard Rock Cafè. La sera rientriamo stanchi e sopraffatti…

Il giorno successivo, venerdì, è dedicato ai musei e all’arte. Roberto è impaziente. É un artista, un pittore, uno scultore, è una guida molto efficiente per musei e sta studiando come guida turistica. Difatti non abbiamo avuto bisogno di nessun Cicerone in affitto… Avevamo lui! Tutta mattina in giro per il Metropolitan e il bellissimo museo degli Nativi d’America! A mezzogiorno siamo dovuti uscire per l’incombenza della fame. Attraversato un pezzo di Central Park ed essere passati davanti all’esclusivissimo Plaza Hotel, ci ritroviamo nei nostri amati Deli. Lì si raggiunge l’obiettivo di andare per negozi, soprattutto il più grande del mondo, ovvero Macy’s! E’ un megastore immenso, noi quattro per esaudire le richieste di ognuno abbiamo dovuto dividerci e darci dei punti di riferimento di ritrovo. Io personalmente ho speso $150 complessivi tra lo store della Polo Ralph Lauren e quello della Nike. E poi è meglio che non dico le spese degli altri co-viaggiatori… La sera, nonostante le voci contradditorie, scegliamo di andare a mangiare al Planet Hollywood a Times Square. Io, come dico, personalmente, ho mangiato bene! Forse avrò preso l’unico piatto decente che c’era nel menù… Boh… In ogni modo ho mangiato bene. Il giorno dopo, l’ultimo giorno della nostra bellissima e indimenticabile permanenza a New York, lo sfruttiamo in questo modo. Alla mattina colazione dal nostro affezionato Pigalle per poi visitare l’ultima volta Times Square e il Rockfeller Center. Verso le 2.00pm ritorno i nlabergo per riprendere le valigie e prepararsi all’arrivo del pullmino che ci riporterà all’aeroporto. La partenza dell’aereo dell’Alitalia era fissata per le 6.20pm… Con ritorno in Italia all’aeroporto della Malpensa alle ore 8.00 della domenica.

Quindi… Fine del viaggio nel mio sogno…

GOODBYE AMERICA! I LOVE YOU! … Per chi ha resistito fin qui…

DIFFICOLTA’: non ce ne sono molto. Per quanto riguarda la lingua tutti e quanttro parlavamo inglese e quindi ognuno si arrangiava. Se stavi attento capivi e ti facevi capire. Se si vuole vedere la città bisogna camminare. Al primo momento si maledice chi ti costringe a camminare per molto tempo ma poi, afine viaggio, lo si ringrazia! Attenzione nell’acquisto di abiti. Le taglie dei maglioni e delle t-shirt ma la misura effettiva è diversa da quelle italiane. Una t-shirt taglia L e una stessa taglia americana è diversa… Consiglio di provare prima tutto quello che si vuol comprare.

CONSIGLI: Non girare con tutti i soldi addosso e nello stesso posto. Già in agenzia consigliano di portarsi marsupi e borselli da nascondere sotto i vestiti e fare piccole sommette in giro per il proprio corpo. Ad esempio, tenere 50 dollari nella tasca, 50 dollari nelle scarpe, 20 nel marsupio… Insomma… Tenerli a zone. E ovviamente alcuni lasciarli in cassaforte in hotel. Controllare sempre i soldi che si hanno a disposizione. Non sembra… Ma i soldi si spendono senza neanche accorgersene… Tenere presente che a New York vige una tassa sugli acquisti che non è presente sul prezzo dell’acquisto del prodotto. Corrisponde all’incirca al 8.26%. Quindi tenere presente che un oggetto che magari costa 10 dollari lo verrete a pagare sempre qualcosa di più! Le mance sono quasi sempre comprese nel prezzo del conto del ristorante o del Deli, non sarebbe giusto opporsi ovviamente…

Il giusto modo di prendere la metropolitana è fare la MetroCard prima di salire sui treni. Costa $7 dollari e la si può usare tranquillamente per tutto il giorno. Fare attenzione comunque a dove porta la metropolitana. Prima di ogni entrata controllare se la metropolitana va in direzione UPTOWN o DOWNTOWN.

Per gli spostamenti in macchina bisogna fare attenzione, ogni Stato ha le sue leggi e le sue regole. Per chi non volesse rinunciare, informarsi delle leggi e fare attenzione ai limiti di velocità. Per chi volesse viaggiare in treno è opportuno prenotare il posto un giorno prima e ritirare il biglietto lo stesso giorno per sicurezza. Non c’è possibilità di scendere ai treni prima della partenza quindi è opportuno aspettare pazientemente nella sala centrale. Quando il binario compare sul tabellone in pochi minuti il treno parte e se si perde tempo si perde pure il treno…

Si sconsiglia di pagare l’albergo o simili, soprattutto nei viaggi fai-da-te, con carta di credito e di propria iniziativa, senza agenzia di tramite, per il problema diffuso di furto d’identità della persona, cosa che ha fatto scandalo nell’America. Meglio pagare l’albergo in Italia prima di partire.

Optare per i Deli, che sono più economici e non sono niente male. Consiglio anche l’Hard rock Cafè e il Planet Holywood, non è male come dicono, basta sapere cosa si sta leggendo per non storcere il naso quando ti servono il piatto.

Attenzione ai fumatori incalliti, gli americani hanno dichiarato guerra al fumo e ci sono zone dove è vietato fumare. Non ti deridono, scherniscono o guardano come un assassino se ti vedono fumare. Bisogna stare attenti e basta. DA FARE: fermare il prezzo dell’aereo tempo prima della partenza, soprattutto se si ha intenzione di partire vicino alle Feste varie, dove si sa che i prezzi lievitano. Io avevo già l’aereo fermo ad Agosto e ho pagato complessivamente 380€ a/r con Alitalia.

Scegliere l’itinerario prima di uscire dall’albergo, per non fermarsi in strada a decidere cosa fare, dove andare. O avere degli itinerari fissati… Per non vagare inutilmente e perdere tempo.

Penso di non aver dimenticato niente di importante… Comunque sia se avete domande da farmi e da pormi fate pure, cercherò di fare del mio meglio.

RINGRAZIO TUTTI PER AVER CONDIVISO CON ME IL VIAGGIO IN AMERICA Grazie Saini Luigi Brescianini Gadaldi Manuela Brescianini Gadaldi Roberto Brescianini Gadaldi Chiara



    Commenti

    Lascia un commento

    Leggi anche