Santa Monica, l’oasi californiana dove è nato Robert Redford

Un gigante del cinema, da solo e in coppia con attrici del calibro di Meryl Streep, con cui ha girato l’indimenticabile La mia Africa. Robert Redford, scomparso nella sua casa dello Utah, uno degli stati dell’entroterra USA, era però originario della California. E più precisamente di Santa Monica, meta privilegiata del Sunny State dove l’aria ha il profumo della salsedine e il rombo dei motori è quello dei tanti avventurosi che hanno percorso gli oltre 4000 chilometri della Route 66, partendo da Chicago e giungendo fino a qui, nel profondo ovest liberale. Proprio qui, dove la ruota panoramica si accende come un giubbotto di paillettes, i pattinatori inseguono il tramonto, il cartello “End of the Trail” sigilla un viaggio lungo mezzo paese, scopriamo il luogo che ha dato i natali a un attore indimenticabile. Esattamente come può essere un viaggio, magari on the road, negli Stati Uniti d’America.
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Cosa vedere a Santa Monica
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A inquadrare dall’alto la bellezza e l’attrattività della città californiana, dove anche il nome lascia trasparire un passato fatto di predicatori cristiani, missioni di frati e devozione autentica, c’è il profilo della Pacific Wheel che, per una volta, non è solo una ruota panoramica: è la prima (e oggi l’unica) ruota alimentata a energia solare al mondo, orgoglio dichiarato di Pacific Park e manifesto “pop” di una città che alla sostenibilità ci crede davvero. Al tramonto, quando i led si accendono e il cielo si fa cinema, basta un giro per capire perché. Alta 40 metri, 0 130 piedi come dicono qui, è illuminata da 174mila luci rigorosamente a LED e il biglietto per accedervi è alla portata di tutti: costa poco meno di 13 euro, e soprattutto permette di ammirare ogni luogo della città, a partire dalla sua iconica spiaggia.
Una spiaggia su misura per tutti
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La Santa Monica State Beach è la scenografia naturale della città: un arco di sabbia che si estende per quasi cinque chilometri e che scorre parallela alla Pacific Coast Highway, interrotto solo da passerelle in legno, giochi per bambini, campi da volley e torrette dei bagnini. Sì, un po’ come in Baywatch, ma senza Pamela Anderson. È una spiaggia “statale”, ma gestita dalla città: un modello che spiega la cura maniacale di servizi e accessibilità, tra pedane per passeggini, servizi igienici, noleggi e stazioni dei lifeguard e che fanno dell’esperienza, anche marittima, nella California la cifra di un viaggio che non è uguale a nessun altro. Prima di scendere in acqua, vale sempre una regola d’oro: rispettare bandiere e indicazioni dei soccorritori. E sì, quella distesa è davvero lunga quanto sembra. Intorno alla spiaggia, poi, c’è spazio per gli immancabili Pier: il nome vuol dire molo, ma il semplice attracco delle barche assume, a Santa Monica come nel resto degli USA, un significato diverso. È un luogo di incontro, per passeggiare, per godersi tutto il divertimento diurno e notturno di qualche ora con vista sul Pacifico.
In città ce ne sono ben due, tra quelli “nobilitati” da una storia che dura da più di 100 anni: il Municipal Pier “utilitario” (primi del ’900) e il Looff Pleasure Pier (1916), costruito per l’intrattenimento e saldato al primo in un abbraccio che ha fatto la storia del tempo libero americano.
Alla fine della strada più famosa d’America (e del mondo)
Se amate i simboli, cercate il cartello “Route 66 – End of the Trail”: segnala in modo simbolico la fine della Mother Road sulla banchina del Pier, ed è diventato un rito per i viaggiatori che hanno macinato chilometri tra deserti e diner. In realtà, ricordano le fonti storiche, il termine ufficiale fu spostato nel 1936 a Lincoln Blvd & Olympic Blvd: il segno sul molo celebra l’immaginario più che la burocrazia, e risale al 2009. Poco importa: lo scatto è d’obbligo. Soprattutto se si è percorso per intero la Mother Road, passando per St. Louis, Joplin, Oklahoma City, Glenrio, Albuquerque, Las Vegas, Barstow e fino ad arrivare proprio qui, a Santa Monica, al termine di un viaggio che ufficialmente richiede, proprio come un secolo fa, 3940 chilometri.
La Downtown tra architetture d’artista e mercatini
A due passi dal Municipal Pier di Santa Monica, si entra nel Downtown più pedonale della Westside, con la Third Street Promenade: tre isolati senza auto, rifatti a fine anni ’80 su un’idea nata nel 1965 e poi rilanciata come salotto all’aperto tra negozi, ristoranti e buskers. È il cuore urbano, oggi affiancato dal centro commerciale “open air” Santa Monica Place, nato con la firma di Frank Gehry negli anni ’80 e ripensato nel 2010 per dialogare meglio con la strada. E in più, il mercoledì mattina Arizona Avenue diventa il regno dei sapori: il Downtown Farmers Market (dal 1981) raduna decine di produttori e attira chef da tutta Los Angeles. Del resto, la California è celebre anche per le sue produzioni agricole, e per l’ottimo vino, che grazie a un clima mediterraneo ricorda da vicino quello della Toscana o della Campania, come nel caso della celebre Napa Valley.
Come arrivare (e come muoversi) a Santa Monica
Dalla Downtown di Los Angeles a Downtown Santa Monica si arriva direttamente in metro con la E Line (capolinea in 4th/Colorado): la ferrovia leggera ha riportato i binari in città e collega la costa al cuore della metropoli. Una volta qui, per spostarsi tra quartieri e spiaggia viaggia la Big Blue Bus, storica rete municipale che unisce Santa Monica a UCLA, Westwood, Venice e oltre. Dall’Italia, invece, il viaggio è un po’ più lungo: ci sono voli diretti di ITA Airways da Roma a Los Angeles, 12 ore circa, magari da prenotare in anticipo. Ma una volta qui, la fatica sarà ripagata dalla vista di un paesaggio che finora si era ammirato solo su piccolo e grande schermo, e che finalmente diventa reale.