Geppa e Ciccions in Islanda

7-08-2005 h 3.30 - In taxi fino a Ciampino! Non abbiamo trovato proprio nessuno di buon cuore che ci portasse in aeroporto a quell'ora! (abbiamo rinunciato al volo diretto per la capitale islandese non appena ci hanno pronunciato la parola millecinquecento). Pensiamo parta all'alba solo il nostro volo e invece ci stupiamo del fatto che ce ne...
Scritto da: M. 1
geppa e ciccions in islanda
Partenza il: 07/08/2005
Ritorno il: 17/08/2005
Viaggiatori: in coppia
Spesa: 2000 €
7-08-2005 h 3.30 – In taxi fino a Ciampino! Non abbiamo trovato proprio nessuno di buon cuore che ci portasse in aeroporto a quell’ora! (abbiamo rinunciato al volo diretto per la capitale islandese non appena ci hanno pronunciato la parola millecinquecento). Pensiamo parta all’alba solo il nostro volo e invece ci stupiamo del fatto che ce ne siano altri 5….Geppa è costretta a togliersi le Cult, così la si vede girare scalza come una zingara. Albeggia. La destinazione è Londra, ma noi sappiamo che è solo una tappa. Solita corsa a “li mejo posti” perché Ryanair non dà il numero a nessuno. Avvertiamo un misto di tensione ed eccitazione per questo viaggio (Geppa non dorme da giorni, ma quello è il Cagottibus dell’aereo!). Alle 8.40 siamo nello splendido aeroporto di Stansted dove, credendo di fare gli “italiani” cerchiamo di arraffare una coincidenza per Reykjavik. Ci sparano 160Gbp a cranio. Decliniamo con molta cordialità inglese. Anche se allettante non lo è quanto un pic-nic nel parco di Bishop’s Stortford, un piccolo paesino vicino l’aeroporto. Bivacchiamo nel parco circa 8 ore. Il tempo è incerto, ma piacevole. Un sole da favola. Infatti ci scottiamo. Bhè, scottati in England, non è il massimo? Alle 20.40 prendiamo la Iceland express. Il volo è pieno di islandesi. Ci rendiamo conto che le nostre low-cost sono lontane anni luce dalle loro. L’aereo è larghissimo, i sedili comodissimi, le hostess biondissime. Arriviamo alle 22.50, ora locale, a Keflavik dopo 3 ore di volo. Prendiamo le valige e cambiamo i soldi. Conviene cambiarli qui in aeroporto visto i tassi di fuori. Cerchiamo di prendere la macchina già da stasera, l’abbiamo prenotata solo per l’indomani, ma la risposta è “Vik djà?” (de che?). Mogi mogi prendiamo un taxi (costosissimi in Islanda) e ci rechiamo al Fit Hostel (questo bisogna prenotarlo almeno una settimana prima perché è l’ostello più vicino all’aeroporto e viene riempito da tutti i voli notturni e, lo scopriremo alla fine del viaggio, è il più caro d’Islanda dopo la capitale). Dormiamo divinamente (sleeping-bag) fino a quando non entrano 4 zitelle francesi che fanno un macello con valige, torce e roba varia. Ma gli ostelli si sa, sono così. 8-08 La mattina dopo siamo più stanchi che vivi. Facciamo colazione e un po’ di autostop. Non vogliamo proprio ripagarlo il taxi. Ci carica un signore molto gentile che lavora in aeroporto. Ciccions attacca certi pipponi (vedi che significa sapere l’inglese a menadito??!!). In mezz’ora siamo con la nostra macchina fiammante (non un fuoristrada) e i bagagli, pronti per questa splendida avventura. Il programma è girare tutta l’Isola in senso antiorario. Ci dirigiamo verso Laguna Blu, anche se piove. Un’immensa piscina calda all’aperto su base di lava nera. L’acqua è molto sulfurea di un colore celeste chiarissimo. Sembra un lago lunare con intorno tutta lava. Difficile descrivere la sensazione di quando si riemerge. Il freddo polare fuori, il caldo dentro. Costosa, ma attrezzatissima. Dopo questo rilassante bagno puntiamo Gayser, lo spruzzo che ha dato il nome a tutti quelli del pianeta. Dopo un’ora e passa di strada, a tratti non asfaltata ma molto suggestiva, arriviamo a destinazione. Il “Gayser” non è più attivo dagli anni ’60, quando arrivava agli 80 m di altezza, ma è degnamente sostituito da Strokkur, 35 m ogni dieci minuti. Sembra un orologio. È davvero bella questa valle, contornata da mini-geyser, con la lava chiara millenaria tutt’intorno. Rimaniamo a guardare il miracolo una decina di volte. Un bimbo sui 7/8 anni con l’ombrello, si lascia inzuppare dallo Strokkur per oltre un’ora. È quello che tutti avremmo voluto fare. Per restituire ciò che ci eravamo presi in prestito, diamo un passaggio a due ragazze parigine dirette anche loro a Gulfoss, la più importante cascata d’Europa. Mangiamo un panino schifezza (l’Islanda in questo è come l’America, per mangiare bene bisogna cercare). È qui che Geppa cambia il suo nome in Dottir (suffisso dei cognomi femminili qui nell’isola, che prendono il nome del padre e ci aggiungono -dottir alle femmine e -son ai maschi…è un’usanza che viene da lontano, dai vichinghi addirittura!).Dopo appena 10 km ci troviamo di fronte uno spettacolo che mai avremmo immaginato. Una nebulizzazione che arriva a 10 metri! Più che alta la cascata è larga e compie un salto verso uno stretto canyon, tanto da creare una nuvola che la nasconde. In lontananza scorgiamo le nevi perenni, ingrigite da un cielo plumbeo e minaccioso. L’Islanda sembra l’isola della natura. Ogni cosa viene lasciata così come la si è trovata. Una cascata così grande da noi avrebbe mille transenne. Qui nulla viene intaccato. Bisogna fare solo molta attenzione, ma l’acqua la si può toccare. Così la strada (la famosissima Ring road), una lingua d’asfalto in mezzo alla natura. Fantastico il loro rispetto per la natura. Continua a fare 15°. Regna sovrana una calma che lentamente scende su di noi. È il momento della vacanza in cui tutto rallenta e si assapora la visita. Siamo pronti per una grande escursione che avevamo progettato fin dall’Italia (che ora sembra davvero lontanissima): le pulcinelle di mare. Sulla strada per il porto, dal quale occorre imbarcarsi per l’isola che ad agosto ospita il ripopolamento di questi uccelli, decidiamo di pernottare in una piccola località di campagna (Soleymar), un centro eco-solidale che ospita colture biologiche in serra curate da una comunità di disabili. Alloggiamo in una guesthouse (con la formula sleeping bag si rivelerà la soluzione più economica in Islanda) molto carina (Guesthouse Brekkukot), gestita da una ragazza giovanissima. Proprio qui, purtroppo Ciccions si blocca! Tipico colpo della strega. Siamo costretti a rallentare. Non riesce a stare in piedi, figuriamoci ad entrare in macchina.

9-8 Grazie al mitico Moment (in un paesino davvero sperduto non ci sono gli abitanti figuriamoci le medicine) riusciamo a ripartire. La prima farmacia ci fornisce di una crema miracolosa. Ibuprofene in gel. Mitico! Siccome non possiamo più fare tanti km al giorno, la schiena di Ciccions ne risentirebbe, rimandiamo le pulcinelle facendo più tappe. Visitiamo il vulcano Ekla (porta degli inferi nella tradizione locale) e Eyrarbakki, sede della più antica abitazione esistente in Islanda, risalente ai primi del ‘700. Alloggiamo in un mini-cottage (Hellrinn, vicino al fiume, proprio all’entrata del paese) tutto per noi ad un prezzo bassissimo (1500 Kr). La cena è di Dottir. Un pesce dei mari del Nord con aglio e limone, una gustosissima zuppa Knorr agli asparagi e gli Oreo come dolce. Il cottage è stupendo. Tutto in legno, attrezzatissimo. La signora parla poco l’inglese, ma è molto cordiale. Dormiamo senza limiti. Il sole tramonta alle 23.30 e sorge alle 4.30…ma noi non ci curiamo di lui. Il silenzio più assoluto ci circonda. Iniziamo a spiegarci come mai questa è l’isola del relax e del vivere bene. Siamo in un cottage in mezzo al niente e possiamo anche lasciare la porta aperta, non ci sarà mai nessuno che verrà a disturbarci. Roma sembra un altro mondo. O meglio, Roma è un altro mondo.

10-8 Il traghetto per le Isole di Vestmannaeyjar è a mezzodì. Giusto il tempo di farci dei panini. La schiena va decisamente meglio. Siamo a Perlakshofn, il porticciolo, pronti a salpare. Due panche più in là una coppia di romani. Moriamo dal ridere nel prenderci in giro. Noi italiani quando andiamo per avventure siamo davvero buffi. E riconoscibilissimi tra noi. Salpiamo nella splendida città di Heimaey due ore dopo. L’isola dell’isola, solo noi potevamo farlo. Il tempo è splendido. Per la prima volta Ciccions indossa i suoi occhiali da sole nuovi! Cerchiamo subito un alloggio per lasciare i sacchi a pelo (abbiamo lasciato la macchina con tutti i bagagli al porto, abbiamo solo due zainetti utilissimi in questi trasbordi) e le vettovaglie. Facciamo un giro, ma sembra tutto pieno. Finalmente troviamo posto proprio di fronte al porto, Gesthouse Heimir. La proprietaria è anziana, ma simpatica. Partiamo subito per una mini-escursione cercando le pulcinelle di mare. Questi splendidi uccelli si gettano in mare dalle scogliere di quest’isola a centinaia per il loro primo volo. Vedere questo spettacolo della natura ci ha davvero entusiasmato. L’isola è stupenda e piena di storia. C’è un’area nuova (1973) creata proprio da una colata lavica. Tutt’intorno i cittadini sono tranquilli e sempre assonnati. Il clima è stupefacente. Sembra di essere in Toscana per il tepore del sole. Dopo aver osservato (e camminato) per almeno due ore, decidiamo di riposarci un po’ in stanza e decidere dove andare a mangiare. Siamo venuti qui apposta per vedere, e gustare questi splendidi animali. So che gli animalisti si scandalizzeranno, ma noi cerchiamo di entrare nella cultura di un paese anche così. Decidiamo di andare in un ristorantino niente male (sarà la prima volta che mangiamo decentemente qui) la Lanterna. Qui assaggiamo le pulcinelle affumicate (Ciccions è ancora scioccato) che vengono servite crude, cioè solo affumicate, fredde di frigo e nude, e poi in salmì al pepe verde con delle patate novelle dolci buonissime. Hanno l’aspetto delle quaglie e ricordano il sapore dell’oca, ma bisogna provarle per capire. Il piatto è davvero succulento, ma non economico. Soddisfatti e rifocillati facciamo un giro, cercando un po’ di vita, dei giovani. Nulla. Sono le 22 passate e il sole ci guarda ancora. Meglio andare a dormire. Il traghetto è all’alba domani mattina. Verso mezzanotte scopriamo che i giovani di Heimaey sono due…e amano i motori. Fanno su e giù nella via principale fino alle due di notte a ritmo di marmitte manomesse e musica tecno. Sembrano esprimere tutto il disagio della sindrome degli isolani dell’isola di un’isola.

11-8 Giornata davvero intensa e memorabile. Partiamo presto al mattino e raggiungiamo terra attorno alle 11.00. Da qui una lunga tappa fino al ghiacciaio Skaftafell, il 3° al mondo per dimensioni. Raggiungiamo il campo base alle 15.00 e da qui partiamo per Svartifoss in escursione. Abbiamo scoperto che tutto ciò che riguarda le cascate ha -foss come suffisso, per i ghiacciai è -jokull e -fjordur per i fiordi, così è più semplice capire la loro lingua. La cascata sembra un organo a canne di colore nero da cui sgorga un getto di medie dimensioni del tutto decorativo. Come è possibile che l’acqua l’abbia segata così geometricamente? La notizia è che Dottir torna in escursione dopo il ’46….le sue gambe reggono a meraviglia anche in salita, nonostante l’età. Certo, brutto essere pigri e scegliersi il ragazzo sportivo??!! Ciccions suda ma si finge capo-guida e gran maschio vichingo…si è proprio ambientato! Tornati al campo base decidiamo di esagerare, ripartiamo alla volta del ghiacciaio, 1,5 Km di tragitto che lui ha percorso nell’ultimo secolo ritirandosi. In realtà ci sarebbe un’escursione di sei ore per visitare le grotte nel ghiaccio, ma è già tardi e abbiamo deciso che sarà per la prossima volta…magari con qualche pupo al seguito. Avvicinandoci il vento si fa gelido e lo Skalt inizia a parlarci. Emette rumori sinistri, come di nuvole che si scontrano. Soffia una tramontana gelida. Ci fermiamo solo qualche minuto. La sensazione qui è che la terra si stia riprendendo ciò che il ghiaccio le ha tolto per secoli. Rientriamo alla base in silenzio. Lo spettacolo ci ha ammutoliti. Riprendiamo la strada pensando già a dove trascorreremo la notte quando, prima di un ponte di ferro, alla nostra sinistra si stagliano gli iceberg. I colori sono vivi, quasi fluorescenti. L’azzurro rifulge, mentre il freddo secco quasi non si sente. Con gli iceberg davanti tutti i paesaggi fantastici fin qui ammirati sono coperti da una fitta nebbia. Il ghiaccio si erga sopra a tutto. E c’è una pace infinita. Per la sera abbiamo grosse difficoltà a trovare un posto dove dormire. Stavolta ci siamo mossi tardi. Sono le 21.00! Troviamo ad Hofn uno splendido mini-cottage, meno attrezzato di quello di Hella, e soprattutto col bagno in comune visto che è nel campeggio sulla strada. Solita formula dello sleeping bag, ma stavolta, per pagare meno, decidiamo di accogliere eventuali ospiti (il cottage è per 4) che, vista l’ora, non arrivano! I bucatini ai capperi e alle olive sono il coronamento di una giornata intensa e favolosa. Hofn è carina, da poco è collegata a Reykjavik con la Ring Road, prima bisognava passare da Akureyri. Il significato della parola Hofn è “porto” ed effettivamente oltre a quello non c’è molto, ma è pulitissima e minuscola.

12-8 Il nostro venerdì è dedicato ad un lungo trasferimento verso i fiordi dell’est. Il viaggio è tranquillo. Le emozioni sono tutte per Dottir, che di fronte a strapiombi sul mare con fondo sterrato si trasforma in un 2° pilota rally, con tanto di indicazioni di marcia da inserire, andatura da tenere…ecc.. Ci vogliono oltre tre ore per raggiungere Egilsstadir, capitale dell’est. La cittadine è molto moderna e non c’è granché da vedere. Riusciamo a raggiungere il fiordo principale: Seydissfjordur. Alloggiamo in un ostello (Hafaldan Hostel) che costa un po’ di più, ma sembra pulito. Stavolta abbiamo una stanza da 4 e arriverà sicuramente gente. Il tempo è peggiorato molto, è calata una fitta nebbia e il fiordo appare tutt’altro che ospitale. Decidiamo quindi di provare, finalmente, una piscina comunale, dotata di vasche termali. Che delusione! La piscina è una normalissima vasca, anche poco riscaldata. Unici servizi ulteriori sono idromassaggio e sauna. Lo stato d’igiene lascia la quanto a desiderare, e le famose vasche geotermiche altro non sono che idromassaggi che sfruttano l’acqua sulfurea presente sull’isola. Decidiamo di concederci una cena come si comanda. Il locale individuato non offre più il servizio ristorante (Skaftafell Cafè), in compenso ci offre la mostra di un artista locale. Probabilmente troppo avanti per noi! Ripieghiamo, si fa per dire, sul ristorante dell’Hotel Aldan. Il locale è quasi tutto prenotato per una cerimonia, ma il cameriere (solo lui merita una visita, il primo islandese davvero carino che vedo) ci trova posto da lì a mezz’ora. Nel frattempo ci offre una birra locale degna di tale nome (5,7 gradi). In Islanda, infatti, quasi tutte le birre non superano i 2,0 gradi! La cena si dimostra molto più che all’altezza: insalata con filetti di aragosta, catch of the day, broccoli al formaggio, purea in crosta e torta al cioccolato con annessa creme bruleè. Un tripudio. Dottir dichiara di non mangiare così bene da anni. Anche Ciccions è rapito dai sapori, soprattutto il pesce, che ha davvero un gusto diverso dal solito. Rientriamo in stanza appagati. Due ragazzi francesi ci faranno compagnia per la notte. Siamo davvero stanchi. Crolliamo in un attimo.

13-8 Il nostro on the road prosegue verso Dettifoss, la cascata con il getto d’acqua più potente di tutta Europa. Il tragitto che ci conduce a questa bellezza è desertico. Ciccions continua a cercare le renne e grida che qualcuno, forse un folletto, gliele ha nascoste. Povero Ciccions. La cascata mantiene le promesse, soprattutto in fatto di nebulizzazione (oltre un Km verso l’alto). Nonostante una pioggia leggera, ma insistente, ci avviciniamo fino a pochi metri dal salto. Si ha come l’impressione di un’inondazione che scorre a folle velocità. Il nostro pomeriggio è tutto dedicato all’oceano e alla sua fauna. Ci rechiamo ad Husavik, il miglior posto per l’avvistamento delle balene. Sulla strada ritroviamo un sito geotermico, stile gayser. Ci sono anche qui un sacco di pozze, ma Cccions non vuole scendere. Dice che è “staaanco”. Ogni pozza ha una specie di liquido melmoso, di color argilla (ma è argilla!) che bolle a 100°. Ci sono anche un sacco di camini. Montagnette di roccia dalle quali esce un fumo denso e bianco a tutta velocità. Fanno un rumore particolarissimo! Quando torno alla macchina Ciccions è completamente svenuto. Russa! Mi appisolo anch’io. C’è una pace immensa intorno a noi. Un’oretta dopo veniamo svegliati da urli e schiamazzi: italiani! Dopo qualche perplessità di Dottir (nausea, freddo, ecc), decidiamo di partecipare a questa escursione marina alla volta delle balene. Non prima di aver visitato il museo di Husavik per acculturarci un po’ sull’argomento. L’Islanda vive anche della pesca di questi giganti buoni, ed è in polemica con le organizzazioni internazionali che vorrebbero limitarla di molto, se non bandirla del tutto. Dal 2003, comunque, è consentita anche se strettamente regolamentata. L’imbarcazione è un gozzo in legno, un tempo adoperato proprio per la pesca dei cetacei, e dotato di un albero dove è posizionato un uomo per l’avvistamento. In mare fa molto freddo, così ci vestiamo a strati: canottiera, maglietta a maniche corte, camicia di flanella, maglione num uno di lana, maglione num due di pile, giubotto impermeabile imbottito pile, guanti, cappello, sciarpa, calze di lana, pantaloni elasticizzati e sopra i jeans. Non prendeteci in giro. In mare siamo arrivati a -20. E stare fermi per tre ore non fa certo meglio. Dopo un’ora di navigazione dentro la baia, ecco apparire dal nulla una balenottera minore, lunga 7-8 m e pesante altrettante tonnellate. L’avvistamento si trasforma in inseguimento e le emozioni si fanno sempre più intense. Dottir riesce anche ad avvistare l’intera pinna laterale. Dopo una ventina di avvistamenti consecutivi il whale-watching ci è sembrato un pizzico invadente….dopotutto anche le balene avranno la loro privacy. L’ultimo avvistamento della giornata, sulla via del ritorno, è quello di un delfino muso bianco, anzi due. Il padre e il figlio pronti a pescare. È un delfino enorme e molto più affettuoso con i turisti che le balene. Questione di stazza? Prima dell’attracco ci viene servita cioccolata calda e e simil-cornetti. Ci sentiamo soddisfatti. Dottir sorride felice. Sono sempre di più un vikingo innamorato. Attraccati decidiamo di arrivare la sera stessa ad Akureiri, la seconda città per grandezza dell’Islanda. Non ci vuole molto per arrivarci. Akureiri si trova su di un fiordo molto suggestivo. Troviamo sistemazione per la notte in un’altra Guesthouse (Brekkusel) molto accogliente dove hanno camere doppie con soluzione di sleeping-bag. Il solito piatto di spaghetti con i sughi pronti (grazie Buitoni!) e a nanna. La vita cittadina l’assaporeremo domani.

14-8 È domenica. Dottir vuole andare in chiesa e la funzione è alle 11.00. Invece ci attardiamo tra capelli, phon e roba da rimettere in macchina. Ripieghiamo sull’antica casa di un primitivo esploratore delle Americhe. Tale Son Svenisson, un reverendo e non un esploratore. Ma questo lo abbiamo scoperto solo in loco. A fianco una chiesetta niente male. Ciccions vuole a tutti i costi visitare i “famosi” giardini botanici di Akureiri. Ci accorgiamo solo quando siamo là che sono giorni che non vediamo dei fiori. Qui è quasi tutto viola, o comunque scuro. Il poco sole immagino. Sono gli unici fiori d’Islanda, o almeno così dicono. Ci sono anche le api. E finalmente l’agognato giro in centro. È domenica, ma non c’è anima viva. Ci rifugiamo in un classico fast-food ripetendoci la solita domanda “Ma gli islandesi dove sono?”. Intendiamo fare tutta una tirata fino a Reykjavik. Sulla strada ci sono le grotte di Vidgelmir, Surtshellir e il ghiacciaio Snaefellsjokull, ma piove a dirotto e abbiamo deciso di dedicare alla capitale almeno due giorni. Ma Reykjavik non è l’Islanda, come ci viene detto appena arrivati. I problemi per trovare un posto sono tanti. Per fortuna un signore di una guesthouse ne contatta un’altra che affitta anche aule delle scuole vicine. Abbiamo capito che nella capitale si affittano anche le stanze in casa loro pur di fare soldi. Tutto costa il triplo. Riusciamo per fortuna a trovare. Per terra su dei materassi, ad un prezzo allucinante. Ciccions è gentile. Mi convince a prendere un’aula solo per noi anche se costa 5000 Kr. Così rimaniamo a parlare e a ridere fino a notte fonda. Tanto sono gli ultimi giorni di vacanza.

15-8 Il bello di essere in vacanza è che qualsiasi cosa succede la prendi col sorriso. Alle 9.00 della mattina, siamo ancora un po’ assonnati, ma svegli, apre la porta dell’aula (chiusa dall’interno) una signorina che ci annuncia di dover fare lezione o preparare la lezione e che quindi dobbiamo sloggiare. Raccattiamo tutto e andiamo via. Dopo trenta minuti netti di litigio di Ciccions con quello che si era preso i soldi (è stata solo una questione di principio…quando ti dicono che se qualcuno in Italia li apre la porta della loro camera d’albergo per cacciarli, loro sorridono e se ne vanno, ti girano sul serio) sono sbottata parlando in barese stretto (non perché l’inglese non lo so, ma perché se uno sin incazza lo fa nella sua lingua) e il signore allibito ci ha ridato 500 Kr. Nulla praticamente, ma una grande vittoria sul mio povero Ciccions che mi guardava terrorizzato…”Chissà che ha capito quello??!!”. Reykjavik è davvero bella, ma l’impatto è strano. Ripensiamo ai paesaggi visti nel tour e ci sembra di essere in un altro paese. La cattedrale è bellissima. Visitiamo il quartiere del “runtour”. Ci sono un sacco di negozi. Mangiamo la zuppa più buona d’Islanda (andateci) ne vale la pena, allo Svarta kaffi, oramai sponsorizzato Guinness. È ferragosto ed è il secondo anno che mangiamo la zuppa calda dimenticandoci che è agosto. Un altro piccolo giro in centro e poi la cattedrale: mozzafiato. Decidiamo di dormire a Grindavik per poi cercare magari di ritornare a Laguna Blu. Solo che qui troviamo posto in un luogo assurdo. La Guesthouse è in una fabbrica della salatura del pesce sul porto. Ci abitano in pratica gli operai della fabbrica che sta sotto. Una puzza di pesce inimmaginabile. In più gli operai sono quasi tutti extracomunitari. Rumeni, più che altro. Assurdo. Dalla Romania fino qui!

16-8 La notte l’abbiamo passata nel dormiveglia, tra la puzza di pesce e il rumore della pioggia. Il tempo la mattina dopo era uno schifo. Una tempesta di pioggia in pratica, con vento forza nove. Non importa…voglio andare via da qui. Ma Ciccions ha una splendida idea…compra dei fagioli della Heinz che in Italia io non ho mai visto. Sono buonissimi! Mi risollevano il morale. Finalmente fuori da quella bettola (Guesthouse Fiskanes) che, per carità, è stata molto formativa per capire che razza di vita fanno gli operai lì. Passiamo dall’aeroporto. Alcuni voli sono cancellati, troppo vento. Cerchiamo di trovare posto per dormire qui. Ma mi sa che ci cacciano proprio. Hanno delle regole molto ferree. Alle 19.00 riconsegniamo la macchina. Optiamo per un ostello, stavolta non il Fit, ma lo Strond. Un po’ più sporco, ma comunque accogliente. Tanto è l’ultima notte. Abbiamo bisogno di cibo e non vogliamo cambiare altri soldi. Il pane tostato e i fagioli andranno benissimo. La signora mi accompagna al supermercato. Parliamo del più e del meno e finalmente mi risponde alla domanda che ci portiamo dietro da dieci giorni “Dove sono finisti gli islandesi?”. Mi dice che la maggior parte della gente che è sull’isola ora sta lavorando con i turisti. Gli altri sono tutti in vacanza. Soprattutto i giovani che usano girare il mondo da molto presto. Hai capito? E io che credevo chissà cosa. Dottir non vuole rivelarmi niente quando torna dal supermercato. Mi tiene sulle spine e non mi dice le inquietanti rivelazioni della signora, unico islandese con il quale abbiamo parlato tanto. 17-8 Alle 6.30 partiamo dalla guesthouse con una famiglia simpaticissima di Girona. L’aereo fa 6 ore di ritardo. Ci vengono offerti colazione e pranzo. Perdiamo la coincidenza per l’Italia e passiamo una notte a Stansted. Ma siamo felici. Il viaggio è stato bellissimo. L’Islanda è un paese vario e particolare. Nutriamo un grande rispetto per i suoi abitanti e la sua natura incontaminata. Bramiamo già per tornarci. Al nostro rientro la vera delusione sono state le foto. Nessuna dava davvero l’idea del posto e dell’atmosfera.

Attrezzatura: guida lonely planet in italiano (è la più recente)un giubbotto imbottito e impermeabile, un paio di pile, scarpe da trekking, canottiere di lana, guanti, sciarpe, calzettoni, pantaloni elasticizzati da mettere sotto pantaloni di lana o pesanti, zainetti per i trasbordi, pasta e sughi pronti, una pentolina. Per il resto, per il cibo, troverete tutto nelle guesthouse. Asciugamani personali. Pochi bagagli, va a finire che ci si mette sempre la stessa roba. Senza fuoristrada si vede quasi tutto tranne il centro dell’isola.

Mariangela e Paolo



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