Se l’estate finisce, la voglia di avventura continua: questo road trip di 11 giorni è il modo migliore di scoprire l’isola più selvaggia al mondo
L’Islanda è diventata negli ultimi anni una meta gettonatissima dagli italiani, anche grazie al fatto che è sempre più accessibile attraverso comodi voli diretti low cost. A mettermi la pulce nell’orecchio è stata innanzitutto Monica, una parrucchiera di Firenze ed entusiasta viaggiatrice che ho incontrato per lavoro l’estate scorsa che ci era appena stata. Poco dopo, ho conosciuto quello che sarebbe diventato il mio ragazzo, Carlo, che da anni sognava di visitare l’Islanda. A gennaio, dopo aver considerato varie mete per l’estate, siamo arrivati alla nostra decisione finale: 11 giorni di road trip attraverso l’Islanda fra fine agosto e inizio settembre.
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Abbiamo subito prenotato i voli con easyJet da Malpensa scegliendo l’opzione per avere un bagaglio a mano aggiuntivo, la selezione dei posti e l’imbarco prioritario (€293,66 a testa) e l’auto a noleggio per l’intera durata del viaggio con Lava Rental (€1.009,18, escluse assicurazione e guidatore aggiuntivo che abbiamo acquistato al momento del ritiro). Sapendo che gli alloggi in Islanda scarseggiano e spesso non riescono a soddisfare l’enorme quantità di turisti, ci siamo subito messi alla ricerca su Booking e Airbnb, prenotando le sistemazioni che più ci piacevano spendendo una media di €160 a notte.
Tutto era pronto per il nostro viaggio ai confini dell’Europa, e i sette mesi e mezzo successivi sono stati un continuo conto alla rovescia fino alla partenza!
Diario di viaggio in Islanda
1º giorno – giovedì 29 agosto
La sveglia è suonata prima del gallo alle 3:45: mezz’ora dopo dovevamo essere in partenza per Malpensa, che dista poco più di un’ora da casa mia nel cremasco. Sbrigati i controlli, non abbiamo fatto in tempo a sederci al nostro gate che veniva annunciato l’imbarco prioritario a cui avevamo diritto. Il volo è partito in orario alle 7:30, e siamo atterrati in anticipo all’aeroporto di Keflavík alle 9:10 ora locale (le lancette si spostano indietro di due ore).
L’Islanda ci ha accolti con il sole, ma non ci dovremo fare l’abitudine! Al nostro arrivo abbiamo scoperto che la compagnia con cui avevamo prenotato l’auto, la Lava Rental, non aveva sede in aeroporto, bensì in un’area industriale a circa 6 km. Abbiamo quindi preso un taxi, che per la salata cifra di €21,70 ci ha portati a destinazione. Scopriremo poi che per tornare in aeroporto dall’autonoleggio sarà disponibile una navetta gratuita. Abbiamo ritirato la nostra Dacia Duster, bianca come la maggior parte delle auto in Islanda, che abbiamo presto notato andare per la maggiore per i noleggi auto: è, del resto, la 4×4 più economica. L’auto è costata poco più di €1.000 per l’intero viaggio, con l’aggiunta di €30 al giorno di assicurazione completa e €8 al giorno per il guidatore aggiuntivo, dato che ci saremmo alternati.
Siamo arrivati a Reykjavík in circa 40 minuti attraverso la comoda strada a due corsie che collega la capitale all’aeroporto, e abbiamo lasciato l’auto nel parcheggio gratuito intorno alla Hallgrímskirkja, il più iconico edificio della città, una chiesa luterana in stile neogotico espressionista con un campanile alto 74,5 metri. All’ingresso, sulla sinistra, abbiamo trovato subito l’ascensore per salire alla terrazza panoramica. L’esperienza sarebbe a pagamento… e infatti ci sono dei cartelli che indicano di pagare al negozietto della chiesa, che però non abbiamo trovato, e pensando erroneamente che si trovasse in coma alla torre siamo saliti senza biglietto. E qui abbiamo commesso il nostro primo crimine in terra islandese. La città dall’alto non è un granché: le abitazioni in Islanda non sono caratteristiche come quelle che abbiamo visto nel resto della Scandinavia.
Percorrendo la Regnbogagatan, una strada con dipinta una scia di arcobaleno, abbiamo acquistato tutti i souvenir per amici e parenti, e io ho potuto comprare la bandierina islandese con asta da aggiungere alla mia collezione. Le bandiere arcobaleno in Islanda sono onnipresenti, a testimonianza del fatto che da molti anni è il miglior Paese al mondo per le persone LGBT. Secondo un sondaggio condotto nel 2006, l’89% degli islandesi era a favore del matrimonio fra persone dello stesso sesso, ai tempi il tasso più alto nel mondo. Verrà legalizzato quattro anni più tardi.
Abbiamo quindi raggiunto un’esposizione davvero particolare: il Museo fallologico islandese, che come suggerisce il nome è una rassegna dei membri maschili di una quarantina di specie animali in costante espansione, andando dai piccoli roditori alle balene. Il museo, fondato negli anni ’90 da un professore universitario di Reykjavík e portato avanti con passione dal figlio, include anche falli di specie mitologiche del folclore islandese. È stato divertente leggere i fun facts sulle abitudini riproduttive di tutte le specie presenti. Dopo questa singolare mostra, abbiamo pranzato al vicino bistro Hressó a base di merluzzo impanato, zuppa di pomodoro e ottimo pane locale con burro alle erbe e pesto. Abbiamo speso l’equivalente di circa €57 in due, non male per un pasto riempiente. Le ore successive sono state occupate dalla ricerca, senza successo, di maglioni in lana islandese nei negozi dell’usato lungo la via pedonale di Reykjavík: ne abbiamo girati quattro, ma nessuno aveva ciò che cercavamo. Abbiamo concluso il pomeriggio di acquisti da Lucky Records, il principale negozio di dischi nuovi e usati della capitale, dove da bravo collezionista ho trovato pane per i miei denti (e visto l’amore per l’Eurovision Song Contest che accomuna me e gli islandesi, ho trovato delle vere chicche spendendo pochissimo).
L’ultima tappa prima di lasciare Reykjavík è stata l’Árbær Open Air Museum, che abbiamo raggiunto in auto, trovandosi in una zona periferica. Il biglietto viene poco più di €15 a testa, ma il posto è davvero incantevole e ne vale la pena. Si disloca in una trentina di edifici originali ottocenteschi che sono stati portati qui da varie parti dell’Islanda per ricreare un angolo di vita di quei tempi. Particolarmente interessanti la casa che ospita il museo della storia di Reykjavík dall’Ottocento, quando contava a malapena 600 abitanti, ad oggi, le abitazioni borghesi, e l’antica cascina. Abbiamo esplorato questo luogo per oltre un’ora, e verso le 17 ci siamo diretti a un vicino supermercato della catena Bónus per fare provviste: pane, pasta, sughi, qualche verdura, degli spuntini e skyr. Ora ci aspettava la natura incontaminata!
Uscendo da Reykjavík verso est, i limiti di velocità si alzano a 90 e le auto in viaggio diventano poche. C’è solo una natura brulla fatta di rocce, muschi, erba, montagne smussate dagli agenti atmosferici e qualche occasionale cascina. I limiti si abbassano a 50 per alcuni chilometri che attraversano il Parco nazionale di Þingvellir, che visiteremo l’indomani ma di cui già godiamo le bellissime viste mentre il sole inizia ad abbassarsi dietro di noi. Siamo ora nel cuore dell’Islanda sudoccidentale! Prima di concludere la giornata, abbiamo ancora abbastanza energie per due ultime tappe non lontano dal nostro alloggio: la Gullfoss, un’imponente cascata che attraversa un canyon, e l’area geotermale di Strokkur, dove la terra fumante emana costantemente miasmi sulfurei. La star del parco è il geyser che erutta ogni 7 minuti circa alzando nel cielo una colonna d’acqua bollente.
Siamo tornati al nostro alloggio per la prima notte, l’Árbakki Farmhouse Lodge, con la luce del tramonto (che a fine agosto è alle 20:45) che tingeva i campi d’oro. Una conclusione perfetta per un primo giorno in Islanda davvero bello! Ci siamo cucinati la cena e abbiamo chiacchierato con una coppia di pensionati del Minnesota che stanno passando vari mesi in giro per l’Europa, prima di goderci la piscina esterna riscaldata naturalmente dall’incessante attività geotermale di queste terre: un po’ di relax sotto un fantastico cielo stellato prima della nanna.
2º giorno – venerdì 30 agosto
Stamattina ci siamo svegliati con un cielo coperto che ci accompagnerà per tutto il giorno. Nonostante sia una farmhouse, il nostro alloggio ci ha purtroppo riservato una deludente colazione a base degli stessi salumi, formaggi e marmellate che abbiamo trovato da Bónus. La prima tappa è il Parco nazionale di Þingvellir, dove per le 10:30 avevamo prenotato lo snorkeling nella Silfra Fissure, una spaccatura subacquea che demarca il confine fra la placca nordamericana e quella eurasiatica. Queste placche si separano di 2 cm all’anno: in questo modo, l’Islanda è in costante espansione territoriale! Nell’attesa abbiamo pagato il parcheggio (le attrazioni in sé sono gratuite, ma il parcheggio costa 1.000 ISK quasi dappertutto e si può pagare sull’app Parka o presso le apposite colonnine) e fatto una breve camminata su per raggiungere l’Öxarárfoss, una cascata relativamente piccola nascosta in un canyon. L’esperienza dello snorkeling è stata magica: siamo stati bardati con una muta dalla testa ai piedi, ci sono stati dati maschera e boccaglio, e dopo un briefing sulla sicurezza la nostra guida ci ha scortato nelle acque dalla temperature di 2°C di Silfra. Essendo completamente coperti, non abbiamo sentito alcun freddo se non in faccia e nelle mani, dove è normale che ci siano delle piccole infiltrazioni. Una volta messa la testa sott’acqua, la vista è magica e si viene catapultati in un altro mondo. Dopo la nuotata, durata circa un’ora, siamo tornati alla base dove ci sono stati offerti cioccolata calda e una barretta di cioccolato. Il prezzo di €150 a persona è totalmente giustificato, date l’unicità dell’esperienza e la professionalità della nostra guida. Sempre a Þingvellir, antica sede dell’Alþingi, fondato nel 930 come primo Parlamento non solo in Islanda ma al mondo, abbiamo visitato la chiesetta e abbiamo fatto una sosta al Hrafnagjá Observation Deck, dove la vista sarebbe sicuramente stata migliore la sera precedente con un meteo migliore.
La tappa successiva è il lago Kerið, dove il biglietto d’ingresso costa 600 ISK a persona. Si può camminare intorno a questo cratere seguendo la sommità e scendendo fino al bordo del lago, le cui acque, nonostante le dimensioni ridotte, superano i 50 metri di profondità! Dopo una breve spesa al Bónus di strada a Selfoss, abbiamo raggiunto la Seljalandsfoss, una cascata visitabile a 360 gradi: si butta infatti nel “vuoto” da un’altura, ed è possibile vederla anche da dietro! Proseguendo per alcune centinaia di metri, all’interno di una piccola gola accessibile facendo un po’ di acrobazie sulle rocce si trova una seconda cascata, Gljúfrabúi, altrettanto scenica. L’ultima cascata del giorno è la Skógafoss, più imponente della precedente, che si può ammirare sia dalla spiaggetta nera ai suoi piedi, sia salendo sull’altura da cui sgorga.
Abbiamo continuato a seguire la costa meridionale dell’Islanda, caratterizzata da ripidi rilievi con alle pendici una piana larga pochi chilometri che raggiunge dolcemente il mare. Qui sono molte le fattorie, e balle di fieno e pecore sono una vista costante nei campi. Abbiamo guidato fino alla spiaggia di Reynisfjara, una lunga lingua di terra lavica delimitata da due promontori dove si infrangono le alte onde dell’Oceano Atlantico. Al nostro alloggio, la Prestshús 2 Guesthouse, ci ha accolto la simpatica Sigga, che ci ha riservato una bella e spaziosa stanza con vista mare.
3º giorno – sabato 31 agosto
Oggi abbiamo continuato a seguire la costa meridionale diretti verso est. Purtroppo, poco dopo essere arrivati alla prima tappa ha iniziato a piovere… e non avrebbe smesso per neanche un secondo fino al pomeriggio dell’indomani. Gígjagjá, conosciuta anche come Yoda Cave, è una caverna con una spaccatura dalla forma molto peculiare: ricorda infatti la sagoma dell’omonimo personaggio di Guerre stellari. Davanti a noi, un campo di sabbia lavica si perde nella nebbia fino a raggiungere l’oceano.
Proseguendo sotto la pioggia battente, abbiamo fatto una breve fermata per fotografare i campi lavici ricoperti di muschio presso la piattaforma di osservazione Laufskálavarða e abbiamo raggiunto il canyon Fjaðrárgljúfur, una profonda spaccatura del suolo con molti notevoli punti panoramici. Se era così magnifico con il brutto tempo, non oso immaginare se avessimo avuto la fortuna di trovare una bella giornata! L’unico lato positivo di questa nostra sventura meteorologica è che la pioggia produceva cascate temporanee che scendevano dalle alture da ogni dove. Abbiamo continuato in auto verso una cascata perenne, la Svartifoss, incastonata in una cornice di rocce basaltiche davvero notevole. Se non altro, con questo tempaccio c’era poca gente e ci siamo goduti la camminata di 40 minuti verso la cascata senza la folla che sicuramente si riversa in queste attrazioni nelle belle giornate.
La tappa successiva sarebbe stata la Diamond Beach, una spiaggia che per tutto l’anno ospita scenici blocchi di ghiaccio naturali, ma si era calata una nebbia tale che non saremmo riusciti a vedere nulla, quindi abbiamo pensato bene di proseguire fino a raggiungere il nostro alloggio per la notte, la Kálfafellsstadur Guesthouse. È stata la sistemazione più costosa della vacanza (€202,50), anche dato il fatto che si trova nel Parco nazionale del Vatnajökull in una zona molto isolata e con veramente poca scelta per gli alloggi. Se non altro, la guesthouse è inserita in un contesto bucolico, e per molto tempo aveva funto da casa del parroco della chiesetta situata accanto. Abbiamo cenato con quanto avevamo acquistato a prezzi spropositati alla tavola calda al parcheggio della Svartifoss, e ho potuto provare il tenerissimo agnello islandese. Con questo tempo, a cui si è unito anche un fastidioso vento, purtroppo, non si può fare molto se non concedersi una doccia calda e andare a letto insieme alle galline per conservare le energie per l’avventura dell’indomani.
4º giorno – domenica 1º settembre
Sveglia di buon’ora e ottima colazione alla guesthouse: oggi è il giorno della camminata sul Vatnajökull prenotata dall’Italia con Ice Explorers. In verità, con questa pioggia che non cessava un minuto, non eravamo nemmeno sicuri che ci avrebbero lasciato fare l’escursione, e avendo la possibilità di pagare direttamente là per un problema con la carta di credito nel momento della prenotazione dall’Italia, avremmo potuto fare gli gnorri e andare altrove. Tuttavia, integerrimi come siamo, non ci abbiamo nemmeno pensato, e una volta arrivati al punto di ritrovo vicino alla Diamond Beach, tutto era pronto per la gita insieme a una coppia francese, tre statunitensi, e la nostra guida polacca. Un’altra coppia che doveva partecipare ha invece saggiamente deciso di dare buca. Sul monster struck che ci ha fatti avvicinare alla nostra destinazione, la radio ha suonato canzoni come “Here Comes the Sun” e “Mr. Blue Sky”, una vera presa in giro! “Thunderstruck” e “Rain on Me” sarebbero state più adatte. Arrivati ai piedi del ghiacciaio, ci sono stati dati scarponi chiodati ed elmetto, e abbiamo quindi cominciato la nostra camminata. Prima di salire sul ghiaccio, ci siamo fermati presso una pietra che riportava la data 17 giugno 2022. Un inaspettato omaggio al giorno del mio ventiseiesimo compleanno? No, semplicemente il punto in cui si trovava il ghiacciaio due anni prima, a una trentina di metri da dov’è ora. I ghiacci si stanno ritirando velocemente, e per come stanno andando le cose – ci ha spiegato la nostra guida – l’Islanda non avrà più ghiacciai fra 150 anni.
Ci siamo a malapena accorti di essere saliti sul ghiaccio: nella parte iniziale aveva lo stesso colore marrone scuro della roccia! Presto abbiamo però iniziato a vedere lo strato trasparente sotto i nostri piedi, anche perché non potevamo guardare molto in avanti, vista la pioggia che arrivava nella nostra direzione. La nostra guida ci ha fatto notare dei buchi all’interno del ghiaccio, invitandoci a starne alla larga se non volevamo cadere di 60-70 metri andando incontro a morte certa. Questi buchi servono da scolo per l’acqua che s’infiltra, e finiscono in una rete di fiumi sotterranei. Abbiamo fatto un paio di altre soste per vedere una grotta di ghiaccio e per bere dell’acqua purissima da un ruscello, e sono riuscito a fare alcune foto da un punto un po’ più in alto, dove anche con il cielo grigio si notano le sfumature azzurre e blu del ghiaccio. Tutto molto bello, ma è stato impossibile godersi l’esperienza: siamo tornati alla base fradici e infreddoliti, avevamo una piscina nelle scarpe, e l’acqua era entrata persino nelle maniche del mio piumino impermeabile North Face da quanta ne abbiamo presa. Carlo aveva fatto una camminata sul ghiacciaio in Norvegia due anni fa, e in confronto questa gli è parsa molto improvvisata, con attrezzatura minima e zero comfort (ad esempio, bevande calde offerte o anche banalmente la possibilità di asciugarsi alla base), soprattutto a fronte del costo di €115 a persona. È sicuramente un’esperienza da fare, ma non con delle condizioni meteorologiche così sfavorevoli che creano solo disagio ai viaggiatori.
Ancora inzaccherati, abbiamo guidato fino a raggiungere il supermercato più vicino, Nettó a Höfn, dove abbiamo preso qualcosa da mangiare prima di proseguire per la lunga tratta che ci avrebbe portato ai fiordi orientali. Data la situazione in cui si trovavano i nostri vestiti, ci siamo cambiati e abbiamo puntato il navigatore al lavasecco di Egilsstaðir. La strada ha inizialmente seguito la costa, con bellissimi panorami su alte scogliere, e a un certo punto l’asfalto ha ceduto il posto a uno sterrato. Non avevamo idea di dove stessimo andando, visto che nel frattempo ci siamo immersi in una nuvola. Ho semplicemente seguito le due auto davanti a me mentre prima salivamo, e poi scendevamo fra tornanti che sembravano dare sul nulla. Una volta arrivati a valle dall’altra parte, la pioggia è cessata, e in alcuni tratti c’era addirittura il sole… ci sembrava un miraggio! La valle verdeggiante, dove abbiamo visto alcune delle foreste di cui anticamente l’Islanda era in buona parte ricoperta prima dei vari disboscamenti avvenuti nel corso dei secoli per la costruzione di navi e per la legna da combustione, siamo arrivati a destinazione a Egilsstaðir. Siamo riusciti ad asciugare tutto, compreso il piumino, che è tornato come nuovo. Meno male!
Un’altra mezz’ora ci separava dalla meta finale della giornata, il ridente paesino di Seyðisfjörður, situato alla fine di un lungo fiordo. Con i suoi circa 680 abitanti, è stato per noi il centro abitato più grazioso del nostro viaggio. In Islanda non vi dovete aspettare di trovare edifici caratteristici come in Svezia e Norvegia: le case sono tendenzialmente basse e squadrate su tutta l’isola, e hanno un aspetto anonimo e per nulla comfortevole. Dopo una passeggiata nel centro Seyðisfjörður, dove abbiamo fatto foto carine sulla strada dipinta di arcobaleno davanti alla chiesa, abbiamo deciso di trattarci bene e andare a mangiare all’eccellente Nordic Restaurant. Merluzzo fresco con salsa olandese per me e gnocchi ai funghi per Carlo, e per dessert un ottimo pane fatto in casa tostato con crema al cioccolato. Tutto ottimo e in un’atmosfera magica, non arrivando a spendere €50 a testa. Per la notte abbiamo scelto l’Hafaldan Hi Hostel, ospitato in un bell’edificio rosso. Per essere un ostello costato relativamente poco (€124) ci siamo trovati davvero bene. C’era pure la sauna, che dopo vari tentativi falliti da parte degli altri ospiti sono riuscito a far funzionare.
5º giorno – lunedì 2 settembre
Dopo la colazione, abbiamo seguito la strada sterrata lungo il fiordo fino a raggiungere un punto quasi all’estremità, dove in compagnia di alcune simpatiche pecore abbiamo ammirato la bellissima vista. Si può proseguire a piedi fino alla fine del fiordo, ma ci vogliono 4 ore in totale, e la giornata ci riservava altri piani. Siamo quindi partiti verso occidente fino al canyon Stuðlagil, che abbiamo prima visto dall’alto (ingresso ovest), per poi raggiungerlo a piedi camminando fra le rocce basaltiche (ingresso est). Il sito è più grande di quello che sembra, e ci ha tenuti occupati per un paio d’ore, anche dato il fatto che ci vogliono una ventina di minuti per raggiungerlo dal parcheggio.
Più di due ore di auto ci separavano dai bagni termali di Mývatn, che hanno sfruttato l’alta attività geotermale della zona per adibire le due piscine naturali all’aperto, una decisamente calda e una dalla temperatura più mite, a spa. Abbiamo prenotato l’ingresso dall’Italia e il biglietto è costato circa €65 a testa, anche se in verità non c’era una grande affluenza, forse anche per via del fatto che a settembre l’influsso di turisti si riduce notevolmente. Abbiamo passato un paio d’ore a poltrire nelle acque odorose di zolfo, e Carlo ha fatto un commento che vorrei condividere: entrare nell’acqua calda con il freddo fuori è molto meglio di farsi il bagno nell’acqua fredda quando fa caldo! Pensateci: è come tornare a casa in inverno dopo una giornata fredda e mettersi sotto le coperte belle calde, una coccola praticamente. Il bagno estivo nel mare o nella piscina fredda non dà minimamente le stesse sensazioni, e se avevo bisogno di un’ulteriore motivazione per evitare come la peste le vacanze prettamente balneari dove non si fa nulla e si torna a casa ancora più stanchi di prima, l’ho trovata. Dopo due giornate di pioggia e vento, entrare nelle acque calde a Mývatn ci ha rigenerato completamente.
Dopo una doccia presso la spa, siamo tornati indietro di pochi chilometri per visitare un luogo che avevamo notato sulla strada: l’area geotermale di Hverir, uno dei posti più belli dell’intera vacanza! Trattasi di una serie di solfatare alle pendici di un rilievo di terra rossa, che con i loro minerali dipingono il terreno circostante con sfumature di giallo, bianco, verde e azzurro… uno scenario marziano! Il sole nel frattempo ha fatto capolino dalle nuvole, permettendoci di godere appieno dei colori di questo luogo unico.
Ormai a tramonto inoltrato, abbiamo ripreso l’auto costeggiando il lago Mývatn prima da nord, e poi da ovest, facendo una fermata in una piazzola per immortalare il bellissimo scenario naturale. Sceso dalla macchina ho subito incontrato le creature che danno al lago il suo nome: dei fastidiosi moscerini che mi seguivano dappertutto! Ho scattato velocissimamente la mia foto e sono tornato in auto. La destinazione era la Guesthouse Stöng, una fattoria in mezzo al nulla che è anche stata l’alloggio meno costoso della vacanza (€94). Questo prezzo basso è compensato dall’assenza di una cucina in camera o comune e quindi dal fatto che molti ospiti, come abbiamo fatto noi, cenano al ristorante della struttura. Lo consigliamo vivamente: una gustosissima zuppa di pomodoro come antipasto, e come portata principale per me salmerino (allevato nella stessa fattoria) e per Carlo polpette di lenticchie e carote. Tutto eccellente, e a prezzi relativamente contenuti!
6º giorno – martedì 3 settembre
Finalmente una colazione come si deve! Abbiamo pasteggiato abbondantemente con le buonissime marmellate di mirtilli e rabarbaro fatte in casa e il particolarissimo pane nero che si prepara sotterrando l’impasto e lasciando che il calore geotermale faccia il suo effetto. Il risultato è un pane dal sapore dolce, molto umido al suo interno, che è il migliore che io abbia mai mangiato. L’ho anche provato con il pâté di agnello prodotto dalla fattoria, tutto ottimo! Qui erano in vendita anche dei maglioni di lana fatti a mano, tutti a 24.000 ISK (€156), e ho colto l’occasione per acquistarne uno.
Siamo partiti alle 8:30 verso nord per raggiungere il porto di Húsavík. Dall’Italia avevamo prenotato un’escursione in barca per avvistare le balene e i delfini che nuotano nella baia (€79 a testa). Purtroppo, il vento proveniente da nord ha increspato molto la superficie del mare, e in queste condizioni le balene salgono in superficie il meno possibile, giusto per respirare, e non abbiamo visto altro se non un paio di deboli colonne di acqua prodotte dagli sfiatatoi. Peccato, perché l’esperienza è stata veramente bella, e la compagnia, la Gentle Giants, è davvero valida. Dato che non abbiamo avvistato nulla, ci hanno rilasciato un voucher con validità illimitata per tornare a rifare la gita in condizioni, si spera, più favorevoli.
Mentre Carlo è tornato alla macchina per asciugarsi, io ho mi sono diretto all’hotel dove lavora, per questa stagione estiva, il mio amico Eston dall’Estonia, che conosco grazie alla passione comune per l’Eurovision Song Contest. Ed è in questo albergo che è ospitato l’unico museo al mondo sul festival europeo, una vera Mecca per me! Mentre attendevo Carlo, il proprietario dell’hotel mi ha mostrato la struttura e mi ha spiegato alcune curiosità sull’Islanda. L’albergo ospita delle foto autografate dagli astronauti dell’Apollo 11, che prima di andare sulla Luna hanno trascorso mesi nell’entroterra dell’Islanda per prepararsi. Ho avuto piacere a conversare con un islandese, visto che tutte le persone che lavorano nel turismo qui sono stranieri che sono qui per l’alta stagione.
In tutto ciò, il cielo si era aperto completamente, regalandoci un bellissimo pomeriggio soleggiato! Siamo tornati in zona Mývatn per visitare il cratere del vulcano estinto Hverfjall. Abbiamo fatto una bella scarpinata sulla sommità seguendo il perimetro del cratere e godendoci la bellissima vista, sia dell’interno che del lago. Questa è stata una delle mie mete preferite, complice il bel tempo. Abbiamo quindi costeggiato nuovamente il Mývatn (è un’area di notevole bellezza, e avremmo voluto trascorrerci un po’ di tempo in più), fino a raggiungere la cascata Goðafoss, così chiamata per via di una leggenda secondo cui, alla conversione dell’Islanda al Cristianesimo intorno all’anno 1000, il rappresentante dell’Alþingi avrebbe gettato qui le statue delle divinità pagane.
Due ore ci separavano dal nostro alloggio a Sauðárkrókur. Abbiamo innanzitutto preso il tunnel che ci ha portato ad Akureyri, la più grande città fuori dalla regione di Reykjavík (comunque meno di 20.000 abitanti). È l’unica strada a pagamento dell’Islanda (1.000 ISK). Superata la cittadina, abbiamo attraversato delle magnifiche valli verdeggianti, con piccole cascate che scendevano dai rilievi e qualche fattoria qua e là. Uno scenario ben diverso da quello che abbiamo incontrato nel sud, molto più rigoglioso, abbellito ulteriormente dal tramonto dorato e dalla musica di Taylor Swift che abbiamo scelto come sottofondo. Il nostro alloggio, la Langaborg Guesthouse, è un casotto di legno scuro di nuovissima costruzione su un’altura a una manciata di chilometri da Sauðárkrókur, con una magnifica vista sulla foce del fiume e sulla costa. Decisamente l’alloggio più bello dell’intera vacanza: stanza luminosa, cucina completa dove abbiamo pasteggiato con pasta, funghi freschi (gli champignon islandesi sono enormi!) e un buon formaggio locale, e un bel bagno moderno. E soprattutto, la casa era tutta per noi. Speravamo tanto di vedere l’aurora boreale dato il cielo terso, ma ci siamo accontentati di una magnifica stellata.
7º giorno – mercoledì 4 settembre
Ci siamo svegliati con un cielo plumbeo sopra le nostre teste. Abbiamo subito fatto tappa a Sauðárkrókur per una colazione a base di tè e sostanziosi lievitati nella panetteria del paesino, e abbiamo visitato la chiesa dove l’organista stava facendo le prove, creando un’atmosfera magica. In una ventina di minuti abbiamo raggiunto la Grafarkirkja, la chiesa più vecchia d’Islanda, nonché una delle sei chiese con il tetto ricoperto d’erba rimanenti sull’isola. Costruito alla fine del XVII secolo, l’edificio non era visitabile internamente, ma abbiamo comunque potuto vedere qualcosa dei suoi cupi interni lignei dalle piccole finestre.
Abbiamo quindi puntato verso ovest, dove in quasi quattro ore di strada (a tratti sterrata) siamo giunti fino a Hólmavík, un paesino all’ingresso dei fiordi occidentali famoso per i tour di avvistamento delle balene e per il Museo della stregoneria. Non avendo tempo per un altro tour in cui forse avremmo avvistato i grandi cetacei, ci siamo accontentati di una visita al piccolo museo che ripercorre la storia dei riti mistici che venivano compiuti in queste zone nei secoli passati, e dei processi che la Chiesa ha avviato contro di essi, portando all’uccisione di 18 persone. Sono spiegate formule magiche di ogni tipo che includono capelli di vergini, corvi squartati e il compimento di atti empi durante le funzioni religiose per sperare di gettare il malocchio su qualche malcapitato. Abbiamo pranzato al ristorante del museo a base di zuppa di zucca, e abbiamo acquistato alcuni souvenir fatti a mano in un piccolo chiosco gestito da un’anziana signora lì davanti.
Altre tre ore di guida ci hanno separato dalla nostra ultima tappa per la giornata, Ísafjörður, che con i suoi 2.700 abitanti vanta di essere il più grande centro della regione dei fiordi occidentali. Le nuvole hanno lasciato il posto ad un bellissimo cielo mentre arrivavamo a destinazione, e ci siamo goduti la vista sostando fra un fiordo e l’altro. Arrivati a Ísafjörður abbiamo fatto il pieno di AdBlue, un additivo per il diesel, e abbiamo sistemato la pressione degli pneumatici, che nei giorni successivi non dovevano essere troppo gonfi data la prevalenza di strade sterrate. Abbiamo anche approfittato degli autolavaggi gratuiti, presenti presso ogni distributore, per pulire un po’ il nostro Duster che era lurido di fango da ormai tre giorni. Qui abbiamo conosciuto una signora tedesca che si è trasferita in Islanda per amore trent’anni fa, e che ha deciso di rimanerci, lavorando come autista di autobus turistici. Adora questo posto, e non tornerebbe mai indietro!
Questa sera cena memorabile al Tjöruhúsið, ristorante ospitato in un’antica casa di pescatori con un’unica caratteristica sala composta da varie tavolate dove i commensali, per un prezzo fisso di 9.000 ISK, si recano al bancone e scelgono il pesce cucinato in una decina di modi diversi. Halibut, baccalà, salmone… tutto eccellente e con accostamenti davvero originali! Carlo, che è vegetariano, si è sacrificato e si è accontentato di attingere dall’abbondante buffet di contorni pagando la metà. La nostra sistemazione per la notte, trovata su Airbnb, è un piccolo e luminoso appartamento sulla centrale Pólgata dotato di cucina e di un comodo lettone.
8º giorno – giovedì 5 settembre
Oggi il buongiorno non ce lo dà l’anatra dell’iPhone come al solito, ma le folate di vento che raggiungono i 76 km/h. Affacciandoci alla finestra, vediamo che le onde della baia inondano la strada, e i pali a fatica rimangono ancorati all’asfalto. A rallegrare il tutto c’è anche il sole accompagnato da un bellissimo doppio arcobaleno, e qui non resisto alla tentazione di scendere in strada sfidando l’impeto della natura per fare delle foto.
Dopo una sosta in un negozio dell’usato dove Carlo sperava, invano, di trovare un maglione islandese (ma dove io ho trovato degli altri CD di seconda mano a 100 ISK ciascuno, praticamente gli album più economici della mia vita), è iniziata la giornata volta all’esplorazione dei fiordi occidentali, la zona più selvaggia dell’Islanda, spesso esclusa dagli itinerari turistici. Usciti dall’angusto tunnel che taglia in due la montagna davanti a Ísafjörður, ci siamo ritrovati con una situazione atmosferica del tutto diversa: il sole e l’arcobaleno hanno lasciato posto alle nubi, alla nebbia e alla pioggia. Pessime notizie, visto che è stato impossibile fare la camminata sulla spiaggia di Önundarfjörður che avevamo programmato. Abbiamo quindi tirato dritto per il Museo Jón Sigurðsson, dedicato al leader dell’indipendenza islandese che nell’Ottocento si è adoperato per separare una volta per tutte l’Islanda dal Regno di Danimarca. Purtroppo, non vedrà il suo sogno realizzarsi: l’Islanda diventerà ufficialmente una repubblica indipendente solo nel 1944, 65 anni dopo la sua morte. Il museo, sito nel suo luogo di nascita, ripercorre la vita dell’uomo e la storia dell’Islanda, con una sezione dedicata all’archeologia vichinga. I fiordi occidentali un tempo erano il fulcro dell’economia islandese, e 200 anni fa contavano 10.000 abitanti, un quarto della popolazione nazionale. Con i commerci internazionali, quest’area remota ha perso la sua importanza ed è iniziato un processo di migrazione interna ed esterna. Oggi rimangono solo 8.000 persone, meno del 2% di tutti gli abitanti dell’isola.
Sempre sotto un cielo grigio, abbiamo seguito il fiordo fino ai piedi della cascata Dynjandi. Districandoci nel sentiero scivoloso, siamo arrivati fino alla roccia appena sotto all’imponente cascata scrosciante. Una forza della natura davvero notevole! Proseguendo verso sud, la nebbia ha iniziato a diradarsi, concedendoci un po’ di sole e un susseguirsi di arcobaleni. Dopo una breve sosta alla cascata Fossfjörður, abbiamo tagliato per Patreksfjörður fino a prendere la strada sterrata che, costeggiando la penisola più occidentale dell’Islanda, ci ha condotto al nostro alloggio: gli Hænuvík Cottages, quattro casette in un prato erboso sull’oceano. Siamo stati accolti dalla proprietaria che, nel suo piccolo negozio, è intenta tutto il giorno a creare maglioni, calze e cappelli di lana, mantenendo rigorosamente i colori naturali delle pecore ed evitando di alterare la materia prima con tinture.
Gli Hænuvík Cottages sono praticamente l’unico posto in Islanda dove non prendono i dati del cellulare. Abbiamo trovato il 4G letteralmente dappertutto, persino nei posti più isolati e improbabili, ma qui non c’è nemmeno il wi-fi! Pazienza… il bellissimo contesto e il cottage accogliente ci hanno comunque permesso di trascorrere una serata piacevolissima. Prima del tramonto, abbiamo percorso la strada sterrata che taglia prima internamente la penisola e poi segue la costa, fino a raggiungere Látrabjarg: trattasi del punto più occidentale dell’Europa. Nelle altissime scogliere durante i mesi estivi nidificano le pulcinella di mare, che quest’anno hanno lasciato l’Islanda in anticipo data l’estate particolarmente rigida (si dice sia stata la peggiore in oltre 70 anni a livello meteorologico… che sfortuna!). Abbiamo percorso qualche centinaio di metri lungo le scogliere, godendo di un emozionante e romantico tramonto che ci ha lasciati senza fiato. Eravamo gli unici visitatori alle scogliere: il tramonto era tutto per noi. Sulla via del ritorno, abbiamo fatto una breve sosta alla vicina spiaggia di Ásgarður. La notte era già calata al nostro arrivo al cottage, e ci siamo fatti cullare dal suono del forte vento fuori nel mondo dei sogni.
9º giorno – venerdì 6 settembre
Un sole che faceva capolino fra le nuvole che viaggiavano veloci nel cielo ci ha dato il buongiorno. Vedendo che le previsioni davano nuvoloso nel pomeriggio, abbiamo deciso di affrettarci per la nostra giornata di… mare! Prima tappa, a soli 5 minuti di auto, è stata la spiaggia di Tungurif, una lingua di sabbia bianca lunga circa un chilometro con un mare che assumeva colori tropicali nei momenti in cui spuntava il sole.
Il vero highlight della giornata (e, per quanto mi riguarda, di tutta la vacanza) è stato però la spiaggia di Rauðisandur, per raggiungere la quale abbiamo tagliato la penisola da nord a sud percorrendo stretti tornanti panoramici. Al nostro arrivo al campeggio di Melanes, c’era solo un’altra coppia che ha raggiunto la spiaggia insieme a noi e poi si è incamminata in direzione opposta. Il nome significa “sabbie rosse”: è questo che rende Rauðisandur unica in Islanda. Dopo un paio di chilometri, siamo arrivati al limite della parte est della spiaggia, tagliata in due da un corso d’acqua che sfocia dalla laguna. È qui che Carlo ha notato una testa sbucare dall’acqua, senza capire di cosa si trattasse. Avrà visto male con tutte le diottrie che gli mancano, ho pensato. E invece, pochi secondi dopo la noto anch’io: è una foca! Il simpatico cetaceo ci ha come invitati a seguirlo verso la parte interna della spiaggia, e lì abbiamo realizzato che era insieme a una colonia… non è passato molto finché non avevamo una quindicina di foche incuriosite che nuotavano nell’acqua bassa ed emergevano ogni pochi secondi per fissarci. Parte del gruppo era spiaggiato, e siamo riusciti ad avvicinarci abbastanza da poter vedere che alcune stavano proprio spanciate a godersi la vita da spiaggia. Dopo le pulcinella che se n’erano già andate e le balene che non si sono presentante, la natura ha deciso di sorprenderci mostrandoci una colonia di foche allo stato brado. Siamo tornati indietro dopo più di un’ora felicissimi per l’esperienza.
Più di tre ore di guida seguendo la costa attraverso paesaggi mozzafiato ci attendevano fino all’arrivo alla nostra meta, la Gil Guesthouse, situata più a est in mezzo al nulla. Pochi chilometri prima del nostro arrivo abbiamo notato un negozio di articoli fatti a mano, Handverksfélagið Assa, dove Carlo è finalmente riuscito a comprare il suo maglione di lana islandese! Al nostro arrivo all’hotel si è alzato un vento forte come quello del mattino precedente che ci ha costretti a rinunciare a un eventuale giretto serale.
La Gil Guesthouse è gestita da una coppia ai confini della realtà. Abbiamo deciso di cenare nel ristorante della struttura, anche data l’assenza di altre opzioni nel raggio di più di mezz’ora di distanza, dove il menù proponeva una serie di specialità di origine surgelata (no grazie), oppure le pizze cotte nel forno a legna fatte in casa dalla componente maschile della coppia. Vada per la pizza al salamino piccante per me e alle verdure per Carlo, mi piace provare le interpretazioni della cucina italiana all’estero dopotutto! Come arriva la moglie a servirci le pizze, una la fa cadere a terra rompendo il piatto, mentre l’altra scivola sul tavolo, colpendo il mio bicchiere pieno di birra locale e rovesciandomela sui pantaloni, per fortuna impermeabili. Oiboboi! La mia pizza viene rifatta e una nuova birra mi viene consegnata, e posso finalmente cenare, ridendo e scherzando con la maldestra sciura. In verità, la mia pizza era molto buona: del resto, come diceva mio nonno, “quan ta ghet fam, töt ghè bù!”. A Carlo non è andata altrettanto bene, visto che la sua pizza aveva come ingrediente aggiuntivo due capelli inglobati nell’impasto. A me piace prendere le cose con filosofia, quindi senza rancore ci ho riso su e ho pagato, come indicato dai proprietari, solo il prezzo di una pizza dato l’incidente. E meno male, oserei dire: nonostante non fosse dotata di cucina, la stanza (che di sé necessita di lavori per il rinnovo) è venuta €162 e non è inclusa la colazione. Del tutto fuori mercato confrontata con i prezzi degli altri posti in cui siamo stati.
10º giorno – sabato 7 settembre
Ci attende una lunga giornata, rallegrata però dalle previsioni del tempo che non danno una singola nuvola in cielo nell’angolo d’Islanda che avremmo visitato. Abbiamo salutato la Gil Guesthouse e dato una lavata alla macchina nella prima stazione di rifornimento trovata, quindi ci siamo diretti verso sud alla volta della penisola di Snæfellsnes.
Prima tappa il paese di Grundarfjörður, dove abbiamo fatto una breve sosta supermercato per comprare qualcosa per il pranzo e per rifornirmi di pane nero islandese, che avrei portato a casa conscio del fatto che in Italia non l’avrei ritrovato da nessuna parte. Appena fuori dal centro abitato si trova il monte Kirkjufell, conosciuto per la sua forma perfettamente triangolare. Raggiunge l’apice della sua fotogenicità dalla cascata antistante, per sostare alla quale bisogna pagare il solito millino di corone.
Superata Ólafsvík (famosa per l’avvistamento delle balene e delle orche, e dove sicuramente avremmo avuto più fortuna, ma il tempo è tiranno), ci siamo addentrati nelle strade sterrate che attraversano la punta occidentale di Snæfellness. Prima tappa la spiaggia di Skarðsvík, dove la sabbia chiara crea un interessante contrasto con le rocce nere dei promontori che la circondano. Siamo quindi arrivati al faro di Svörtuloft, un parallelepipedo giallo zucca che domina su delle alte falesie. È stato poi il turno del cratere di Saxhóll, un vulcano estinto molto più piccolo di Hverfjall, dalla cui sommità si gode di una fantastica vista sull’area circostante, un paesaggio unico dove il verde dei prati e dei muschi e il grigio delle rocce si alternano.
Sempre con un cielo terso sulle nostre teste, abbiamo guidato fino alla spiaggia lavica di Djúpalónssandur, dove la temperatura di ormai 16°C invitava a togliere le giacche (e, per come tollero bene il freddo io, anche tutto il resto…). Sarebbe stata una perfetta giornata tintarella in un posto improbabile! Dirigendoci verso est, siamo arrivati alla gola di Rauðfeldsgjá, particolarissima in quanto per centinaia di metri ci si può addentrare attraverso uno stretto passaggio fra le rocce seguendo il corso di un torrente. Noi abbiamo fatto solo una ventina di metri, ma abbiamo visto degli altri visitatori andare oltre e sparire nei meandri della gola. L’ultima breve tappa prima della lunga guida verso sud è la Búðakirkja, una chiesetta nera con porta e finestre bianche situata in una posizione molto scenica. Se avessimo avuto un’oretta in più, avremmo fatto anche una camminata verso la spiaggia.
Da qui sono iniziate le due ore e mezza di guida per tornare alla penisola di Reykjanes, da dove il nostro viaggio è partito. Arrivare dal nulla cosmico e ritrovarsi a dover attraversare Reykjavík è stato shockante! Non dico che abbiamo incontrato traffico, però ci eravamo disabituati dal vedere tutte quelle auto e tutti quegli edifici. La capitale è solo di passaggio questa volta: siamo infatti diretti verso l’area geotermale di Seltún. Nulla che fosse degno di nota dopo essere stati a Hverir.
Siamo giunti, ormai alle 20, a Garður, sul capo nordoccidentale di Reykjanes, dove abbiamo romanticamente guardato il tramonto dal vecchio faro. Ci siamo trattati bene per la nostra ultima sera in Islanda e abbiamo cenato al Röstin, dove abbiamo preso due zuppe e due piatti principali, e ci siamo quindi diretti al nostro ultimo hotel, The Lighthouse Inn, appena dietro. Una struttura molto bella con stanze spaziose, che ci sentiamo di consigliare per tutto tranne che per la colazione, dove sono proposti prodotti dozzinali e di pessima qualità! Terminata quest’ultima intensa giornata, non abbiamo tardato a coricarci.
11º giorno – domenica 8 settembre
Sveglia alle 7, colazione in compagnia dei gabbiani che si appollaiavano davanti alla finestra, e per le 8:30 eravamo pronti ad andare a riconsegnare l’auto e a farci portare in aeroporto con la navetta offerta dalla compagnia di noleggio. Abbiamo attraversato l’ordinato e pulito aeroporto di Reykjavík fino ad arrivare al nostro gate. Il nostro volo di ritorno è partito in tempo alle 10:15 e, al nostro atterraggio a Malpensa alle 16:30, siamo stati accolti da una pioggia torrenziale che, a detta del papà di Carlo che ci è venuto a prendere, era stata quasi incessante dalla nostra partenza. Che dire, siamo scappati in Islanda pensando di evitare la torrida estate italiana, e alla fine abbiamo trovato un meteo più favorevole che da noi!
Consigli per un viaggio in Islanda
- L’Islanda è oggettivamente cara. Il viaggio è venuto a costare €6000 in due, ossia una media di € 300 al giorno a testa, senza andare troppo al risparmio, ma senza nemmeno scegliere sistemazioni o ristoranti di lusso. Sono convinto che un viaggio vada anche goduto: abbiamo scelto hotel e guesthouse di categoria media, ci siamo concessi varie cene fuori, e non abbiamo rinunciato a gite a pagamento. Il gasolio ha prezzi paragonabili a quelli italiani.
- Parlando di cucina, in Islanda non si mangia poi così male! I supermercati sono ben forniti. Hanno salumi e formaggi locali più che decenti, i frutti di bosco sono ottimi, e i loro champignon sono enormi e gustosi. Vendono anche paste italiane di qualità, non solo la classica Barilla collosa che si trova all’estero. Se siete vegetariani o vegani incontrerete pochi problemi, visto che tutti i ristoranti offrono una scelta per chi abbraccia questo tipo di dieta. Il pesce è naturalmente ottimo: abbonda iil merluzzo nei menù, mentre il salmone viene principalmente esportato, tanto che è più facile trovare il salmone islandese nei nostri supermercati che da loro. Per gli amanti della carne, l’agnello islandese è una prelibatezza.
- Anche se le attrazioni naturali in sé non sono a pagamento, il parcheggio non è quasi mai gratuito. Bisogna pagare 1.000 ISK per la sosta giornaliera laddove siano presenti le colonnine, che accettano la carta di credito. I parcheggi sono controllati all’ingresso da telecamere che si assicurano che non ci siano scrocconi.
- Il limite di velocità più comune è di 90 km/h. È facile trovarsi in strade dritte e completamente vuote dove viene la tentazione di spingere l’acceleratore ben oltre il limite. Abbiamo notato poche auto della polizia (nella zona della capitale guidano le Tesla bianche), ma se siete poco fortunati e venite beccati a sgarrare, vi fermeranno e vi daranno una multa che si aggira intorno alle 20.000 ISK. Gli autovelox sono pochissimi e sempre segnalati.
- La qualità delle strade è tendenzialmente ottima. Sono larghe, asfaltate e raramente si presentano dissestate. Fuori dal sud si trovano spesso e volentieri tratti di sterrato, ma anche in questo caso abbastanza larghi da far passare abbondantemente due SUV, sia lungo la costa che attraversando un passo di montagna. L’auto si sporcherà inevitabilmente su queste strade, specie quando piove: ogni stazione di rifornimento offre gratuitamente degli strumenti per lavare l’auto, e in molte c’è anche la possibilità di regolare la pressione delle gomme. Si consiglia comunque di noleggiare un fuoristrada bello corazzato.
- Se non avete la patente o non amate guidare, godersi appieno l’Islanda vi sarà impossibile. I mezzi pubblici, per ovvi motivi, scarseggiano fuori dalla capitale, e non penso che un tour di gruppo organizzato sia l’ideale per visitare un posto così selvaggio, dove l’autonomia negli spostamenti è più importante che mai per esplorare ogni angolo possibile dell’isola, finendo per trovarsi in completa solitudine e senza altri viaggiatori intorno. È anche un gran peccato limitarsi al classico “Golden Circle”: per me, la parte più emozionante del viaggio sono stati i fiordi occidentali, dove la quantità di visitatori era una frazione di quelli trovati nel resto della nazione. L’Islanda dà un senso di libertà e di immensità unico, ti fa capire la forza della natura come nessun altro posto.
- In Islanda non avrete bisogno dei contanti. Tutti i pagamenti sono elettronici, e le carte funzionano anche nelle aree più remote dell’isola.
- La connessione dati del cellulare funziona praticamente dappertutto, la copertura è quasi totale. Se avete una SIM italiana, potrete usufruire del roaming gratuito.