Fuga d’autunno nelle Langhe

Un viaggio tra i vini e i meravigliosi colori autunnali delle Langhe, sconfinando fino al castello della Manta, a Cuneo e al Santuario di Vicoforte
Scritto da: alvinktm
fuga d'autunno nelle langhe
Partenza il: 08/10/2017
Ritorno il: 11/10/2017
Viaggiatori: 3
Spesa: 500 €
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La prima volta che fuori dal finestrino dell’auto vediamo scorrere i filari di viti sopra colline dai fianchi verticali, sulla cui cima dormicchiano piccoli villaggi di mattoni e tetti rossi sorvegliati da una torre e qualche campanile, rimaniamo a bocca aperta. E’ una sensazione di stupore dovuta alla meraviglia del panorama e all’ammirazione per quei contadini che hanno saputo plasmare questo territorio, addolcendolo e piegandolo alle necessità dell’uomo. Averlo visto tante volte in fotografia non sminuisce l’emozione provata dal cuore, né l’abbaglio per gli occhi nell’istante perfetto in cui ce lo troviamo davanti.

Il paese medievale di Neive, annoverato nella lista dei Borghi più belli d’Italia, è il nostro primo incontro con la regione delle Langhe. Le strade strette si arrampicano fino al punto più alto del poggio dove trovano posto la Torre dell’orologio del 1224 e la Casaforte dei Conti Cotti di Ceres nella quale il Vicario Francesco Cotti scrisse il più antico testo piemontese sulla coltivazione della vite e la produzione del vino. La chiesa parrocchiale sorge un pochino più in basso, così come il Palazzo comunale e gli altri edifici d’interesse storico. Molto intima la Cappella di San Rocco, appena fuori le mura del centro storico. Si tratta di un tipico esempio di chiesetta rurale e porta il nome del Santo che veniva invocato contro le terribili epidemie di peste. Il dipinto sopra l’altare lo ritrae assieme a un cane che, secondo la leggenda, pare gli portò del cibo sottratto dalla cucina del proprio padrone quando San Rocco fu colpito dalla malattia e si isolò in una grotta per evitare di contagiare altre persone.

Palazzi e chiesette a parte, Neive è famoso per i ristoranti gourmet, le degustazioni e le cantine. Quella del Glicine trova spazio in una casa dai muri grigi vicino a piazzetta Vittorio Veneto. L’esterno non è appariscente, ma sotto di esso e il giardino si nasconde un passato risalente al 1582, si respira la frescura delle volte in mattoni e i pavimenti in pietra, si ammirano le botti ben conservate. Oltre alla visita gratuita è prevista la degustazione dalla quale è impossibile fuggire senza aver acquistato una delle loro bottiglie, tuttavia a causa del troppo caos ci abbiamo rinunciato. Forse sarebbe stato meglio prenotare, perciò vi lascio il link dove reperire tutte le informazioni utili: http://www.cantinadelglicine.com.

Prima di proseguire col racconto del viaggio vorrei aprire un inciso sugli splendidi paesaggi vitivinicoli del Piemonte che tutto il mondo c’invidia. La valanga di turisti stranieri volati fin qui nei mesi autunnali per assaporare le eccellenze culinarie e godere di tramonti indimenticabili seduti a una terrazza vista collina sorseggiando un ottimo bicchiere di vino, sono la testimonianza dell’amore all’estero verso l’Italia.

L’area Langhe-Roero-Monferrato è formata da cinque zone distinte e un castello. Si tratta della Langa del Barolo e del Castello di Grinzane Cavour a sud della città di Alba, del Monferrato degli Infernot a nord di Alessandria, del Canelli-Asti Spumante insieme a Nizza Monferrato-Barbera verso Asti, e infine le colline del Barbaresco da dove è iniziata la nostra vacanza.

A loro volta le Langhe si suddividono in tre regioni. La Bassa Langa è un territorio vicino ad Alba con altezze inferiori a 600 metri e molto noto anche per il prestigioso tartufo al quale ogni anno è dedicata la Fiera Internazionale del tartufo bianco d’Alba. C’è poi l’Alta Langa sistemata sul confine con la Liguria, dove i colli raggiungono gli 896 metri di Mombarcaro e sono ricoperti di boschi e soprattutto di piante della famosa nocciola tonda gentile. Chiude la suddivisione la Langa Astigiana.

Le Langhe sono principalmente famose per il vino prodotto dall’uva Nebbiolo. Tale vitigno presenta la caratteristica di possedere radici molto lunghe, 7 metri circa, in grado di carpire in profondità ogni singola proprietà del terreno, compresi gli zuccheri e i sali minerali. Dai grappoli del Nebbiolo scaturiscono cinque vini: il Barolo, il Barbaresco, il Roero, il Nebbiolo d’Alba e le Langhe Nebbiolo. Fra tutti il Barolo è di certo il più famoso ed è il prodotto dei vitigni coltivati esclusivamente in 11 comuni, ha un periodo d’invecchiamento di almeno 38 mesi dei quali 18 in botti di legno. Il Barbaresco è il secondo vino per celebrità, le sue viti sono coltivate in soli 4 comuni e necessita di un invecchiamento di 26 mesi di cui 9 in botti di legno.

Ovviamente il gusto dei diversi vini varia a seconda delle peculiarità del terreno, sabbioso o argilloso, del tipo di stagione e dalla lavorazione.

Poco distante da Neive, sopra una lunga e piatta collina dalla base lambita dal fiume Tanaro, sorge il piccolo centro abitato di Barbaresco.

Pure qui non potevano mancare vinerie, ristoranti ed enoteche, tutti affacciati sull’unica strada principale: via Torino. Il suo termine è segnato dalla chiesa dedicata a San Giovanni Battista e dalla massiccia torre di origine medievale alta circa 30 metri. Nasce dalla sommità di una roccia arenaria, si compone di mattoni e l’unico inusuale vano d’accesso, ora accessibile con un ascensore, è posto a diversi metri di altezza. E’ aperta tutti i giorni e il biglietto d’ingresso costa 5 euro. Noi non siamo saliti perché già dal basso e dalle strade che conducono al paese si gode di una vista splendida. Casali solitari o piccoli gruppi di case interrompono gli ordinati filari di viti simili ai denti di un pettine, perfettamente paralleli tra loro, e racchiusi in perimetri dalle geometrie precise che vanno a formare un patchwork di sfumature verdi mischiate al giallo e al rosso di certi pampini. I tronchi marroni dei vitigni bucano la terra bianca arsa dal sole notandosi appena, così come i paletti di sostegno infilzati a distanze regolari per tirare i fili di ferro su cui si attorcigliano i rami della preziosa uva.

Per cena scegliamo L’Osteria la Fermata (sito internet: http://www.osterialafermata.com/) nella periferia di Alba, ricavata nella vecchia stazione ferroviaria, quindi prossima ai binari e facilissima da raggiungere. Ravioli, gnocchi e tagliata spolverati di tartufo, e torta con crema calda allo zabaione hanno deliziato il nostro palato. Le porzioni avrebbero potuto essere un po’ più generose, comunque non ci si può lamentare del buon rapporto qualità-prezzo.

Al termine di questo primo tuffo nelle Langhe raggiungiamo l’Affittacamere Mammanella (sito internet: , nostro punto di riferimento per tre notti. Ubicato in un cascinale dei primi anni dell’800 completamente ristrutturato, si trova a soli cinque minuti d’auto dal centro di Alba ed è immerso nei noccioleti. L’ampio cortile ghiaioso, con comodo parcheggio, e l’adiacente giardino pianeggiante con i giochi per i bambini, dove poter lasciar scorrazzare il piccolo Leonardo di diciotto mesi, si sono rivelati una piacevolissima sorpresa. La camera pulita e ben organizzata dotata di balcone, assieme all’estrema cortesia della proprietaria Nella attenta a ogni nostra esigenza, ha soddisfatto appieno le aspettative. La ciliegina sulla torta del soggiorno è però la colazione. Formaggi e salumi di qualità accompagnati da una buonissima torta di nocciole e frittelle di mele, yougurt, dolcetti vari, pane e marmellate: il tutto da leccarsi i baffi.

Il Castello di Grinzane Cavour (www.castellogrinzane.com/it/homepage) inaugura la seconda giornata nelle Langhe. Iniziamo a vederlo da lontano, appollaiato su una collina dai fianchi dolci foderati di vigneti e circondato da un territorio ondulato simile alle onde di un mare calmo che ospita anch’esso la coltivazione dell’uva, eccezion fatta per alcuni rari ritagli di boschi.

Il maniero ci abbaglia con la sua imponenza esaltata da uno sfondo da cartolina, ed è impossibile non rimanerne affascinati. Si sviluppa intorno a uno stretto cortile interno su cui svetta il mastio, la slanciata torre centrale merlata e coperta risalente all’XI secolo, a cui si sono aggiunti via via gli altri corpi di fabbrica comprese le torrette pensili cilindriche, le decorazioni ad archetti e le apertura ad arco a tutto sesto. La bellezza delle facciate in mattoni rossastri che possiamo ammirare oggi è il frutto dei restauri avvenuti nel 1960.

La storia del castello è legata alla figura del Conte Camillo Benso di Cavour che qui abitò tra il 1832 e il 1849. Questi fu un noto politico italiano protagonista del Risorgimento, un imprenditore e un innovatore. Attento ai progressi della chimica, della meccanica e nel campo dell’agraria, introdusse dei considerevoli rinnovamenti nella viticoltura al fine di aumentare la produttività. Fatto ancor più importante, in collaborazione con la Marchesa Giulia Colbert in Falletti di Barolo e all’enologo francese Louis Oudart contribuì a trasformare il vino prodotto in queste terre nel prestigioso Barolo.

All’ingresso non passa certo inosservata l’Enoteca Regionale Piemontese Cavour istituita nel 1967 e dove trovano posto i più importanti vini della regione assieme alle grappe e ad altri prodotti tipici.

Nelle sale del maniero si sviluppa invece il Museo Etnografico disseminato di rari oggetti e con la riproduzione di antiche cucine, attrezzi del contadino, la distilleria del 1700, la bottega del bottaio. Si comincia al pian terreno con la Sala del Territorio dove fa bella mostra di sé il Torchio di Monasterolo del 1704, simile nel funzionamento a quelli visti nell’Eremo di Santa Caterina del Sasso e nella Rocca di Angera descritti nel mio diario di viaggio ‘Le perle del Lago Maggiore’: http://turistipercaso.it/lago-maggiore/77729/le-perle-del-lago-maggiore.html. Sono inoltre presenti pannelli e video che guidano alla scoperta del territorio. Dopo scale e corridoi si apre la Sala delle Maschere e subito si è colpiti dal soffitto in legno decorato con stemmi, ritratti di personaggi illustri e figure allegoriche. Qui Camillo Benso di Cavour presiedeva le sedute consiliari durante il proprio mandato di sindaco di Grinzane e se si osservano le pesanti sedie disposte attorno al tavolo non può sfuggire il simbolo intagliato ‘dell’Ordine dei Cavalieri del tartufo e dei vini di Alba’, una sorta di confraternita enogastronomica con lo scopo di diffondere nel mondo i sapori delle Langhe.

Proseguendo ci s’imbatte nelle spiegazioni esibite nella Sala del Tartufo, dedicata alle ‘pepite di Langa’. I tartufi sono funghi ipogei il cui frutto ha la forma di un tubero, assumono colorazioni diverse a secondo della pianta con cui si sviluppano, variano il colore dal bianco al grigio e al marrone, e si raccolgono da fine agosto a gennaio. Questo prodotto era già apprezzato dai Romani e secondo il poeta Giovenale era il frutto di un fulmine scagliato da Giove vicino a una quercia. Nella fortezza di Grinzane si tiene l’importante evento dell’Asta Mondiale del Tartufo bianco d’Alba.

Infine non potevano mancare la Sala di Cavour e la Sala del Vino, la rossa bevanda già conosciuta in epoca romana e grazie alla quale fin dagli inizi del Novecento fece conoscere al mondo il Piemonte.

Se vi viene fame, prima di lasciare il maniero è possibile pranzare nel ristorante interno, magari nell’intima saletta con vista mozzafiato sui colori autunnali delle viti.

Noi non ne approfittiamo avendo ancora la pancia piena dell’abbondante e gustosa colazione, perciò saliamo lungo la strada tortuosa di La Morra, ansiosi di ammirare l’incredibile panorama di cui ci hanno tanto parlato.

In effetti quando ci affacciamo dal belvedere la vista spazia quasi all’infinito sui più bassi rilievi circostanti e, trovandosi in posizione dominante, vi lascio immaginare l’oceano di vigneti percorsi da una miriade di stradine dalla terra gialla e grinzosa che si può ammirare. Al paese dedichiamo una visita frettolosa in quanto non vi è una particolare attrattiva: è il paesaggio a essere il vero protagonista. Meritano comunque uno sguardo, in Piazza Municipio, la parrocchiale di San Martino dall’imponente facciata barocca e la bella navata dalla volta affrescata, e l’antistante chiesa di San Rocco detta dei Blu, così chiamata perché La Morra non era stata toccata dalla peste.

A differenza dei borghi visitati fino ad ora, accovacciati in cima a poggi e quindi ben visibili, Barolo compare incassato su uno stretto sperone in fondo alla vallata e protetto dai fianchi coltivati delle colline circostanti.

Percorrendo i suoi vicoli viene spontaneo alzare lo sguardo verso l’alto perché gli occhi, ormai abituati ad ampi spazi, arrancano sui muri delle case con il bisogno di guardare lontano, sentendosi straniti dalla strana ubicazione. Nonostante ciò il paese è davvero delizioso, pieno di ristorantini e negozietti, e ha dato il nome al vino Barolo. Non manca neppure un grande castello, quello dei Falletti, letteralmente immerso nel borgo, dalla storia indissolubilmente legata all’alcolica e rossa bevanda in quanto la Marchesa Giulia Colbert in Falletti produsse per la prima volta qui il Barolo.

Il maniero è stato edificato nel X secolo ma dell’epoca medievale rimane solo il mastio. Ciò che oggi esibisce è una massiccia struttura mischiata a più recenti architetture dovute a rifacimenti e restauri. L’esterno è davvero fascinoso con il bell’arco d’ingresso al viale, le mura merlate, le torrette, le alte finestre e i decori. Dell’interno invece non so dirvi perché abbiamo scelto di non visitarlo, tuttavia segnalo la presenza del Museo Enologico e, nelle cantine, dell’Enoteca Regionale del Barolo.

Rinunciamo alla visita del castello di Barolo per dedicare del tempo alla Fortezza di Serralunga d’Alba. Intorno all’imponente fortilizio si è sviluppato il paese che deve l’originale nome alla propria conformazione: serrato e allungato, da nord a sud, sulla sommità di un cumulo di aspre pietre. Le abitazioni si dispongono a cerchio lambendo il maniero come a volerlo difendere. In verità sono i grossi torrioni in mattoni a vista ad aver assolto nei secoli questo compito, costruiti in posizione dominante e ben incastonati sulle rocce come il diamante solitario su un anello.

Nell’anno mille esisteva solo una torre ed è a metà del 1300 che nacque una vera fortezza, eretta in soli diciassette anni tra il 1340 e il 1357 dalla famiglia Falletti divenuta la proprietaria del feudo di Serralunga.

La sua forma è rimasta pressoché invariata nel tempo, le vicende storiche non particolarmente cruenti in cui è rimasta coinvolta non l’hanno infatti danneggiata. Ai nostri occhi sfoggia una forma molto compatta slanciata da due torri, una a pianta quadrata e l’altra cilindrica, e vi è inoltre una terza torretta pensile. Nelle mura si aprono qualche monofore (finestra sormontata da un arco solitamente alta e stretta) e bifore, ma solo ai livelli più alti, e le uniche decorazioni esterne presenti sono degli archetti in cotto.

Fungeva da luogo di rappresentanza, saltuaria residenza, e soprattutto aveva scopi di difesa. Un tempo c’era pure un fossato a ostacolare l’unico ingresso, posto ad alcuni metri dal livello del terreno. Un ponte levatoio alzato in caso di pericolo e sotto cui si apriva il vuoto, massicci portoni e feritoie attraverso cui colpire l’assalitore restando al coperto testimoniano la natura principalmente difensiva del maniero di Serralunga che doveva incutere timore ai feudatari limitrofi. Dalla fine del XIX secolo assolse il compito di deposito delle attività vitivinicole, lo Stato ne diventò proprietario nel 1949 e negli anni successivi furono iniziati i lavori di restauro.

All’interno non vi sono quadri o arredi, eppure la nostra bravissima guida (si accede solo con visite guidate) non ce ne ha fatta sentire la mancanza, raccontando con trasporto le vicende dei Falletti e coinvolgendoci nella storia del luogo. Grazie alle sue parole mi è rimasta nel cuore la figura della marchesa Juliette-Giulia Colbert in Falletti di Barolo. Filantropa, dall’intelligenza acuta e l’animo sensibile, sposò Carlo Tancredi Falletti in Barolo il quale morì nel 1838 lasciandola senza figli e provocando così l’estinzione della potente famiglia dei marchesi Falletti di Barolo.

Nel castello l’unico angolo affrescato si nasconde nell’ambiente di rappresentanza posto al livello del cortile. Qui le figure di Santa Caterina e San Francesco vegliavano sui nobili in preghiera, inginocchiati in quella che doveva essere la minuscola cappella. Al piano superiore vi è la sala di residenza con volta a botta e tre camini, di cui due enormi. Sopra di essa il camminamento di ronda merlato, successivamente coperto da un tetto, regala delle vedute mozzafiato sul tipico paesaggio coltivato delle Langhe. Tutte le informazioni utili per la visita le trovate al sito internet: http://www.castellodiserralunga.it. Per concludere la visione sulla vasta regione di produzione del vino Barolo guidiamo sino a Monforte d’Alba. Il tempo da dedicare al grazioso borgo è davvero poco prima che cali la sera, tuttavia ci sarebbe dispiaciuto rinunciare al romantico tramonto sulla sommità del poggio lungo i cui fianchi ripidissimi si aggrappa l’antica parte del paese. Così con il fiato in gola arranchiamo lungo le pendenze proibitive delle strette viuzze spingendo il passeggino di Leonardo, con la sensazione di stare a scalare l’Everest, e una volta in cima veniamo accolti dall’alto campanile contrapposto all’antica chiesetta. Tra di esse giace la suggestiva opera di Simone benedetto ‘Out of control’. Si tratta della scultura di un uomo nell’atto di trascinare fuori dal baratro una barca e può assumere differenti significati a seconda degli occhi di chi la guarda.

La perla del posto è l’anfiteatro a cielo aperto ricavato nella naturale inclinazione del terreno e intitolato al pianista Mieczyslaw Horszowski. Ogni anno sui suoi gradoni si tiene l’importante festival nazionale di musica jazz Monfortinjazz.

Godere del paesaggio agricolo allungato attorno a Monforte, rischiarato appena dalla soffice luce del tramonto, è uno spettacolo meraviglioso. Non bisogna però trattenersi a lungo perché di notte pare si aggirino i fantasmi inquieti dei vecchi abitanti del paese, perseguitati, deportati e dati al rogo dai cristiani nei primi anni del XIII secolo per la sola colpa di essersi avvicinati alla religione dei catari.

Ripetere una giornata talmente ricca di bellezze paesaggistiche, storia, arte e ‘cultura vinicola’ come quella da poco conclusa è davvero difficile, soprattutto avendo deciso di esplorare anche le zone limitrofe alle splendide Langhe. Tuttavia il Castello della Manta ha retto il confronto regalandoci un’altra mattina da incorniciare.

A circa un’ora di macchina da Alba verso ovest sorge austera un’antica fortezza. Non ci sono alte torri, mura merlate o decorazioni esterne e nulla lascia immaginare cosa, di bello, possa conservare l’interno. Documenti ne testimoniano la presenza già nel 1227 sull’omonima collina dietro cui si staglia indomito il Monviso. Un viale zigzagante fra i castani conduce al terrazzo prativo ombreggiato dai pini su cui si affaccia l’ingresso al maniero e dal quale poi si accede alla chiesa, le scuderie, la cascina e la cinta muraria.

Il castello si compone di tre palazzi realizzati in epoche consecutive, dagli inizi del 1400 alla fine del 1500, dai diversi capostipiti della ricca famiglia Saluzzo della Manta. Con l’estinzione del casato al termine del XVIII secolo si trasformò in ospedale per le truppe austro-sabaude, venne quindi acquistato, restaurato e infine donato al FAI (Fondo Ambiente Italiano) nel 1983 dai proprietari dell’epoca.

La visita inizia dalla corte alla quale si accede attraverso un portone ad arco acuto. Qui comincia il labirinto delle cantine e degli stretti passaggi che conducono al cucinone dalla volta a botta e l’immenso camino.

Tutte le sale successive sono degne di nota, compresi gli scaloni di accesso al piano nobile fra cui quello cinquecentesco che sfoggia delle colonne in marmo. Non passa inosservato il Vestibolo dal bel soffitto a cassettoni dipinti, il motto Leit (guida) disegnato sulle pareti e il quadro con la ‘Madonna del latte’.

L’adiacente Salone baronale dal soffitto anch’esso ligneo è un tripudio di affreschi. Si osservano ‘i nove Prodi e le nove Eroine’ con rappresentati per i Prodi tre eroi pagani, tre ebrei e tre cristiani, mentre per le Eroine figure mitologiche o della storia antica. Una parete della stanza è dedicata alla Crocifissione e un’altra, a mio parere la più entusiasmante, alla ‘fontana della Giovinezza’. Secondo la leggenda le sue acque possiedono il potere di ringiovanire, difendere dalle malattie e ridare la bellezza e la verginità alle signore.

Una delizia per gli occhi sono pure i dipinti del grande Salone delle Grottesche, qui concentrati sulla volta a padiglione incorniciata da un fregio con decorazioni in stucco. Nella parte centrale compare il rapimento del profeta Elia sopra un carro infuocato, affiancato da due ovali. In uno di questi è raffigurato il globo sul quale sono abbozzate le Americhe e l’Antartide, fatto molto strano visto che gli affreschi furono realizzati in un periodo precedente alla loro scoperta. Davvero belle anche le immagini di antiche rovine alternate a quelle di palazzi rinascimentali. Pregevole la Galleria di collegamento fra il salone e gli appartamenti privati di Michele Antonio Saluzzo, inondata dalla luce proveniente dalle grandi finestre che esalta la bellezza della volta affrescata. Di certo dal Castello della Manta non si esce delusi, ma come noi soddisfatti per aver scoperto un prezioso frammento del patrimonio artistico-storico-culturale del territorio italiano. Cuneo ci ha sempre incuriosito come città e trovandoci nelle vicinanze non potevamo perdere l’occasione di visitarla. Essendo arrivati all’ora di pranzo però, la priorità è diventata quella di trovare un ristorantino dove poter placare i morsi della fame. Il locale ‘Al Bistrot dei Vinai‘, sistemato in via XX settembre e quindi vicino al centro storico, si è rivelata un’ottima scelta sebbene l’impatto iniziale non è stato dei migliori per via della coda all’ingresso, il posto affollato e i tavolini appiccicati fra loro. Superati i primi istanti di disorientamento abbiamo apprezzato la modernità del ristorante disposto su due piani, la grande enoteca a vista e, senza nemmeno accorgercene, ci hanno sistemato in un angolo tranquillo con il seggiolone per Leonardo e i menù tra le mani. Il personale giovane e gentile, il servizio veloce e le porzioni abbondanti unite al buon rapporto qualità-prezzo (i vari menù del giorno/di lavoro sono davvero convenienti) hanno reso il pranzo molto piacevole (www.albistrotdeivinai.it). Partiamo così alla scoperta della città col sorriso sulle labbra e la pancia piena, apprezzando passo dopo passo l’immensità di Piazza Galimberti, anche detta il salotto di Cuneo per l’eleganza classica dei palazzi che la circondano. Tra le più grandi d’Italia, è talmente vasta che la statua eretta nel centro di Giuseppe Barbaroux, noto avvocato cuneense e ambasciatore a Roma, quasi si perde nel grigio dei sampietrini.

Voltiamo le spalle a Piazza Galimberti per incanalarci fra i bei edifici di Via Roma, apprezzando uno spazio più raccolto e a misura d’uomo. Dei lunghissimi portici la delimitano su entrambi i lati creando un effetto accogliente e regalando la sensazione di camminare in un centro commerciale, ma dall’ambiente più elegante e fascinoso. Qui infatti le boutique si alternano a storici caffè e pasticcerie tentatrici, non mancano edicole, bar e negozietti di ogni genere e per tutte le tasche. Le vetrine calamitano l’interesse dei passanti e gli amanti dello shopping trovano pane per i loro denti, tuttavia vale la pena affacciarsi all’esterno di tanto in tanto per apprezzare i palazzi dalle grandi finestre e i balconcini, la pregevole facciata della cattedrale di Santa Maria del Bosco e San Michele dall’importante timpano neoclassico sostenuto da quattro grandi colonne corinzie, e la torre civica. Se ci s’intrufola nelle viuzze laterali si possono scoprire altre chiese, il complesso monumentale di San Francesco, e a due passi dall’allungato centro storico il verde dei parchi fluviali.

A Cuneo non abbiamo trovato nulla di particolare da visitare, eppure questa città ha plagiato positivamente il nostro giudizio perché da l’impressione di essere vivibile, pulita e tutto è a portata di mano.

Lasciamo la pianura per salire sulle dolci colline tra cui si adagia Vicoforte e vedere la cupola ellittica più grande del mondo. Questa meraviglia costituisce il pezzo principale del Santuario di Vicoforte, delimitato da quattro torri campanarie, e già ammirandola dal parcheggio se ne intuiscono la forma e l’estensione, ma è una volta varcato il portale di accesso che se ne rimane stregati.

Ovunque si posino gli occhi le linee dinamiche del Barocco dominano la scena, a partire dalla forma ovale della straordinaria copertura. La luce attraversa i finestroni investendo appieno tutto l’interno, mette in risalto il tempietto nel centro della navata, esalta gli affreschi, penetra fino alle cappelle laterali e in ogni anfratto della basilica.

L’inizio dell’incomparabile costruzione avvenne nel 1596. Purtroppo a causa di problemi strutturali causati dalla natura instabile del terreno il cantiere si bloccò per riprendere soltanto un secolo dopo. Terminata finalmente nel 1731, dovette da sempre combattere con continui dissesti, cedimenti e fratture, finché nel 1986 un sistema di cerchiaggio attivo in acciaio ad alta resistenza (cioè cerchi in acciaio dall’intensità di contenimento variabile a seconda delle esigenze) venne inserito nella muratura del tamburo (l’elemento di raccordo tra la cupola e la base di questa dove, per intenderci, vengono spesso aperte delle finestre per far filtrare la luce). Da allora la situazione è migliorata e il Santuario è soggetto a monitoraggi e a un’attività di ricerca che potranno apportare dei considerevoli benefici.

Per vivere appieno la cupola vengono organizzati due percorsi di salita, uno lungo e l’altro breve, a orari e prezzi differenti. Conviene consultare prima il sito internet http://www.santuariodivicoforte.it/it/home.php per chiedere informazioni, prenotare e acquistare il biglietto. Noi con il piccolo Leonardo al seguito ci siamo limitati a osservare dal basso questa creazione ma se fossimo stati da soli avremmo scalato volentieri le anguste scalinate per poter apprezzare al meglio la sua rara bellezza.

Concludiamo un’altra intensa giornata ricca di scoperte con una cena al Ristorante Pizzeria Il Corsiero (www.pizzeriailcorsiero.com/it/il-locale) a pochi chilometri dall’affittacamere dove alloggiamo. Scelto per l’ampia sala adatta anche ai più piccoli, l’ambiente informale, il buon rapporto qualità prezzo e le porzioni abbondanti descritte su Tripadvisor, non ha deluso le nostre aspettative. Lo consiglio soprattutto se avete bimbi al seguito; se siete in coppia ci sono di certo posticini più romantici e intimi.

Le ultime ore della nostra ‘Fuga d’autunno nelle Langhe’ sono dedicate alla graziosa Alba (anche detta la città delle cento torri) e, coincidenza vuole, la prima delle tante piazze del centro che incontriamo ha lo stesso nome del capoluogo valtellinese dove viviamo, ovvero Piazza Garibaldi. Ci viene da sorridere mentre procediamo nel piacevole dedalo di stradine, improvvisi slarghi e numerosi negozi di specialità culinarie sfoggianti il prodotto principe di questa parte del Piemonte: il Tartufo. La cittadina infatti è famosa in tutto il mondo per la Fiera Internazionale del tartufo bianco d’Alba giunta all’ottantasettesima edizione. Una vetrina ricca di eventi, show e mercati dedicati al pregiatissimo fungo da osservare, assaggiare, odorare, conoscere, fotografare e acquistare. Quest’anno si tiene dal 7 ottobre al 26 novembre, specialmente durante i week end. Visitando la città di mercoledì mattina non abbiamo trovato gli stand aperti ma nemmeno la ressa che contraddistingue la kermesse.

Tartufi a parte Alba è davvero gradevole da scoprire, attraversata dalla lunga e stretta via Vittorio Emanuele che sfocia nella piazza intitolata a Michele Ferrero, il noto imprenditore italiano proprietario dell’omonima compagnia regina del cioccolato. Lì una giostra con cavalli e carrozze allieta bambini e genitori col suo lento girare e una musica d’altri tempi. Sulla principale strada pedonale del centro storico si affaccia la chiesa di Santa Maria Maddalena dalla discreta facciata barocca, le cui linee curve e il rivestimento di mattoni a sbalzo ben si mischiano ai palazzi circostanti. Degna di nota anche Piazza Risorgimento con la cattedrale di San Lorenzo dall’inconfondibile colore rossastro e il grande rosone, il Palazzo comunale, e sovrastata da alcune delle sue ‘cento torri’ un tempo molto numerose.

Anche Alba come Cuneo è un centro a misura d’uomo, vivibile, ordinato, ricco di chiese ed edifici storici. Non vi è un elemento particolare, è tutto l’insieme ad essere attraente, e noi turisti che ci trascorriamo una manciata di ore non ne vediamo i problemi ma cogliamo soltanto la bellezza. In fondo è anche questo il bello del viaggiare e della breve ‘fuga d’autunno nelle Langhe’ conserveremo per sempre dei piacevoli ricordi.

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Le Langhe nei pressi di Barbaresco-foto 2

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Castello di Grinzane Cavour

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Le Langhe nei pressi di Barbaresco-foto 1

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torre civica di Cuneo vista dai portici

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Santuario di Vicoforte

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Panorama dalla cima del castello di SERRALUNGA D'ALBA

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Castello della Manta



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