Nel Dodecaneso, tra passato e presente
Siamo tornati a Rodi. L’isola non sarebbe stata la meta principale ma un soprattutto un transito per raggiungere via mare altre isole vicine. Trasciniamo a fatica le nostre valige tra gli acciottolati della città vecchia, facendoci spazio tra la folla dei turisti ormai tornata a livelli pre-COVID. Dalla terrazza della nostra stanza si stagliano i familiari profili di campanili, minareti e delle mura merlate mentre il cielo si tinge di porpora… un vento fresco stormisce le fronde delle palme e delle piante di buganvillea, spazzando via pensieri e stress accumulati nei mesi precedenti. È iniziato il nostro nuovo viaggio nel Dodecaneso.
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Alle 10:00 del mattino successivo parte puntuale il traghetto per Simi che, assieme a Rodi, avevamo già visitato 12 anni prima. Solitamente la nostra curiosità ci ha sempre portato ogni estate in isole diverse nell’Egeo, ma con Simi c’è un legame speciale. Ci sono posti evocativi che fanno sentire vicini i nostri cari che non ci sono più e mio padre, che aveva combattuto nell’isola durante la guerra, la ebbe sempre nel cuore.
Simi: Gialos e le tracce italiane
Il porto di Gialos ci riabbraccia all’arrivo, con le sue caratteristiche casette neoclassiche dai colori pastello, poi con un taxi raggiungiamo il nostro albergo situato nella città alta con stanze panoramiche affacciate sulla baia. C’è ancora l’anziana coppia a gestire la struttura, Fiona e Michalis, aiutati da un paio di volenterose signore che parlano solo in greco, ma ovviamente non possono ricordarsi della nostra breve permanenza precedente. Michalis mastica qualche parola d’italiano, forse un vecchio retaggio scolastico, ma l’interazione è rimasta difficile come allora. Siamo praticamente in cima alla Kali Strata, la scalinata monumentale costruita dagli italiani per collegare Horiò (la parte alta della città) al porto; percorrerla più volte al giorno in salita ed in discesa si rivelerà piuttosto faticoso, forse il tempo è passato un po’ anche per noi. Per fortuna non mancano ristoranti nelle vicinanze dell’albergo, tra cui quello di Georgios e Maria con una bella veranda pavimentata da un antico ed elaborato chochlaki (caratteristico mosaico di ciottoli bianchi e neri). Non si entra più in cucina, come un tempo, per scegliere cosa mangiare ma anche qui si viene serviti al tavolo tramite menù.
La zona del porto è cambiata e sono inevitabili i paragoni rispetto a come ricordavamo l’isola anni prima.
Mio padre mi raccontava che i giovani soldati, durante l’estate, gareggiavano a nuoto nel raggiungere la riva opposta della baia; ora una simile traversata sarebbe impossibile visto l’alto traffico dei natanti privati che ormai hanno rubato quasi del tutto la scena alle piccole barche dei pescatori.
Da quando Simi è stata scelta quale set di un popolare serial televisivo su una storia d’amore tra un greco e una turca, una moltitudine di turisti dalla vicina Anatolia si è riversata sull’isola. Lussuosi yacht, dal tardo pomeriggio, ormeggiano lungo la banchina a partire dalla Torre dell’Orologio; si sono moltiplicati i ristoranti ed i negozi turistici e l’antica Pensione Catherinette, dove fu firmata la resa delle forze tedesche di occupazione del Dodecaneso agli Alleati, non esiste più ed oggi l’edificio ospita al piano terra il LOS Art Yacht Club, un costoso music bar che quasi occulta la targa in inglese che ricorda lo storico evento dell’8 maggio 1945. Ai piani superiori dai soffitti dipinti c’è una mostra d’arte; il pittore albanese è felice di sapere che siamo italiani ed afferma di amare moltissimo il nostro Paese per la sua cultura e la sua lingua, anche perché sono soprattutto italiani coloro che si interessano alle sue opere.
Superato il bianco edificio oggi sede della polizia (un tempo “Palazzo del Governo” durante il Possedimento Italiano) c’è il vecchio Hotel Nyreus dove avevo alloggiato da bambino nel 1975 con la mia famiglia. Ancora oggi ci si tuffa dalla banchina in cemento nelle acque limpide, nonostante il vicino traffico delle barche. Poco distante il raffinato ristorante “La Vaporetta” che rievoca il nome delle navi italiane che garantivano i collegamenti tra le isole del Dodecaneso.
Nonostante Simi sia di dimensioni piuttosto ridotte, troppi ormai non vogliono più andare a piedi e talvolta si fa fatica a trovare parcheggio nella piazza del Municipio. I motorini sfrecciano persino nei vicoli dietro al porto, a breve distanza dai tavoli dei ristoranti.
Spiagge di Simi e cosa vedere sull’isola
Gran parte delle belle spiagge si raggiungono sempre tramite i taxi boat, ma i costi sono lievitati. Tra le migliori quella di Agios Georgios, una baia contornata da un imponente costone di roccia. È ancora l’unica spiaggia non attrezzata e rimane tranquilla per gran parte della giornata, tranne per le brevi incursioni dei barconi provenienti da Rodi, stracariche di turisti e con musica a tutto volume, che però dopo mezz’ora si ritirano di buon ordine per raggiungere frettolosamente le altre mete del tour.
Occorre fare scorta di acqua e di cibo in quanto non c’è alcun servizio disponibile, ad ogni modo verso le 15:00 si deve fare ritorno o cambiare lido perché la spiaggia nel pomeriggio resta in ombra.
Replichiamo la visita al Monastero di Panormitis dedicato all’Arcangelo Michele (patrono dell’isola) e alla spiaggia di Marathounta, dai grossi ciottoli e dalle acque trasparenti. Sono sorti nei suoi pressi diversi edifici per accogliere i turisti e le capre scorrazzano tra gli ombrelloni in cerca di cibo con una certa insistenza, abituate ormai ad essere nutrite dai visitatori stranieri.
La baia di Pedi si raggiunge rapidamente in macchina dalla città alta oppure utilizzando la corriera. Si tratta di una stretta e scintillante insenatura dalla quale si dipartono due scenografici sentieri per raggiungere la spiaggia di Agia Marina o di Agios Nikolaos, qualora non si scelga il taxi boat dal porto.
Ci incamminiamo sulle alture per Agios Nikolaos. Sotto di noi la risacca ed il luccichio del mare mentre soffia una brezza leggera… alle 05:30 circa del mattino del 7 settembre 1943 l’atmosfera doveva essere del tutto diversa. I tedeschi, dopo l’occupazione di Rodi e delle principali isole del Dodecaneso, tentarono anche quella di Simi sbarcando a Pedi. Mio padre, vicecomandante dell’isola, “teneva brillantemente con le mitragliatrici la posizione precedentemente assegnatagli. Con intelligente ed energica manovra spostava le sue armi fino a raggiungere altra posizione dominante contribuendo con la bravura sua ed infusa ai suoi uomini all’esito favorevole della giornata”. Fu una data memorabile e che dimostrò come i tedeschi, ricacciati in mare, non fossero invincibili, per quello che ormai poteva valere. Venne assegnata a mio padre la croce al valor militare per quelle gesta così descritte nel certificato dell’allora Ministero della Guerra.
A seguito dello smacco subito, anche il giorno successivo gli stukas tedeschi continuarono a bombardare Simi causando un notevole numero di vittime civili a memoria dei quali è stato eretto il monumento sul porto. Scheletri di edifici nella città alta e lungo la Kali Strata sono tutt’oggi un lugubre memento di quei tristi giorni. Il vecchio Castello dei Cavalieri (il Kastro) fu tra le zone maggiormente danneggiate, resta oggi un solitario torrione e tracce di mura megalitiche molto più antiche anch’esse in gran parte perdute.
Il nostro ultimo giorno è dedicato ad un giro in barca sulla costa nord ovest di Simi alla scoperta di altre spiagge e luoghi raggiungibili solo via mare. L’escursione, anche questa piuttosto costosa, è organizzata egregiamente da una famiglia locale. Tra le varie tappe, la spiaggia di Maroni e la grotta della foca (seal cave) dove si nuota all’interno raggiungendo una magnifica spiaggetta di ciottoli. Ma la meta più emozionante sarebbe stata quella al Monastero di Sant’Emiliano, dove ci saremmo fermati per un paio d’ore. Desideravo da tempo recarmi in questo luogo che la volta precedente, per mancanza di tempo, non avevo potuto raggiungere.
Ho conservato sul mio cellulare una vecchia foto ingiallita di mio padre scattata a gennaio 1942 proprio a Sant’Emiliano mentre era di vedetta e l’ho mostrata all’equipaggio destando notevole interesse. Il capitano della barca l’ha osservata con attenzione, riconoscendo i contorni della costa alle sue spalle. Mi parla in greco, ma capisco che ha intenzione di portarmi sul punto in cui presumibilmente quella foto venne scattata circa 80 anni prima.
Il promontorio di Agios Emilianos è collegato al corpo principale dell’isola da una stretta strada rialzata. Il monastero venne costruito dai pescatori di spugne dopo che il santo apparve in visione al loro comandante. Oggi è un candido edificio a pianta quadrata con al centro una piccola chiesa. Il capitano mi accompagna lungo le mura esterne sul lato destro e di fronte, al di là del braccio di mare, gli estremi della spiaggia che si trovava nello sfondo della foto con dietro una parete di vegetazione che invece risultava del tutto sfocata.
Mio padre vestiva un cappotto pesante con il bavero alzato ed un cappello con i paraorecchie, segno del clima ventoso e piuttosto rigido durante l’inverno. Ha uno sguardo perso, quello di un ventenne catapultato lontano dagli eventi per presidiare un luogo sperduto su un’isola altrettanto sperduta nell’Egeo. Ai suoi piedi un piccolo cane dal pelo scuro, una specie di mascotte dei soldati, ed un basso muro di cinta. Il capitano mi spiega che allora il muro posteriore che delimitava il monastero era molto più basso, successivamente venne rialzato ai circa 2 metri attuali… ecco il punto dove venne scattata la foto. Resto un po’ in contemplazione mentre tutti sono intenti ad immergersi nelle limpide acque del promontorio e ad iniziare il pranzo preparato con cura dalla moglie del capitano. Sulla barca facciamo amicizia con un’elegante signora inglese che viaggia in solitaria a Simi, molto interessata alla storia di mio padre, e con una numerosa famiglia danese. Alcuni dei danesi parlano perfettamente in greco perché il padre settantenne è originario di Simi ed hanno deciso tutti di battezzarsi nell’isola con il rito ortodosso a seguito della nascita dell’ultimo nipote, un bellissimo bambino biondo di circa un anno. Il padre non ricorda nulla del passato che a me interessa perché è nato dopo la guerra, sua madre è deceduta ed ormai sono rimasti un paio di anziani che forse conservano labili memorie di un passato ormai sbiadito dal tempo… e pensare che solo 12 anni fa mio padre era ancora in vita assieme a tante altre persone ormai scomparse.
Tornati al porto, mentre sorseggiamo una bevanda fresca in un bar sulla banchina, ad un tavolo vicino un greco spiega brevemente a dei turisti distratti la storia di Simi e di come si deve agli italiani il suo aspetto con edifici colorati che ricordano Portofino.
Siamo in attesa della nave Blu Star sulla nuova banchina costruita per i traghetti più grandi. Ci allontaniamo rapidamente per raggiungere la prossima meta e, mentre Simi si allontana sempre più dalla vista, mi chiedo se mai vi farò ancora ritorno.
Il grande portellone si riapre rumorosamente su Tilos. Sbarchiamo e subito la confusione si dirada; ci incamminiamo sul lungomare di Livadia, il porto principale, per raggiungere la nostra stanza affacciata sul mare. Tilos ci conquista subito con la sua tranquillità ed i suoi silenzi.
Trascorriamo un’intera giornata di relax sulla bellissima spiaggia di ciottoli colorati. Mika, la proprietaria della stanza, è originaria di Rodi e ci intratteniamo a parlare. Ci racconta che all’epoca del “Possedimento” si stava bene; successivamente all’incorporazione del Dodecaneso alla Grecia molti non poterono che ricordare quanto l’Italia fece per le isole rispetto alle possibilità del governo nazionale.
Livadia acquisì una maggiore centralità sull’isola, chiamata allora Piscopi, con gli italiani. Vicino al porto c’è l’ex Palazzo del Governo (oggi sede della polizia marittima) realizzato nello stile orientaleggiante dell’architetto Di Fausto, con le colonnine tronche che ricordano quelle del Palazzo Ducale di Venezia. Oggi questo edificio è al centro della piazza, dove si affacciano ristoranti e caffè. È dipinto di bianco e azzurro, colori vietati all’epoca del Possedimento perché ricordavano quelli della bandiera greca.
Ufficialmente il capoluogo di Tilos è Mégalo Choriò, posizionato nella zona settentrionale dell’isola. Trattasi di un agglomerato di case imbiancate aggrappate sulla scarpata della montagna. In cima si intravedono le mura superstiti del Castello del Cavaliere che possono essere visitate percorrendo un faticoso sentiero. Nella parte alta piccole case in rovina ricordano anche qui i bombardamenti degli stukas durante la guerra, malgrado l’isola non abbia subito, come Simi, l’occupazione tedesca.
Si raggiunge con circa 3 chilometri a piedi la spiaggia di Skafi, dalla sabbia rossastra. Il litorale selvaggio è cosparso di grandi ciottoli e la zona più facilmente balneabile si trova al di là di un piccolo promontorio di roccia. Più facilmente accessibile la bella spiaggia di Plaka dalle acque tranquille. La stessa strada, che poi si arrampica con tornanti sulla montagna, raggiunge l’isolato Monastero di Agios Panteleimon. Si accede dalle ore 10:00 del mattino, quando il giovane pope di Mégalo Choriò apre il portone d’accesso. Trattasi di un edificio suggestivo, con una fonte di acqua sacra e meravigliosi scorci sul mare.
Aristos è un grande litorale sabbioso bordato di tamerici. Non è attrezzato, ma ci sono alcuni ombrelloni e lettini gratuiti. Nei pressi di Livadia poi si può visitare l’antico borgo abbandonato di Micro Choriò, raggiungibile tramite una comoda strada asfaltata. Gran parte degli edifici sono ormai in rovina, tranne due piccole chiese restaurate. È piacevole raggirarsi tra i vicoli silenziosi mentre le capre ci guardano e fuggono spaventate alla vista di noi intrusi… anche il music bar creato di recente sembra non aver riaperto per questa stagione estiva.
Il nuovo museo gratuito dell’elefante nano è aperto dalle 09:00 del mattino fino alle 20:00 tranne il lunedì, purtroppo abbiamo scelto proprio il giorno sbagliato per visitarlo.
Nisyros
La tappa seguente è Nisyros, una sorta di Stromboli del Dodecaneso. Non avendo spiagge dai colori idilliaci, molti trascurano l’isola che resta meta di frettolose gite giornaliere da Kos. Eppure, trattasi di un vero gioiello da esplorare con tutta tranquillità. La porta d’accesso è il capoluogo Mandraki, un borgo marinaro affascinante e del tutto privo dell’affollamento di visitatori nonostante ci si trovi nel pieno dell’alta stagione.
Di fronte alla banchina del porto, ecco l’ex Palazzo del Governo italiano (anche questo riconvertito a sede della polizia) ma con caratteristiche peculiari in quanto parzialmente realizzato con la pietra nera locale. Lateralmente si aprono finestroni circolari ispirati agli oblò delle navi. Gran parte degli edifici sono di un bianco abbacinante, i vicoli sono impreziositi da piante fiorite di bouganvilles e frangipane ed il tutto fa apparire la cittadina molto simile a quelle cicladiche. Sul lungomare, costantemente bersagliato dai flutti, incombono le mura in rovina del Castello dei Cavalieri di San Giovanni al cui interno è stato realizzato il candido monastero della Madonna della Grotta (Iera Monì Panagia Spilianis), che conviene visitare prima dell’arrivo dei frettolosi gruppi di turisti. Sotto la preziosa icona della Vergine, i fedeli hanno lasciato numerosi ex-voto a testimonianza delle grazie ricevute. Da non perdere la cattedrale della Panagia Potamiotissa, dagli interni sontuosi, ed il museo archeologico che riassume la ricca storia locale. Il Dimarkio riporta anche il nome italiano di Municipio e ricorda la sua edificazione datata 1931.
Nisyros è un’isola-vulcano di forma circolare e, a differenza delle consorelle egee di Santorini e Milos, la sua caldera non è stata invasa dalle acque ma ha creato un’ampia vallata centrale dove è possibile visitare il cratere di Agios Stefanos tuttora parzialmente attivo. Il mito narra che, nel corso della gigantomachia, Zeus abbia scagliato un pezzo dell’isola di Kos contro il titano Polivotis, seppellendolo e creando così l’isola che conosciamo. Le emissioni di zolfo ed i brontolii del vulcano sono perciò stati interpretati come i lamenti del gigante intrappolato. Conviene arrivare per la visita la mattina presto, quando ci si ritrova soli a passeggiare in uno scenario che ricorda i parchi nazionali del South West degli USA. Il cratere, a cui si accede attraverso un sentiero, ha i bordi colorati dal bianco della pomice ed il giallo dello zolfo. Alcune aree sono caratterizzate da fumarole dall’odore pungente dove si può avvertire il suono del caratteristico fischio, altre delimitate nella zona centrale presentano avvallamenti con incrostazioni di minerali. La superfice su cui si cammina è quasi soffice, si ha come l’impressione di poter sprofondare nelle viscere del vulcano (in effetti un cartello ricorda ai visitatori che si accede a proprio rischio e pericolo). Sui bordi della caldera si affacciano i caratteristici villaggi di Emporeios e Nikia con panorami spettacolari. Emporeios è stata devastata da recenti terremoti e molti dei suoi edifici sono in stato di abbandono. All’ingresso del villaggio c’è una piccola sauna naturale in una grotta, poi si accede alla graziosa piazzetta principale con la chiesa e due ristoranti, tra cui il Balcony noto per la sua splendida vista sottostante.
Nikia, con il suo museo vulcanologico, è caratterizzato da Platia Porta, una meravigliosa piazzetta considerata tra le più belle del Mediterraneo ed una terrazza panoramica sul cratere di Agios Stefanos raggiunta dalle esalazioni sulfuree.
Le spiagge, pur essendo vulcaniche, non sono assolutamente prive di fascino. La più accessibile è Chochlaki, dai grandi ciottoli neri, tramite un comodo sentiero decorato a mosaico da Mandraki. Quando le acque sono agitate la balneazione non è comoda e per questo è davvero difficile trovarla affollata. Le onde travolgono le pietre arrotondate con un rumore caratteristico e le fa brillare al sole come perle.
Nel villaggio dei pescatori di Paloi, oggi anche sede di attracco delle imbarcazioni da diporto, c’è una comoda spiaggetta dalle sabbie scure e mare basso e limpido. Conviene però recarsi, proseguendo la strada costiera, ai litorali più isolati di Lies e Pachia Amos. In particolare, quest’ultimo si raggiunge tramite un sentiero rasente ad un costone di roccia che poi termina su una baia isolata e selvaggia di dune rossastre. Meta di hippies e nudisti, Pachia Amos è un mondo a parte, tutto da esplorare.
Da non mancare anche le sbalorditive rovine del Paleokastro, l’antica acropoli micenea risalente forse al II secolo a.C. con spesse mura di megaliti ad incastro. Questo sito ricorda per certi aspetti Micene e Tirinto nel Peloponneso, ma i blocchi di pietra, accuratamente intagliati, sono in andesite basaltica locale. Le mura circoscrivono un’area sopraelevata, con una meravigliosa vista sul mare e la cittadina di Mandraki. La porta d’accesso all’acropoli è stata costruita in una rientranza in modo da non apparire visibile ai nemici ed aveva un portone in legno inserito su apposite rientranze. Delle scale permettono di raggiungere i camminamenti sulle mura e le torri corrispondenti.
Sono le 03:45 di notte ed il mare è estremamente calmo quando dalla banchina appare nel buio il traghetto della Blu Star Ferries. Ripercorriamo a ritroso il nostro itinerario attraccando a Tilos, Simi e poi infine a Rodi. Siamo stanchi, ma per la nostra ultima notte ho scelto un alloggio speciale ed evocativo: il Grande Albergo delle Rose. Questo hotel fu inaugurato nel 1927 per volere del Governatore italiano Mario Lago per attirare la ricca clientela levantina e per fare di Rodi una nuova meta turistica internazionale. Lago fu davvero in grado di intuire il grande potenziale dell’isola, ma si dovevano creare dal nulla strutture recettive adeguate e divertimenti per gli ospiti facoltosi. A fatica ottenne l’autorizzazione per aprire una casa da gioco mentre il litorale si arricchiva di eleganti stabilimenti balneari, tuttavia il progetto iniziò a decollare solo poco prima dello scoppio del secondo conflitto mondiale, il cui esito determinò l’espulsione degli italiani dal Dodecaneso e la vanificazione di tutti gli sforzi ed investimenti profusi nell’arcipelago nel corso di 30 anni.
Inizialmente l’hotel, realizzato dall’architetto Di Fausto, mantenne fino al ’38 del secolo scorso lo stile originario ispirato alle suggestioni orientaliste ottomane e veneziane. Poi il nuovo Governatore De Vecchi di Val Cismon lo fece ristrutturare radicalmente secondo rigidi canoni razionalisti, eliminando stucchi e decorazioni, determinando la sua attuale conformazione.
Durante la guerra il comando germanico di occupazione si stabilì nell’hotel. Nel 1949 fu sede degli accordi che portarono alla proclamazione dello stato di Israele (per questo evento storico probabilmente la struttura è stata rilevata ed è oggi gestita da una compagnia israeliana dopo almeno 40 anni di abbandono).
La suite si affaccia sul mare con una terrazza coperta dalle grandi arcate razionaliste: sulla destra la Ronda (oggi stabilimento Elli) con la sua candida cupola déco’ ispirata a quella delle Terme di Kallithéa, sul polo opposto l’acquario realizzato dall’architetto Barnabiti. Tutti i migliori edifici della “città nuova” raccontano dei grandi sforzi compiuti dagli italiani, certamente non i grandi ed anonimi alberghi alveari che, garantendo un enorme capacità di posti letto, hanno trasformato il capoluogo in un confuso carnaio in alta stagione.
Osservando dall’alto gli stabilimenti che si estendono a perdita d’occhio, non posso che pensare che gli obiettivi del Governatore Lago si sono definitivamente realizzati, anche se forse non sulla base dei canoni che lui avrebbe voluto.
Il Grande Albergo delle Rose ha subito profonde ristrutturazioni ma il suo passato è rievocato dalle numerose stampe e vecchie fotografie appese alle pareti; fa particolarmente piacere il fatto che abbia almeno conservato il suo nome originario. I murales dipinti da Afro Baldassella, appartenente alla scuola romana di cui faceva parte De Chirico, sono difficilmente visibili in quanto le sale interne del ristorante sono chiuse e le colazioni vengono servite in giardino. Il Casinò Rodos, situato al piano terra, si inserisce nel solco della tradizione.
Il mare, nonostante l’affollamento, è particolarmente invitante e trasparente. Nel tardo pomeriggio, dedichiamo il nostro tempo alla città murata ed in particolare al Castello del Gran Maestro. Le sue rovine furono oggetto di un’intensa opera ricostruttiva voluta dal Governatore De Vecchi che desiderava, per ragioni di rappresentanza, trasformarlo nella sua personale residenza. I lavori terminarono poco prima del conflitto e sono un’ulteriore testimonianza di quanto gli italiani furono capaci di realizzare. Gli spazi interni, dotati di sobria eleganza, sono arredati con mobilio ed oggetti antichi. In luogo dei tappeti, furono utilizzati i mosaici romani riscoperti a Coo dopo il grande terremoto del ’33 che determinò la ricostruzione del capoluogo di quell’isola. Il loro inserimento nei pavimenti ed i restauri delle parti mancanti furono a cura dell’Opificio delle pietre dure di Firenze. Tra le varie suppellettili, si intravede anche la copia bronzea della lupa capitolina che un tempo era sulla colonna all’ingresso del Mandracchio (oggi Mandraki), poi sostituita con la statua di una cerva.
Le colonne all’ingresso del vecchio porto con le statue del cervo e della lupa, realizzate nel punto dove la tradizione voleva sorgesse l’antico colosso, simboleggiavano l’unione di Rodi con l’Italia e per questo la lupa venne rimossa. Nel cortile del castello hanno trovato sede le statue degli imperatori, che un tempo si trovavano sul lungomare. Rispetto a 12 anni fa, sono state aperte al pubblico altre stanze, molte delle quali con pavimenti in maiolica siciliana.
Il nostro volo per Roma decolla quasi in orario a mezzanotte in un aeroporto affollatissimo come se fosse giorno.
E mi piace pensare che il passato, che inevitabilmente riemerge nella sua tragicità mentre mi ritrovo a ripercorrere le orme paterne, possa essere ricordato soprattutto per ciò che di buono ha lasciato in eredità al presente.