Diario tra i canguri

Diario di viaggio “L’Australia e la nostra luna di miele” ? Domenica 23/09/01 Ore 20.35 partenza da aeroporto di Bologna; ore 21.30 arrivo a Roma per scalo tecnico; ore 23.55 partenza per Melbourne ? Martedì 25/09/01 Ore 04.45 (australiane) arrivo a Melbourne; finalmente terra! La stanchezza e il fuso orario diverso (9 ore in avanti)...
Scritto da: Tiziano Suprani
diario tra i canguri
Partenza il: 24/09/2001
Ritorno il: 15/10/2001
Viaggiatori: in coppia
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Diario di viaggio “L’Australia e la nostra luna di miele” ? Domenica 23/09/01 Ore 20.35 partenza da aeroporto di Bologna; ore 21.30 arrivo a Roma per scalo tecnico; ore 23.55 partenza per Melbourne ? Martedì 25/09/01 Ore 04.45 (australiane) arrivo a Melbourne; finalmente terra! La stanchezza e il fuso orario diverso (9 ore in avanti) sono vinti dalla eccitazione crescente e dalla curiosità sempre più incontenibile per un luogo fino a ieri solo visitato nei sogni e oggi divenuto realtà.

Ore 06.40 partenza per Adelaide dove arriviamo alle 07.25. Ci accoglie un tempo un po’ avverso: vento freddo, aria umida e pioggia. Nulla di grave! L’ottimismo prevale anche sul meteo. Il programma stilato precedentemente a tavolino prevede la visita della città; qualche anticipazione la ricaviamo subito dal percorso compiuto sul bus che ci conduce in hotel. Subito alcune considerazioni: ovviamente la stranezza del volante a destra e della marcia nella corsia di sinistra che comunque, già immaginata, non attira più di tanto la nostra attenzione; quindi grandi viali e case basse, ad un piano, singole, senza inferiate (!!) e con ampi giardini intorno; le misure quasi standard.

A metà mattina, sbrigate le pratiche con la reception e rinfrescatici in camera (che lusso!..Due letti matrimoniali…Non proprio da luna di miele) ci incamminiamo verso il centro, attraversati da qualche brivido di freddo. Gli edifici indicati dalla guida come i più antichi ed interessanti sono simili a costruzioni che ritroviamo nelle nostre città nei quartieri di fine Ottocento (cosa aspettarsi da un continente colonizzato solo intorno all’inizio del 1800); appurato che l’edilizia non rappresenterà mete significative del viaggio, entriamo nel Giardino Botanico. Inevitabilmente si rimane affascinati e rapiti da una vegetazione caratterizzata da vitalità, ricchezza e maestosità.

Organizzato il tour per le successive due giornate, ci orientiamo, visto anche il freddo, verso un locale vicino all’albergo dove cenare; ottima scelta la zuppa calda di broccoli e zucchine.

? Mercoledì 26/09/01 Ore 05.30 giù dalle brande! Alle 06.00 ci passano a prendere dall’albergo per il tanto atteso tour a kangaroo Island. Tre ore e mezzo di viaggio in bus, in compagnia di un instancabile autista-speaker che non perde occasione per commentare il paesaggio circostante (come del resto tutti gli accompagnatori sono abituati a fare qui in Australia) ci conducono a Cape Jervis dove ci attende il traghetto per l’attraversata dello stretto. Il panorama è prevalentemente di grandi distese di prati da pascolo, di un acceso verde primaverile, con greggi di pecore o mandrie di vacche in completa libertà di muoversi e girare. L’Oceano Indiano si presenta calmo e piatto, e ci consente un’attraversata tranquilla. Lo sbarco, e siamo nuovamente su un bus. L’autista percorre con la stessa facilità strade asfaltate e sterrate; uno stop solo per lasciare il passo ad una innocua iguana (non proprio cosa di tutti i giorni). I colori sono forti e intensi: verdi di tutte le tonalità e sfumature, gialli vivi dei campi coltivati e rossi bruni della terra.

Seal Bay: prima tappa è l’incontro ravvicinato con i leoni di mare; la colonia è frequentata da un buon numero di esemplari, distesi e sparsi lungo la spiaggia, a crogiolarsi al sole. La guida e il nostro autista ci avvisano di restare uniti (il singolo, per animali abituati al branco, può causare irrequietezza) e ad un minimo di 5 mt di distanza per la nostra incolumità ( io direi più per la loro…). Che sentimenti di dolcezza e tenerezza ne ricaviamo! Pochi minuti e siamo già in autobus. Lungo la strada ci fermiamo stupiti ad osservare esemplari di Koala in libertà, abbracciati ciascuno al proprio eucalipto, quasi come vicini di casa; ciliegina sulla torta sono mamma e figlio che con un gesto e soprattutto con lo sguardo sembrano salutarci alla nostra partenza.

Remarkable Rocks: qui il vento ha creato un’opera unica e straordinaria, scolpita in massi di granito posti su un’enorme cupola a precipizio sul mare, con colori e forme che ci lasciano basiti (…E come ha urlato un italiano con noi in “gita” : ogni fermata un posto più bello; ma potrà durare così ?!!?). Admiral’s Arch: un altro scenario meraviglioso, con l’Oceano che la fa da padrone, nel suo irruente frangersi sullo strapiombo da cui ammiriamo lo spettacolo. Attori per caso, otarie orsine (mammiferi simili a foche) che sembrano giocare con le onde, per nulla spaventate dalla forza con la quale si abbattono sulla roccia. Poco oltre un arco naturale creato nella roccia stessa, dove altre otarie riposano dopo i giochi.

Kingscote: paesino di 1500 abitanti, ci ospita per la notte. Prima di coricarci, non possiamo rinunciare, nonostante la stanchezza e il vento freddo, alla passeggiata Discovering Penguins; dopo cena infatti, ci facciamo condurre da un ranger lungo la costa dove, al buio tra gli scogli, si nasconde qualche esemplare di piccoli pinguini che qui si rifugiano per trascorrere la notte. Predati da molti animali, hanno sfortunatamente vita breve; per non creare loro ulteriori difficoltà, sono vietati i flash che li accecherebbe per diversi minuti e l’illuminazione è rigorosamente di luce rossa.

La giornata è stata veramente entusiasmante per il contesto naturalistico in generale e per gli animali incontrati in particolare.

? Giovedì 27/09/01 Giornata dedicata alla conoscenza delle tradizioni e dell’artigianato locali, passiamo alla fattoria del miele di Clifford, dove ci viene presentato il processo ancora artigianale per ottenere il miele (le api sono di importazione dalla Liguria!); ne assaggiamo tre tipi, che al mio palato ricordano tutto tranne il nostro miele. A Emu Ridge visitiamo l’unica azienda, di conduzione familiare e con strumenti molto poveri, che ancora oggi sull’isola estrae olio dalle foglie di eucalipto. E’ infatti più conveniente importarlo dall’Oriente; e pensare che questa è la pianta più diffusa in Australia. Parndana Conservation Park: una guida ci accompagna tra gabbie di meravigliosi uccelli tropicali a noi ignoti, e altri tipi di animali che qui hanno trovato rifugio perché malati o feriti. In questo parco abbiamo anche il nostro primo incontro con quegli stravaganti e simpatici esseri che sono i canguri, che vengono a prendere il cibo direttamente dalle nostre mani, accarezziamo una coppia di tenerissimi Koala, e possiamo coccolare due cuccioli di Opòssum. Stokes bay: pausa merenda e nostro primo contatto con l’Oceano, attraverso una camminata tra strette rocce, quasi a difesa di una baia calda e accogliente (che voglia di tuffarsi!). Island Pure Sheep Dairy: allevamento di pecore, vediamo come si ricava il latte in una comune azienda agricola australiana, con successiva produzione di latticini (..Un po’ di commercio non fa mai male). Conclusione: due giorni di stacco mentale totale; luoghi suggestivi per colori e scenari; primi incontri con gli animali più attesi. Forse un po’ di tempo in più avrebbe permesso più confidenza con il tutto.

? Venerdì 28/09/01 Scendiamo a Darwin dopo 3 ore e mezzo di aereo; l’impressione avuta dall’alto di clima umido e caldo viene immediatamente confermata appena scesi. La città e l’ambiente risultano quindi subito diversi da Adelaide; la vegetazione è meno lussureggiante e anche meno curata, allo stesso modo della città. Qui vediamo i primi “aborigeni”, sui quali leggendo e seguendo documentari televisivi mi ero fatto idee non certamente confermate da questi (per la maggior parte alcolizzati e socialmente emarginati), probabili esempi di fallimentari tentativi di occidentalizzazione dei popoli locali. Nei loro visi si legge la rassegnazione ad un destino che non li ha voluti protagonisti. In città riusciamo, in piena autonomia (che fatica farsi capire e capire…Ma che orgoglio uscirne vivi) a organizzare i tre giorni di escursione wilde nei due vicini parchi nazionali, agognata meta simbolo di avventura a stretto contatto con la vera foresta tropicale. Una volta terminata la fase di organizzazione ci concediamo, in pieno relax, una pausa pranzo all’insegna del cibo orientale; in un centro commerciale della città, come frequentemente si ripeterà anche nel resto del Paese, è infatti normale trovare, insieme a negozi di vario genere, anche un piano o una parte del Centro dedicato a un susseguirsi di piccoli ed economici punti di ristorazione orientali. Più tardi, in serata, affrontiamo una lunga camminata verso Mindil Beach dove pensavamo di trovare un caratteristico mercatino fatto di innumerevoli chioschi di diverse nazionalità e cucine, tra i quali, dopo aver ammirato il tramonto sull’oceano, scegliere la cena. La delusione di non aver trovato nulla di tutto ciò (c’era di giovedì!!) è in parte bilanciato dallo scenario. Un lunghissimo tratto di spiaggia da dove assistiamo, insieme ad altri a noi lontani osservatori, allo spettacolo del tramonto, e caratterizzato da sabbia chiara, caldina ma non più di tanto, e dalla completa assenza di stabilimenti balneari. Tutto ciò suscita in noi, abituali frequentatori della costa romagnola, una sensazione quasi di felice smarrimento, subito dopo in parte assopito dalla consapevolezza di non potersi tuffare in acqua: l’incontro con le cosiddette meduse assassine non sarebbe dei più felici.

? Sabato 29/09/01 Kakadu National Park: trascorse un paio d’ore alla guida di un’auto affittata (un piccolo fuori strada 4 ruote motrici, ovviamente con volante a destra!) a circa 100 $A al giorno, e quasi tre ore di strada asfaltata (la Arnhem Highway), eccoci sempre più dentro al parco. Questo Parco è stato dichiarato area protetta del patrimonio mondiale (World Heritage) per i suoi eccezionali valori culturali e naturali. Include infatti una delle più vaste e migliori collezioni di dipinti su rocce (“rock art”), testimonianza della lunga associazione tra aborigeni e la terra. E’ quindi un panorama culturale, in quanto plasmato dagli antenati spirituali degli aborigeni durante l’era della creazione, i quali viaggiarono per il paese e insegnarono come averne cura. Oggi è gestito dai suoi proprietari tradizionali, gli aborigeni, e dal personale di “Parks Australia”. Usanza secolare propria della cultura aborigena, alla quale si deve la particolare conformazione del bosco (basso, giovane come piante e con scarso sottobosco) è l’uso periodico del fuoco che, oltre a favorire la caccia raccogliendo gli animali in determinati punti della foresta più propizi ai cacciatori, rende anche più resistente e vitale la vegetazione, compiendo un’azione di purificazione e rigenerazione. Proseguendo il nostro tragitto arriviamo a Ubirr, dove troviamo un sito d’arte rupestre: diverse rocce coperte di pitture raffiguranti i più noti animali del luogo, fino a un belvedere su immensi piani alluvionali. Qui abbiamo anche il nostro primo contatto con le mosche, piccole di dimensioni ma in numero impressionante; la tradizione in questo caso dice che gli indigeni hanno con esse un rapporto particolare che le vede come strumento di pulizia del corpo (queste infatti si nutrono dei sali minerali della pelle). Anche a Nourlangie Rock, che visitiamo subito dopo, troviamo dipinti insieme a una galleria naturale di pietra arenaria dove gli aborigeni trovavano rifugio dalle piogge e dal calore. Arriviamo al camping di Cooinda dove abbiamo un piccolo ma accettabile bungalow. Ceniamo che è ancora giorno e, calato il sole, ci corichiamo (sono appena le 19.00!); la notte passa tranquilla e il sonno è pesante a causa della giornata faticosa. ? Domenica 30/09/01 La sveglia non mostra sentimenti neppure questa mattina…! Ore 05.40: insopportabile suoneria! Pazienza. Prima tappa di oggi è l’escursione guidata nelle acque dello Yellow Water, già attesa fin dal primo momento della programmazione di queste tre giornate, avendo letto da più fonti della presenza di una numerosa serie di animali tropicali che si bagnano in queste acque. E infatti, in un ambiente senza tempo e illuminato da un sole ancora impegnato ad emergere, anche per oggi, dalle terre paludosi di un luogo che nella stagione secca diventa un rifugio naturale per la fauna selvatica, incontriamo esseri molto diversi tra loro ma allo stesso tempo resi simili da ciò che li circonda: volatili dalle forme, colori e dimensioni che mai si vedono due volte uguali tra loro, e che rompono il silenzio della foresta circostante con suoni e voci a volte armonici, altre contrastanti e stridenti, ma mai dello stesso tono e intensità; rettili dei più pericolosi, come gli alligatori che osservano di fronte a noi impassibili ma guardinghi il nostro rumoroso passare. Il ritorno sul nostro 4 x 4 ci conduce a Maguk, dove lasciata l’auto ci incamminiamo, eccitati dalle avvertenze di pericoli incombenti rappresentati da un cartellone informativo, attraverso la foresta monsonica per giungere di fronte ad una meravigliosa piscina naturale d’acqua trasparente e limpida alimentata da una fresca cascata. Il cammino del ritorno è interrotto dall’incontro con un varano (da noi scambiato per una più innocua iguana) che, sicuro di sé, ci guardava quasi a domandarci cosa facessimo da quelle parti. Era infatti la strada sbagliata; a volte il caso… Altro bellissimo scenario ci attende a Gunlom Plunge Pool, dove ci porta un’avventurosa strada sterrata, con guado compreso. Qui sembra veramente di essere in un luogo surreale (fortuna ha voluto che fossimo, in quel momento, solo noi): circondata da fitta vegetazione, questa più che l’altra fa sentire di trovarsi in una realtà diversa per pace e silenzio che si possono respirare a pieni polmoni: verrebbe voglia di rimanere fino a notte immersi in quest’acqua grigio-verde dalla quale chiaramente si identificano gli abitanti di questo paradiso, cioè i pesci, anche di grandi dimensioni. Qualche nuvola ci convince invece ad andare. Quando giungiamo presso il campeggio dove passeremo la notte all’interno del Litchfield National Park è ormai già calato il sole e ciò significa cucina chiusa; fortunatamente nel nostro bungalow c’è anche un angolo cottura… ? Lunedì 01/10/01 La strada è faticosa, sterrata irregolare e tortuosa ma ancora una volta ne vale la pena: siamo infatti alle Florence Falls, dove possiamo ritrovare le condizioni paradisiache delle precedenti. Il caldo umido dell’aria e l’insistente presenza delle moschine rende ancora più apprezzabile l’immergersi nelle tiepide acque di questa piscina. Non ancora sazi di scoperte entusiasmanti ci rechiamo prima alle Tolmer Falls, che ci guadagnamo dopo aver percorso alcuni chilometri di difficile sterrata e dove arriviamo dall’alto potendone ammirare la veduta (incontriamo anche un wallaby); quindi alle Wangi Falls, la maggiore attrazione del Parco e dove pertanto più alto è il numero dei visitatori. Due sono le cascate che in questo caso danno l’acqua al lago; in corrispondenza di una delle due, la più “tranquilla”, la forza dell’acqua ha scavato nella parete rocciosa una vaschetta di poco più di due metri di diametro, dalla profondità imprecisabile, dove è possibile polleggiarsi sotto il cadere continuo dell’acqua stessa. Qui attorno avvistiamo inoltre, appesi a testa in giù alla vegetazione circostante, un’enorme famiglia del mammifero più diffuso in Australia: il pipistrello. Affascinante, oltre al loro stare nella caratteristica posizione a testa in giù, il gracchiare acuto e insistente che si scambiano quasi come una conversazione tra vicini di casa alla finestra.

Assolutamente indimenticabile quest’esperienza nel Top End, per emozioni provate, colori e ambienti ammirati e animali locali incontrati in piena libertà.

Un cenno alla cena è inevitabile: dopo tre giorni in cui i pasti sono stati tutto tranne che regolari, rappresentando più un’occasione per riposarsi piuttosto che altro, riusciamo a sederci a tavola al resort e farci servire qualche cosa di “decente”.

? Martedì 02/10/01 Voliamo da Darwin a Cairns (06.40 – 10.50); in città ci preoccupiamo subito di organizzare l’escursione del giorno dopo. Il primo approccio con la città è sicuramente diverso rispetto a quello avuto a Darwin: più vitalità, energia, movimento; strade più colorate e ricche di alternative commerciali; è evidente una maggiore propensione del luogo al turismo.

La scelta delle isole legate alla barriera corallina è molto ampia. Per tempo a disposizione e caratteristiche del luogo optiamo per un giorno a Fitzroy Island. ? Mercoledì 03/10/01 L’isola, non molto grande, offre diverse opportunità di svago; noi veniamo attratti dal mare e dalle bianche spiagge coralline. Ci conquistiamo quindi un tratto di costa presso la Nudey Beach. Siamo soli: un altro paradiso privato. La brezza dell’Oceano ci aiuta a non sentire il calore del sole che si fa sempre più alto e caldo; comunque siamo presto in acqua ad ammirarne i fondali, anche se per poco (l’incontro con una medusa non ha effetti piacevoli…!). Nel resto dell’isola la vegetazione è ricca e incontaminata. Nel primo pomeriggio, fallito il tentativo di raggiungere il faro attraverso il suo interno (al secondo serpentino che ci lascia il passo), riprendiamo posizione in un altro tratto di spiaggia che mi dà la possibilità di avvistare pesci in “carne”, di varie forme e colori: un vero spettacolo! ? Giovedì 04/10/01 Alle 07.30 prendiamo il bus che da Cairns conduce a Sydney. Meta: Harvey Bay ? Venerdì 05/10/01 Ore 06.45 arriviamo in paese. Camminiamo bagagli alla mano e se l’hotel dove contavamo di pernottare è esaurito, quello a fianco può dirsi un vero colpo di …; il proprietario, infatti, un tedesco trasferitosi qua da diversi anni, è una persona molto gentile che ci assiste e supporta sia nell’organizzare le nostre escursioni che per tutto ciò che poteva servirci. Il viaggio è stato piuttosto provante; noi comunque non perdiamo tempo e, già nella tarda mattinata siamo in barca alla ricerca delle balene. L’incontro è molto emozionante; il conducente del battello sembra conoscere bene le abitudini di questi fantastici animali e infatti riusciamo a avvistare e seguire una famiglia di tre o quattro componenti; nonostante le maestosi dimensioni sanno emozionarci e intenerirci con i loro giochi e le loro acrobazie. Si sprecano le fotografie, non solo delle nostre macchine ma anche di tutti coloro che hanno assistito con noi a questo incredibile spettacolo.

? Sabato 06/10/01 Ore 08.50: ci passa a prendere dal motel la compagnia con la quale passeremo i prossimi due giorni in quel di Fraser Island, l’isola di sabbia. Sbarcati sull’isola saliamo su un bus (l’altro l’avevamo lasciato all’imbarco del traghetto), con lo stesso autista alla guida (un po’ un tutto fare) che lo conduce su difficili strade di sabbia parlando al microfono e gesticolando con le mani, come fosse la cosa più naturale (!??). La vegetazione subtropicale in cui ci immergiamo dà subito un saggio della sua eccezionale bellezza e, per quanto ancora oggi si possa parlare di incontaminazione, questa lo è in pieno. Quest’isola di sabbia infatti, la più estesa della terra (misura quanto l’Olanda), plasmata dai venti e dalle correnti marine, è zona protetta; con i suoi 325 tipi di animali, 240 specie di uccelli, duecento laghi di acqua dolce formati dallo scoperchiamento delle falde acquifere o dall’accumulo di acqua piovana, rappresenta senza ombre di dubbio un luogo da proteggere e mantenere il più intatto possibile. Lasciato il bus sulla spiaggia (una vera e propria autostrada di fuoristrada e bus) arriviamo ad osservare Rainbow Beach, due dune colorate che esemplificano chiaramente quali e quanti tipi diversi di sabbie esistano sull’isola (circa 70?!). Da qui poi un altro tratto di bus lungo la spiaggia ed arriviamo a Maheno, relitto di una nave naufragata qui a seguito di un ciclone nel 1935 e di cui resta ormai solo un ammasso arrugginito e contorto di lamiere: buono spunto per alcune foto originali. Il caldo ci rende ancora più desiderato l’incontro con le fresche acque del Eli Creek, un torrentino di acqua dolce proveniente dall’interno dalla cui corrente farsi trasportare fino alla spiaggia dove avviene l’incontro con la più inquieta acqua oceanica. Di fronte all’indecisione e forse un po’ di pudore dei nostri compagni di viaggio, decidiamo di aprire le danze e tuffarci per primi… che freddo! Rientrati al resort, proseguiamo il nostro full immersion di lingua inglese sedendoci al tavolo con una coppia di inglesi, con i quali scambiamo impressioni, idee, ricordi ecc. Ecc.

? Domenica 07/10/01 Alle 08.50 si riparte: questa volta ci dirigiamo a Lake Wabby. Per arrivarci attraversiamo a piedi prima un tratto di foresta dal quale si apre l’Hammerstone Blow, una formazione sabbiosa che sta inglobando il lago stesso, spinta sempre più in avanti dalla forza del vento che costantemente solleva e sposta granelli di sabbia. Il lago ci meraviglia per la trasparenza dell’acqua, le dimensioni dei pesci che le abitano e la tranquillità che si respira; il bagno è inevitabile e che sensazioni di leggerezza. Eseguita la pratica del pranzo al resort, abbiamo un altro importante appuntamento (purtroppo l’ultimo della nostra “due giorni” sull’isola): il Lake McKenzie. Ancora una passeggiata impegnativa tra maestose felci e pini secolari, quale necessario preambolo al paradisiaco luogo che ci attende. Acque purissime, in questo caso addirittura senza alcuna forma di vita, con un fondale che contribuisce a graduare i colori dell’acqua in un’immagine da cartolina. Per scelta voglio interrompere qui il mio racconto. Il resto si svolge infatti tra Sidney e i dintorni: l’Australia, la mia Australia non è stata invece quella delle metropoli.

Saluti e a presto.

Tiziano



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