Cuba Querida….volveremos..
Poco dopo scendiamo all’Havana “… Per posarci non sulla terra, non sul cemento, ma dentro la luce…” .
Il calor de Cuba ci accoglie subito all’aeroporto Josè Martì; cerchiamo subito, approfittando della lunga coda alla dogana, di farci una prima idea, osservando anche i più piccoli particolari, dell’ isola di Castro. Le strutture dell’aerostazione sono fatiscenti, il controllo dei passaporti è lungo e accurato, ma la poliziotta addetta è gentile. Il corrispondente del nostro tour operator ci accoglie all’uscita e ci accompagna al taxi che ci porterà all’Hotel Oasi Panorama.
● Domenica 6 luglio Il mattino dopo, dalla finestra all’ottavo piano della nostra camera, ci accorgiamo di essere in riva al mare: il nostro hotel è situato nel barrio Miramar, un anonimo quartiere periferico che, per la sua vicinanza all’aeroporto e al centro città, si intuisce sia in pieno sviluppo (di fronte a noi il brutto edificio dell’ambasciata russa, l’Aquarium nacional…).
Nella hall dell’albergo incontriamo Ivonne, la nostra guida cubana, e i nostri compagni di viaggio: siamo un gruppo di 13 persone, comprese tre coppie in viaggio di nozze.
Partiamo con il bus verso il centro città, attraversando la Quinta Avenida, la “zona bene” dell’Havana; ai lati del viale alberato occhieggiano le antiche ville coloniali dei facoltosi americani o dei ricchi borghesi filo-Batista, ristrutturate e riadattate ad ambasciate e nuove strutture ricettive. Ed eccoci al Malecòn, il lunghissimo e altrettanto famoso lungomare della città, un largo nastro d’asfalto, divorato dalle onde durante i frequenti temporali, che, attraversando il “Vedado” (= Vietato, quartiere che, al tempo della colonizzazione spagnola era ricoperto da una foresta tropicale cui la popolazione non poteva accedere per non aprire un varco e rendere la città più vulnerabile all’attacco dei pirati) ci porta in pochi minuti al centro dell’Havana e, finalmente, alla città vecchia. Scendendo dal bus ci accoglie la baia dell’Havana, chiusa alle due estremità da due roccaforti, il Castillo di San Salvador de la Punta e la fortezza del Morro, che sorgono quali sentinelle a difesa dell’abitato. Le due fortezze, situate all’imbocco della baia, furono costruite l’una opposta all’altra, dall’architetto italiano Battista Antonelli per conto del governatore spagnolo dell’isola, al fine di difendere l’Havana dagli attacchi dei pirati. Le due roccaforti rappresentavano il primo punto di difesa dell’Havana, ed in caso di imminente pericolo, veniva tesa tra le stesse una catena, allo scopo di impedire l’accesso al canale.
Ci dirigiamo, sotto una cappa di caldo opprimente, verso Plaza de Armas, o Parque Cespedes, considerata il cuore dell’Avana coloniale, da dove inizierà la nostra passeggiata alla scoperta della capitale cubana.
Ivonne, all’ombra di una secolare ceiba , ci dà le prime notizie sulla fondazione della città, il cui nome completo è “Villa de San Cristóbal de La Habana”. E’ proprio sotto le fronde di questo albero, che, secondo la tradizione, fu officiata la prima messa cattolica su suolo cubano (1519) e quindi fondata la città de La Habana. Per i cubani dar la vuelta a la Ceiba ovvero fare 3 giri intorno all’albero di Ceiba (sacro per la santeria), toccandone il tronco, favorisce la buena suerte. Il tempietto neoclassico alle spalle dell’albero sacro, “El Templete”, fu invece costruito nell’800 per celebrare la fondazione della città.
Sul lato orientale della Plaza de Armas si erge Il Castillo de la Real Fuerza, la più antica fortezza della città; la costruzione della celebre opera di fortificazione iniziò nel 1538 allo scopo di proteggere la città e il suo importantissimo porto dagli attacchi dei pirati che infestavano il Golfo del Messico. Sulla torre del Castillo svetta la Giraldilla, la banderuola in bronzo che raffigura la moglie dell’antico governatore dell’isola, la quale, secondo la leggenda, saliva sulla torre e osservava il mare per ore ed ore attendendo il rientro del marito, partito alla conquista della Florida. La Giraldilla è diventata, nel corso del tempo, il simbolo della capitale cubana (riprodotta anche sulle etichette del rhum Havana Club).
La Plaza de armas è circondata da palazzi coloniali, come il Palacio del Segundo Cabo, con splendidi colonnati, in pietra calcarea cubana e stile barocco andaluso, che fu la residenza del cosiddetto Segundo Cabo, il vicegovernatore spagnolo di Cuba. Attraversiamo Il Parque Cespedes, un’oasi di frescura allietata dai colori di lussureggianti bouganvillae, frangipane… Ed arriviamo sul lato opposto della piazza, dove sorge il grande Palacio de los Capitanes Generales (ora Palacio de l’Alcade), l’edificio barocco più classico e superbo di tutta Cuba, che fu sede del governo e dei governatori spagnoli. Il palazzo ha il tetto a terrazza e lunghe balconate alle finestre; nella facciata principale, abbellita da un grande porticato con dieci maestose colonne, si evidenzia il portone centrale in mogano, con frontespizio rivestito con marmo di Carrara.
Assai curioso è il manto stradale situato di fronte al palazzo, realizzato in legno; sembra che un governatore spagnolo avesse espressamente richiesto tale pavimentazione per non essere disturbato, nel sonno, dallo scalpiccio dei cavalli. Anche il cortile, con la statua di Cristoforo Colombo, e il patio (dal quale svetta un altro simbolo di Cuba, l’onnipresente Palma Rèal ), sorprendono per la loro bellezza, tanto che quest’ultimo viene utilizzato per organizzarvi alcune manifestazioni culturali. Ci dirigiamo a sud, verso Calle de los Oficios, la via più antica della città, fiancheggiata e ombreggiata da palazzi di epoca coloniale dai colori pastello, con belle balconate in ferro forgiato.
La via è assai vivace, frequentata da turisti e habaneros intenti alle più svariate attività; si possono incontrare qui anziane santere, vestite completamente di bianco con corone di fiori scarlatti, altre signore che vendono vestiti ricamati o a crochet e …Ragazze sorridenti che, a bassa voce, mi chiedono “savòn, savòn”…
La stretta Calle Oficios si apre improvvisamente al sole, con un volo di colombi che si rincorrono nell’imprevisto slargo: siamo in Plaza de San Francisco, abbracciata da interessanti costruzioni, quali la Lonja del Comercio, la cui struttura ricorda quella degli anfiteatri romani, il variopinto Terminal Sierra Maestra, dove attraccano le navi da crociera che solcano il Mar dei Caraibi ed infine l’Iglesia y Convento de San Francisco de Asis, ora sede di un museo di arte religiosa.
Le case che incorniciano la piazza sono deliziose: le loro facciate dai colori tenui fanno intuire fresche e ventilate stanze di là dagli scuri variopinti che chiudono le finestre, così come gli ombrosi patii che si intravvedono dai portoni di entrata invitano ad una sosta ristoratrice.
Ed invece camminiamo verso la Plaza Vieja che, alla fine del ‘500, era il centro della vita cittadina (Plaza des armas, invece, era utilizzata dai militari) ed accoglieva il passeggio delle signore che abitavano nei circostanti palazzi nobiliari.
Negli antichi palazzi, dopo la rivoluzione, vennero ospitate le famiglie del popolo che, finalmente, per la prima volta, potevano affacciarsi dai balconi ricamati; purtroppo, però, i nuovi inquilini cominciarono a richiamare in città i numerosi parenti che, stipati nelle antiche stanze, finirono per sgualcire, danneggiare ed infine rovinare gli arredi e le strutture.
Ancora molte sono le vecchie costruzioni deturpate dall’incuria e dall’abbandono; da poco tempo il governo cubano si è impegnato a ristrutturare gli antichi palazzi che ritrovano così il loro incanto e provano di nuovo a compiacersi e a misurarsi con le altre costruzioni della piazza.
Ci incamminiamo ora nel calore soffocante di via Mercaderes, dove eleganti palazzi liberty si alternano ad antiche case in pietra, abbellite da aeree balconate in legno.
Ma il caldo diventa insostenibile e, per godere di pochi minuti di sollievo e frescura ripariamo prima all’interno del Museo del Chocolate, dove ci accoglie un goloso, irresistibile, morbido profumo di cacao e poi nei locali dell’Habana 1791, una profumeria d’altri tempi dove gli “aromas coloniales de la Isla de Cuba” vengono ancora distillati artigianalmente.
Rinfrancati almeno un poco percorriamo ora una delle più animate strade dell’Habana Vieja: Calle Obispo.
Ancora una volta approfittiamo di soste interessanti per godere del fresco innaturale dell’aria condizionata: visitiamo la hall dell’albergo Ambos Mundos, residenza abituale di Hemingway nei suoi soggiorni all’Havana e la vicina Farmacia Taquechel, specializzata in medicine naturali, conservate in vasi di porcellana custoditi negli scaffali di legno scuro.
Ripercorriamo ancora un breve tratto di via Mercaderes, affiancati da un gigantesco mural raffigurante diversi personaggi storici cubani, affacciati o sotto i balconi di una classica dimora coloniale cubana (che non è altro che il rispecchiamento del palazzo di fronte) ed arriviamo infine alla Plaza de la Catedral.
La piazza è perfettamente restaurata, simmetricamente racchiusa da palazzi nobiliari seicenteschi e dalla Catedral de San Cristobal de la Habana, esempio per eccellenza del barocco cubano, la quale ospitò i presunti resti di Cristoforo Colombo fino alla fine dell’800. Entriamo nell’antica chiesa dei gesuiti, piuttosto spoglia all’interno, ed assistiamo per pochi minuti ad una affollata funzione religiosa.
Alcune giovani donne mi si avvicinano, con la richiesta già sentita per strada “savon, el savòn de l’hotel, por favor!”. Un poco disorientata vorrei chiedere qualcosa alle ragazze, ma un zelante custode le zittisce in malo modo e rimango confusa, riservandomi di chiedere spiegazioni ad Yvonne.
Forse non mi sono guardata intorno con attenzione, ma la gente per strada mi era sembrata curata e, se non agiata, per lo meno dignitosa e ordinata: e allora… Giovani donne che elemosinano saponette ai turisti…Che può significare? Dagli scalini del sagrato della Cattedrale ammiriamo la piazza, mentre prestiamo ascolto alla ritmata musica cubana che echeggia nell’aria, proveniente dal ristorante El Patio, sulla destra. Il ristorante è situato nella Casa del Marqués de Aguas Claras, il più sofisticato fra i palazzi nobiliari circostanti, caratterizzato da un grande loggiato e dalla terrazza, sempre animata dalla clientela del caffè del Patio. Di fronte sorge la Casa de Lombillo, antica dimora del proprietario di uno zuccherificio, mentre la costruzione che chiude la piazza è un’antica residenza patrizia che ora ospita il Museo de Arte Colonial.
La passeggiata nell’Havana Vieja continua nella stretta via sul lato destro della cattedrale; è qui che si trova la storica Bodeguita del Medio, il bar più famoso di tutta Cuba.
Una sosta qui è inevitabile: il bar ci appare esternamente come un’anonima bottega, separata dall’esterno tramite la tipica cancellata in legno, attraverso la quale gli avventori del bar possono scambiare occhiate e chiacchiere con i passanti e viceversa.
Nel locale non c’è molta gente, lo spazio è ridotto e noi ci appollaiamo sugli sgabelli, mentre aspettiamo che il barman ci prepari il famoso “mojito” ; i nostri occhi esplorano le pareti del locale, interamente ricoperte da fotografie, disegni, targhe e dediche, tra le quali occupa il posto d’onore quella del più famoso cliente della BdM, Ernest Hemingway: “My mojito en La Bodeguita, My daiquiri en El Floridita”.
Il caldo è ora davvero insopportabile, ognuno si ripara come può dal riverbero del sole, ma, per fortuna, è ora di pranzo e ci rifugiamo in un ristorante all’incrocio fra Mercaderes e Calle Obispo.
Più tardi ritorniamo al Canal de Entrada alla baia, dove ci aspetta l’autobus che ci porterà sull’altra sponda dell’insenatura, dopo aver attraversato il tunnel sottomarino, e ammirare lo splendido panorama della città dalla fortezza del Morro.
Il Castillo de los Tres Reyes Magos del Morro, con mura spesse 3 metri costruite con blocchi di scogliera, ci sorprende per il silenzio dal quale è avvolto, che si contrappone alla sovrabbondanza di suoni e rumori che aderisce e si dipana lungo le vie della sponda opposta della baia.
Dagli spalti della roccaforte contempliamo il magnifico spettacolo che offre di sé l’Havana, una città fiera pur nella sua decadenza, con i suoi palazzi aristocratici che cadono a pezzi, con il colore del suo cielo, con il suo sole, a tratti splendente, a tratti nascosto, con il suo mare, che oggi appare immobile e triste, ma insieme affascinante.
Ripercorriamo in senso inverso la strada ed imbocchiamo il Paseo de Martì, “el Prado”, una gradevole e ampia arteria cittadina, percorsa al centro da un’ampia passeggiata alberata, fiancheggiata dai porticati, sormontati da balconi, di colorati palazzi neocoloniali.
Lungo il grande viale si rincorrono splendide auto d’epoca più o meno fatiscenti, utilizzate anche come taxi colectivos, i “coco-taxi”, gialli motoscooter a tre ruote a forma di uovo ed eleganti carrozze trainate da cavalli. Dopo aver oltrepassato il Gran Teatro, palazzo monumentale ricco di balconi, balaustre e statue neoclassiche, el Pasèo de Martì si apre per dare spazio al Capitolio Nacional, somigliante al Campidoglio di Washington, pur in scala ridotta, sede del parlamento e del senato cubano fino al 1959. Sotto la grande cupola un diamante di 24 carati, collocato sotto il pavimento, misura le distanze chilometriche del paese. La grandiosità caratteristica dell’architettura celebrativa dei primi anni del ‘900 conferisce al luogo una solennità e un fasto immediatamente smentiti e cancellati dai palazzi antistanti, completamente abbandonati all’incuria e alla consunzione…E l’Havana è sempre più, ai nostri occhi, città di contraddizioni e dissonanze.
Ci attende ora l’ultima tappa di questa giornata densa di scoperte: percorriamo di nuovo un tratto del Malecòn, dove giovani coppie, famiglie e gruppi di amici si riuniscono, seduti sul muretto che accompagna il lungomare e, superata la Plaza Anti-Imperialista, ci dirigiamo verso il Vedado, fino ad imboccare la “Rampa”, la strada in salita che porta al centro del barrio. Ai lati della strada si susseguono biglietterie e sedi di compagnie aeree che hanno preso il posto dei casinò e dei teatri decadenti, del tempo in cui l’isola veniva chiamata “il bordello dei caraibi”.
Dopo una breve sosta ad una bottega che espone e vende i migliori sigari dell’isola, eccoci finalmente a Plaza de la Revoluciòn.
La piazza, una spoglia spianata di cemento, sede delle più grandi manifestazioni di massa della Cuba castrista, è enorme; subito attraversiamo il grande spazio per pararci di fronte alla facciata del Ministerio del Interior, dalla quale si staglia la famosa effigie di Ernesto “Che” Guevara. L’immagine del Guerrillero Eroico trasmette una sensazione di austerità, di semplicità e di grande rispetto, sottolineati dal pesante, infinito silenzio che avvolge il luogo; non riesco per molti minuti a distogliere lo sguardo dal magnetico volto, espresso con metalliche linee essenziali, che ricalcano l’immagine del “Che” poco più che trentenne, così come venne immortalato dal fotografo Korda durante la manifestazione che seguì il sabotaggio della nave francese La Coubre. Di fronte si erge il possente obelisco, monumento al padre della nazione, Josè Martì, patriota, poeta e martire, il cui belvedere, con i suoi 142 metri, è il punto più alto della città.
All’interno di esso si trova il museo dedicato all’eroe cubano, cui si accede dall’ingresso posto accanto alla statua a lui dedicata, alta 17 metri.
Il cielo si fa sempre più scuro e, mentre percorriamo la via del ritorno, si scatena un furibondo temporale: in pochi minuti la pioggia sferzante e il vento impetuoso modificano il paesaggio, mentre noi ci rifugiamo in albergo, riparandoci così dalla furia dell’improvvisa tempesta tropicale.
La sera rimane solo l’umidità estrema dall’aria a ricordarci il temporale ormai trascorso e così, mentre la maggior parte di noi si prepara ad assistere ad uno sfarzoso spettacolo di varietà, io, Mauro e due ragazzi del nostro gruppo raggiungiamo con un taxi l’Havana Vieja, per gustare il fascino delle sue vie anche di notte.
Alla morbida luce dei lampioni e a quella ammiccante della miriade di locali, la città ci appare in tutta la sua deliziosa malìa: seduti in un caffè, sorseggiando un secondo mojito, ci lasciamo avvolgere dal suo ritmo vitale, dalle trascinanti note di un trio musicale e dalla voce sensuale di un’attempata cantante.
● Lunedì 7 luglio E’ una bella mattinata di sole e lasciamo l’Havana per una lunga tappa che ci porterà prima a Cienfuegos e quindi a Santa Clara.
Attraversando l’interno dell’isola ammiriamo la sua vegetazione rigogliosa; percorriamo l’autopista, la più grande arteria cubana che porta verso l’Oriente.
Il traffico è quasi inesistente e, ai lati dell’autostrada, incontriamo spesso persone che, pesos alla mano, chiedono un passaggio alle poche auto che passano: il problema dei trasporti è così vivo a Cuba che anche il mondo del lavoro è organizzato per economizzare gli spostamenti. Dopo molti km arriviamo a Cienfuegos. L’impronta delle famiglie francesi che fondarono questa città appare evidente nel perfetto tracciato rettilineo delle sue strade che s’incrociano da nord a sud e da est ad ovest, formando una rete accuratamente quadrettata, come volevano i concetti perfezionisti dello stile neo classico. Questo spiega anche l’eleganza dei suoi edifici con accurate linee geometriche, l’aria signorile e l’armonia architettonica della città, chiamata la Perla del Sud.
Percorriamo il Paseo del Prado, l’arteria principale della città, fiancheggiato da case eleganti a due piani, con portali, archi e belle colonne, che è tagliato in due dalla più lunga piazza di Cuba; il pasèo porta sino al Malecon, per addentrarsi, attraverso la Penisola di Punta Gorda, nella baia. Qui scendiamo per pranzare al Club nautico Cienfuegos, un complesso turistico piacevole, aperto nello splendido edificio dell’ex American Yacht Club, che era stato lasciato in abbandono per molto tempo. Le sue torri, alte e massicce, dominano l’orizzonte proprio all’entrata di Punta Gorda; dalla terrazza si gode un’ampia vista della baia.
Intanto minacciosi nuvoloni neri si rincorrono a coprire quel che resta dell’azzurro del mattino.
Facciamo appena in tempo a salire sull’autobus che subito si scatena il solito improvviso temporale: raggiungiamo il Parque Martì, nel cuore del centro storico, mentre secchiate d’acqua si rovesciano sull’asfalto della strada.
Ed ecco di nuovo il sole apparire e scomparire nel cielo nel giro di pochi secondi; ci dirigiamo verso l’Avenida 54, El Bùlevar, un corso pedonale che unisce il Parque Martí al Paseo del Prado. El Bùlevar è il vero cuore pulsante della citta; è molto frequentato e su di esso si affacciano alcune caratteristiche e pittoresche tiendas en moneda. Le strade lastricate e i colori degli edifici, appena lavati dalla pioggia, rendono ancora più piacevole passeggiare per il corso. Mi si avvicina una signora in stato interessante che, dopo essersi informata sul mio stato di salute (ho un braccio legato al collo per una recente caduta) “Que pasò?”, mi accarezza “Que senora linda!” (forse perché sono vestita di bianco?) e mi augura “Buena suerte!” offrendomi qualche monetina. Non vorrei accettare, ma la signora insiste dicendo che questo gesto porterà fortuna ai due gemelli che porta in grembo. Ricomincia a piovere e noi ci allontaniamo da Cienfuegos, continuando il nostro viaggio. Riprendiamo l’autopista, incrociando mezzi di ogni tipo (carri trainati da cavalli, biciclette… In autostrada!), ai lati ci accompagnano piantagioni di canna da zucchero e, in alto nel cielo, il nero volo degli avvoltoi; dopo qualche chilometro, lungo la strada, restiamo colpiti da un nutrito branco di questi lugubri uccelli predatori intenti a divorare i resti di un povero animale. Eccoci ora a Santa Clara, sotto un cielo grigio che minaccia pioggia; percorrendo la via che porta al centro, nel punto in cui passa la linea ferroviaria centrale, ci troviamo inaspettatamente davanti al Monumento a la Toma del Tren Blindado.
La città di Santa Clara è indissolubilmente legata alla figura di Ernesto Guevara De La Serna: proprio qui, infatti, il Che ottenne il suo più importante successo militare.
Il 29 dicembre 1958 i ribelli, scesi dalla Sierra dell’Escambray, furono impegnati nella battaglia decisiva per la presa di Santa Clara; alcuni di loro salirono sulla collina che domina la città, usando le granate per sloggiare i soldati di Batista.
Questi ultimi scesero dal lato opposto del colle per rifugiarsi nei vagoni del treno blindato in cui erano asserragliate altre truppe governative. Il treno iniziò ad arretrare per sottrarsi al fuoco dei ribelli e fece velocemente marcia indietro verso il punto in cui il Che, la notte prima, aveva fatto divellere un tratto di rotaie. Il convoglio si impennò e sbandò e, in breve, fumo e fiamme avvolsero il treno ribaltato e ritorto: ben presto 18 guerriglieri ebbero la meglio su circa 400 soldati.
E’ proprio sulla scena di questa battaglia che ci troviamo ora: alcuni vagoni dell’originario convoglio sono ancora qui, nella posizione di deragliamento, così come non manca il bulldozer che servì per togliere le rotaie; dai rottami si erge un obelisco di pietra che segna il punto esatto dell’impatto.
La strada che incrocia la strada ferrata è percorsa dal solito traffico di sidecar, ciclo-taxi, biciclette… La vita continua a scorrere. Ma un attimo di storia è per sempre congelato in questo luogo: il cielo è grigio, in alto continuano a volteggiare gli avvoltoi e tutto l’insieme contribuisce ad accrescere la drammaticità della scena.
Proseguiamo per il centro e scendiamo nel nucleo geografico, sociale e commerciale della città: il Parque Leoncio Vidal.
Qui si affacciano gli eleganti edifici coloniali più importanti della città, come pure il più recente Hotel Santa Clara Libre, l’ex Gran Hotel, sulla cui facciata restano i fori dei proiettili a testimonianza dell’aspra battaglia che si svolse fra i ribelli e un gruppo di cecchini, poliziotti e torturatori batistiani, arroccati sulla terrazza al decimo piano del grattacielo.
Il Parque Central è molto gradevole, contornato da una promenade lastricata di forma circolare, ornata da alberi, arbusti tropicali, palme reali, e, soprattutto, da fiammeggianti esemplari di Delonix regia, qui conosciuta come “albero della sposa”.
Entriamo nel bel Palacio Provinciàl, che ospita oggi la Biblioteca José Martì, quindi visitiamo una mostra che raccoglie opere moderne dedicate al Che, la cui figura incontaminata è ancora vivissima nel ricordo del popolo cubano.
Dopo una passeggiata nell’ordinato e tranquillo centro cittadino risaliamo sull’autobus che, risalendo le colline verdi che si ergono alla periferia della città, ci conduce al residence Los Caneyes, ai margini di una boscaglia.
Arrivare in questo luogo dopo un temporale non è certo la condizione migliore per apprezzare il nostro resort e la nostra prima impressione non migliora di certo la sera, dopo uno scalcagnato spettacolo ai bordi della piscina. Pernottiamo in una specie di tucul in muratura: la stanza è molto umida e non proprio pulita; la presenza di qualche insetto qua e là ci costringe a dormire con la luce accesa.
● Martedì 8 luglio Il mattino dopo, con il sole, l’aspetto del posto migliora decisamente : in mezzo ad un opulento “giardino” tropicale rigogliosi filodendri si intrecciano a mastodontici Ficus elastica che, con le caratteristiche radici pensili, formano un fitto dedalo di fusti ausiliari. Luci intense ed ombre profonde si avvicendano ad ogni passo, mentre ci accompagnano strani versi di uccelli nascosti fra il fogliame.
Ritorniamo a Santa Clara e ci rechiamo subito a Plaza de la Revoluciòn, dove si erge il Mausoleo “Comandante Ernesto Che Guevara”, enorme complesso scultoreo, inaugurato in occasione del XX anniversario della sua morte.
La piazza antistante il mausoleo è immensa e silente; in fondo due grandi cartelloni riportano l’uno un verso di una canzone cubana “Fue una estrella quien te puso aqui y te hizo de este pueblo ”, l’altro una frase di Fidèl dedicata ai bambini cubani: “Queremos que sean como el Che”.
Ad un tratto il silenzio è infranto da una musica struggente: “…Tu mano gloriosa y fuerte sobre la historia dispara, cuando todo Santa Clara se despierta para verte.
Aqui se queda la clara, la entrañable transparencia de tu querida presencia, comandante Che Guevara…” Ed è proprio lui, il Guerrigliero eroico, che domina la piazza dall’alto del complesso monumentale a lui dedicato: una grande statua in bronzo che rappresenta il “Che” armato di fucile, con un braccio ferito al collo, mentre entra in Santa Clara, si staglia contro l’azzurro del cielo. Sul basamento di pietra è impressa la scritta “Hasta la Victoria Siempre”; a sinistra un bassorilievo ricorda la marcia del Comandante dalla Sierra Maestra a Santa Clara, mentre in basso a destra è inciso il testo della lettera che il “Che” scrisse a Fidel Castro prima di partire per il Congo. Aggirando il complesso scultoreo raggiungiamo l’entrata di un piccolo museo ricavato al suo interno: foto, documenti originali, oggetti appartenuti al Che raccontano la sua vita, dalla nascita in Argentina, fino alla morte in Bolivia.
Dalle immagini alle pareti ci intriga il suo sorriso ironico e il suo sguardo profondo (“…Era proprio un mangòn!”, ci dice Yvonne), mentre ci inteneriscono gli oggetti a lui familiari (la sua radiolina a transistor, l’orologio, l’inalatore!).
Passiamo ora, nel più completo silenzio, alla stanza dove sono sepolti i resti, rinvenuti in Bolivia, di Guevara e dei suoi compagni: l’oscurità è appena rischiarata dalla fiamma perpetua accesa da Fidel Castro nel 1997, anno del ritrovamento delle spoglie e del rimpatrio delle ceneri.
Accanto ad ogni teca è posto un fiore bianco e, su quella del Che, brilla una piccola stella: ci sentiamo vulnerabili, commossi dalla sensazione di profondo rispetto che regna in questo luogo, ammirati e reverenti per l’esempio di dignità e di ricerca continua della libertà che quest’uomo ci ha donato “Vale la pena di lottare solo per le cose senza le quali non vale la pena di vivere”.
Non è solo la suggestione del luogo che ci porta a sentire o a convincerci di provare determinate sensazioni, è questo un posto speciale in cui si ha l’impressione di camminare accanto alla Storia: “Hasta siempre, Comandante!”.
Ci dirigiamo ora verso Trinidad, la città museo dei Caraibi, passando accanto alla Sierra dell’ Escambray, la seconda catena montuosa dell’isola, fra verdi paesaggi mozzafiato.
Ci fermiamo a pranzo in una fresca casa coloniale, con alti soffitti, antiche credenze e patio ornato da maioliche colorate.
Passando tra vari villaggi, tutti con le loro casette colorate, con minipatio e sedia a dondolo inclusa, dopo vari kilometri e cartelli rivoluzionari, arriviamo nel primo pomeriggio a Trinidad, dichiarata dall’UNESCO Patrimonio dell’Umanità.
La cittadina, di epoca coloniale, è splendidamente conservata in quanto, per la sua scomoda posizione, rimase per lungo tempo isolata dal paese, mantenendo in questo modo pressoché inalterata la sua struttura originale. Percorriamo a piedi le viuzze in salita che portano al centro storico; le case basse e colorate, le strade, le piazze sono tali quali erano in epoca coloniale: la pavimentazione in ciottoli, le grate in ferro battuto al pianterreno, i balconi di legno, le porte e le imposte blu, verdi…
Il tempo qui sembra essersi fermato: la cittadina è un’oasi di pace e tranquillità, complice forse anche l’alta temperatura; la gente è ospitale e chiacchiera volentieri.
Il caldo rende faticosa la salita e ci ripariamo nella stretta striscia d’ombra a un lato della via. Ed eccoci in breve al vero fulcro del paese, Plaza Mayor, un’originalissima, pittoresca minuscola piazza, con quattro semplici aiuole recintate dal pizzo di una bianca ringhiera, contornata da palme reali e da antiche e variopinte dimore. Fra queste il Palacio Brunet, appartenuto ad un’antica e ricca famiglia di azucareros e che, attualmente, ospita il museo Romantico.
Un raro tesoro è posto al piano alto: oggetti d’antiquariato, mobili, soprammobili, quadri provenienti da acquisizioni o donazioni di diverse case private della città, marmi di Carrara, cristalli di Boemia, porcellane e vetri italiani, specchi, cristallerie francesi e tedesche, sedie della Louisiana, copriletto castigliani… Tutto è disposto con cura nelle stanze dai ricchissimi soffitti intagliati in legno e mogano. Tutto ciò è in perfetta sintonia con il panorama che si può godere dai balconi del palazzo: il campanile verde e giallo ocra della Parroquial Major de la Santissima Trinidad, che si staglia contro i rilievi della Sierra dell’Escambray; le strette vie, assolate e senza tempo; la magia della piazza antistante…Un autentico viaggio nel passato.
Continuiamo la nostra visita alla città, lungo le viuzze lastricate con ciottoli di fiume, gettando ogni tanto un’occhiata al di là delle bellissime grate di legno che lasciano intravvedere stralci di vita quotidiana, o scambiando qualche chiacchiera con venditori di oggetti artigianali e con abili ricamatrici che dispiegano, con malcelato orgoglio, tovaglie di lino finemente intarsiate con delicate e preziose trine.
Sostiamo quindi alla Taberna “La Canchachara”; qui assistiamo alla confezione di profumati sigari quindi, allietati dalla musica di un anziano percussionista e seduti all’ombra del portico, ci godiamo un po’ di frescura, provando a fumare ed assaporare l’aromatico tabacco.
Come in altre parti del paese anche qui la nostra attenzione è richiamata da cartelli colorati appesi alle pareti del locale, denuncianti il caso di 5 cubani arrestati a Miami sotto accusa di spionaggio; “Volveran”, “Ritorneranno” è il motto che leggiamo accanto alle foto dei detenuti: qui nell’isola in ogni momento, anche il più rilassato, non si rinuncia a cercare di creare coscienza politica. Godendoci questa gradita pausa del nostro faticoso tour, degustiamo anche una tipica bevanda locale a base di distillato di canna, miele e limone, la canchachara, appunto, quindi risaliamo sull’autobus che ci porterà ad un resort posto a qualche Km dalla città, direttamente sul mare.
La spiaggia dell’hotel non è certo quella tipica da cartolina del mare caraibico, ma ci accontentiamo ugualmente, immergendoci nelle basse, calde e incontaminate acque di una baia selvaggia, orlata da fitte mangrovie, con la sola compagnia di pellicani incuranti della nostra presenza. La sera, temendo un altro deprimente spettacolo di animazione, torniamo in città per ascoltare musica dal vivo sulla scalinata che parte da un angolo della Plaza Mayor, presso la Casa de la Musica.
E’ questa è la zona più vitale delle notti di Trinidad, dove i gruppi cubani suonano il son, la musica tradizionale cubana, e poi salsa, rumba, bolero, romantico, cha cha cha…
Seduti sugli scalini ci sono turisti stranieri e cubani, in una miscela equilibrata e, di momento in momento, si formano estemporanee coppie di ballerini.
Si respira una gradevole atmosfera in questo vivace angolo di Trinidad; qui, soprattutto i giovani, hanno quotidianamente l’occasione di confrontarsi con i coetanei provenienti da ogni parte del mondo e, nonostante le tante difficoltà quotidiane cui sono sottoposti, mantengono la loro dignità e allegria, la loro apparente serenità. ● Mercoledì 9 luglio Ci allontaniamo al mattino da Trinidad, in direzione di Sancti Spiritus; lungo il percorso incrociamo i più diversi mezzi di trasporto: biciclette, carretti per il trasporto di persone o materiali trainati da cavalli, risciò a pedali, vecchi autocarri anni ’50…
Attraversiamo la valle de los Ingenios (degli zuccherifici), coltivata soprattutto a canna da zucchero, dove nel settecento gli spagnoli misero in piedi le loro piantagioni e concentrarono grandi moltitudini di schiavi africani.
Simbolo di quest’epoca è la Torre de Iznaga, un’irreale e assurda costruzione alta 50 metri, costruita dalla famiglia Manaca-Iznaga per controllare il lavoro dei suoi sottoposti.
La torre, con la superbia della sua mole, serviva da punto di riferimento, ma anche da emblema minaccioso per le squadre di schiavi al lavoro e ora, isolata in una campagna dove le costruzioni più alte non raggiungono i tre piani, rimane simbolo della prevaricazione e dell’arroganza del potere. Allontanandoci dalla torre veniamo invitati da un ragazzino a curiosare sotto un ampio capanno dove possiamo vedere e sperimentare un antico torchio utilizzato dagli schiavi per spremere la canna e ricavarne il succo: un lavoro davvero bestiale.
Attraversiamo la lussureggiante Sierra dell’Escambray ed arriviamo nella piccola città di Sancti Spiritus, capoluogo della provincia omonima. E’ una delle città più antiche di Cuba, fondata dagli spagnoli nel 1514; attraversata dalla Carretera Central, è un piccolo centro ordinato, non ancora sviluppato turisticamente.
Ci fermiamo all’imbocco del Puente Yayabo, monumento nazionale, costruzione spagnola degli inizi dell’ottocento.
Percorriamo a piedi il ponte in pietra a 5 arcate, appena ristrutturato, con le sponde dipinte in un allegro color verde pisello ed entriamo in città.
Yvonne ci fa entrare in una tienda statale, dove si paga con la “libreta”, la tessera di razionamento.
La rivoluzione cubana, attraverso la libreta, voleva assicurare a tutta la popolazione un’alimentazione adeguata in calorie e in proteine, alla portata di qualsiasi cittadino, indipendentemente dal salario o dalle oscillazioni del mercato, assegnando a ciascuna persona una quota degli alimenti principali, a prezzo politico sussidiato dallo Stato. Alimenti di prima necessità come zucchero, farina, carne, latte, caffè, riso, uova, sono distribuiti in quantità variabile, a seconda dell’età, di particolari patologie.
Di sola libreta oggi non si vivrebbe: questo strumento tanto criticato è forse obsoleto, forse non ha più ragione di esistere attualmente, in quanto il quantitativo di alimenti non è certo abbondante, ma, come ho letto in un blog cubano, “…Ci ha salvati dalla fame in nome dell’uguaglianza. Perché un diritto che dipenda solo dal portafoglio, il privilegio, le influenze…Non è un diritto. Tutti i bambini di Cuba, tutti, hanno più diritti di qualunque altro bambino del mondo. … Propongo che l’umanità reclami come un diritto vivere con rigore, in pace e con il diritto inalienabile ad essere felice”. Entrando nel fatiscente e buio negozio ci colpisce la pizarra (lavagna) informativa, in cui vengono registrati gli alimenti distribuiti mensilmente La libreta mensilmente garantisce, ad esempio: Riso = 6 libbre Zucchero = 20 once Fagiolini = 20 once Sale = 0.75 libbre Caffè = 4 once Pasta = 0.5 libbre Uova = 2 Annualmente, invece, vengono distribuiti i seguenti prodotti: Olio = 2 libbre Carne tritata = 8.1 libbre Mortadella = 3.6 libbre Pesce inscatolato = 5 scatolette da 325 grammi Pesce congelato = 11 once Pollo = 20 once Gallina 48 libbre Sapone per lavare panni = 5 Sapone da bagno = 5 Dentifricio = 7 Detergente liquido= 3 flaconi da 1 litro Oggi gli scaffali non sono vuoti: è arrivato lo zucchero e le scatole di questo prodotto riempiono mensole e vetrinette mentre, dietro una tenda, sono pronti i sacchi di riso da distribuire alla popolazione.
Sulla mensola più alta ci sorride il ritratto del Che: chissà che cosa penserebbe oggi della situazione economica del suo popolo di adozione.
Girovaghiamo poi per le vie della città e respiriamo, in questo luogo quasi completamente sconosciuto al turismo, l’autentica atmosfera cubana. Le strade del centro, lastricate con graniti variopinti, sono colorate, allegre, piene di vita, pulite e ordinate, così come tutte le persone che incontriamo. Entriamo quindi in un mercado agropecuario, mercato statale nel quale si possono acquistare prodotti non razionati.
Quella del negozio statale con la libreta di approvvigionamento non è infatti l’unica via attraverso la quale si possono acquisire prodotti di consumo; si possono ottenere quantità maggiori pagando in Pesos a prezzi di mercato o in CUC (Pesos Convertibili) nei mercati agropecuari, nelle tiendas de precios diferenciados o in quelle chiamate “shopping”, nelle quali si paga in dollari a prezzi proibitivi.
La merce esposta nel mercado agropecuario è abbondante, anche se il numero dei clienti è limitato: carne di maiale e manzo, fagioli di vario tipo e colore, radici di manioca, patate dolci, bananitas e platanos, riso bianco e nero, manghi, papayas, ananas, lunghissime trecce di aglio, peperoncini… Tutto sembra a disposizione di tutti i acquirenti consumatori, anche se alcuni prodotti come le carni, le patate, gli ananas e il platano non sono sempre disponibili sul mercato e ogni persona può acquistarne solo 200 g circa.
Usciamo da Sancti Spiritus con le idee un po’ confuse, ma con qualche informazione in più sulla vita quotidiana dell’isola.
La strada per arrivare a Camaguey è lunga: ci fermiamo a pranzo in un locale spartano dove si mangiano cibi tipici cubani: riso con frijoles e carne di maiale alla griglia.
Sorvolo sulla qualità del pranzo, ma il locale, un grande capanno di pali e foglie di banano, è fresco e ventilato. La struttura è immersa in una boscaglia di piante tropicali in fiore, confinante con un bananeto; d’un tratto un zunzuncito, un colibrì dalla livrea blu cangiante, volando a mezz’aria con un rapidissimo battito di ali, entra in un fiore di ibisco per succhiarne il nettare: la mia mano corre alla macchina fotografica, ma il piccolissimo uccello sparisce in un lampo, così com’era apparso.
Nel tardo pomeriggio arriviamo a Camaguey, la città dei tinayones, grandi giare di argilla a forma di bulbo, simbolo della città stessa. Siamo stanchi e accaldati: facciamo quattro passi in una piazza del centro, ma subito cerchiamo refrigerio dentro una galleria d’arte che espone opere di artisti locali di un certo livello (Ileana Sanchez Hing e i suoi gatti).
Mentre ci dirigiamo verso il nostro albergo siamo sorpresi nel notare un treno che transita all’improvviso davanti a noi: la via ferrata attraversa infatti le strade cittadine come una qualsiasi traversa destinata al traffico delle automobili.
La sera ci rechiamo, attraversando in autobus la ragnatela di stradine leggermente in saliscendi, a Plaza San Juan de Dios, una bella piazza lastricata poco trafficata, contornata da edifici ordinati di color giallo limone, verde chiaro, azzurro e rosa antico, le cui finestre sono orlate da balaustre di legno o di ferro battuto blu cobalto.
Ceniamo a La Campana de Toledo, un ristorante a gestione statale collocato in un cortile all’ombra di un ricco fogliame, che offre anche la musica dal vivo di un trio di simpatici suonatori.
● Giovedì 10 luglio Il mattino un problema meccanico all’autobus ci fa stare un po’ in ansia: a Cuba il trasporto pubblico è un vero problema, sia a causa della scarsità del carburante sia a causa della vetustà dei mezzi; solo recentemente la situazione è migliorata grazie all’importazione di molti autobus cinesi (come il nostro) e al petrolio venezuelano.
Per fortuna però, tutto si risolve in una partenza ritardata e, con un sospiro di sollievo ci apprestiamo ad un’altra lunga tappa.
Ci fermiamo in un hotel che incontriamo lungo il tragitto: Yvonne deve telefonare per il guasto all’autobus mentre noi ci sgranchiamo sulla terrazza dell’albergo, provando anche il comfort delle imponenti sedie a dondolo, arredo irrinunciabile di ogni casa dell’isola.
Macinando Km su Km ci avviciniamo sempre più alla Sierra Maestra, la più elevata ed estesa catena montuosa di Cuba e, proprio ai suoi margini, troviamo Bayamo, una delle città più tranquille dell’isola.
Il suo centro storico è molto tranquillo, lindo e piacevole: Plaza del Himno, illuminata dalle linee pulitissime dell’azzurro edificio delle Poste e da quelle splendide e slanciate dell’Iglesia del Santìsimo Salvador, dipinta in giallo ocra e poi il delizioso Parque Cespedes…
Il parco è una lucente spianata di marmo, intersecata da spazi verdi con maestosi alberi tropicali; qui sono collocati due monumenti: il primo dedicato a Perucho Figueredo, eroe della guerra d’indipendenza e autore dell’inno nazionale cubano e l’altro a Carlo Manuel de Céspedes, Padre della Patria.
Sulle panchine che si ricorrono ai lati del parco incontriamo anziani che si riposano all’ombra e giovani che improvvisano sensuali danze, al ritmo di canzoni cubane provenienti dalla vicina Casa de Cultura.
Ma la particolarità di questo parco è la presenza di molti bambini, che attendono il loro turno per essere trasportati su un carretto tirato da una capra o che percorrono il viale con biciclette o tricicli.
Non resisto alla tentazione di visitare una ludoteca che sorge proprio accanto al parco: la costruzione è moderna, pulitissima, con locali molto spaziosi e colorati; su un grande mural spicca una frase di José Martin “Los ninos son la esperanza del mundo”.
Allontanandoci dal centro e attraversando le vie ordinate di Bayamo ci rendiamo conto della cura e dell’amore della popolazione e delle istituzioni per la loro piccola città; vorremmo dedicare più tempo alla conoscenza di questa comunità, ma il viaggio riprende…
Piano piano le vaste distese pianeggianti coltivate a canna da zucchero e bananeti si movimentano in colline dove il verde diventa sempre più intenso e si trasforma in paesaggi sempre diversi…Ma la stanchezza è tanta, e a poco a poco le voci si spengono all’interno dell’autobus e, fra gli accoglienti sedili, cala il silenzio e il sonno.
Quando mi sveglio lo scenario è ancora cambiato: stiamo appena uscendo dalle rigogliose foreste pluviali della Sierra Maestra, costituite da palme, felci arboree, bromelie, piante di ebano e mogano e stiamo pian piano discendendo i suoi rilievi.
Poi d’un tratto, su una collina davanti a noi, ecco stagliarsi il profilo imponente dell’Iglesia de la Caridad del Cobre, il santuario più venerato del paese.
La costruzione simmetrica è dominata da tre campanili, due piccoli sui lati e uno più grande al centro, sormontati da cupole rosse; la basilica deve il suo nome al vicino paese di El Cobre, annidato in uno scrigno di montagne verdeggianti che, a sua volta, è così chiamato per la vasta miniera di rame a cielo aperto situata nelle vicinanze. Nel 1608 tre giovani del paese di El Cobre, che erano andati a pesca nel Mar dei Caraibi, sul punto di naufragare, trovarono una statuetta di legno, che galleggiava su una tavola, su cui era scritto “Io sono la Vergine della carità”. La statuetta, adottata da un eremo di El Cobre, divenne oggetto di culto e di venerazione, grazie alle virtù miracolose ad essa attribuite; nel 1916 la Virgen de la Caridad venne proclamata santa patrona di Cuba.
Le navate della basilica sono spoglie, la luce filtra attraverso i vetri colorati delle finestre; molti sacerdoti provenienti da paesi lontani sono in preghiera di fronte all’altare riccamente ornato.
Nella parte posteriore del santuario, al piano superiore, si trova l’altare della vergine, in marmo di Carrara, sul quale è posta la reliquia: una vergine meticcia con Gesù bambino in braccio, incoronata di oro e diamanti. Durante la messa la statua della Madonna viene fatta ruotare, rendendola visibile nella parte centrale dell’altare all’interno della basilica.
Sempre nella parte posteriore, al pianterreno, si trova la Capilla de los milagros, ornata di ex voto di ogni sorta: fotografie, trofei sportivi, medaglie olimpiche, strumenti musicali, insegne militari, figurine metalliche raffiguranti le parti del corpo miracolate dalla vergine…
Uscendo dal santuario riusciamo a fatica a sottrarci all’attenzione dei numerosi venditori ambulanti di statuette della vergine sotto vetro; e ci ritroviamo così a riflettere se sia giusto o meno elargire doni a chiunque li chieda, favorendo così l’accattonaggio “turistico”. Spesso, infatti, è meglio un gentile “no tiengo nada” e un sorriso, piuttosto che un obolo che potrebbe assecondare e incoraggiare gente a non lavorare e a vivere di questi espedienti.
Ma l’aiuto, più che da un’offerta data distrattamente per levarsi di torno i questuanti, spesso può arrivare in altro modo: chiedendo, ascoltando, cercando di capire la realtà di un popolo che resta a noi ancora sconosciuto per molti aspetti.
Dopo una ventina di Km siamo finalmente a Santiago e scendiamo all’avveniristico hotel Melìa Santiago de Cuba, dalla terrazza del quale si gode un ampio panorama della città.
La sera restiamo in albergo: due passi di danza in un locale interno all’hotel, qualche cuba libre o mojitos e poi a letto! ● Venerdì 11 luglio Santiago de Cuba, la perla dell’Oriente, è la città più “caraibica” di Cuba nei colori, nel clima e nella varietà della popolazione. Si affaccia sulla baia omonima, aperta sul mar dei Caraibi ed è circondata dalla Sierra Maestra. Le vie strette della parte più antica salgono e scendono le colline, che costituiscono i contrafforti meridionali della Sierra e rappresentano una delle particolarità cittadine insieme alle case basse, ai colori dei muri, ai balconi. Siamo nella regione da cui partì la rivoluzione cubana e qui, più che altrove, si nota il maggiore consenso per il governo castrista; un primo assaggio è proprio di fronte al nostro hotel: una collinetta con il piccolo “Bosco degli Eroi”,un bianco monumento dedicato ad Ernesto-Ramon e Tania-Tamara, e ad altri 13 rivoluzionari uccisi in Bolivia nel 1967.
“Santiago, rebelde ahier, hospitalaria hoy, heroica siempre!”: così, da un cartellone propagandistico, Fidèl ci presenta la città in Plaza de la Revoluciòn. Da qui partiamo stamane per la nostra visita a Santiago; la piazza, che è una sorta di porta d’accesso alla parte moderna e residenziale della città, la cui architettura risente dell’influenza sovietica, è dominata dall’imponente monumento equestre ad Antonio Maceo.
La statua del leggendario “Titano di bronzo” si staglia, con i suoi 16 metri d’altezza, sulla sommità di una scalinata in marmo verde, accanto ad una foresta di 23 enormi e stilizzati machete d’acciaio, che rievocano la frase di questo amato eroe cubano: “la libertad no se mendiga, se conquista con el filo del machete”.
Quindi ci rechiamo alla caserma Moncada, celebre teatro del fallito colpo di mano di Fidèl Castro, il 26 luglio 1953, che fu l’innesco, se pur a scoppio ritardato, della rivoluzione cubana.
Il Cuartel Moncada è una grande costruzione appena restaurata, di color giallo ocra e bianco, con il tetto merlato, che porta ancora sui muri i fori dei proiettili esplosi durante l’attacco; sul tetto della facciata principale un grande numero “26” ricorda la data dell’assalto, che fu adottata da Castro come nome del suo gruppo, il Movimento 26 luglio appunto (Movimiento 26 Julio o M26-7). La caserma ospita il Museo Historico 26 de Julio che però, oggi, sfortunatamente è chiuso per restauro; delusi, ma ormai non più di tanto in quanto questa della chiusura è un’eventualità che abbiamo sperimentato molto frequentemente nell’isola, ripartiamo e ci accontentiamo di osservare con più attenzione ciò che incontriamo lungo le vie di Santiago e scattare alcune foto. Ed ecco un moderno asilo-nido con spazio esterno attrezzato con computer giocattolo per i piccoli, un cavallo che approfitta di una sosta per brucare l’erba fra le rotaie del Ferrocarrìl, le biciclette che, spesso senza freni, sfrecciano giù dalle ripide discese delle stradine laterali, i numerosi mezzi di trasporto fortunosamente adattati per il servizio pubblico: la scritta “uso particular”è dipinta sulla motrice di camion azzurri che trasportano le persone sul cassone, o assai peggio, su specie di carri -bestiame chiusi da lamiere sicuramente arroventate dal calore del sole che lasciano pochissimo spazio alla circolazione dell’aria.
Il nostro gruppo invece, che può godere dell’aria condizionata del moderno autobus di costruzione cinese, si lamenta per l’afa e accetta con piacere una sosta in uno spaccio di fronte la più antica distilleria di rum di Cuba, luogo di produzione del Bacardi, che, per problemi di marchio, viene ora venduto con l’ etichetta “Havana Club”. Qui ci aspettano alcuni assaggi di autentico Ron cubano, e noi cerchiamo di capire le differenze fra il Caney blanco, da usare per gli aperitivi, quello dorato, invecchiato 10 anni, e l’ambrato e prezioso Matusalem, vecchio di 15 anni.
Ci dirigiamo ora verso il cuore di Santiago, il Parque Carlos Manuel Céspedes, un’ampia piazza alberata con aiuole e panchine in ferro battuto, delimitanti vasti spazi pavimentati con mattonelle rosse e grigie.
Sul lato sud della piazza, al di là del piccolo monumento a Céspedes, si erge la maestosa e simmetrica Catedral de Nostra Senora de la Asuncion: tra i due campanili gemelli un imponente angelo annunziante, ritto sul portale centrale, sembra vigilare sulla vita della piazza.
Anche noi assistiamo allo spettacolo del viavai dei passanti dalla splendida terrazza dell’hotel coloniale Casa Granda, alla destra della Cattedrale. Il Parque Cespedes è molto frequentato da un’umanità molto varia: il trovador solitario che si accompagna con la chitarra e la vecchietta vestita completamente di rosso (fiori sul cappello compresi), con in bocca un grosso sigaro, che cercano in qualche modo di sbarcare il lunario; le persone anziane che prendono il fresco seduti sulle panchine e i complessini che inondano la piazza di musica, le infermiere a passeggio nella loro elegante uniforme… Tutto ciò fa sì che la gente del posto ci trasmetta un senso di vitalità, serenità, di orgoglio al di là delle difficoltà quotidiane.
“…Sotto questo sole che dissolve disperde impasta crea, i sangui e le epidermidi si confondono come danze e canzoni…” Chiude la piazza sul lato nord l’Ayuntamiento, il Municipio, un candido edificio dalle imposte blu, dal cui balcone centrale (dove ora campeggia la scritta “Por siempre Santiago en 26”, fra due bandiere cubane), il 1° gennaio 1959 Fidel Castro pronunciò il discorso della vittoria della Rivoluzione. Puntiamo ora verso est, lungo la vivacissima Calle Heredia ed entriamo nella famosissima Casa de la Trova, il tempio della trova tradicional cubana; a quest’ora il locale è abbastanza tranquillo e, mentre ci informiamo per lo spettacolo della sera, diamo un’occhiata ai ritratti dei più famosi trovadores che si sono avvicendati sul palco del locale: sulle pareti, attraverso le immagini dei suoi più grandi interpreti, viene raccontata la storia della musica santiaguera. La musica scorre a fiumi in questa via e si confonde con i richiami dei venditori ambulanti: l’atmosfera è davvero festosa e coinvolgente.
Ma la sorpresa più bella la offre un pittoresco negozietto all’angolo di Calle Pio Rosado, una piccola bottega con le pareti completamente ricoperte da libri rari e usati, articoli di giornale, biglietti da visita, banconote, foto di personaggi famosi, immagini sacre… C’è addirittura un gallo nero impagliato! Un cordiale signore con i baffi ci fa curiosare nel locale ed io non resisto alla tentazione di acquistare un’autentica banconota da 10 pesos del periodo della rivoluzione, con la concisa firma dell’allora presidente del Banco Nacional de Cuba:… “che”.
Prendiamo poi giù per calle Enramada, una delle vie più trafficate e affollate della città, sotto una fitta e intricata ragnatela di fili elettrici. Ed è proprio guardando con la testa all’insù l’intrico dei cavi, che ci accorgiamo di un raro fenomeno atmosferico, il parhelion: un doppio arcobaleno circolare appare infatti ora nel cielo, forse a causa dell’eccessiva presenza di umidità nell’aria. Questo fenomeno di solito si genera quando, in particolari condizioni, la luce attraversa cristalli di ghiaccio presenti nell’alta atmosfera. Rispetto al comune arcobaleno l’ordine dei colori è invertito: il rosso, che di solito si trova all’esterno, è invece all’interno. Continuiamo a percorrere la calle, l’afa è quasi insopportabile, ci sembra di camminare avvolti in una bolla di acqua calda; eppure, all’ombra dei portici dei negozi, c’è chi continua ad offrire ai passanti, tenendole in equilibrio sul palmo della mano, impossibili torte stracolme di panna e creme colorate.
Arriviamo poi in una piazza dove sorgono il Palacio del Gobierno Provincial e, di fronte, l´immacolato Museo Municipal Emilio Bacardi, all’interno del quale è conservata la raccolta d’arte del plurimiliardario produttore di rum, così come gli oggetti di famiglia ed esotici souvenir dei suoi numerosi viaggi. Pochi passi e poi finalmente una pausa nell’ombrosa Plaza de Dolores, sempre affollatissima; donne e uomini, giovani e anziani occupano tutti i posti disponibili delle panchine all’ombra di grandi acacie (sembra che la piazza sia il punto d’incontro dei gay cubani), mentre suonatori solitari o sestetti di trovadores intonano ritmate canzoni cubane.
All’angolo l’Iglesia de Nuestra Señora de los Dolores che, dopo un incendio nel 1970, è stata ricostruita come sala da concerto (Sala de Conciertos Dolores). Ci dirigiamo in autobus verso il Castello di San Pedro de la Roca, più noto come Castillo del Morro, imponente fortezza, dichiarata dall’Unesco Patrimonio dell´Umanita´, che venne progettata da Giovan Battista Antonelli e costruita nella prima metà del ‘600 come baluardo contro le scorrerie dei pirati. Il progetto di Antonelli venne adattato alle scogliere che portano dal promontorio (il morro che dà il nome al castello) fino alla baia. I rifornimenti venivano consegnati via mare, e quindi riposti in grandi magazzini scavati direttamente nella roccia, o trasportati al livello superiore che ospitava la cittadella. La fortezza ci accoglie dall’alto di una collina prospiciente il mare; ai lati della strada lastricata che porta al castello cannoni del ‘700, in bronzo cesellato, ci danno il benvenuto. Un profondo fossato circonda la massiccia e imponente costruzione; attraversiamo la passerella che ci conduce all’interno; visitiamo stanze molto ben conservate con volte a botte e pavimenti originali in listoni di legno, ora utilizzate come sale-museo per raccolte di armi d’epoca: fucili, cannoni, pistole di pirati, bucanieri e corsari…Le finestre, schermate dalle tipiche balaustre ritorte di colore blu, hanno profondi davanzali che sottolineano l’enorme spessore delle mura in pietra; su uno di questi davanzali due custodi del castello stanno consumando un piccolo pasto e ci invitano a sperimentare il fresco che si gode dal “balcone della regina”. Su questo ballatoio un alternarsi di correnti d’aria rendono davvero piacevole la sosta, resa ancora più ristoratrice e gratificante dalla spettacolare vista del salto della scogliera sottostante e dal panorama sulla baia, tanto bello da togliere il fiato.
Ci attardiamo per un po’ in questo luogo, anche per osservare due grosse iguane che ci fanno compagnia, senza mostrare alcuna diffidenza nei nostri confronti.
Scendiamo di un livello (la fortezza è su tre piani ) e percorriamo l’interno labirintico su e giù per scale e lunghi camminatoi, visitando altre stanze e altri luoghi interessanti: una sala con una ripida rampa per trasportare palle di cannone alle bocche di fuoco, una vasta piazza d’armi, con cisterna per l’approvvigionamento dell’acqua, nella quale numerosi cannoni sono puntati verso il mare aperto o verso la baia di Santiago, una cappella ben conservata…Tutto testimonia la magnificenza della struttura architettonica del Morro.
E’ ora di pranzo e ci dirigiamo verso il vicino ristorante (un quadro alla parete ricorda che si fermò qui anche Paul Mc Cartney, e conserva il piatto e le posate usate dal bassista dei Beatles): la vista è splendida, ma il caldo è atroce.
Ritornando a Santiago ci aspetta la visita alla Casa di Diego Velasquez de Cuellar, il fondatore della città. La grande costruzione in pietra, caratterizzata dalle balconate e dalle grate in legno scuro, chiude ad ovest il Parque Cespedes; costruita intorno al 1520, è la casa più antica di Cuba ed è oggi sede del Museo de Ambiente Cubano.
Iniziamo la visita dal piano superiore, dove una bellissima balconata riparata da grate di legno nero, si affaccia sul patio interno, assolato e abbagliante, al centro del quale è posta un’elegante fontana in pietra, un pozzo e un tinajion per la raccolta dell’acqua piovana.
Dalle finestre e dai balconi della casa si offre alla nostra vista il Parque Cespedes in tutta la sua vastità.
Iniziamo a visitare le diverse stanze, nelle quali si possono ammirare mobili, soffitti intarsiati di legno pregiato in stile moresco, collezioni di ceramiche, cristalli, elementi decorativi, quadri e arredamenti utilizzati dal Cinquecento fino all’Ottocento.
Al pian terreno ammiriamo anche una tipica cucina di epoca coloniale, con stoviglie originali e un mobile dentro il quale veniva filtrata e rinfrescata l’acqua., stanze da letto con autentici preziosi copriletti d’epoca… Un’ultima stanza interessante è quella in cui veniva fatto fondere l’oro, che, viste le dimensioni della fornace, doveva essere in quantità davvero notevole.
Ritorniamo in hotel e, dopo cena, ci ritroviamo alla Casa de la Trova, uno dei locali più suggestivi della città e un paradiso per gli appassionati di musica cubana. Le espressioni musicali nell’isola sono molte e vanno dalle più antiche matrici africane alle contaminazioni più recenti, passando per l’ago della bilancia che è il son, con i suoi incastri ritmici perfetti.
La Casa della Trova è un luogo semplice, senza fronzoli, ma molto accogliente. Ci sistemiamo attorno ad alcuni tavoli in una grande sala con un palco che ha sullo sfondo una gigantografia di Calle Heredia; il salone si riempie presto di gente… ed è subito musica, e che musica! Si esibisce sul palco stasera il complesso Los Jubilados (i pensionati), nome che ben rappresenta l’età media dei bravissimi trovadores: il cantante ha circa novanta anni! E’ difficile rendere a parole la particolare atmosfera che si respira in questo luogo; i cuba libre si susseguono uno dopo l’altro, la musica sembra penetrare nel corpo non solo attraverso il senso dell’udito: ti avvolge col fumo dei sigari, con l’aroma e il calore del rum, con i colori dei cantanti e le movenze dei ballerini, con il caldo della sala e la frescura che, dalla strada, sfiora a tratti la pelle.
E tutti insieme ci ritroviamo in questo vortice, avvinti da un legame impalpabile fatto di note e ritmi ricorrenti.
Le performances canore dei suonatori fanno a gara con le evoluzioni e i virtuosismi dei ballerini: non conta l’età, ma il talento e la passione “…Ascolto la città di notte annega nelle canzoni canzoni nella terra,la pietra, la foglia canzoni nella terra la pietra la foglia come il calore vibrante ……… canzoni, polpa di frutti buccia nocciolo di frutti canzoni, odore di fiori canzoni, la Spagna, l’Arabia, l’Africa canzoni negli occhi delle donne sui loro fianchi canzoni, la mani calde degli uomini canzoni, i piedi, la vita, le spalle, le danze…” Così sperimentiamo el calor, la felicità frenetica e intensa del son cubano; poi subentra la stanchezza, che prende il sopravvento sul nostro desiderio di far parte per una sera di questo mondo, di condividere una stessa visione della vita, forse più scarna e povera, ma anche più dignitosa e vera.
Sui cuscini della nostra stanza troviamo anche stasera un fiore, lasciato da qualcuno per far capire che una piccola mancia sarebbe gradita, ma con delicatezza, senza insistenze. La dignità, ancora una volta. Penso alla musica che ho ascoltato, alle mani che si sono strette, agli abbracci, ai sorrisi bellissimi che abbiamo ricevuto in regalo: l’alma de cuba si sarà lasciata sfiorare stasera? Sabato 12 luglio Ed eccoci arrivati all’ultimo nostro giorno sull’isola. Dobbiamo oggi accompagnare i nostri compagni di viaggio a Playa Pesquero, sulla costa settentrionale, dove (beati loro!) trascorreranno un’altra settimana, godendosi il mare di Cuba.
Passando per l’ultima volta da Plaza de la Revoluciòn, ci allontaniamo da Santiago…Il viaggio è lungo e, guardando dai finestrini dell’autobus, osservo già con nostalgia quanto mi circonda…E le immagini che rimangono impresse nella memoria della mia fotocamera si adeguano stranamente al mio stato d’animo.
Dopo tre ore circa arriviamo al resort di Playa Pesquero; qui salutiamo Yvonne che ci ha guidato in questa settimana alla scoperta del suo paese e del suo popolo.
Non possiamo certo pretendere di aver capito in questi pochi giorni i veri sentimenti di questa popolazione; Yvonne ci ha parlato della fatica di tirare avanti, della delusione dopo il periodo special, dell’amore per gli ideali, ma anche della discrepanza fra questi e la realtà, degli umori ambivalenti per il governo castrista …Ci ha fatto capire però che la dignità dei cubani è spesso pari al loro grado di bisogno: arrangiarsi sì, questuare mai, o quasi, sembra essere la regola cui essi si attengono nel loro vivere quotidiano.
Prima di ripartire per Holguin, dove ci aspetta il volo per l’Italia, mi dirigo verso la spiaggia e il mare, cercando in pochi minuti di assorbire quanto più possibile di questo splendido ambiente naturale e di accomiatarmi nel modo migliore sia dal gruppo di amici che ha condiviso con me e Mauro questo viaggio, sia da questo paese che ci ha regalato esperienze e sensazioni uniche. Cuba querida…Volveremos…