Cuba in automobile, esperienza formativa

Cuba 24 novembre 2007 – 02 dicembre 2007 A quasi due mesi dal ritorno da Cuba, ci sembra doveroso, visto il contributo dato da turistipercaso alla pianificazione del nostro viaggio, raccontarvi la nostra esperienza, iniziata il 24/11/07 e terminata il 2 dicembre. Eccovi il racconto, scritto a 4 mani, preceduto da un brevissimo prologo. Sebbene...
Scritto da: Siculo_alessio
cuba in automobile, esperienza formativa
Partenza il: 24/11/2007
Ritorno il: 02/12/2007
Viaggiatori: in coppia
Spesa: 1000 €
Cuba 24 novembre 2007 – 02 dicembre 2007 A quasi due mesi dal ritorno da Cuba, ci sembra doveroso, visto il contributo dato da turistipercaso alla pianificazione del nostro viaggio, raccontarvi la nostra esperienza, iniziata il 24/11/07 e terminata il 2 dicembre. Eccovi il racconto, scritto a 4 mani, preceduto da un brevissimo prologo.

Sebbene io preferisca organizzare i miei viaggi in maniera del tutto autonoma, prenotando ed acquistando tutto il necessario via internet, per visitare un paese dell’America Latina credo sia opportuno avere un punto di riferimento sul posto, visto che si tratta di un continente che può riservare qualche spiacevole sorpresa sul piano della sicurezza, oltre a essere dall’altro lato del globo. E, considerando che né io né la mia dolce metà nonché compagna di viaggio, Lauretta, conosciamo nessuno nell’isola “linda”, abbiamo deciso di affidarci ad un tour operator. In verità, il viaggio, quindi itinerario, mete, tempi e condizioni, è stato da noi pianificato nei dettagli. Di conseguenza, il tour operator si sarebbe dovuto occupare semplicemente di effettuare le prenotazioni e affiancarci un’assistente locale. Dopo alcuni preventivi, abbiamo optato per la New Taurus, scelta che si sarebbe rivelata azzeccata.

Partenza: sabato Sabato 24 novembre, alle 13.15, ci presentiamo all’aeroporto Malpensa. Ritirati i voucher ed effettuato uno snervante check-in, ci dirigiamo all’imbarco. Il volo, effettuato dalla Livinston, decollato con un’ora di ritardo, è stato decisamente piacevole. La cena, servita alle 18, per essere su un aeromobile, è stata soddisfacente. Alle 22 è stato servito un panino con salumi vari accompagnato da una bevanda. In ogni caso, gli assistenti di volo passavano in continuazione, anche per offrirci semplicemente da bere. Dopo 12 ore di volo, due film, diverse passeggiate nei corridoi dell’aereo e uno scalo tecnico nella parte orientale dell’isola, siamo finalmente atterrati all’Havana. All’interno dell’aerostazione, ad attenderci, troviamo un’hostess con un cartello che riporta il mio nome storpiato e, rigorosamente in spagnolo, ci dice di seguirla in sala vip. Passata la dogana, molto straniti e diffidenti, sia per le truffe e i raggiri di cui avevamo letto nelle testimonianze su questo sito, sia perché tutti gli altri passeggeri del nostro aereo si dirigono ai nastri per ritirare i bagagli, seguiamo la donna all’interno di una sala arredata da grossi divani in pelle nera, qualche pianta ed un bancone da bar. L’hostess ci dice (e non vi dico la fatica per capirlo) che i bagagli ci verranno consegnati in quella sala (solo a noi!!) e che, per questo servizio, è necessario il nostro ticket, rilasciato al check-in, nonché il nostro passaporto. Bene, increduli per la nostra ingenuità, dopo appena dieci minuti dall’atterraggio, ci ritroviamo senza bagagli e, soprattutto, senza passaporto, pronti a chiamare l’ambasciata per farci rimpatriare quanto prima. Ci viene offerto da bere. Noi, ovviamente, chiediamo acqua. Fortunatamente, dopo una ventina di interminabili minuti, si presentano, nell’ordine, un facchino con i passaporti e i nostri bagagli (due grossi borsoni, per agevolare un viaggio “dinamico”) e la nostra assistente cubana, Lupe. Questa ci chiede se abbiamo gradito l’accoglienza che ci ha riservato. Io cerco di non saltarle alla gola per lo spavento che ci aveva fatto prendere. In fondo, comunque, aveva organizzato il tutto per accoglierci nel migliore dei modi.

Ci spiega che l’hotel da noi prenotato nella città di Trinidad ci è stato cambiato (comunque conoscevamo anche l’hotel sostitutivo) e, per farsi perdonare lo scarso preavviso, ci verrà offerta una cena all’hotel National della capitale, seguita da uno spettacolo di varietà. Dopo averci accompagnati al cambio (meglio all’aeroporto perché negli alberghi si paga la commissione), prendiamo il nostro transfer verso l’hotel “Armadores de Santander”. L’albergo si trova a due passi dal centro storico e si affaccia sul porto della città. Siamo decisamente stanchi e andiamo subito a letto. Domenica: L’Havana Alle 6 del mattino vengo svegliato dal simpatico jet leg ed io, simpaticamente, sveglio Laura. Con la luce del giorno ho modo di ammirare le acque del porto dell’Havana che, come nel resto del mondo, non sono proprio cristalline. La nostra camera pecca in pulizia ma, come capiremo più tardi, i cubani hanno un concetto di igiene diverso dal nostro. Alle 8 in punto, ci presentiamo al ristorante per consumare la colazione prevista dalla formula B&B da noi scelta. La colazione è abbondante, ma la qualità non è eccelsa. Inoltre, i camerieri, parlano esclusivamente lo spagnolo, ma con gesti ed un italiano spagnoleggiante ci facciamo capire. Alle 10, puntuale come una svizzera, giunge Lupe nella hall dell’albergo. Ci fornisce il voucher del nuovo albergo di Trinidad, che avremmo raggiunto il martedì. Nel frattempo, ci raggiunge un incaricato della Cubacar con la nostra auto a nolo. Paghiamo 200 cuc (pesos convertibili, utilizzati dai turisti, equivalenti a 28 pesos cubani) di cauzione, che ci verranno restituiti alla consegna dell’automobile, e diamo 70 cuc a Lupe per l’assicurazione (10 cuc/gorno). Inoltre, ci viene assicurato che, sebbene la macchina sarà consegnata all’aeroporto, non pagheremo un solo pesos (a Cuba, differentemente che in Italia, se l’automobile viene consegnata in un luogo diverso da quello in cui viene noleggiata, c’è un contributo da pagare).

Dopo esserci lamentati con Lupe per via dell’acqua fredda con la quale abbiamo fatto la doccia ed avere controllato meticolosamente la Hundai Atos che ci era stata consegnata e che abbiamo lasciato nel parcheggio riservato ai clienti dell’Armadores, cominciamo il nostro tour a piedi per l’Havana. Dopo un breve tragitto sul lungomare, raggiungiamo Plaza de Armas, una splendida piazza coloniale dominata da edifici perfettamente restaurati ed un giardino rigoglioso. Numerosi i cubani che cercano di racimolare qualche spiccio. Qualcuno ci affianca, munito di maracas, intonando una canzoncina tipica cubana, qualche donna in abito tradizionale si offre per una foto, in molti si propongono per un giro in carrozza. Noi, imperterriti, sfoderiamo un “no, gracias” proseguendo la nostra passeggiata. In ogni caso, basta far capire che abbiamo già cantato/acquistato/visitato che loro, con l’onnipresente sorriso, ti salutano augurandoti “Buena sorte”. Insomma, a dispetto di quanto avevamo letto, nessuno si è mostrato particolarmente fastidioso. A poche centinaia di metri da Plaza de Armas, si apre Plaza della Cattedral, che si sviluppa attorno la bellissima Cattedrale di San Cristobal. Purtroppo, nonostante fosse domenica, la Cattedrale è chiusa. Da una traversa adiacente la chiesa, giungiamo alla Bodeguita del Medio, famoso locale in cui Ernest Heminguey consumava il suo mojto. Alle 11 del mattino, non ce la siamo sentiti di seguire il suo esempio. Saremmo tornati nel pomeriggio. Sia alla BdM che in tutti i locali del centro storico, vi sono gruppi di musicisti cubani che suonano la musica tradizionale dell’isola. Bella, orgogliosa, “rivoluzionaria”. Una vera colonna sonora del nostro viaggio, nonché della vita sul posto. Da qui, raggiungiamo Plaza San Francisco, dopo avere assistito ad uno spettacolo di ballerini sui trampoli in plaza de Armas. Quindi, dopo avere regalato qualche penna, arriviamo in Plaza Veja. La luce è accecante, la temperatura è sicuramente sopra i 30 gradi con una percentuale molto alta di umidità. Non oso immaginare cosa possa significare fare lo stesso percorso nei mesi di luglio o agosto. Vista l’ora, decidiamo di mangiare qualcosa. Nonostante la zona abbondi di ristorantini, decidiamo di pranzare in un paladar, una casa privata dove è possibile pranzare con pochi cuc, oltre che potere scambiare due chiacchiere con gente del posto, cercando di conoscere il punto di vista dei cubani sulla vita nell’isola. Abbiamo l’indirizzo di un paladar consigliatoci da due amici durante un briefing prepartenza. Ci addentriamo nelle strade che, dal centro storico patrocino dell’Unesco, portano verso il Capitolio. E qui scopriamo l’altra faccia dell’Havana. Una faccia povera, fatiscente, misera. Rassegnata. Le case cadono a pezzi, i bimbi sono scalzi, le strade sono puntellate da piccoli stagni di acqua putrida. Uno scenario decisamente desolante. Non ci sentiamo sicuri, così decidiamo di abbandonare l’idea del paladar e ci dirigiamo verso il Capitolio, una riproduzione della Casa Bianca che ospita il Ministero della Scienza. Quindi, torniamo in Plaza de Armas dove pranziamo in uno dei diversi ristoranti che ne affollano il lato ovest. Controlliamo i prezzi e ci rendiamo conto che sono tutti uguali. Ovvio, i ristoranti sono tutti dello stato, così come gli alberghi. Quindi, non esiste la concorrenza. Con poco più di dieci euro, consumiamo un pasto completo, direi soddisfacente. Durante il pranzo, notiamo un simpatico anziano che, vestito come un nobile fazendero, sulle note della musica suonata nel locale all’aperto, improvvisa un ballo. E non lo fa per i passanti,ma semplicemente perchè lo diverte, credo. Pagato il conto ci dirigiamo verso la Bodeguita dove prendiamo il secondo mojto della giornata. I muri del locale sono stracolmi di foto di gente famosa che ha visitato il posto. Tutti con il cartello BdM in mano. Laura prende l’iniziativa ed anche noi ci immortaliamo, con la nostra fotocamera, reggendo il famoso cartello. Mi sa che la nostra foto non finirà su quei muri. Pazienza. Uscendo dalla Bodeguita, un uomo mi propone rum…No gracias…Sigari…No gracias…Chicas…Ops, no gracias. A questo punto, torniamo in hotel per doccia e un riposino tardo pomeridiano. La sera prendiamo un taxi e raggiungiamo la Forteleza, un vecchio forte spagnolo, dove viene ripetuta la cerimonia di chiusura del porto che, diversi secoli or sono, veniva fatta per impedire l’accesso alla città ai pirati. La cerimonia, chiamata Cannonaso, ci costa 6 pesos (sempre convertibili, non pagheremo mai con pesos cubani), ma ne vale la pena. Uscendo dalla forteleza, dopo avere rifiutato il servizio di un taxi dalla regolarità dubbia, ne abbiamo condiviso uno (in regola, ovviamente) con una coppia di Barcellona. Il risultato è stato che abbiamo cenato insieme a loro e trascorso una delle serate più divertenti di tutto il nostro viaggio. Al Cafè Paris, infatti, abbiamo mangiato, bevuto più di due mojto a testa e, qualcuno, ha anche ballato. Foto ricordo e via verso il letto.

Lunedì:Ll’Havana Dopo la colazione, comincia il secondo giorno nella capitale. Oggi, nei nostri programmi, è la giornata della cultura. Laura ha qualche difficoltà data dalla quantità di mojto bevuti il giorno prima. Prima tappa: visita alla Cattedral de San Cristobal. Il caldo è veramente asfissiante e ci intratteniamo all’interno della chiesa per goderne il fresco. Quindi, con un cocotaxy, simpatico mezzo di trasporto costruito su un treruote motorizzato, raggiungiamo il Museo della Rivoluzione. Paghiamo 3 pesos il cocotaxi e 5 pesos l’ingresso al museo. Questo racconta tutta la storia di Cuba, in particolare della Rivoluzione cubana. Ci sono documenti originali di proclamazione della Repubblica Socialista, della riforma agraria e altri importanti momenti rivoluzionari, in condizioni ottime. Molto interessante. Sono assorto nella lettura di tutto quello che si trova dentro teche, mentre Laura, ancora in condizioni precarie, è impegnata a provare tutte le sedie del museo. All’esterno del museo, è allestito un parco con i mezzi bellici e di trasporto utilizzati da Fidel Castro e compagni. Tra questi, il mitico Gramna, lo yacth con il quale i rivoluzionari sbarcarono nel sud dell’isola. Usciti dal museo, attraverso il paseo del Prado, raggiungiamo il malecon, il lungomare avanero. Ci accomodiamo in un bar e mangiamo un panino. Quindi, percorrendo il malecon, entriamo in una Tienda, negozio statale, ed acquistiamo alcune confezioni di sigari Guantanamera. Un euro il sigaro. Ne avremmo dovuti acquistare molti di più. Altro giro in Plaza San Francisco e via a prepararsi per la serata al National. In albergo troviamo una sorpresa. La nostra Lupe, per rimediare al problema dell’acqua fredda, che comunque si era risolto, ci ha cambiato albergo. La chiamiamo al cellulare e le diciamo che per noi è meglio restare all’Armadores. Ovviamente, nessun problema. Saliti in camera, dopo alcuni minuti, un cameriere ci porta una bottiglia di rum invecchiato per ringraziarci della preferenza. Io e Laura ci guardiamo stupiti, divertiti e soddisfatti. Verso le 18.30, presa la macchina, ci dirigiamo verso Plaza della Rivolucion, dove si trova il Ministero dell’Industria con l’effige luminosa del Chè. Purtroppo nella piazza non è semplice parcheggiare e ci dobbiamo accontentare di qualche foto in movimento. Dopo avere rischiato di perderci, raggiungiamo il mare e, da qui, il National. Consumiamo la nostra cena al buffet, seguita da uno spettacolo stile “Moulin Rouge” di Parigi. Finito lo spettacolo, già tra le braccia di Morfeo, ci dirigiamo vero l’Hotel. Durante la notte, il tonno che avevo mangiato a cena, si ripresenta per reclamare la sua libertà. Il risultato è stato un’intossicazione alimentare, febbre alta ed un viaggio di almeno 6 ore alle porte, con la particolarità che, per le condizioni di noleggio, avrei dovuto guidare esclusivamente io. Sicuramente una situazione tutt’altro che rosea.

Martedì: trasferimento Havana-Cienfuegos-Trinidad Quindi, dopo una cena che avrebbe riservato qualche sorpresa e un cabaret a tratti soporifero, ci dirigiamo, seguendo il Malecon, in albergo. Il programma di domani, infatti è piuttosto impegnativo, ed è bene affrontarlo riposati… Una parola! Alessio mi sveglia nel cuore della notte accusando dolori addominali, mmmhh… Che sarà??? No! il tonno di ieri sera… Maledetto! Bianco come un cencio e piuttosto sudato, Alessio passa più o meno indenne il resto della nottata, per ritrovarsi, il mattino dopo, ancora più bianco e sudato.

Liberatosi del tonno (vi risparmiamo i dettagli…), facciamo i bagagli e ci ritroviamo nella hall dell’albergo, per lasciare la stanza.

Qui il personale è disponibilissimo e in un linguaggio italo-sicilian-spagnolo-gestuale riesco a farmi spiegare la strada per lasciare Havana e dirigerci verso l’autopista, diretti a Trinidad.

Alessio è a pezzi, mi aspetta fiducioso seduto nella hall. Io torno, armata di una sana incoscienza, diverse cartine scarabocchiate e la testa zeppa di “primera carrettera… Linea ferro carriglio… Pregunta, pregunta!!!!!” e carichiamo la macchina.

Uscire da Havana si rivela piuttosto semplice, era sufficiente seguire il porto, attraversare un paio di volte i binari, “preguntare” e… Il gioco è fatto, l’autopista si presenta ai nostri occhi… Grande… Piatta… Desolatissima! Alessio sta sempre peggio, ma deve guidare, e il fatto che l’Autopista sia così dritta e grande ci incoraggia non poco. Peccato che dopo 2 ore e mezzo di Autopista dritta e grande, e sempre uguale, il mio buonumore gelosamente difeso fino a quel momento cominci un po’ a vacillare! Descrizione autopista: strada piuttosto larga, malamente asfaltata, con varie buche che rendono il tragitto più… Vario, niente segnaletica, né orizzontale, né verticale, quasi mai gli svincoli segnalano la città a cui conducono, gli unici cartelli che vediamo sono dell’onnipresente e retoricissima propaganda che inneggia alla Revolucion (contro cosa non ci è molto chiaro…). Decine e decine di autostoppisti ai lati della strada, soprattutto in prossimità di centri abitati e sotto i pochissimi cavalcavia presenti (il caldo è opprimente e un po’ d’ombra è vista come un grande regalo), che cercano di farsi dare un passaggio mostrando delle banconote che per noi non valgono che pochi centesimi. Oltre a questi, molte altre persone, ai lati della strada (e in alcuni casi anche al centro…), cercano di venderci: sigari, formaggi (con 40°!!!!), trecce d’aglio (ma a cosa dovrebbe servire ai turisti l’aglio?!?) e altri oggetti non meglio identificati. Non mancano bimbi che giocano con le biciclette, carretti, gente che va a piedi e, naturalmente, auto ferme ai lati della strada perché hanno bucato o hanno problemi vari al motore… Ci credo, in confronto a quelle, tenute su col fil di ferro, la nostra Atos senza ammortizzatori ci sembra una specie di Limousine! La cosa più interessante che si mostra ai nostri occhi? Degli uccelli, immagino avvoltoi, che mangiano carcasse di animali morti… Incoraggiante! A parte tutto ciò, la natura intorno a noi è strepitosa, palme, alberi, piante di vario tipo, laghetti… Dopo circa 350 kilometri di Autopista riusciamo a capire quale sia lo svincolo per Aguada de Pesajeros, la cittadina in cui dobbiamo uscire per prendere la Carrettiera Principal. Lasciamo, felicissimi di cambiare scenario, l’Autopista e ci ritroviamo… Su una Autopista in miniatura, stretta, con l’asfalto peggiore, fango ai lati, con vista su qualche catapecchia che con nostro stupore capiamo abitata.

Desolati, e con Alessio che sta sempre peggio, cerchiamo di dirigerci verso Cienfuegos. Non è semplice, incontriamo vari paesini… Abreu… Ariza… “preguntiamo” varie volte, fino a quando una signora molto gentile, finito di indicarci la strada, non ci chiede un passaggio. Un po’ stupiti sebbene sapessimo che lì è una pratica normale, ci consultiamo brevemente tra noi e poi accettiamo di accoglierla a bordo. Oltre a condurci tranquillamente nel paesino successivo, dove sarebbe scesa, la signora risponde gentilmente alle nostre domande su come si viva a Cuba. Ci racconta che la gente è felice, che amano molto Fidel, ma non la moglie (ma non capiamo il perché) e si premura di dirci, con orgoglio, che lì sanità e istruzione sono gratuite. Capiremo solo in seguito che questo è l’argomento forte dei cubani nella difesa del proprio amato Fidel. La signora, alla quale ci dimentichiamo di chiedere il nome, trascorre con noi solo circa 20-30 minuti, scende infatti al paesino successivo. Il tragitto fino a Cienfuegos lo affrontiamo quindi da soli, con Alessio che è ormai provato dalle molte ore di guida. A Cienfuegos, dove avremmo tanto voluto visitare la città, il Castello, consumare un pranzetto in riva al mare, invece, visto che Alessio sta male, ci fermiamo solo al Rapido, una specie di McDonald’s cubano, per comprare due bottiglie d’acqua e una “pizza de queso” per me, Alessio giura che mai più mangerà in vita sua… Il ricordo del tonno è ancora troppo fresco. Se solo lo fosse stato il tonno… Fresco! Usciti da Cienfuegos, con il fastidio di aver dovuto rinunciare a una tappa interessante, proviamo a dirigerci verso Trinidad, ma l’impresa si presenta ardua. Decidiamo di fermarci a “preguntare” in una stazione coupè-cimex, uno dei due (l’altro si chiama “Oro Negro”) distributori di benzina cubani, e lì il benzinaio, gentilissimo, dopo averci indicato la strada, ci chiede… Un passaggio. Siamo piuttosto titubanti e timorosi, adesso è un uomo di circa 30 anni che vuole salire in macchina con noi. Che facciamo? Lui capisce la nostra perplessità e per rincuorarci ci mostra la sua carta d’identità: vive a Trinidad, ha finito il turno e non sa come tornare a casa. Chiaramente lo facciamo salire in auto! L’ora e mezza che ci separa da Trinidad si rivela la più bella e interessante di tutto il viaggio. Ernesto (!), il nostro compagno di viaggio, è un uomo interessante, molto simpatico e intelligente. È felice di conversare con noi, ci racconta volentieri della vita cubana, di quanto sia buono Fidel, della sanità e dell’istruzione pubblica (pure lui…), degli aiuti dello stato in caso di danni provocati dagli uragani, della polizia, della proprietà privata (inesistente), dei doppi e tripli lavori che i cubani fanno per arrivare a fine mese, dei mezzi di trasporto di fortuna, dei salari minimi, delle elezioni. Il mio spagnolo è decisamente migliorato, riesco a parlare con lui e a capirlo. È una esperienza bellissima, che ci permette di comprendere molte cose dell’isola meravigliosa e poverissima che ci ospita.

Arrivati a Trinidad, Ernesto ci indica la strada per raggiungere il nostro albergo, sulla penisola di Ancon, e ci saluta. Abbiamo dimenticato di farci una foto insieme! Che peccato…

Arrivati in hotel, dopo un breve attimo di smarrimento in cui in reception affermavano di non avere alcuna prenotazione a nostro nome, ci consegnano le chiavi della nostra stanza. L’albergo è un casermone, ricostruito dopo il passaggio dell’uragano Denny. La stanza è piuttosto brutta, ma la vista sul mar dei carabi è incantevole. Alessio è distrutto, pallido, stanchissimo. Io decido di scendere in spiaggia per immergermi, finalmente, in un mare cristallino, ma Alessio non vuole restare solo. Rinuncio al mare e opto per una visione del tramonto dal terrazzo. Piove! Ammiro il tramonto da dietro la finestra e cerco di capire come aiutare il malatino che, intanto, mi rendo conto, ha anche la febbre alta. Ho a mia/sua disposizione: Tachipirina, garze, cerotti, foille per gli insetti, Normix, actigrip, aspirina. Nel dubbio opto per l’antibiotico e, non si sa mai, anche una tachipirina, che ne so, magari ha l’influenza. Distrutto dalla giornata estenuante e, temo, dal mio cocktail di farmaci, Alessio crolla in un sonno profondo, io… Pure.

A cena scendo al ristorante dell’hotel, dove “approfitto” del mio all inclusive alcolico mangiando esclusivamente verdura cotta (non si sa mai) e acqua e scegliendo per Alessio del riso in bianco (che a Cuba non manca mai) e del pane. Ale, ovviamente, non mangia nulla. La notte passa tranquilla, l’indomani, sebbene Alessio non stia ancora benissimo, decidiamo di scendere a fare colazione. Mercoledì: Trinidad A colazione, al tavolo ci abborda un cameriere, chiedendoci se, per caso, non abbiamo in stanza una… Maglietta del Milan! Dice che è un tifoso, che vorrebbe tanto una magliettina, ma non possiamo aiutarlo. Dopo colazione attraversiamo la penisola di Ancon per andare a visitare Trinidad, che è semplicemente incantevole. Veniamo accolti da un posteggiatore “ufficiale” fornito di cartello (capiremo poi che è una cosa abbastanza diffusa), che ci invita a parcheggiare nel posteggio ufficiale (una piazzetta) e ci dà anche il suo biglietto da visita.

Lasciata la gloriosa Atos cominciamo a passeggiare per le stradine di questa cittadina interamente patrimonio Unesco. Le strade non sono asfaltate, ma con un acciottolato piuttosto carino da vedere, sebbene un po’ scomodo (rischio storta sempre in agguato), le facciate dei palazzi sono coloratissime, verdi, azzurre, gialle, un vero colpo d’occhio, la musica, come ad Havana, è onnipresente, esce dalle case, dai localini, è un vero sottofondo della nostra passeggiata. Girovagando senza una meta precisa arriviamo a Plaza Major, la più importante di Trinidad, circondata da alcune palazzine nobiliari e dal Duomo, tutti in rigoroso stile coloniale, ha al centro una struttura in metallo bianco, con panchine che accolgono i visitatori. Ancora abbagliati dalla luce intensissima e dall’incredibile e affascinante contrasto cromatico che ci circonda, veniamo praticamente attorniati da donne, bambini, vecchiette che ci chiedono chi sapone, chi magliette, chi scarpe, pantaloncini, profumi, trucchi… Fortuna che eravamo attrezzati! Cominciamo a distribuire le magliette, le penne e i saponi che ci eravamo portati dall’Italia e presto ci rendiamo conto che tutti vogliono darci qualcosa in cambio! Alleggeriti dalle magliette ci ritroviamo con una borsetta di stoffa, delle collanine di semi, una moneta e una banconota del Che, poca roba, ma significativa della grande dignità di questa popolazione. Non chiedono l’elemosina, chiedono per necessità, ma vogliono sempre farci qualche regalo. Poco dopo, in una stradina zeppa di bancarelle, diamo sfogo alla nostra… Mia, voglia di shopping! Le cose da acquistare, come souvenir, non sono moltissime, ci propongono sempre collanine, maracas, macchinine di ceramica, piccoli prodotti di artigianato locale. Compriamo un po’ di tutto e spesso, più che soldi, ci chiedono le magliette e le penne rimasteci. Che ci vogliamo fare? Il paese è piccolo, la gente mormora… E tutti sanno che abbiamo nel nostro zaino tanti oggetti per loro utilissimi. La nostra mattinata a Trinidad scorre, così, serena, tra bancarelle, musica e sorrisi che allargano il cuore. Sfiancati dal caldo, ci fermiamo in un bar a bere un cocktail tipico locale, la Canchanchara. Buonissimo, ma bevo solo io… Alessio non sta ancora molto bene. Ritorno in hotel, per pranzo, abbiamo pur sempre un all inclusive! Dopo pranzo decido di scendere in spiaggia. Lo potrò pur fare questo sospirato tuffo nel mar dei caraibi? No, piove! Provo a immergermi lo stesso, ma la temperatura è scesa, fa freddo, e di malati ne basta uno, rinuncio. Del mar dei caraibi mi resteranno solo delle bellissime foto e il ricordo di un po’ d’acqua sui piedi… Pazienza.

Optiamo per una gita alla vicinissima Valle de Los Ingenios. Usciamo da Ancon e dopo avere “preguntato”, prendiamo la strada per Sancti Spiritus, che si trova in direzione opposta a Cienfuegos. Appena usciti da Trinidad, vediamo alla nostra sinistra l’indicazione per il Mirador e decidiamo di fare una sosta. Ne vale la pena! Il mirador si affaccia sull’intera vallata, uno spettacolo incredibilmente bello, con le grandissime piantagioni di canna da zucchero ai nostri piedi. Dobbiamo fare presto, qui il sole va via velocemente! Ripresa la strada per Sancti Spiritus, dopo circa 15 minuti, vediamo alla nostra sinistra la Manaca Iznaga, un’antica torre dalla quale i “dirigenti” dello zuccherificio controllavano il lavoro degli schiavi nella piantagione. Andiamo a visitarla! Ci accoglie all’ingresso un signore gentilissimo, dal bellissimo sorriso, parcheggiamo anche qui nel “parcheo official”, dove il parcheggiatore ci mostra il suo cartello che attesta il suo ruolo di impiegato statale. Pagato un peso saliamo su per la scaletta che si trova al centro della torre. Il vento è piuttosto forte, e la torre piuttosto alta, così fa un po’ freddino… Che bello! Anche qui il panorama è incantevole e ci attardiamo un po’ ad osservare da tutti i punti di vista. Ridiscesi, diamo un’occhiata alle bancarelle di artigianato locale. Vorrei comprare una tovaglia da tavola, ma non ho soldi con me, propongo un baratto (ho ancora alcune magliette nello zaino), ma effettivamente la tovaglia richiede diverso lavoro e la signora preferisce tenerla per venderla in seguito. Decido quindi di regalarle tutte le magliettine e anche le penne e i saponi che ho con me, ma anche qui, nonostante sia evidente la situazione di grande povertà in cui versano queste persone, nessuno accetta senza darmi qualcosa in cambio! Mi ritrovo quindi attorniata da donne, ragazze e bimbi che mi regalano chi delle maracas, chi delle collanine, chi un pezzo di stoffa ricamato a mano. Sono confusa da tanta dignità e affettuosità. Diamo loro tutto quello che abbiamo e riserviamo solo una maglietta da uomo per darla al signore gentilissimo che ci aveva accolto all’ingresso. Stupito e felicissimo per il regalo, ci ringrazia donandoci un sorriso di quelli che solo i cubani sanno fare.

Andiamo via, vorremmo passare da Trinidad, ma fa sempre più buio e siamo un po’ intimoriti all’idea di bucare una ruota o di avere qualche altro problema con l’auto, quindi decidiamo di tornare in hotel. Cena, squallidissimo spettacolino di cabaret e poi a dormire, domani si viaggia!

Giovedì: Trinidad-Santa Clara-Varadero Giovedì mattina, alla buon’ora, la luce invade la nostra stanza. Ci alziamo e ci prepariamo al secondo grande trasferimento di questo viaggio. Dobbiamo tornare nella parte occidentale, destinazione Varadero. Il nostro programma, infatti, prevede quasi un paio di giorni dedicati esclusivamente al relax, tra spiagge bianche e acque cristalline. Preparati i bagagli, scendiamo al ristorante per consumare la nostra ultima colazione all’Ancon. Io rimango fedele alla prudenza e consumo l’ennesima colazione triste (pane bianco tostato), mentre l’odore forte della tortilla di queso che ha preso Laura (una frittata di formaggio, per intenderci), sebbene la mia colazione in genere non preveda queste pietanze, stuzzica non poco il mio appetito. Comunque, finita la colazione e recuperati i bagagli, chiediamo alla reception quale sia la strada più conveniente per raggiungere Varadero passando da Santa Clara. Il nostro itinerario, studiato meticolosamente su Google Earth, prevedeva il passaggio da Santi Spiritus, con visita veloce della città. Ma il nostro compagno di viaggio, Ernesto, prima di arrivare a Trinidad, ci ha consigliato di percorrere la strada che passa dalle montagne, visto che Sancti Spiritus, a suo dire, non ha bellezze particolari e la strada che l’attraversa, in direzione S.Clara, è decisamente la più lunga. Alla reception troviamo una persona che parla un fluente italiano e ci consiglia di non prendere in considerazione la strada che passa dalle montagne in quanto tortuosa e per niente semplice. Quindi, torniamo al programma originario e partiamo alla volta di Sancti Spiritus. Percorriamo la stessa strada che il giorno prima ci ha condotto alla torre Iznaga. Attraversiamo la valle de los Ingenios. Ma, ancora una volta, delle centinaia di mulini che, secondo le guide, caratterizzano le vecchie piantagioni di zucchero, non troviamo nemmeno l’ombra. Dopo poco meno di un’ora di cammino, immersi in una splendida giornata dell’autunno cubano, che per noi è estate, tanto è vero che non possiamo permetterci di viaggiare senza climatizzazione, arriviamo a Sancti Spiritus. Nuovamente, per imboccare la strada che ci porterà all’autopista, preguntiamo un paio di volte. Ad un poliziotto in attesa dell’autobus e ad un gruppo di ragazzi in pulitissima uniforme da collegio. Un paio di questi ci chiedono un passaggio. Dopo una rapida consultazione, decidiamo di prenderli a bordo. Durante il breve tragitto, riusciamo a carpire un punto di vista della vita in Cuba diverso rispetto a quelli ascoltati sino a quel momento. Il più grande dei due, circa 26 anni, è il più loquace. Entrambi frequentano l’università di Sancti Spiritus. La facoltà di medicina, per essere precisi. Abbiamo due aspiranti medici cubani in macchina. Il ventiseienne è un papà e ci mostra orgoglioso la foto del proprio niňo. È separato. Ci spiega che Cuba, come gli altri paesi del mondo, ha tanti pregi, ma anche tanti problemi (finalmente!!). Ancora una volta, sentiamo dire con orgoglio che il sistema sanitario e dell’istruzione, a Cuba, sono gratuiti. Ci viene spiegato che Cuba non è un paese particolarmente pericoloso e che, tutto sommato, si vive bene. Anche loro, due persone decisamente istruite, tessono le lodi di Fidel. Ogni anno si tengono le elezioni, secondo quanto capiamo, e ogni anno il lider Maximo riceve la fiducia del proprio popolo. Poco prima dell’imbocco dell’autopista, che ci guiderà a Santa Clara, i due studenti ci salutano. Sull’autopista lo scenario è lo stesso che avevamo osservato nel viaggio verso Trinidad. Ma stavolta mi sento decisamente meglio. Quindi, il girone Dantesco che ricordavo sembra essere meno terribile. Dopo un paio di ore di tragitto, cominciamo a controllare le cartine che abbiamo al seguito. Presto dovremmo vedere l’uscita per la città simbolo del Chè. Sono circa le 13, abbiamo incontrato diversi cartelli, ma niente che indicasse Santa Clara. Solo inni alla rivoluzione e indicazioni di aziende agricole. Il dubbio diventa certezza. Abbiamo superato la città. Decidiamo di preguntare, ancora una volta. Vediamo, sulla carreggiata che va in direzione opposta, l’ennesima macchina con cofano aperto e problemi al motore. Faccio inversione ad U (in autostrada!!), una manovra che in Italia mi sarebbe costata multa, ritiro della patente ed esilio da tutte le strade asfaltate. Il proprietario dell’automobile ci dice che abbiamo superato Santa Clara da circa 70 km!! A quel punto, io sono deciso a puntare dritto verso Varadero e rinunciare alla visita del museo del Che. Se una cosa del genere l’avessi detta in Italia, prima della partenza, sarei andato spontaneamente da uno psichiatra. Io, che vado in giro con una foto del Che nel portafoglio, che sono a Cuba, ma decido di non vedere il luogo simbolo di Ernesto Guevara. Ma chiunque abbia visto e percorso l’autopista può capire un ripensamento del genere. La possibilità di ritrovarmi per strada con l’oscurità della sera mi getta decisamente nel panico. Laura, invece, è convinta che non possiamo farci intimidire ed eliminare un’altra delle tappe che avevamo programmato, dopo Cienfuegos e S.Spiritus. A quel punto, nonostante avessi voglia di proseguire da solo per Varadero, lasciando Laura in compagnia degli autostoppisti, ingrano la prima e parto a tutta velocità verso Santa Clara. Dopo quasi un’ora di cammino, raggiungiamo la città e quindi Piazza della Rivoluzione. Immensa, imponente, dominata da una statua gigante del Che. Dopo le foto di rito, decidiamo di strafare e visitare sia il museo che il mausoleo. Molto interessante il primo, da vedere. Molto suggestivo il secondo, dove il Che riposa insieme a diversi compagni di tante battaglie, con una fiamma che perennemente arde, dando al luogo maggiore solennità, se è possibile. Insomma, ne è valsa decisamente la pena. Ma non possiamo fermarci oltre e, alle 15 in punto, cominciamo la seconda parte del tragitto. Destinazione Varadero. Cartine alla mano, decidiamo di raggiungere la nostra metà passando da Aguey, Perìco e Cardenas. Le tre cittadine si raggiungono uscendo dall’autopista, che riprenderemo per un breve tratto prima di raggiungere la penisola di Varadero. Ovviamente, la strada attraversa numerosi villaggi che le cartine sconoscono. Preguntiamo non so quante volte. Ci imbattiamo in una sorta di fiera con le giostre, che ci viene presentata come il Carnival. Siamo costretti a deviare attraversando delle stradine di un villaggio veramente fatiscente, un incubo. Lasciato lo stesso, dopo alcuni km e un paio di pregunte, ci ritroviamo in una strada di campagna sempre dritta, completamente deserta, senza avere la minima idea della nostra posizione, senza possibilità di chiedere informazioni, con il sole, alla nostra sinistra, che sembrava impegnato in una gara olimpica come nostro concorrente. A quel punto mi faccio prendere dal panico, mentre Laura, che aveva insistito per andare a Santa Clara (cosa di cui ora la ringrazio) non apre bocca. Già immagino di tornare indietro e chiedere ospitalità in una delle case cadenti che caratterizzavano il villaggio del Carnival. Quando, inaspettatamente, seduto su una sedia a dondolo sotto il portico di una casa immersa nel verde, un uomo a torso nudo. Freno di colpo, ingrano la retromarcia e lo raggiungo. “La prego, mi dica dove cavolo siamo finiti e, soprattutto, dove dobbiamo andare per raggiungere Perìco”. Ovviamente in spagnolo (capirai). L’uomo, gentilissimo come tutti, ci dice che quella è la strada giusta e che dobbiamo proseguire sempre dritto. Laura recupera la favella ed io riprendo a respirare. Attraversiamo Perìco, raggiungiamo Cardigans e, da lì, l’autopista per Varadero. Ovviamente, senza domandare, anche con centinaia di cartine, saremo ancora nella provincia di Sancti Spiritus. La temuta oscurità, ormai, ci ha avvolti. Alle 18.30, dopo 8 ore di cammino quasi ininterrotto, superiamo il ponte che immette alla penisola di Varadero e, dopo pochi minuti, raggiungiamo l’albergo Tropical.

La stanza che ci viene consegnata è decisamente orrenda. I muri sono in cemento grezzo e popolati da alcuni ragni, è arredata con mobili non proprio nuovi. Ma la cosa peggiore è che si affaccia sull’unica strada che attraversa Varadero. Il traffico di taxi, macchine turistiche e rumorosissimi autobus cubani è molto intenso. Verso le 20, andiamo al ristorante per la cena. Con molta cautela, riprendo a mangiare normalmente. Io e Lauretta prendiamo degli spaghetti che definirei alla marinara, cucinati da un cuoco che parla italiano e che prova anche a cucinare “in italiano”. Sebbene gli spaghetti non siano cucinati al momento, ma recuperati già cotti da un contenitore e messi a rosolare in una padella, il pasto non è male. Dopo la cena, ci accomodiamo a bordo piscina, prendiamo un Cuba Libre a testa, e fumiamo uno dei sigari acquistati nella capitale. In verità, nessuno dei due gradisce i sigari, ma siamo a Cuba, quindi… Provati dal viaggio estenuante e da un’animazione decisamente scadente, decidiamo di ritirarci nella nostra camera. Io mi addormenterò velocemente, mentre Laura trascorrerà la notte in bianco, a causa del rumore dei mezzi che sembrano transitare proprio accanto il letto. Fortunatamente, porto sempre dietro dei tappi per le orecchie. La stanchezza ha fatto il resto. Venerdì: Varadero Al mio risveglio, trovo Laura che mi guarda con gli occhi spalancati, isterica, pronta a battagliare alla reception per avere un’altra stanza, in una posizione meno terribile. Tra l’altro, l’odore dello smog automobilistico, ormai, ha pervaso la stanza. Ci prepariamo velocemente e ci dirigiamo verso la reception. Quindi, in inglese, Lauretta esprime il desiderio di un’altra camera. La signora dietro il desk non fa la minima obiezione e ci consegna un’altra chiave. Facciamo il “trasloco”, ma non prima di avere consumato la nostra colazione. La nuova stanza è decisamente migliore. Quanto meno si affaccia sull’interno dell’Hotel, molto bello e caratterizzato da diverse palme, dominato al centro da una piscina. Recuperiamo l’occorrente per andare in spiaggia e cominciamo la ricerca di un ufficio del turismo. Infatti, abbiamo intenzione di fare l’escursione in catamarano della quale abbiamo sentito molto parlare. Il desk del turismo è vuoto, ma, proprio nella spiaggia dinnanzi l’hotel, c’è un’agenzia che offre il servizio. Così, alle 10.15, siamo pronti per la nostra gita, alla modica cifra di 8 pesos a testa. Lo skipper che ci accompagna si chiama Ariel (lo scopriremo il giorno seguente), è un uomo bassino con la pelle bruciata dal sole. Il cielo è azzurro, con qualche nuvole che raramente fa capolino davanti il sole. Raggiunto il largo, Ariel getta l’ancora e cominciamo il nostro bagno nell’oceano Atlantico. L’acqua è decisamente pulita e, già dal catamarano, notiamo numerosi pesci. Ariel comincia a gettare in acqua delle molliche di pane, per attirarli attorno l’imbarcazione. Comincia a gettare il pane nelle mie vicinanze. Ed ecco che sono subito circondato da una miriade di pesci tropicali, di colore giallo e blu. Inizialmente sono intimorito e indietreggio. Ma, non appena mi è chiaro che sono del tutto innocui, mi fiondo all’interno d’improvvisati cerchi creati dai pesci, mentre Laura è impegnata a immortalare tutto con la sua fotocamera. È un’esperienza davvero unica. Quindi do il cambio alla mia metà e, mentre lei si gode la compagnia acquatica, io le faccio il servizio foto-filmografico. Quindi, torniamo tutti sul catamarano e ci avviamo verso la riva. Anche ad Ariel facciamo le domande ormai consuete sulla vita nell’Isla Linda. E, più o meno, ci dice quello che ormai sappiamo, aggiungendo, però, una diffidenza nei confronti degli statunitensi. “Non si permettono a venire qui nonostante Miami sia a sole poche miglia”, ci risponde alla domanda sulla presenza di turisti USA. Tornati a riva e ringraziato il nostro skipper, contentissimo per la mancia di un peso, andiamo a sdraiarci sulle sedie dell’hotel, in riva al mare. Quindi, ci dirigiamo a bordo piscina dove consumiamo un pranzo nel quale ci servono, tra l’altro, maiale arrosto a fette, formaggio vario, sandwich con un pezzo di formaggio e una tavoletta dolce, che non so cosa sia, e una noce di cocco con cannuccia, piena di latte per dissetarci. Dopo pranzo andiamo a riposarci in camera e, poi, nuovamente in spiaggia per goderci un pomeriggio di meritato riposo. In serata, dopo la cena a buffet, prendiamo l’ennesima squisita piňa colada, già pronta e servita fredda, da un frullatore, e ci accomodiamo di fronte il palco, dove l’animazione ha preparato un quiz game sulla storia di Cuba. Figuriamoci, dopo tutti i libri che abbiamo letto e la visita-studio al museo della rivoluzione, la vittoria non ce la toglie nessuno. E infatti, dopo 5 risposte esatte ed un balletto-penitenza di Laura sul palco, per averne data una sbagliata, ci viene consegnato il premio. Una bottiglia di rum invecchiato. Tirando le somme, abbiamo due bottiglie di rum senza avere speso un centesimo. Non male. Dopo il “lavoro” diamo spazio allo svago. Presa la nostra auto, raggiungiamo un luogo che ci ha consigliato in mattinata Ariel. Qui non c’è traccia di cubani, solo turisti che bevono e ballano. La musica, però, è rigorosamente live e decisamente gradevole. Improvvisiamo qualche passo di danza e, dopo circa un’ora, facciamo ritorno al nostro hotel. Ormai siamo quasi agli sgoccioli.

Sabato: Varadero-Matanzas-L’Havana La mattina del sabato, visto che l’aereo decollerà all’1 di notte, decidamo di fare un’altra capatina in spiaggia. Ultime foto e poi via verso una rigenerante doccia. Quindi, preparati i bagagli, andiamo al ristorante per l’ultimo pranzo a Cuba e poi, studiato l’itinerario, partiamo alla volta della capitale. Durante il tragitto, ammiriamo degli scorci affascinanti. La luce è, come sempre, accecante. Non prendiamo l’autopista, ma decidiamo di seguire la costa fino all’Havana, che raggiungiamo dopo circa un’ora e mezzo di cammino. La cintura esterna della città è molto ampia e ci impieghiamo mezz’ora a raggiungere le vicinanze del porto. Da qui, arriviamo al Capitolio e, come se fossi un esperto conoscitore delle strade avanere, porto la nostra macchina sin davanti l’Armadores, il primo hotel che ci ha ospitato. Recuperate le numerose magliette rimaste, ci avviamo verso il museo del Ron. Paghiamo la visita e partiamo per il nostro tour, accompagnati da un ragazzo che parla un ottimo italiano e ci spiega sia la storia che la lavorazione del nettare cubano. Il museo è molto bello, con delle fedeli riproduzioni dei macchinari utilizzati nelle fabbriche dell’Havana Club, prodotto esclusivamente a Cuba. C’è anche un modellino abbastanza grande di un antico zuccherificio, dove gli schiavi raccoglievano e lavoravano la canna da zucchero. Dopo il museo, facciamo l’ultimo giro dell’Havana Veja, attraversando le quattro piazze principali (Cattedral, De Arma, S. Francisco e Veja) e fermandoci nell’ultima per gustare l’ultimo mojto. Sono decisamente stanco mentre Laura, già in preda alla nostalgia per un posto che forse non rivedremo, scatta foto a dei bambini impegnati nei giochi di una volta, senza tecnologia, cellulari e quant’altro. Regalate tutte le magliette e tornati alla macchina, ci dirigiamo verso l’aeroporto. Attraversiamo il malecon e imbocchiamo l’arteria che porta a Palza della Rivolucion. Qui, incrociamo un cartello che ci indica l’aeroporto Josè Marti, che raggiungiamo facilmente. Riconsegnata l’autovettura e rientrati in possesso della cauzione, entriamo ad attendere il nostro volo. E, sorpresa, anche all’interno dell’aeroporto internazionale, ci sono un paio di gruppi che suonano la musica cubana. Musica che ci accompagna, praticamente, sin dentro l’aeromobile. Il viaggio di ritorno è stato terribile per via delle continue turbolenze, ma dopo 9 ore di volo, siamo atterrati a Malpensa.

A questo punto, ci sembra utile illustrare alcune deduzioni che questo viaggio ci ha concesso e che, speriamo, possano essere utili per chi si appresta a raggiungere Cuba, o per chi ci sta facendo un pensierino: – i raggiri e le truffe di cui abbiamo letto svariate volte in questo sito mettono addosso più paura di quanto sia necessario. Questo non significa che non siano in agguato. Ma con un po’ di prudenza e rifiutando tutte le offerte, a centinaia, che soprattutto all’Havana vengono fatte, la vacanza dovrebbe trascorrere senza particolari problemi, come è successo a noi.

– affittare la macchina può sembrare una scelta azzardata, sia per la fatica della guida nel percorrere delle distanze significative, sia per le strade veramente disastrose. Ma è l’unico modo per vedere degli scorci che, uno spostamento aereo interno, non mostrerebbe. – noleggiate la macchina soltanto dal giorno in cui decidete di spostarvi da una città ad un’altra. Noi, all’Havana, ne avremmo sicuramente fatto a meno, visto che non l’abbiamo quasi utilizzata. Meglio muoversi in cocotaxi, simpatico e molto conveniente. Chiedete al tour operator di organizzarvi il transfer da/per l’aeroporto o, al limite, prendete un taxi.

-per i vostri spostamenti, programmate delle partenze nella prima mattinata, per essere sicuri di non viaggiare con l’oscurità – dare passaggi a cubani è una pratica più che normale. Con un po’ di prudenza, è l’unico modo per conoscere quello che i cubani pensano della vita nella loro splendida isola.

– magliette, saponette e penne possono essere usate tranquillamente come merce di scambio. A Trinidad, addirittura, venivano preferite al denaro. Quindi, non sentitevi degli approfittatori se pagate in roba che voi non utilizzate più. Ovviamente, non negoziate più di tanto sul prezzo dei souvenir che acquisterete. È gente veramente povera, che prende delle percentuali misere sul venduto (a Trinidad ci hanno detto attorno il 2%) – entrati in una delle Tiendas della capitale, fate una buona scorta di sigari. Sono di fattura ottima e ad un prezzo non eccessivo. Uno dei peggiori rimpianti rimastimi, sono relativi all’esigua quantità di sigari che ho acquistato.

– non rinunciate alla gita in catamarano, è un’esperienza veramente bella.

– tutti i locali di ristorazione sono di proprietà dello stato, quindi, nella stessa zona, non troverete delle differenze nei prezzi, visto che non c’è concorrenza.

– se lasciate la macchina parcheggiata con i bagagli, onde evitare spiacevoli sorprese, pagate un parcheggiatore. Di solito è autorizzato, anche se ha un cartello fatto con cartone e pennarello. Ma anche se non lo è, per un peso sarà un ottimo custode. Meglio pagarlo al vostro ritorno.

– per il cambio, approfittate della Cadeca all’Aeroporto, anche se comunque non è difficile cambiare anche all’interno delle maggiori città.

Sperando di esservi stati utili e/o di avervi semplicemente allietato, vi auguriamo buon viaggio e buon divertimento a Cuba!!



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