Crociera ai caraibi 7

Non c'era una ragione particolare per partire, se non…un meritato riposo. Una ragione che ci è parsa sufficiente per prenotare addirittura una crociera ai Caraibi, dal nome promettente: "Magia delle Antille". E' così che il 6 aprile, in due coppie, siamo partiti dall'aeroporto di Verona, in direzione Pointe à Pitre, Guadalupa, ovvero sud del...
Scritto da: baby76
crociera ai caraibi 7
Partenza il: 06/04/2002
Ritorno il: 14/04/2002
Viaggiatori: in coppia
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Non c’era una ragione particolare per partire, se non…Un meritato riposo. Una ragione che ci è parsa sufficiente per prenotare addirittura una crociera ai Caraibi, dal nome promettente: “Magia delle Antille”. E’ così che il 6 aprile, in due coppie, siamo partiti dall’aeroporto di Verona, in direzione Pointe à Pitre, Guadalupa, ovvero sud del mondo, per meglio dire: caldo, finalmente! La nave che ci ospita, è meglio di un albergo a cinque stelle, sia per il servizio, davvero eccellente, sia per il cibo, inimmaginabile per quantità e qualità. Il motto dei passeggeri è, infatti: 7 chili in 7 giorni e noi non ci siamo sentiti di smentirlo.

Dopo un giorno in navigazione nel mare dei Caraibi, lunedì mattina approdiamo sull’Isola Catalina, nella Repubblica Dominicana. La spiaggia è un sogno, solo sabbia e palme, come si vede nei cataloghi di viaggio o nella pubblicità di una crema solare, che ritorna ogni anno sulle nostre tv; se non fosse per l’eccessiva presenza di turisti: siamo sbarcati in 1600 persone su un’isola di circa 10 Km quadrati, tutti distesi su una spiaggia privata di poche centinaia di metri.

Noi scegliamo di isolarci un po’ dalla massa di croceristi, per distenderci sotto una palma; ci concediamo però il lusso dello sdraio; ed anche di partecipare al buffet della nave, organizzato sulla spiaggia in una struttura in legno, ben inserita nel paesaggio. L’acqua è così trasparente e azzurra da sembrare una piscina tranquilla. Cominciamo bene… A pochi metri dall’acqua, una serie di casupole ospita diversi negozietti locali, anche se sembrano più a delle bancarelle. Infatti, si può trattare il prezzo e portare a casa dei meravigliosi quadri batik, non facili da trovare altrove.

La seconda tappa del viaggio ci porterà a Tortola, nelle isole Vergini Britanniche. Scendiamo a terra e scegliamo di gironzolare in città, anche se questa parola è davvero troppo per quest’isola. Road Town ,il centro principale,ha un soloangolo turistico, dove casette in legno tinteggiato con colori pastello, in finto stile creolo, ospitano negozietti piuttosto cari, dove di caratteristico c’è ben poco. Scegliamo quindi di andare in spiaggia sulla costa settentrionale dell’isola. Prendiamo un taxi locale che per 5 dollari a testa ci porterà a Cane Garden Bay, e per altri 5 ci riporterà indietro nel pomeriggio. La guida dei taxisti è un po’ spericolata, ma offre il vantaggio di frequenti soste per ammirare il paesaggio. La sabbia della spiaggia è bianchissima e, anche qui, ci sono solo palme, senza neanche le sedie sdraio. Il mare è mosso, siamo infatti sull’oceano Atlantico, ma è meraviglioso; in pratica ci si fa il bagno accanto ai cormorani, che si tuffano nell’acqua per procurarsi i pesci. Vicino ad un albergo, proprio sulla spiaggia, ci sono dei negozietti e delle bancarelle con manufatti locali…E non. In una di queste, per 1 dollaro, puoi farti scattare una fotografia con un berretto reggae inclusivo di finti capelli rasta, e canna in bocca (ovviamente spenta!!!). Nel pomeriggio torniamo verso la nave e gironzoliamo un po’ per le strade dissestate di Road Town. In un negozio locale, che ci ha indicato un poliziotto, compriamo dell’acqua; se la prendi dal frigo, costa 50 centesimi in più! L’indomani sosta a St. Martin, o Saint Maarten, che dir si voglia. Infatti, una parte dell’isola è francese, l’altra olandese, un raro esempio di convivenza pacifica. Approdiamo a Philipsburg, nella parte olandese, ma decidiamo di spostarci verso la spiaggia per la mattinata. Pare che Orient Bay, sulla costa est della zona francese, sia una delle più belle. Ingaggiamo quindi un taxi, sempre per cinque dollari a testa per farci portare su quella spiaggia. Quando arriviamo, ci chiediamo dove sono le palme e, subito dopo, possiamo anche chiederci dov’è finito il sole! Nel giro di pochi minuti si è scatenato un forte vento e piove. Chiediamo ad un ragazzo del posto quanto durerà il temporale che ci ha sorpreso tra i bar e gli affitta “di tutto” che affollano la striscia di sabbia; gli abitanti ci garantiscono che in mezz’ora tornerà il sole, ma ormai congelati dal vento, decidiamo dopo un’ora di cercare un taxi e abbandonare quella baia dove ci sono più sdrai e ombrelloni che a Lignano in agosto. Approfittiamo per vedere il mercato della capitale olandese, formato da centinaia di bancarelle colorate, appena girato l’angolo di Front Street, la via centrale, dove ci sono chiesette in legno colorato, accanto a case dipinte e casinò luccicanti. Riusciamo a comprare degli ottimi sigari locali e per poco non decidiamo di comprare una videocamera digitale: i prezzi dei negozi d’elettronica sono davvero ottimi qui, e anche quello del Rhum.

Mancano tre tappe alla fine del nostro viaggio, ma almeno una promette davvero bene.

Domani a S. Lucia, abbiamo infatti prenotato un’escursione organizzata; un lusso che ci siamo concessi solo qui, visti i prezzi di questi giri organizzati! Partiamo con il catamarano direttamente dal porto di Castries, ma il viaggio, seppure emozionante per il mare mosso e l’acqua che imbarchiamo, è deludente per chi sa cos’è un catamarano. Noi siamo in 150 su questa imbarcazione, seduti su sedie di plastica in fila e non c’è ombra di una vela a bordo. La prima sosta è a Marigot Bay, la baia dov’è stato girato il film “Laguna blu”. Quando ce lo hanno annunciato, si era creata una tale aspettativa tra noi turisti, che la spiaggia che ci siamo trovati davanti, non poteva non deluderci. Dello scenario del film non c’è più traccia ed è l’unico posto dove fare il bagno in mare è una sfida, anche per noi italiani. Almeno ci siamo comprati un souvenir: un cesto fatto a mano con un unico ramo di palma, strappandolo ad un prezzo di 5 dollari. Ripartiamo dopo venti minuti, più che sufficienti. Dal mare, la vista dei Pitons, due coni vulcanici ora coperti interamente di verde, è magnifica. Approdiamo nel paese di Soufrière per prendere i bus che ci porteranno a vedere S. Lucia via terra. Il villaggio, dove ci fermiamo per la sosta pranzo, ci colpisce per la sua miseria; gli abitanti vivono in catapecchie di legno grandi come una stanza sola delle nostre case, coperte da un foglio di lamiera. Il pranzo è a base di cucina creola e finalmente assaggiamo qualcosa di locale: tonno e platano (una banana dal sapore di patata), riso e fagioli, pollo arrosto e per concludere, gelato al cocco (forse non proprio caraibico). Ripartiamo con la nostra guida verso Diamond Mineral Baths, bagni termali, già scoperti dai Francesi nel 1784 e ora rimessi a nuovo. La fonte sgorga nel bel mezzo della fitta vegetazione di una foresta tropicale e per arrivare alle cascate, si può seguire il sentiero all’interno di un giardino botanico. Lì fanno mostra di sé i fiori più belli che questo clima fa crescere, alternati ad alberi di cacao. Il corso d’acqua che costeggia il sentiero ha un colore insolito: grigio verde. La guida ci spiega che questo colore caratteristico è dovuto ai sali minerali presenti nell’acqua. Dopo la foresta, viene il pezzo forte di questa escursione: una gita all’interno del cratere del vulcano della Soufrière. Non c’è che dire: a pochi metri da noi, l’acqua bolle tra nubi di vapore, mentre delle caprette brucano lì vicino. La visita si interrompe un po’ bruscamente, perché c’è quasi un’ora di strada per tornare a Castries e dobbiamo ancora fare sosta nel villaggio di pescatori di Canaries. Gli abitanti del villaggio si animano appena vedono i bus: aria di turisti e di vendite (forse!).

Nel complesso un’isola completamente diversa da quelle che abbiamo lasciato, dove il colore predominante è il verde, in tutte le sue sfumature e sono più di quelle che potremmo immaginare.

Prima di tornare a Guadalupa, domani saremo a Barbados, l’isola più orientale delle Piccole Antille. Da Bridgetown, contro i progetti fatti la mattina, prendiamo un taxi, ma questa volta ad un prezzo ragionevole: 7 dollari in quattro. La spiaggia verso cui andiamo, ce l’ha consigliata un addetto all’ufficio informazioni: Carlisle Bay. Incredibile: dopo la delusione di ieri, qui l’acqua è di nuovo trasparente e ci sono le palme e addirittura niente turisti. Siamo praticamente gli unici bianchi sulla spiaggia. Ci buttiamo subito in acqua con maschera e tubo per vedere se si riesce a trovare almeno un pesce tropicale (solo per guardarlo ovviamente!). Ed è qui, a pochi metri dalla riva, che abbiamo il nostro primo incontro con gli abitanti del mare: sono pesci azzurri, che nuotano a pelo d’acqua, o tutti neri, con delle righe gialle, che se ne stanno nascosti tra le rocce del fondo, o tutti colorati, come arlecchino (forse è il loro nome) …C’è anche una tartaruga marina (l’ho vista solo io!). Dopo una dormitina sulla sabbia bianca è ora di tornare, a piedi. Il cammino è lungo fino al porto, ma almeno, abbiamo l’occasione di vedere la città: negozi, uffici e moltissime banche, insomma una città come la intendiamo noi. Prima di risalire in nave, facciamo una sosta anche al centro commerciale di Deep Water Harbour, che per la verità ha dei prezzi prettamente turistici e quindi da evitare. Molto pittoresco il Pelican Crafts Village, un centro d’artigianato locale, ma non c’è verso di convincere gli altri a fermarsi anche qui.

Domani è l’ultimo giorno…Peccato. Si torna al punto di partenza: Guadalupa. Il giro che ci propongono (gratis) ci porta prima a Sainte Anne, a 15 km ad est di Pointe à Pitre, e poi verso una distilleria dell’entroterra, dove ci fanno assaggiare un rhum di cinque anni…Tornando verso il porto, possiamo vedere tutte le piantagioni di zucchero che costeggiano la strada da entrambi i lati e assaggiare i biscottini di manioca, irresistibili. A Morne à l’Eau, bisogna assolutamente vedere il cimitero, un piccolo villaggio a scacchi bianco-neri. Infatti, qui la tradizionale tomba è sostituita da casette, di solito a sei posti, tinteggiate di bianco e nero, che sono i colori del lutto. Una curiosità dell’isola.

Terminato il giro, armati di bagagli e regali, è ora di andare all’aeroporto per tornare a casa. La vacanza è già finita; qualcuno si è già messo i vestiti invernali, adatti al clima che ci aspetta in Italia. L’organizzazione impeccabile però, impone che anche il tempo d’attesa in sala d’aspetto non passi senza ragione. Dopo aver risolto il check in senza feriti ed esserci seduti ad aspettare l’inevitabile ritorno, è iniziato il nostro concerto d’arrivederci. Un gruppo di ragazzi con camicia caraibica (uguale a quella hawaiana) ha suonato con lo strumento nazionale delle isole: un bidone in metallo, vuoto, sul cui fondo, ogni curvatura corrisponde ad una nota. Delle ballerine intanto cercavano di coinvolgere noi spettatori in qualche passo di danza, e di far durare così, ancora un po’, questa magia dei Caraibi… Nel complesso il viaggio ci e’piaciuto davvero molto,abbiamo nuotato in un mare stupendo ,abbiamo conosciuto un po’ la cultura rasta e visto come vivono sulle varie isole ,inoltre abbiamo avuta la fortuna di alloggiare in un hotel viaggiante a 5 stelle!



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