Città imperiali deserto e Atlantico
Ci siamo sistemati all’Hotel Ibis Moussafir di Marrakech, situato accanto alla stazione ferroviaria, in una stanza tranquilla e pulita. Rinfrancati da un breve relax, eccoci in strada con passo deciso ad immergerci nella città.
Ventotto gradi di temperatura, ben ventilati da una leggera brezza.
Da Avenue Hassan II parte il nostro percorso, sui marciapiedi di un largo viale alberato per immetterci in Avenue Mohamed V, sinché, oltrepassate le mura della Medina, vediamo la Koutoubia, il minareto di 70 metri illuminato a giorno. Ci allontaniamo dal traffico disordinato e strombazzante infilandoci in una viuzza di botteghe di colori ed odori. Confusione di persone che passeggiano senza meta, che trattano acquisti, che chiacchierano senza posa.
Djemaa El Fna è la piazza principale della città, ma è molto più di una piazza, è un cuore che pulsa vitalità ed eccitazione. Gremita di bancarelle di venditori di spezie, frutta secca e spremute d’arancia, disposte a quadrilatero nel cui centro innumerevoli altre bancarelle adibite a ristorantini all’aperto. Fumo acre di cucina, di griglia e di fritto, odori di ogni sorta, vocio ininterrotto. Cerchiamo un ristorante più tradizionale, nonostante la tentazione di accomodarsi in una di quelle bancarelle tra fumi e profumi. Saliamo un tot di gradini sino a raggiungere la terrazza di “Chez Alì”, Rue Moulay Ismail. L’ingresso, tra botteghe e banco del cambio, promette ben poco, saliamo una scala a sinistra affacciandoci ad ogni piano su cortiletti e ballatoi ed eccoci sulla terrazza e sui tavolini in ferro e mosaici di piastrelline.
La cena è a buffet, nel vero senso del termine. Su di un bancone sta ogni sorta di verdure crude e cotte. Sull’altro, bracieri scaldano pentole di terracotta colme di vivande. Cibi speziati e saporiti, nient’affatto stucchevoli e pesanti allo stomaco. Ci riempiamo i piatti e ceniamo sorseggiando tè alla menta, al modico costo di 130 DH (circa 13 euro in due).
Nella piazza Djemaa El Fna la gente è sempre più numerosa e la folla assiepata attende l’inizio di uno spettacolo di acrobati. C’è una gran confusione, ma noi tranquilli dalla nostra postazione osserviamo curiosi questa piazza ch’è un tripudio di bancarelle, colori e personaggi.
20 ottobre 2003 Lunedì Colazione pantagruelica nel giardino dell’hotel, il sole è già caldo alle nove del mattino.
Ci avviamo, ritemprati e pasciuti alla conquista della Medina. Arriviamo alla piazza Djemaa El Fna nella quale l’attività degli ambulanti è già iniziata. Venditori di spremute d’arancia e frutta secca cercano di attirare la nostra attenzione, così pure i danzatori e gli incantatori di serpenti. Cerchiamo di orientarci per inoltrarci tra i souk, andando per tentativi, si fatica decisamente a capire, nonostante la nostra mappa, poiché mancano totalmente indicazioni e nomi di vie.
Ci imbattiamo in Ismail, guida abusiva, ma simpatico e cordiale, che ci accompagna chiacchierando nel dedalo di stradine della vera Medina. Piccole e fatiscenti botteghe artigianali si alternano alle porte delle dimore. Uomini, donne e bambini accovacciati davanti alla porta di casa.
Curiosiamo in un’officina dove uomini e bambini saldano ferro e lamiere per costruire lampade, proteggendosi il viso con un pezzo di stoffa. Poco più in là due ragazzi decorano a vivaci colori scansie e scaffali, mentre accanto, in un antro puzzolente e caldo, un uomo mescola il colore che bolle dentro una vasca. C’è odore di lana cotta anche nel magazzino dove le matasse multicolori sono appese ad asciugare. Prima di raggiungere la zona dei conciatori di pelli, Ismail ci procura alcuni ramoscelli di menta, che ci aiuteranno a mitigare la puzza nauseabonda. I conciatori lavorano seminudi dentro vasche di due metri per uno tracimanti liquidi melmosi e putridi dove trattano le pelli di capra, vacca e cammello. Le pelli vengono quindi liberate dalla lana, stese ad asciugare e infine levigate pezzo per pezzo per renderle morbide e pulite. Segue a questo la fase della colorazione con zafferano, henné ed altri colori naturali.
Da lì passiamo alla zona dei tessuti e dei tappeti, quindi alle spezie che ci ubriacano dei più disparati profumi. Ismail ci ospita a casa sua per un tè e per riposarci un po’, accovacciati sul divano di un piccolo “salotto”, ovvero una stanzetta senza finestre che si affaccia come le altre in un cortiletto assolato dal quale prende la luce. A Palazzo Badii ci andiamo da soli. Gli edifici in rovina ancora rappresentano la maestosità di cui hanno goduto. Sulle mura merlate hanno nidificato le cicogne, irremovibili sentinelle a guardia di quel che resta della dignità di un passato di sultani. Le Tombe Saudiane invece si sono conservate in uno stato migliore, vi troviamo i mosaici a ricordo delle fastosità passate.
21 ottobre 2003 Martedì Abbiamo affittato un’auto (già dall’Italia) e ritiriamo pertanto una Fiat Palio. Partiamo a metà mattinata in direzione Ouarzazate. Lungo la strada, dapprima pianeggiante e poi pedemontana, casupole, botteghe e spacci raccolti in piccoli centri, mentre dal ciglio si sbracciano ragazzi che vendono minerali multicolori rinvenuti tra le rocce delle montagne dell’Atlante. La Palio s’inerpica sino al Passo Tizi n’Tichka (m. 2260) mentre il cielo si rannuvola. Cambiano i colori del paesaggio, tra i monti si distinguono appena le casupole dei villaggi – kasbah – fatte di fango rossastro. Il vecchio Villaggio di Ait Benhadden, al quale facciamo tappa, è un insieme di kasbah di pisé, terra rossa argillosa mescolata a paglia, arroccato su un pendio roccioso che degrada verso un fiumiciattolo, ora asciutto. Le poche famiglie che vivono qui lavorano i campi resi fertili dal letame che i contadini trasportano nelle ceste a dorso di mulo. Dopo una ventina di chilometri eccoci a Ouarzazate, paesotto che si sviluppa lungo una strada principale, in un susseguirsi di edifici, per lo più alberghi e ristoranti costruiti in tempi di ottimismo progettuale, tempi in cui si sperava nell’arrivo di un florido turismo. Speranze alimentate dai numerosi set cinematografici che in passato hanno reso questi luoghi protagonisti di numerosi e famosi film.
A Ouarzazate prendiamo una stanza (718 DH colazione compresa) all’Hotel Kenzi Azghor, quattro stelle, in Boulevard Prince Moulay Rachid, camera ordinata e pulita con quello sfarzo arabo un po’ kitch. Ceniamo davvero bene e spendiamo poco (210 DH) al Ristorante “La Kasbah”, proprio di fronte alla kasbah Taurit.
22 ottobre 2003 Mercoledì Una buona colazione dopo una bella dormita e si parte in direzione Erfoud. Problemi da subito: la Palio infreddolita o inumidita rifiuta d’accendersi. Si ricorre alla spinta, è soltanto la prima di molte altre spinte! Appena fuori Ouarzazate ecco ulteriori sorprese, l’auto è costretta a guadare vere e proprie pozze che ci sbarrano il cammino. Ma a Skoura, quaranta chilometri dopo Ouarzazate, la strada ha ceduto nelle fondazioni sotto il peso di un torrente che l’attraversa ingrossato dalle straordinarie e abbondantissime piogge dei giorni precedenti. Una fila di automezzi è ferma in coda e in attesa che – Inshallah – qualcuno ponga rimedio. Rimaniamo lì di fronte a quest’evento cui non ha fatto fronte la natura e tanto meno l’ingegno umano. Qualche jeep e qualche camion si avventurano all’attraversamento, studiamo il da farsi e decidiamo di tentare il guado. La nostra Palio ci ha sorpreso, non ha neppure tossito e non bofonchierà neppure poi neppure quando prima di El Kelaa incontreremo altri fiumi e torrenti di fango rosso a tagliarci la strada. Dopo El Kelaa e Boumalne, seguendo la valle del Dadés i panorami sono stupendi, incorniciati dai colori delle montagne predesertiche.
L’imprevisto dei guadi ha parecchio rallentato la nostra marcia e pertanto non proseguiamo per Erfoud ma ci fermiamo a Tinerhir e cerchiamo un luogo decente per pernottare. L’Hotel Tomboctou è ciò che fa per noi. Ricavato nella kasbah dello sceicco Bassou Ou Ali, trasformata in albergo, ha stanze grandi che possono ospitare fino a cinque persone. La nostra camera non ha un numero ma un nome, Oualata, ch’è il nome di un’antica tappa carovaniera. Il prezzo è buono: 470 DH con colazione compresa.
23 ottobre 2003 Giovedì Dopo una semplice, ma buona, colazione sotto la tenda berbera del Tomboctou, ci si avvia verso Erfoud. Ma prima scegliamo di deviare a sinistra dopo Tinerhir per visitare le gole di Todra. Si sale costeggiando una vallata di palme verdeggianti. Sulla costa al di là del palmeto, agglomerati di kasbah rosse pisé ci invitano a qualche foto sotto uno splendido sole.
Arriviamo alle gole di Todra senza accorgercene e procediamo oltre, tra montagne rocciose e brulle e verdi vallate di palmeti. A Tamtatoucht ci fermiamo a chiedere informazioni ad un giovane che gestisce un “Auberge café restaurant camping Les Amis” ancora allo stato embrionale, ci offre un tè mentre ci mostra sulle sue mappe che possiamo tranquillamente proseguire perché la “pista” è buona. Decidiamo di proseguiamo oltre, arriviamo a Hait Hani, villaggio di agricoltori che vivono in kasbah fangose e fatiscenti. Frotte di ragazzini corrono a fianco dell’auto chiedendoci bombom e stylo. L’auto s’inerpica come un camoscio lungo mulattiere scoscese, sassose e fangose, le ruote slittano e si procede a 5 – 10 km/ora. In totale assenza di segnaletica, accostiamo un anziano per accertarci di essere sulla via di Agoudal, non parla francese ma biascicando in berbero ed indicandoci i suoi vestiti r le scarpe logori, sembra chiederci qualcosa. Il selciato si fa via via più impraticabile, l’auto salta tra buche e pozzanghere fangose, bofonchia e tossisce, poi si blocca. Vani i tentativi per riavviarla, scendiamo mentre inizia a piovere e giunge in direzione opposta un camion carico di merci e uomini. Dalla cabina saltan giù sette o otto uomini pronti ad aiutarci e a cofano spalancato discutono tra loro sullo stato della nostra auto. Decidono di trainarci con un cavo ed il motore fortunatamente si avvia. Ci spiegano che siamo nel letto asciutto di un fiume e che se continuerà a piovere ci troveremo davvero nei guai, ci consigliano di seguire un altro camion che sta proseguendo giusto come noi verso Agoudal. Si sale. E ancora si sale. Il percorso è impossibile e noi siamo folli, sotto la pioggia e con l’auto che si spegne ad intervalli. Dal camion che ci precede un uomo salta giù ogni volta che ci vede in difficoltà e poi risale come uno stambecco. Al Passo di Tizi Tirherhouzine (m. 2706) continua a piovere ma la mulattiera prende a scendere, attorno a noi solo nuvole e montagne. Bella pista! E intanto abbiamo messo alle nostre spalle un centinaio di chilometri da Tinerhir.
Ad Agoudal chiediamo come raggiungere Bouzmou, ci esortano a non proseguire perché numerosi torrenti hanno esondato e cancellato le piste. Ci accordiamo per una guida, il giovane Attman sarà utile comunque in caso di panne fino ad arrivare a Imilchil dove un meccanico darà un’occhiata all’auto, che ancora una volta testardamente si blocca. Ci spingono vecchi e ragazzini, a piedi nudi nel fango, ma l’auto non parte. Trattiamo il traino con un camionista ed ecco che la capricciosa riparte dopo qualche metro. Siamo nuovamente in strada, guadiamo buche e pozze fino ad Imilchil. L’officina è buia, vi piove dentro e ci fa un freddo cane. Il meccanico sistema lo starter e armeggia attorno allo spinterogeno per 50 DH e si riparte.
A Bouzmou lasciamo Attman che rientrerà a casa con mezzi di fortuna oppure a piedi. Proseguiamo per Rich. Inizia ad imbrunire e davanti a noi abbiamo 120 chilometri di tornanti, frane, guadi completamente al buio tra le montagne. Proprio il buio sarà complice alla nostra incoscienza, l’ultimo torrente che attraversiamo quasi ci trascina con sé, assieme al fango e ai sassi. Non ci siamo resi conto della forza della corrente sinché non ci siamo stati dentro. Rich ci accoglie che sono le otto ed è buio pesto. Ci sono ancora 50 chilometri per giungere a Er Rachidia e decidiamo di proseguire considerato che la strada è asfaltata benché dissestata da frane e torrenti.
Stremati, a Er Rachidia prendiamo una camera all’Hotel Kenzi Rissani, cena, pernottamento e colazione a 1215 DH, un po’ cara rispetto ai prezzi trovati sinora ma siamo così stanchi e stravolti da un’avventura di quasi 400 chilometri in tensione.
24 ottobre 2004 Venerdì Destinazione Erfoud ed escursione a Merzouga, sulle Dune del Sahara.
Prendiamo una stanza un po’ spartana all’Hotel Tafilalet, mezza pensione a 620 DH. L’albergo ha una misteriosa aria berbera, con una fontana al centro della hall. Ci hanno raccomandato una guida, al prezzo di 250 DH Alì ci accompagnerà alle Dune, da soli rischieremmo di smarrirci tra le piste del deserto. Si parte, ma nonostante la splendida giornata il sole non ha ancora asciugato gli allagamenti sulle strade. Tentiamo comunque un interminabile guado e ci rimaniamo nel mezzo, a motore ingolfato. Via le scarpe e sguazzando nell’acqua spingiamo l’auto all’asciutto. E rieccoci a cofano spalancato coi Marocchini che armeggiano attorno al motore. Tutti fermi, tutti stupiti, sono quindici anni che in Marocco non vedono un evento atmosferico di tal fatta! Il sole picchia, le mosche ci tormentano. Le jeep che provengono dalla direzione opposta ci consigliano di rinunciare, infatti più avanti troveremmo altri guadi ancor più profondi e comunque non s’arriverebbe in tempo a Merzouga per il “coucher du soleil”. Torniamo sui nostri passi, ripiegando su una visita alla Fortezza Borj Est, sulla collina oltre il fiume. Ma il ponte è sommerso dall’acqua, il torrente è tracimato impetuosamente, l’attraversamento è improponibile con qualsiasi mezzo.
E’ il tramonto e non ci rimane che sorseggiarci un tè alla menta al tavolino di un bar, confidando nell’indomani per l’escursione.
25 ottobre 2004 Sabato Sbrandati ad un’ora antelucana, sono le quattro, è buio pesto ed il cielo è un tripudio di stelle. Dopo un’ora di viaggio arriviamo alla Kasbah Mohayut, da dove si riparte a cavallo dei dromedari sino in cima ad un’altissima duna. Sono le sei e dieci del mattino. Dietro le dune, davanti a noi la macchia luminosa rossa del sole che sta sorgendo. Il cielo si schiarisce. Accovacciati sulla coperta sentiamo comunque un freddo cane. La sabbia rossa è sottile quasi impalpabile e le dune modellate dal vento sembrano crema. Siamo a 60 chilometri dal confine algerino, se ne intravedono le montagne dietro le dune.
Ecco che esce il sole. Le dune hanno cambiato colore e la sabbia splende sotto sole, la luce rossa sembra spalmarsi sul suolo. E’ silenzio, è pace, l’assenza di rumori rende il deserto ancora più vasto, un mondo del quale non si vede né inizio né fine.
Rientriamo alla kasbah a dorso di dromedario, infreddoliti dal vento che ha avuto la meglio sul sole, ci scaldiamo con l’ennesimo tè. La colazione ci aspetta sotto una tenda berbera in un bivacco nel deserto, dopo piste sassose tra dune e sabbia. Poi visitiamo un villaggio i cui abitanti di origine schiava hanno la pelle nerissima, vi gironzoliamo e mi fermo curiosa davanti ad un igloo di pietra dove una donna mi offre un pezzo del pane che sta cuocendo.
Il sole s’è fatto davvero caldo e le dune appaiono rosa e ocra. Ci fermiamo in un palmeto a curiosare tra le colture.
Rientriamo ad Erfoud all’ora di pranzo e si parte subito per Meknes, quasi 400 chilometri tra montagne brulle.
Dopo Midlet si entra nella regione del Medio Atlante, più verdeggiante e boscosa.
A Meknes prendiamo alloggio all’Hotel Ibis Moussafir. Già è nostalgia degli spazi desertici, delle montagne dell’Alto Atlante e dei piccoli villaggi.
Passeggiata e cena nella Medina, al Ristorante Zitouna, ricavato in un Riad, un cortile di un palazzetto signorile tra colonne e mosaici. Il cibo non è granché, abbiamo già mangiato altrove migliori couscous e tajine.
26 ottobre 2003 Domenica Dopo una passeggiata nella Ville Nouvelle, lungo Avenue Moulay Ismail e Avenue Bengasi, alla ricerca degli introvabili edifici Le Curbusier, entriamo nella città vecchia.
Girovaghiamo per stradine tra le botteghe e gli edifici fatiscenti del Dar El Kebira, il quartiere che corrisponde al complesso reale in rovina. Passiamo al Mausoleo di Moulay Ismail, al quale si accede solo scalzi e in rispettoso silenzio, poi nella piazza Lalla Anda, uciamo dalla porta Bab Mansour e ci ritroviamo in Place El Hedim. Da qui ci infiliamo nella Medina, visitiamo la Medersa Bou Inania, ovvero una scuola coranica piuttosto suggestiva, palazzetto decorato di mosaici, con due file di cellellte, una sull’altra, che s’affacciano in un Riad, un cortile quadrato. Saliamo sino al tetto per ammirare un panorama sui souk e sulla Grande Moschea.
Scendiamo e camminiamo nelle stradine dei Souk fino a perderci, fino a ritrovarci in piazza El Hedim. Usciamo da Bab Er Rih, una porta che dà su un lungo corridoio tra due mura, a sinistra abbiamo Sidi Amar, a destra l’area imperiale con il Palazzo Reale che non è visitabile.
Dopo questa lunghissima e stancante camminata a zonzo tra palazzi e souk, ceniamo all’Annexe Metropole, in un magnifico palazzo della Ville Nouvelle, un po’ caro (289 DH) ma la pastilla ed il Mechoui sono davvero ottimi.
27 ottobre 2003 Lunedì Oggi la nostra meta è Fes. Abbiamo scelto una guida ufficiale, ma non è affatto simpatica. Ci accompagna al Palazzo Reale, ovviamente non visitabile e nel quartiere ebraico Mellah. Dall’alto di una fortezza spagnola Fes ci appare in tutta la sua grandezza di città imperiale. Nella città vecchia entriamo nella Medersa El Attarin e giriamo tutt’attorno alla Moschea Kairaouine, alla quale i non mussulmani non possono accedere. Visitiamo il souk dei tintori e dei conciatori, il souk Nejjarin dei falegnami, nella cui piazzetta c’è una bella fontana e l’ingresso al Foudouk che ospita il museo del legno. La guida, benché ufficiale, insiste per portarci a visitare un’erboristeria, un laboratorio di tessitori, un negozio di tappeti, evidentemente perché spera nella percentuale su qualche nostro acquisto e, a fronte della nostra ritrosia, s’indispettisce e diventa ancor più antipatico. Discute pure sul prezzo già concordato di 120 DH e rifiuta di darci il resto di 150, alza la voce e s’arrabbia, ma noi abbiamo la meglio.
Torniamo a Meknes. Indubbiamente non per merito suo e delle sue indicazioni sbagliate. Un ragazzotto con lo scooter ci accompagna fino al casello, dopo averci aiutato a spingere ancora una volta l’auto, che ha perso pure il tappo del radiatore.
28 ottobre 2003 Martedì Oggi si parte per Essaouira.
Fino a Casablanca c’è un’autostrada, poi fatichiamo a beccare la statale per El Jadida, intrappolati nel traffico della periferia di Casablanca, dove la segnaletica è un po’ scadente. Da El Jadida a Safi, da Safi ad Essaouira. La zona è montuosa e non vediamo la costa. Mancano una cinquantina di chilometri alla destinazione, quando il sole sta tramontando. Il cielo assume colori indescrivibili, pennellate dorate, rosa, rosse e azzurre, è uno spettacolo.
Abbiamo percorso più di 600 chilometri, ma ne è valsa la pena. Essaourira è una tranquilla cittadina sul mare.
Ci fermeremo qualche notte dopo tanto peregrinare.
Abbiamo preso proprio una bella camera per 570 DH con la colazione a Villa Quieta, il nome è fatto su misura, è davvero un posto tranquillo questo palazzetto coloniale immerso in un giardino fiorito.
Ceniamo al Coquillage, rinomato ristorante di pesce al porto, ma non vale ciò che costa.
29 ottobre 2003 Mercoledì Svegliati dal canto degli uccelli, colazione nel tranquillo e sontuoso salone di Villa Quieta e camminata sulla spiaggia fino al porto.
Il porto di Essaouira è uno spettacolo di vitalità, ammiriamo i pescatori indaffarati a scaricare il pesce dai pescherecci, ceste colme volano da braccia a braccia per esser poi rovesciate nelle casse assieme al ghiaccio. Capannelli di uomini e donne attorniano i pescatori e trattano acquisti, gabbiani e gatti s’aggirano tra le casse. Saliamo sulle mura e il vento ci sferza la pelle mentre il sole ce la brucia. Passiamo sul bastione ad ovest della città per affacciarsi sul panorama dell’oceano che s’infrange sulla banchina e sugli isolotti. Percorriamo l’esterno della Medina sino al bastione a nord, fino al Mellah, il quartiere ebraico ora fatiscente e semivuoto. Raggiunta Bab Doukkala c’infiliamo in Avenue Mohamed Zektouni, in un susseguirsi di botteghe d’ogni genere. Proseguiamo sull’Avenue de l’Istolial e oltrepassiamo la Grande Moschea, all’altezza della Torre dell’Orologio usciamo da Bab Es Sebaa.
Siamo nuovamente in spiaggia, il sole picchia e il vento è un sollievo.
Essaouira è tranquilla, confortevole, solare, vivace ma non troppo. Sorseggiamo un tè e la nostra colonna sonora sono le onde che muoiono sulla spiaggia, lo stormire dei gabbiani, la musica araba del baretto sulla spiaggia. Il sole spalma un velo dorato sull’oceano e illumina la lingua di sabbia bianca che si stende dal porto alle rovine della fortezza, mentre le montagne la chiudono in una cornice alle spalle.
Finalmente vero relax. Ceniamo con 315 DH al Dar Loubane, un ristorantino ricavato in un cortile di un palazzo del XVIII secolo, vicino alla piazzetta della Torre dell’Orologio. Ottime la pastilla e le tajine. 30 ottobre 2003 Giovedì Andiamo sulla spiaggia verso sud, fino al Bordj El Berod, un forte in rovina e poi oltre. C’è vento ed il mare è mosso. Ci siamo noi, le dune, il vento, un pescatore lontano e qualche dromedario in tutta libertà.
Al rientro c’imbattiamo nell’alta marea che ha alzato il livello dell’Oued Ksob, un fiumiciattolo sabbioso nel quale c’impantaniamo. Rientriamo mentre il sole tramonta sul porto ed i mussulmani corrono rifocillarsi dopo una giornata di digiuno e astinenza da Ramadan.
Ceniamo al Essalam, semplicissimo ristorante economico (83 DH) dal quale usciamo che odoriamo di frittura. Il vento è calato e la luna luminosissima rende piacevole la passeggiata di rientro sul lungo mare.
31 ottobre 2003 Venerdì Oggi il vento gioca con le nuvole, che di quando in quando si lasciano sfuggire qualche goccia, l’odore del mare è forte, il rumore more delle onte è un brusio continuo, una ninna nanna per i gabbiani acquattati sulla spiaggia con la testa sotto l’ala. I serfisti cavalcano le onde spinti dal vento che soffia nei loro paracaduti colorati.
Essaouira, la città del vento, col suo fragore di onde e lo stridio dei gabbiani, è un corroborante ad ogni brama di romanticismo e di tranquillità. Il vento spazza anche i pensieri mentre la si riempie di sapore di mare e gli occhi si colmano di scorsi e panorami. Tra un tè alla menta e il profumo del pane appena cotto, qui si trova la pace, una pace dolce come quei dolcetti marocchini alla cannella così dolci ma così dolci.
1 novembre 2003 Sabato Oggi si rientra a Marrakech, dove dobbiamo consegnare l’auto, perché domani si torna in Italia.
Tornare a Marrakech dopo 2374 chilometri di strade, sterrati, piste e mulattiere, è come ritrovarsi a casa. Abbiamo fretta di reimmergerci nella caotica piazza Djiema El Fna, nella confusione dei souk. Tutto ci sembra familiare in questo andirivieni interminabile. Passeggiamo, sbocconcellando pane caldo, fino al Palazzo Reale e alla piazza delle parate Mechouar, ripercorriamo le strade verso il centro quando si avvicina il tramonto ed i mussulmani s’imbottigliano nel traffico per correre presto a casa a mangiare. Dopo il tramonto la piazza Djiema El Fna si è trasformata in un gigantesco stand gastronomico fatto di bancarelle che friggono, grigliano e cuociono ogni genere di alimento. Fumo che stordisce, musiche da strani strumenti, cantastorie, giocolieri, spacciatori di cioccolata, venditori di spremute d’arance, donne che dipingono tatuaggi di henné. E’ un carnevale, un bazar, un tourbillon, non è solo una piazza, è un concentrato di Marocco.
2 novembre 2004 Domenica Si torna a casa.
Nella valigia un po’ di sabbia del Sahara, qualche sasso e alcune conchiglie. Nella testa e nel cuore i volti dei bimbi berberi negli sperduti villaggi dell’Alto Atlante, il vociare dei pescatori di Essaouira, gli zoccoli di muli e cavalli nelle stradine delle Medine, un cielo pieno di stelle, una luna che par di toccarla, l’odore delle spezie nei Souk, il silenzio sulle dune spazzolate dal vento nel deserto.