Cinque Terre: Vernazza

Il treno regionale numero 24521 delle ore 18:20, si stacca dalla stazione di Monterosso in perfetto orario. In appena ventisei minuti terminerà la sua cavalcata a La Spezia dopo aver attraversato tutte le Cinque Terre...
Scritto da: SdR Milano
cinque terre: vernazza
Partenza il: 13/09/2010
Ritorno il: 17/10/2010
Viaggiatori: 1
Spesa: 1000 €
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Vernazza.

Il treno regionale numero 24521 delle ore 18:20, si stacca dalla stazione di Monterosso in perfetto orario. In appena ventisei minuti terminerà la sua cavalcata a La Spezia dopo aver attraversato tutte le Cinque Terre. A ben guardarlo dall’alto dei monti, appare assai simile ad un serpente di ferro, che per cercar rifugio dalla calura estiva striscia dritto nella sua tana sotterranea.

Allora nel buio della terra eccolo diventare una lunga scia luminosa. E al passeggero accomodato nelle sue brame, altro non resta se non guardare le oscure pareti ammuffite ed umide, dove rimbomba all’infinito il metallico sibilo del rettile. Un’oscurità di pochi minuti in realtà, ma che nel profondo della terra sembra durare ore eterne.

D’improvviso, come fosse il lampo di una deflagrazione, ecco che dai finestrini un’onda di luce si riversa impetuosa per brevi istanti. Un’immagine, quasi una visione, si apre per brevissimi momenti al passeggero rimanendovi impressa indelebile. Appena sotto la strada ferrata, lungo la scarpata a picco sul mare, ecco apparire sullo sfondo piccole case colorate, coralline, tanto vicine al mare da sembrare affiorare direttamente dalle sue acque.

E’ un breve momento, poi luce e colori cessano rapidi e istantanei così come ogni rumore di ferraglie. Il treno ha arrestato la sua marcia. Fuori, nel buio della galleria, rischiarato da un piccolo neon, appare un cartello blu. La polvere ferrosa che lo ricopre non cancella la scritta bianca su di esso impressa: Vernazza. Dall’alto, la stazione appare come un piccolo foro alla base della confluenza di due colline troneggianti sul borgo. Proprio nel punto più basso del promontorio, sembra incastrata, sospesa tra una finestra e l’altra.

Nessun lungo mare. Non un percorso pedonale in qualche claustrofobica galleria. Neanche un impervia scalinata. Solo dodici gradini. Vernazza si concede al suo visitatore con la stessa facilità di una “graziosa”. Via Roma, con le sue case colorate, le persiane in legno verde, accoglie lo straniero amichevolmente, aprendosi larga a spaziosa ai piedi della stazione, per poi stringersi graduatamente fino al porticciolo. E’ lungo questa storica via che si scorge la più alta concentrazione di attività commerciali del parco: austeri sportelli bancari e luminose gioiellerie, simpatici bazar, poi pizzerie, ristoranti più o meno rinomati, coloratissime gelaterie e altezzose enoteche, sempre affiancate dalle onnipresenti focaccerie. Tutti Si alternano sfrenatamente peccando di poca originalità. Specchietti per turisti, prodotti provenienti da ogni parte della penisola, troppo spesso confusi e mischiati con quelli locali: un evidente contrasto con la più classica tradizione marinaresca del luogo, ma senza dubbio un significativo supporto all’economia locale.

Economia locale che, oggi più che mai, sopravvive principalmente grazie all’indotto prodotto dal turismo; come si conviene ad ogni luogo assorbito ed adibito al nocivo turismo di massa, anche Vernazza, come gli altri borghi, ha perso gran parte della sua originaria popolazione. Nell’ultima metà del secolo, per inseguire il lavoro nelle grandi città, un numero sempre crescente di famiglie è stato costretto a vendere appartamenti occupati da generazioni a grandi compagnie immobiliari o a stranieri. Risultato: oggi di vernazzesi ce ne sono sempre meno, anche se la tendenza negli ultimi anni è, se non invertita, meno marcata rispetto a un tempo. E più che nelle lunghe serate estive, dove all’acme del flusso turistico ogni finestrella è come un piccolo faro nell’afa, è nell’umidità delle sere autunnali che l’entità di questo malinconico fenomeno si mostra. Su una lampara dondolata dal mare, ecco il mare ad ovest che si apre tenebroso, e il borgo ad est: deserte le strade, vuote le terrazze, i colori spenti, così come le persiane serrate e prive di luci. E ora quel mosaico estivo si perde nella solitudine dell’umidità del mare.

Sembra non esserci certezza, non c’è omologazione possibile. Alcune convinzioni che sembrano fasulle si ritrovano a essere provate, altre che sembrano certe fuggono come un alito di vento. Eppure il borgo è anche tradizione. Decide di gozzi, dai vivissimi colori, armati di tutto punto quasi fossero finti, compaiono tirati in secca nella piazzetta del porticciolo e lungo la via. Sono li, non per folklore ma solo perchè è tempo di mareggiata. Per chi non sembra abituato a tutto questo, il borgo trasmette il sapore della magia. Eppure un migliaio di abitanti resiste ancora; fugaci figure dai visi scavati danzano dribblando turisti tra colorati carruggi per poi scomparire lungo ripide scalinate. Oppure eccoli travestiti da anziane comari, dinnanzi al sagrato della chiesa impegnate nel pettegolezzo del momento. Vite, persone, esistenze che ormai fanno parte integrante dell’arredo urbano, tanto che se dovessero mancare al quotidiano appuntamento in piazza, subito si sentirebbero riprese: “cara, ma ieri non c’eri….” Esistenze che si susseguono in gesti ripetitivi sull’onda delle stagioni; infine ancora alle foglie ingiallite nell’autunno della vendemmia seguirà il lungo letargo invernale, cupo, umido e tempestoso che possa essere, sarà il preludio alla rinascita del borgo e della natura ancora una volta.



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