Cinque giorni a Istanbul

1 Alle 19 e rotti di venerdì parte da Verona l'aereo della Air Dolomiti, una società di proprietà della Lufthansa. E' un nuovissimo Embraer 195, fabbricato in Brasile con capacità di circa 110 passeggeri. Una telefonata ad un amico pilota ci tranquillizza: è una macchina modernissima ed affidabile. Alla velocità di 950 km/h sorvoliamo il...
Scritto da: COMMA22
cinque giorni a istanbul
Partenza il: 20/02/2009
Ritorno il: 25/02/2009
Viaggiatori: in gruppo
Spesa: 1000 €
1 Alle 19 e rotti di venerdì parte da Verona l’aereo della Air Dolomiti, una società di proprietà della Lufthansa. E’ un nuovissimo Embraer 195, fabbricato in Brasile con capacità di circa 110 passeggeri. Una telefonata ad un amico pilota ci tranquillizza: è una macchina modernissima ed affidabile. Alla velocità di 950 km/h sorvoliamo il Trentino ma da Bolzano in poi non si vedono più le luci al suolo coperte da una fitta coltre di nubi. L’avvicinamento a Francoforte è strumentale e la visibilità ricompare solo pochi attimi prima dell’atterraggio. Si aspetta di riprendere il volo per Istanbul ma l’aero Lufthansa ha dei problemi meccanici. Dopo un ora l’aereo viene riparato (o sostituito ?) e poco prima della mezzanotte si parte con un Airbus 321 in un cielo ancor più pieno di nuvole. Il volo è normale ma alle 3 l’atterraggio è tra i più disturbati che io ricordi, sobbalzi, sbandate ma il pilota tedesco se la cava bene. Applausi! In una città addormentata con il traffico tipo prefestivo, i Turchi fanno festa la domenica come noi, raggiungiamo l’Hotel sito nel centro della città vecchia a un centinaio di metri da Santa Sofia e dai ruderi del palazzo di Costantino.

Strada facendo in pullman una guida spiega a noi 22 stralunati passeggeri che la Lira turca vale circa mezzo Euro e che bisogna contrattare coi Turchi ogni cosa soprattutto nei vari Bazar.

2 Sabato mattina il tempo è infame: tira vento, piove e la temperatura è vicina allo zero. Incontriamo la nostra guida principale, una energica giovane signora di nome Begum. Dopo la colazione si va a piedi a vedere il TopKapi, l’antico palazzo del Sultano. E’ un insieme di padiglioni, costruzioni relativamente piccole, ciascuno dotato di un camino per il riscaldamento, finestre e porta di ingresso, posti in tre diversi cortili. Gli ultimi danno direttamente sul Bosforo spazzato da un vento gelido. Si intravede la parte asiatica di Istanbul ed una grande quantità di navi in attesa di essere autorizzate ad attraversare lo stretto per andare nel mar Nero.

Molti padiglioni sono ricchi di maioliche alle pareti, di arabeschi e di mobili intarsiati con madreperle. In uno è sistemato una specie di museo di reliquie religiose, un avambraccio di San Giovanni Evangelista, un pelo (o capello?) di Maometto ed altre amenità. La cosa più interessante è un Muezzin che canta in arabo (che qui nessuno capisce) il Corano. Si danno il cambio più persone e da decine di anni rendono la lettura continua 24 ore al giorno, 365 giorni l’anno.

In un altro padiglione i ritratti mostrano i vari sultani che si sono succeduti ed un albero genealogico con tanto di foglie mostra come frutti dei medaglioni con le facce: dovrebbe chiarire la linea dinastica ma sembra realizzato invece per confondere chi guarda. Oltretutto la storia di questi ottomani è piena di omicidi per questioni dinastiche e per evitare che il figlio tentasse di succedere al sultano in carica, veniva confinato per anni dentro qualche palazzo o magari nell’Harem. Non è una storia edificante e francamente non mi ha molto interessato. Oltretutto il sultano era di fatto un despota i cui capricci erano legge.

Il tesoro ha interessato molto le signore, c’era un diamante grossissimo ed un pugnale con smeraldi, vari troni ornati di pietre non meno preziosi. La mia curiosità invece è stata quella di combinare lontani ricordi del film Topkapi con Melina Mercuri con la situazione attuale arrivando alla conclusione che molti particolari non corrispondono. Begum, cui ho raccontato la trama del fim, sa che sono stati fatti dei cambiamenti. Cercherò di rivedere il film.

Nei cortili i prati sono ornati di primule colorate, i viali pavimentatati di pietra bianca con curiose inclusioni di pietra che pare alabastro. C’è qualche gatto e molti platani; i due più grossi e più vecchi ridotti purtroppo al solo tronco centrale con solo piccoli rami. Azione del vento, dei parassiti o solo della vecchiaia? 3 Passiamo per una stradina con delle case in legno, caratteristiche della vecchia Istanbul; alcune sono vecchie e malmesse ma altre sono state restaurate di recente: il legno per queste funziona come rivestimento esterno, bello ma bisognoso di almeno una pittura biennale.

Raggiungiamo il ristorante Medusa sito in un simpatico edificio di legno. Il soffitto supera appena i due metri ma le travi sono a un metro e ottanta. Il cibo è buono e per fortuna riesco a non dare testate pericolose. Un gruppo di noi è salito al piano superiore dove si mangia semisdraiati su tavoli bassi alla orientale. Uno spagnolo mi è seduto vicino e fuma non meno di 15 sigarette; e poi dicono dei turchi! Visitiamo la moschea blu, un enorme edificio sovrastato da una cupola sorretta da grandiose colonne. La cupola è appena più piccola di quella di Santa Sofia (537dc); la moschea è di più di mille anni più giovane (17°secolo).

Per entrare il difficile è togliersi le scarpe senza pestare il tappeto e senza bagnarsi i piedi visto che la pioggia insiste.

Più suggestiva la visita alla cisterna. Costruita nel trecento e rotti, restaurata da Giustiniano riscoperta nel 19° secolo; è un enorme spazio sotterraneo adibito alla conservazione delle acque. Il soffitto è sostenuto da 336 colonne con capitelli e basamenti di recupero. Due basi sono costituite da due blocchi che erano la grossa testa di due statue di Medusa, una delle Gorgoni. Una testa è ruotata di 90 gradi e l’altra di 180 cosicché guarda il soffitto; questa zona della cisterna è prosciugata per poter vedere bene. Non dubito che molti abbiano trovato in queste cose “evidenti segni esoterici”. Ci sono circa 50 cm di acqua in cui vivono apparentemente benissimo carpe e pesci rossi. Non si capisce cosa mangino visto che il fondo è cementato e l’acqua appare limpida.

In questa cisterna-basilica è ambientata una scena del film di James Bond, “dalla Russia con amore”.

Cena economicissima in una tipica osteria per Turchi vicino alla stazione del tram di Sultanahmet. Il menù è molto limitato e non servono alcolici né caffè.

4 Domenica mattina andiamo all’Ippodromo che è situato davanti a Santa Sofia. Non ci sono corse di cavalli da secoli ma la piazza è ciò che resta del monumento romano, simile al Circo massimo di Roma. Restano solo un obelisco egizio, una colonna di bronzo con tre serpenti intrecciati, una colonna in pietra locale che non ha resistito altrettanto bene dell’obelisco all’ingiuria del tempo, a ricordare come era disposto lo spazio che divideva le due corsie della pista.

Dicevo niente cavalli ma tanti venditori di ombrelli, caldarroste, guide anche in italiano, pifferi: mancavano solo le cornamuse! Complicata la storia di Santa Sofia, dove la signorina Sofia non c’entra nulla in quanto è la italianizzazione del greco di Santa Sapienza; fu finita nelle dimensioni attuali sotto Giustiniano. La cupola è crollata almeno tre volte per effetto dei terremoti. Saccheggiata dai Veneziani nella quarta crociata del 1204, trasformata nel 1453 dai Turchi in moschea che intonacarono i mosaici residui. Dal 1934 è stata trasformata in museo.

I mosaici, riportati ora in vista, hanno ispirato quelli di San Marco a Venezia. Non sono molti ma molto belli. Interessante il piano inclinato che conduce al matroneo, un graffito del 900 di un visitatore vichingo, la tomba del doge Enrico Dandolo, talmente amato che gli abitanti di qui che appena poterono ne disseppellirono le ossa che diedero ai cani.

Tra le impalcature di una costruzione in perenne restauro molti visitatori fanno una cosa che potrebbe sembrare a prima vista un gioco di società. Dopo aver fatto regolare fila, è possibile inserire il dito pollice in un foro di una colonna. Se si riesce a fare una rotazione della mano di 360° senza togliere il pollice si potrà veder realizzato un desiderio. La scientificità dell’operazione toglie ogni possibile dubbio sul suo esito. E’ stata sperimentata da molti/e dei nostri; non oso pensare all’avverarsi dei desideri delle nostre signore.

Pranzo ottimo in un self-service con annessa pasticceria. Fra l’altro preparano il croccantino in grandi volumi e lo tagliano come fosse un Kebab.

5 Pomeriggio al museo archeologico ricchissimo. Notevolissime sono le cose ritrovate nei vari quartieri di Istanbul, tra cui il piede mancante del gruppo dei Tetrarchi oggi a san Marco a Venezia.

Di particolare interesse sono i sarcofagi, tra cui quello detto di Alessandro, rinvenuti a Sidone in Libano dal fondatore del museo. Questo si trovò alla fine dell’ottocento nella fortunata condizione di poter girare per il decadente impero ottomano e di riportare nella capitale oggetti d’arte del ricchissimo vicino oriente. Il museo pur non reggendo il confronto col Louvre di Parigi o il Pergamo di Berlino (non conosco quello di Londra) è davvero notevole. Un altro sarcofago mi ha intrigato: è quello che raffigura sui fianchi dodici donne che piangono il marito defunto. Le mie accompagnatrici mi hanno assicurato che non dovevo avere nessuna invidia per il defunto in quanto le lacrime delle dodici mogli erano certamente false e di circostanza: vatti a fidare! Al museo della ceramica locale ci sono cose scontate, già viste al Topkapi per esempio, ma anche un curioso piatto di ceramica, che se non fosse stato lì, avrei attribuito ad un artista giapponese.

Visita col pulmino alla chiesa museo di San Salvatore in Chora con splendidi mosaici e al circostante quartiere, pittoresco ma con molti edifici fatiscenti; saliamo poi su una collina a dare uno sguardo al corno d’oro; peccato che il tempo sia sempre no anche se per un po’ non piove.

Hammam è il nome turco del famoso bagno: proviamo l’esperienza. Io ed il mio amico R., vestiti di un solo asciugamano, veniamo collocati in una stanza caldissima. Unica possibilità di refrigerazione è gettarci addosso dell’acqua tiepida con una bacinella. La tortura dura un quarto d’ora. Poi arriva un energumeno che mi da una bella saponata e mi fa un massaggio pesante prima davanti e poi dietro. Mi sevizia in particolare i polpacci e le dita dei piedi.

Alla fine mi fa pure uno shampoo e mi indica di sdraiarmi su una lastra di marmo caldissima su cui stanno sudando già due persone: un signore e … La sua compagna che lo aveva accompagnato nel settore uomini.

Assisto alla tortura del mio amico ma mi pare meno pesante della mia, il suo energumeno è meno determinato.

Molto prima di quanto previsto lasciamo il bagno, per non tornarci più. Le donne invece ripeteranno l’operazione nei due giorni successivi segno che o sono più robuste o godono nel soffrire. Ai posteri l’ardua sentenza! A sera scegliamo un ristorante, non sulla base del prezzo e del menù, ma sul fascino e quantità di “salamelecchi” del cameriere che ci propone di entrare. Il fato ci è propizio e facciamo una cena perfetta in un ambiente raffinato e a poco prezzo. Tornando in albergo facciamo un brutto incontro. Su un marciapiede, ancora umido di pioggia con una temperatura vicina allo zero, siede una bambina dell’apparente età di 2-3 anni che chiede l’elemosina.

V. Trova nella borsa un pezzo di cioccolato che la piccola mangia con avidità.

Poco più in la troviamo la madre intenta a contare soldi. Sono Zingari ci spiegherà la nostra guida il giorno dopo.

6 Nonostante la danza della pioggia Sioux fatta nella speranza che sortisca l’effetto contrario lunedì piove come al solito. Partiamo per la parte asiatica della città con un piccolo pullman, guidato da un professionale Osman.

Istanbul è una città enorme almeno secondo gli standard italiani: 15 milioni di abitanti collocati in un’area di 150km di larghezza e 50km di altezza. La zona turistica è nella parte centrale ove c’è il canale del Bosforo che la taglia la città in direzione circa nord-sud. La parte europea per circa una decina scarsa di chilometri è divisa in direzione circa est ovest dall’estuario, chiamato “corno d’oro”, di un fiume.

L’antica greca Bisanzio è collocata nella parte meridionale del settore europeo con il Topkapi, Santa sofia e il resto fin qui visto ed è ancora parzialmente cintata dai 22km di mura, in parte, e malamente, restaurate.

Lo sfregio maggiore alle mura fu dovuto dalla costruzione della ferrovia e della stazione centrale da cui partiva il famoso Orient Express.

L’altra parte europea con la torre di Galata ( probabilmente dal genovese “calata” a mare) si è sviluppata quando la città è cresciuta come Costantinopoli in età romana e medievale.

Nella parte asiatica Calcedonia ( sede di un concilio) e Scutari sono ora inglobati nella metropoli. Le zone industriali, di cui abbiamo solo sentito parlare, sono nelle zone periferiche laterali.

Attraversiamo il Bosforo sul ponte più a sud, quello più grande e recente (lungo poco più di 1000m, 1/3 di ipotizzato per lo stretto di Messina), mentre sulle colline attorno sta nevicando.

Sulla corsia opposta c’è una coda, usuale dicono, pressoché ferma lunga una decina di chilometri di auto di coloro che hanno casa nella zona est ma il lavoro nella parte europea. Rinunciamo a fare un giro panoramico sulle colline limitando il percorso ad una puntatina nei vecchi quartieri e sosta sulla lunga via Baghdad. Quattro passi in tale via non ci permettono di scorgere apprezzabili differenze tra questa e un viale periferico di Milano o di un’altra città europea. Solo qualche moschea o il garrire del Muezzin alle sue ore, ci avrebbe segnalato la differenza.

Ci imbarchiamo a Scutari, quasi di fronte alla Isoletta di Leandro col suo piccolo faro, set pure questo di un altro film di 007.

Navighiamo da una sponda all’altra: dal lato europeo alcuni monumenti tra cui un paio di Moschee, il palazzo Dolmabahce, il famoso Hotel Four Seasons, il Ciragan Palace, l’Unversità Galata Saray e pure una casa da gioco distrutta dalla mafia locale. Sul lato asiatico invece ci sono ville più o meno grandi dei signori locali; alcune sono di legno, disposte comunque su un bel fondale verde; pare che il prezzo delle case in questa zona sia astronomico.

Attracchiamo su lato europeo in corrispondenza dell’altro ponte sul Bosforo piazzato nel punto più stretto (800-900m) dove sono presenti pure delle vecchie fortificazioni ottomane.

7 Raggiungiamo sotto la solita pioggia un ristorante in riva al canale con l’idea di mangiare finalmente del pesce. La difficoltà è capire il menù in quanto questa non è una zona turistica e i camerieri sanno l’inglese peggio di me. Mi impunto sulla proposta di “karides” che mi mostrano essere dei gamberetti. Ordiniamo il resto alla cieca e per fortuna arriva una sostanziosa Orata. Col pulmino andiamo a nord dove vediamo la fine del Bosforo col collegamento al mar Nero. Visitiamo il museo Sadberk di un grosso magnate turco. Consta di una sezione archeologica e di una etnografica. Il grande edificio in malta e pietre, esternamente è rivestito di un assito in legno.

La guida ci parla delle impetuose correnti marine che interessano il canale e che il mar nero sarebbe 60 cm più alto del mediterraneo.

Torniamo attraversando la zona a nord del corno d’oro; anche qui ci sono quartieri vecchi con case da “restaurare”.

Strada facendo viene chiesto quanti sono interessati ad una serata di danze del ventre e folclore locale.

Siamo in tre e la sera dopo alcune peripezie organizzative ci rechiamo col taxi al Kervanseray ristorante e night club. Il cibo e lo spettacolo sono di qualità.

Ci sono due gruppi folcloristici che fanno le loro esibizioni con tamburi, balli, salti, fuochi e coltelli ma il clou della serata sono le danzatrici.

E’ veramente una sorpresa: ritenevo che questo “ventre”, generosamente esibito, si potesse muovere solo in conseguenza del movimento delle anche, come avevo visto fare sia nei balli hawaiani che nel ballo di danzatrici egiziane. Invece due delle quattro che si esibiscono riescono a far vibrare velocemente e ritmicamente la zona in questione di un movimento autonomo: veramente incredibile! Mi viene da pensare a quali sforzi dovessero fare le giovani donne per suscitare qualche segno di vigore in sultani e pascià, magari un po’ stagionati.

La serata finisce con uno chansonnier che riesce a coinvolgere il pubblico e farci cantare. 8 Martedì è molto nuvoloso ma c’è una tregua nella pioggia si va a vedere una moschea di Ali Paschà in riva al mare ma è chiusa. Andiamo allora al palazzo Dolmabahce che è stato l’ultima residenza del sultano, realizzato nella metà dell’ottocento a similitudine dei palazzi reali europei. Risulterà un po’ il festival del kitsch, un insieme quasi senza anima di opere d’arte e di artigianato di tipo europeo. Qui, dopo il sultano, lavorò e morì Ataturk mentre oggi il palazzo è usato raramente come sito di rappresentanza e per cui gode della presenza di una guardia armata. Sono soldati col pastrano con un curioso elmetto bianco.

Uno, immobile davanti al portale di ingresso, è lì praticamente per farsi fotografare coi turisti. Con la mano destra tiene un mitra e con la sinistra stringe il manico di un pugnale nel suo fodero dietro la schiena. Appare immobile e molto professionale.

Alla fine della visita assistiamo al cambio della guardia e ai comici sforzi dell’ufficiale di picchetto nel posizionare la guardia nella posizione voluta.

L’esercito qui è molto importante. E’ un po’ il depositario della riforma di Ataturk del 1920 che ha fatto della Turchia il primo stato mussulmano, almeno del vicino oriente, ad avere una legislazione laica con una netta distinzione tra lo stato e la religione. Ha dato il voto alle donne e le ha liberate dal velo, ha imposto la lingua turca con scrittura mediante caratteri occidentali, ha spostato la festa alla domenica, ha riformato il calendario, ha confinato la religione nelle moschee. Il processo non è stato indolore ed è stato appoggiato da una fortissima spinta nazionalista che ancora oggi vieta di mettere in discussione il “padre della nazione” o le malefatte dei turchi come il genocidio degli armeni; la nostra guida ci ha fatto chiaramente capire che è un argomento tabù.

Ora le conquiste laiche sono in difficoltà qui come del resto in Italia. La popolazione ha infatti dato il potere a forze che si ispirano apertamente a valori religiosi o presunti tali. La possibilità proposta alle donne di tornare al velo, visto magari come una forma di civetteria, sta contrastando la spinta alla modernità laica con esiti difficilmente prevedibili qui come altrove quando “uomini di fede” si sentono sollecitati a proporre/imporre le loro visioni a tutti.

9 Saliamo a quello che ora viene considerato il centro della città, la zona europea a nord del Corno d’oro. La lunga e larga via centrale Istiklal, piena di negozi, pedonale, ma con al centro un vecchio romantico tram rosso che “corre” poco più che a passo d’uomo, conduce alla Torre di Galata o torre di Genova. La sua salita con un comodo ascensore permette di accedere al terrazzo da cui godiamo di una vista grandiosa. Peccato che c’è proprio poco posto ed il mio amico R. Che soffre di vertigini proprio non ce la fa.

Nelle strette vie che portano al mare ha vissuto la, un tempo numerosa, colonia italiana ora ridotta a poca cosa. Ci sono case di tutti i tipi, alcune fatiscenti. Qui abbiamo un incontro, in una delle pochissime chiese cattoliche, con un frate domenicano piemontese che ci parla un po’ della storia della sua chiesa di s. Pietro e s. Paolo. Gli piace raccontarci dei contatti con studiosi musulmani e della possibilità di un dialogo. Suscita la mia simpatia anche perché ho sempre apprezzato gli eroi delle cause perse.

Uscendo dalla chiesa, alcune lapidi funerarie con iscrizioni dell’ottocento interessanti per lo stile e i contenuti delle lamentazioni.

Di fronte c’è una scuola elementare e probabilmente capitiamo nel momento della ricreazione. Contrastano i fili spinati posti sopra il muro di recinzione, di stile militare, col fatto che i bambini possano aprire il portone ed uscire dalla scuola, apparentemente a loro piacimento. Passiamo davanti ad un liceo tedesco ed ad un’altra scuola estera.

Nel pomeriggio torniamo alla moschea di Alì Pashà. Fuori ci sono delle postazioni di lavaggio in cui il fedele, prima della preghiera, può detergere mani, braccia, piedi, collo e faccia ma non necessariamente in questo ordine; all’interno si notano due ceri alti circa 4 metri a fianco del mihrab, la nicchia che indica ai fedeli la direzione della mecca. La struttura è simile ad altre moschee già viste.

Torniamo nella zona dell’albergo. Non lontano è il Grand Bazaar, antico mercato coperto (iniziato nel 1450) fatto di più di 1200 bottegucce di pochi metri quadri poste una accanto all’altra su 58( o 61 ???) stradine. C’è un po’ di tutto ma oreficeria, pelletteria, artigianato locale, abbigliamento, tappeti mi paiono le cose più proposte.

Do una occhiata ma mi stufo subito ad aspettare le signore che mercanteggiano senza concludere una giacca di pelle.

Cena sociale dei 22 al ristorante dei “salamelecchi”; mangiamo ancora bene, con piatti portati in pignatte di terracotta o su piastre di pietra ollare, anche se il servizio è poco sollecito e un paio di persone non si capiscono col personale circa il menù. Facciamo una gazzarra indegna alimentata da qualche bottiglia di vino, ma è l’ultima cena! Constatiamo uscendo che la nostra guida Begum, ha usato per venire dall’altro lato della città, la sua potentissima moto Honda a sfidare le intemperie; lei però non è una di quelle che si mettono il velo! 10 Mercoledì piove a dirotto. Facciamo una visita al Grand Bazaar dove giro per i fatti miei alla ricerca di due lampioncini che mi erano stati commissionati. Riesco a portarli via per 65 Lire mentre in altri negozi mi avevano chiesto 200 Lire l’uno. Non mi piace questo modo di “trattare” per cui alla fine sei sempre incerto se hai comprato bene o male. Un piatto da portata di ceramica policroma attira la mia attenzione la trattativa comincia da 100 euro ma 20 saranno abbastanza, imballaggio compreso.

Una amica tratta un tappeto: stessa musica lo porta via a circa il 25% del prezzo iniziale.

Scendiamo al mare attraverso il souk, con altre tantissime botteghe fino alla moschea di Rusten Pashà. A parte il tappeto rosso, in realtà la solita moquette, e le maioliche, c’è una specie di iscrizione geometrica con tratti solo verticali o orizzontali. Secondo la guida si tratterebbe di scrittura araba geometrizzata e non di una semplice decorazione come pare a me.

Vicino c’è il mercato delle spezie o mercato egiziano, altra struttura a botteghine disposte lungo una via coperta a forma di L. Qui l’offerta è prevalentemente di cibo e spezie. Queste sono poste in contenitori aperti e hanno colori vivacissimi. Un profumo fortissimo arriva da una torrefazione di caffè: ne compriamo un pacchetto.

Tornando mi compro un pennello da barba che poi ad un attento esame risulta che potrebbe essere pure cinese. A questo proposito molti negozi espongono in vetrina un cartello che dichiara che non vendono cose made in china.

Economicissimo pranzo in un “locale” fast food nel souk dove consumiamo un panino e una bibita. Il “salone” è triangolare due lati di circa tre metri sono attrezzati con la mensola poggia cibi; il terzo lato più piccolo è senza parete e funziona da porta di accesso all’esterno; il soffitto non arriva ai due metri.

Alle 15 adunata in albergo. In mattinata un aereo turco ha fatto un atterraggio “duro” ad Amsterdam: qui dicono che è andato tutto bene ma poi sapremo che i morti sono stati nove. Non abbiamo più le camere e l’unico bagno comune che ha l’albergo (incredibile questa caduta di stile dell’hotel per il resto discreto!) si trova sulla terrazza. Bisogna salire al quarto piano con l’ascensore, fare l’ultima rampa di scale, passare per la sala ristorante, uscire sulla terrazza dove piove e tira un forte vento e finalmente raggiungere l’agognato pertugio. L’aeroporto non è lontano e il viaggio fino a Francoforte tranquillo anche se appena partiti già non si vede più nulla a causa delle nuvole.

Tanta gente a Francoforte e lunghe code per i controlli. Comunque in orario parte lo Embraer 195 Aerdolomiti, quasi sicuramente lo stesso che avevamo preso all’andata. Il tavolino del mio sedile ha un fermo rotto; segnalo la cosa alla hostess che mi dice che informerà la manutenzione e se ne esce con la frase: vola da una settimana ed è già rotto!



    Commenti

    Lascia un commento

    Leggi anche