Un sogno chiamato Bisanzio: 14 giorni in viaggio tra Oriente e Occidente nella terra sospesa tra due continenti

Un itinerario di 13 giorni alla scoperta di una porta d'Oriente dallo straordinario patrimonio storico e culturale. Attraverserete terre antiche dall'anima irrisolta e travagliata, costellate da moschee grandiose, bazar rumorosi, tesori rupestri, mongolfiere coraggiose e coste scintillanti, dove il millenario conflitto tra modernità e tradizione...
Scritto da: Effetto Wanderlust
un sogno chiamato bisanzio: 14 giorni in viaggio tra oriente e occidente nella terra sospesa tra due continenti

La Turchia è un paese inaspettatamente molto esteso. Per visitare Istanbul, Cappadocia e Costa Turchese, ottimizzando al massimo tempi ed energie a costi contenuti, è fondamentale spostarsi fra le tappe con i voli interni di Turkish Airlines e Pegasus. Per raggiungere comodamente gli aeroporti è utile affidarsi ai transfer organizzati dagli alloggi, convenienti in Cappadocia, decisamente meno a Istanbul. Istanbul può essere agilmente esplorata con i mezzi pubblici grazie anche alla convenienza della tessera ricaricabile Istanbulkart. La card può essere comprata e ricaricata agli innumerevoli chioschi e distributori automatici disponibili in città, offre tariffe scontate, può essere usata da più persone e permette di accedere anche ai bagni pubblici allestiti nei dintorni delle attrattive principali. In Cappadocia, nel caso in cui si vogliano evitare gli affollati e impersonali tour organizzati, le valli nei dintorni di Göreme possono essere esplorate in scooter. Tuttavia, considerate le strade selvagge e malandate, conviene scegliere lo scooter solo in caso ci si senta molto confidenti del mezzo, altrimenti l’auto è sicuramente l’opzione più sicura e prevedibile. La Costa Turchese, con le sue strade ben tenute, può essere ammirata in auto con un on-the-road rilassante e poco impegnativo. Abbiamo noleggiato una nuovissima Renault Clio all’aeroporto di Antalya tramite Sixt, che ci ha stupito con un servizio davvero impeccabile. 

Se avete difficoltà a gestire il caldo e l’umidità, agosto è un mese piuttosto impegnativo per affrontare l’itinerario. Tuttavia, durante la nostra permanenza, le temperature non hanno mai raggiunto livelli così proibitivi da farci pentire della scelta. È stato sufficiente avere l’accortezza di evitare o limitare le escursioni nelle ore centrali della giornata, proteggersi con un bel cappello a tesa larga, utilizzare la protezione solare e bere molta acqua per tollerare il clima infausto. Istanbul è stata molto umida di giorno ma godibile la sera, Göreme ci ha concesso un clima più secco e poco sostenibile solo nelle ore centrali della giornata, la Costa Turchese si è caratterizzata per un clima molto più variabile.

Mi raccomando, non partite senza aver stipulato un’assicurazione sanitaria con un’adeguata copertura (noi abbiamo scelto la conveniente polizza “Assistenza” di Columbus) o senza aver preso in considerazione la possibilità di fare le vaccinazioni per tifo ed epatite A, seppur non obbligatorie. Inoltre, ricordatevi che in Turchia non è sicuro bere l’acqua di rubinetto, per cui è consigliabile consumare solo acqua sigillata ed evitare il ghiaccio.

Per rimanere sempre connessi e avere costantemente a disposizione il navigatore per orientarci, abbiamo deciso di acquistare una scheda telefonica locale di Türk Telekom presso l’aeroporto. 

Diario di viaggio

Giorno 1. Rituali – Istanbul

Istanbul ci sveglia di buon ora, senza chiedere il permesso, con i canti dei muezzin provenienti dai minareti delle moschee di Sultanahmet. Le voci appassionate e possenti ci penetrano sotto pelle e ci catapultano immediatamente nell’atmosfera di questa città animosa. Le fatiche del giorno precedente, compresa la lunga strada per raggiungere il White Pearl Apart dall’aeroporto Sabiha Gökçen, tra metro, Marmaray e scarpinate in salita, accompagnati da un’umidità sfiancante, sono fortunatamente dimenticate. Sarà la splendida vista sulla moschea ottomana di Sokullu Mehmet Paşa, sarà l’affollato Bosforo in lontananza, saranno i docili rumori che provengono dalla strada, ma non vediamo l’ora di cominciare questo viaggio tanto atteso. Saltiamo la colazione, ancora sazi della deliziosa cena al modesto Ortaklar Lahmacun, e, senza alcun dubbio riguardo a dove cominciare, ci precipitiamo alla Moschea Blu. Dopo aver apprezzato la grandiosità dell’Ippodromo, imbocchiamo la scalinata che conduce al voluttuoso cortile, dove rimaniamo ipnotizzati dagli affusolati minareti, dalle morbide cupole e dell’elegante fontana delle abluzioni a cui i fedeli si dirigono con passo deciso. Non credo di riuscire a descrivere a pieno il caleidoscopio di emozioni che si prova nell’accedere per la prima volta all’interno di una moschea, a piedi nudi, con il capo coperto. Le maioliche preziose, le vetrate ardite, i tappeti morbidissimi e i lampadari fluttuanti travolgono letteralmente, facendo venire il capogiro. Rimaniamo all’interno a lungo, per esser sicuri di non perdere nessun dettaglio di questo capolavoro fascinoso, fino a quando non arriva il momento di uscire, a malincuore.

Ci aspetta trepidante Aya Sofya, la dirimpettaia commissionata dall’imperatore Giustiniano, raggiungibile passando per l’accogliente Parco di Sultanahmet. Nel parco brulicante di vita, dal quale si gode dello svettante profilo della Moschea Blu da una nuova ed entusiasmante prospettiva, compriamo un simit per riempire lo stomaco, prima di fare la coda, fortunatamente scorrevole, per entrare in una delle moschee più antiche della città. Le dimensioni sono davvero notevoli e sono soltanto il preludio dei grandiosi e stupefacenti interni, arredati con mosaici dorati e iscrizioni sublimi che fanno da cornice ad un’aria rarefatta e trasognata. La grande affluenza rende difficile apprezzare la magia del luogo, ma cerchiamo comunque di isolarci in una bolla di curiosità morbosa per non perderci nessuna emozione.

Una volta usciti, ci addentriamo nelle strade affollate, cominciando a prendere confidenza con i gelatai turchi dalle acrobazie esilaranti e con gli iconici gatti randagi che riescono a comparire dagli angoli più imprevedibili. Costeggiando la Moschea Nuruosmaniye, entriamo nella bolgia infernale del Gran Bazar. Cerchiamo di adattarci all’intricato labirinto di vicoli, desiderosi di trovare qualcosa che possa essere di una qualche utilità. Seppur consapevoli che in tale baraonda di cianfrusaglie possa nascondersi qualche oggetto prezioso, decidiamo comunque di desistere, sopraffatti dal caos fuori controllo. Usciamo dal lato opposto che costeggia la Moschea Beyazit, dove veniamo piacevolmente catturati da un delizioso e tranquillo mercato di librai, con gatti multicolori distesi sulle opere letterarie più disparate. Ci riposiamo al cospetto degli edifici universitari di Piazza Beyazit, osservando i fedeli che entrano in moschea per la preghiera di mezzogiorno. Per pranzo decidiamo di concederci un kekab in strada fermandoci al delizioso e conviviale Meşhur Dönerci Hacı Osman’ın Yeri.

Affrontiamo sazi la breve salita che conduce all’imponente Moschea di Solimano. Rimaniamo stupefatti davanti al parco rigoglioso e alla splendida vista sul Bosforo e sulla città sottostante che circonda l’edificio. I gabbiani ridenti, le terrazze ambiziose e la torre di Galata che svetta tra gli edifici tolgono letteralmente il fiato. Finalmente non dobbiamo condividere l’esperienza dell’ingresso in moschea con orde di turisti affamati, riuscendo così ad apprezzare i lunghi silenzi, gli odori penetranti e le preghiere solitarie. Ci sediamo ai piedi di una colonna per osservare gli interni delicati e lo sguardo cade inevitabilmente sulla sezione della moschea riservata alle donne. La luce che penetra dalle ampie finestre crea un controluce etereo che non impedisce di incontrare gli sguardi delle donne velate in preghiera. Rimango ipnotizzata da un volto, che avrei immaginato malinconico, ma che trovo invece sorprendentemente fiero. Una sola, semplice domanda vorrei porle, senza pregiudizio, come una confidenza segreta tra amiche: Sei soddisfatta della tua vita?

Ci dirigiamo verso Eminönü e veniamo letteralmente risucchiati da una babilonia di vicoli zeppi di negozi urlanti e oggettistica straripante. Seguiamo il flusso di gente con diligenza, preoccupati per la nostra incolumità in caso di passeggiate controcorrente. Il Bazar delle Spezie ci accoglie con garbo, con una foto di Atatürk svettante sotto le arcate decorate con gusto. Veniamo ammaliati dagli odori più svariati e restiamo colpiti dagli avventori poco numerosi e composti. Resistiamo alla tentazione di riempirci le tasche di tè colorati dagli effetti benefici più disparati e usciamo per vedere finalmente il Bosforo. Ci accoglie una piazza vivace, incorniciata dalla Moschea Nuova e dalle acque scure dello stretto che divide impietosamente Asia ed Europa. Ci sediamo su una panchina e osserviamo incuriositi i numerosi pescatori allineati sul Ponte di Galata. Prendiamo così la dolorosa di decisione di non consumare pesce in città, terrorizzati all’idea di mangiare qualsiasi cosa provenga da acque così affollate.

Proviamo il famoso tè turco prima di rientrare in appartamento per una doccia ristoratrice. Godiamo della vista dalla stanza con un cielo finalmente terso a fare da sfondo, appagati da un tramonto irresistibile. Ci accontentiamo di un ristorante mediocre dopo una ricerca lunga ed estenuante, sorpresi dall’aver incontrato degli amici fiorentini nel controllato caos serale.

GIORNO 2. Contrasti – Istanbul

Ci alziamo di buon ora per visitare la Cisterna Basilica all’apertura, evitando la ressa. Rimaniamo stupefatti dall’inatteso mondo sotterraneo che ci si staglia davanti a perdita d’occhio, popolato da creature dell’oltretomba, sovrastato da un’architettura imponente, dove il silenzio assordante viene interrotto solo dalle gocce di condensa che cadono nell’acqua residua della cisterna. Rimaniamo più di un’ora ad ammirare come questo palazzo sommerso cambi atmosfera e susciti nuove suggestioni ad ogni cambio di colore del sistema di illuminazione, prima bianco, poi verde, poi arancio. Una volta usciti, attraversiamo il curato Parco di Gülhane, costeggiando il Palazzo Topkapi senza visitarlo, e ci lasciamo ipnotizzare dalla sua fontana “parlante”. Arriviamo al quartiere di Karaköy con una passeggiata assolata abbastanza provante ma che ci permette di godere della splendida vista sul Bosforo dal Sarayburnu e dal Ponte di Galata. Sul ponte ci fermiamo ad osservare i valenti pescatori dai secchi ricolmi, con l’incredibile Moschea Nuova a fare da sfondo.

Oltrepassare il Bosforo ci catapulta in una dimensione completamente nuova, fatta di street art, edifici abbandonati e salite sfiancanti. Affrontiamo la scalata verso Istiklal Caddesi senza utilizzare la funicolare e non ce ne pentiamo visto il fascino decadente di Beyoğlu. Accompagnati da bandiere del Galatasaray, boutique eleganti e locali alla moda ci avviciniamo sempre più verso Piazza Taksim. Tuttavia, più andiamo avanti più la magia si esaurisce, lasciando spazio a una via dello shopping commerciale dallo stile occidentale più nauseabondo, allietata solo da un nostalgico tram rosso fuoco. Rimaniamo delusi dal cuore pulsante della moderna Istanbul e decidiamo di tornare indietro attraverso il caratteristico quartiere di Çukurcuma.

Ci fermiamo per un brunch a Limon Cihangir Kahvalti Evi, dove ritroviamo una dimensione più familiare e caratteristica. Dopo mangiato perlustriamo i dintorni, pieni di antiquari e oggettistica vintage, che ci fanno venire una voglia matta di spedire a casa qualche ricordo di pregio. Desistiamo, catturati da una street malinconica e ispirata che seguiamo diligentemente come se fossimo sotto incantesimo. Riscendiamo godendoci le boutique che avevamo adocchiato la mattina e ci fermiamo sul molo di Karaköy per qualche foto romantica, mano nella mano, prima di rientrare in camera.

Prima di cena visitiamo l’intima Küçük Ayasofya, a due passi dal nostro alloggio. La moschea ci accoglie inondata di silenzio e abitata da gatti dai modi estroversi. Ci rendiamo conto immediatamente che anche un luogo umile e solitario può nascondere un animo risoluto, così decidiamo di rimanere, fino a che l’ultima eco del canto del muezzin si dissolve nella quiete della sera. Veniamo attratti dal piccolo Mitara Cafè and Art, dove una affabile proprietaria e i suoi numerosi animali ci accolgono con un’atmosfera retrò e un menù casalingo sorprendente. Finiamo la serata al Parco di Sultanahmet, dove godiamo della vista della Moschea Blu illuminata di un rilassante rosa pallido.

Giorno 3. Cromoterapia – Istanbul

Iniziamo la mattinata alla ricerca disperata di un mezzo per raggiungere Balat, lo storico quartiere ebraico di Istanbul. Senza l’aiuto di Google Maps a causa della chiusura di un tratto del Ponte di Galata, facciamo un tuffo nel passato chiedendo informazioni ai passanti che, dopo svariati vicoli ciechi, ci indirizzano al capolinea degli autobus di Eminönü. Dopo aver assistito al recupero di un mezzo caduto accidentalmente nel Bosforo, saliamo sull’autobus che, con una guida spericolata, ci porterà dritti a destinazione. Il quartiere di Balat ci accoglie con un’atmosfera soporosa e vicoli colorati all’apparenza dimenticati. Accompagnati da gatti variopinti e da una manciata di sospettosi abitanti, decidiamo di seguire un gruppo di ragazzi con copricapi decorati che ci indirizzano verso la parte alta del quartiere. Rimaniamo sopraffatti dalla stupenda vista del Corno d’oro che si staglia dal Molla Aşkı Terası.

Prima di addentrarci nella parte centrale del quartiere, decidiamo di provare un’umile taverna specializzata in interiora di agnello. Sopravviviamo al kokoreç e ad una testa di agnello comprensiva di cervello e proseguiamo orgogliosi la nostra esplorazione. Veniamo improvvisamente catapultati in un mondo fatto di street art schizofrenica, popolato di creature a tratti spaventose, dove i colori delle abitazioni si fanno via via più accesi fino ad arrivare ad un tripudio di scale variopinte, ombrellini fluorescenti e cafè eclettici. Vorremmo rimanere qui più a lungo ma, non volendo trascurare la parte asiatica della città, prendiamo la strada del ritorno, non prima di esserci spinti fino ai margini dell’ex quartiere greco di Fener.

Torniamo al molo di Eminönü dove prendiamo il traghetto per Kadıköy. Immersi nel canto dei gabbiani che ci seguono fedelmente per tutto il tragitto e circondati dalle meravigliose coste della città dalle quali svettano orgogliose le moschee principali, la traversata sul Bosforo ci suscita emozioni fortissime e inaspettate. Ci godiamo ogni minuto, porgendo il viso al vento sferzante carico di salsedine. Sbarchiamo in un quartiere caotico e apparentemente poco interessante, alla ricerca delle opere di street art più grandiose. Non appena ci addentriamo nelle strade interne, con i cafè industrial, i ristoranti eleganti e i murales dai soggetti provocatori, ci rendiamo subito conto di quanto ci eravamo sbagliati. Decidiamo di perderci fino a che le nostre gambe non raggiungono il punto di non ritorno e ci costringono a rientrare.

Ci fermiamo per una fugace visita alla Moschea Nuova, desiderosi di nutrirci nuovamente della pace e della serenità di un luogo di culto. Gli interni ci colpiscono per la luminosità, i colori variegati e la modernità dal sapore antico delle piastrelle di Iznik. Ceniamo in un umile ristorante nei dintorni dell’alloggio e ci addormentiamo presto con gli occhi sazi delle meraviglie assaporate in questa città sublime.

Giorno 4. Il paese delle fiabe – Göreme

Raggiungiamo il nuovo aeroporto di Istanbul con un NCC prenotato dal gestore del nostro alloggio e voliamo dritti verso la meta più ambita del viaggio, la fiabesca Cappadocia. Atterriamo in una Kayseri assolata, dove il transfer organizzato dal nostro albergo ci aspetta con un cartello malconcio in mano. Con ancora Costantinopoli sottopelle, veniamo lentamente catapultati nelle surreali valli anatoliche, costellate dagli alti pinnacoli rocciosi che fino ad ora avevamo visto solo in foto. E’ incredibile come ci si possa innamorare in un attimo di questa terra geologicamente unica nel mondo. Bastano i primi colori sfumati, le prime grotte rupestri, i primi punti panoramici. Wonder of Cappadocia ci accoglie con una camera deliziosa e una terrazza mozzafiato sull’epico villaggio di Göreme. Raccogliamo le forze e decidiamo di sfruttare la fine del pomeriggio per visitare il Museo a Cielo aperto di Göreme. Lo raggiungiamo con una sostenibile passeggiata a piedi, arricchita dagli orgogliosi animali che danno il nome a questa terra, i cavalli. Rimaniamo conquistati dalle chiese, cappelle e monasteri rupestri che spuntano a ogni angolo, con affreschi incredibilmente ben conservati. Entrare in queste grotte claustrofobiche è un’esperienza irrinunciabile e ci sentiamo immersi in una caccia al tesoro con la storia. La Chiesa della Mela, la Chiesa Oscura e la Chiesa della Fibbia sono solo alcuni dei luoghi che ci hanno lasciato più stupefatti. I colori del tramonto donano una morbidezza eterea alla pietra tenera e facciamo davvero fatica a lasciare andare questo magico luogo fuori dal tempo.

Accettiamo un passaggio in paese da una coppia di documentaristi conosciuta durante la visita, per poi fermarci per una bevuta sulla terrazza dell’albergo, allietati dal canto del muezzin. Stesi sui divanetti color ocra, ci sentiamo abbracciati e accolti dal panorama che va riempiendosi di luci e sentiamo di aver trovato il nostro posto nel mondo. Ceniamo al volo in un ristorante un po’ defilato con due pide per poi incontrare finalmente il nostro letto, desiderosi di una notte ristoratrice.

Giorno 5. Iniziazione – Göreme

Ci svegliamo prima dell’alba al suono dei bruciatori, ci vestiamo frettolosamente e ci catapultiamo in terrazza. È difficile descrivere l’emozione che si prova nel vedere, per la prima volta, l’esercito di mongolfiere che sorvola ogni giorno, tempo permettendo, il cielo rosa pastello di Göreme. I padroni dell’aria si accendono a intermittenza, come a creare una sinfonia di luci e colori, che fa impallidire la più elaborata delle trovate sceniche. Aspettiamo con ansia che i palloni giganti si avvicinino alla terrazza con eleganza, alla ricerca del vento più morbido. E’ ormai giorno quando le ceste ci sfiorano la testa, piene di avventori sorridenti che ci salutano timorosi. Nell’occasione facciamo conoscenza con una giovane coppia di milanesi che mi supporta nel convincere Riccardo a vivere con me l’esperienza del volo, nonostante la sua paura dell’altezza, visti anche i prezzi convenienti delle prenotazioni last-minute. Non riesco nel mio intento, ma sono decisa a provarci di nuovo in un momento più propizio.

Dopo aver goduto dell’abbondante e sfiziosa colazione servita sulla terrazza dell’albergo e dopo aver accettato l’impossibilità di girare le valli dell’altopiano con i mezzi pubblici, decidiamo di noleggiare uno scooter per la giornata. Troviamo a fatica l’imbocco del primo sentiero, segnalato con un cartello fai-da-te, e ci incamminiamo alla scoperta della Love Valley. Mai nome fu più azzeccato, vista la forma molto poco pudica dei pinnacoli rocciosi che popolano la valle. Ci divertiamo a scalare i punti più panoramici, alla scoperta degli scorci più sorprendenti. Montiamo di nuovo in sella al nostro bolide, alle volte della Red Valley. Facciamo su e giù per la strada principale che conduce a Çavuşin più volte, totalmente disorientati dal navigatore che continua a portarci fuori strada. Tuttavia non riusciamo ad odiarlo, in quanto perdersi in queste valli dimenticate è una delle esperienze più entusiasmanti di un viaggio in Cappadocia. Decidiamo quindi di affidarci al buon senso e alla mappa che ci è stata fornita dall’albergo e scopriamo con sorpresa che la valle è sempre stata al nostro fianco, ben visibile in tutta la sua grandiosità. Ci incamminiamo per scoprire qualche punto panoramico ammiccante, consapevoli che ci vorrebbero giorni per esplorare la valle nella sua interezza. In compagnia di alcuni gruppi a cavallo, vaghiamo alla scoperta delle sfumature più inaspettate, sorprendendoci di fronte alle forme che la natura è riuscita a scolpire senza premeditazione.

Ci rimettiamo in strada per raggiungere i margini del villaggio di Çavuşin, dove troviamo l’imbocco del sentiero per la Rose Valley. Passeggiamo sotto un sole che si appresta a diventare insostenibile, fino a quando non ci imbattiamo in un set di un reality show messicano piuttosto discutibile. Le sfumature delicate di questa parte di valle sono davvero accoglienti ma non ci affascinano a tal punto da sfidare ulteriormente il caldo opprimente. Rientriamo a Göreme per un pranzo a Turist Ömer e poi ci fermiamo in albergo per un po’ di riposo. Usciamo a ridosso del tramonto per godere della vista mozzafiato sulla Red Valley dal punto panoramico di Aktepe Hill, facilmente raggiungibile in macchina e attrezzato con vari punti ristoro. Di tramonti possiamo dire di averne visti tanti, ma questo è sicuramente nella lista dei più belli mai visti, con l’altopiano anatolico dalle sfumature più varie che si staglia a perdita d’occhio.

Esaltata dal fatto di aver finalmente strappato a Riccardo un timido consenso al volo in mongolfiera, prima di uscire per cena chiedo al nostro albergo disponibilità per la mattina successiva. Potete immaginare l’esplosione di gioia nel mio petto, e il terrore negli occhi di Riccardo, di fronte alla risposta positiva dell’addetto all’accoglienza, che per di più conferma il costo molto conveniente già preannunciato. Non posso credere che stiamo per vivere insieme questa esperienza adrenalinica e indimenticabile. Ceniamo nei dintorni dell’alloggio decisi ad andare a letto presto, vista la sveglia diabolica prevista per la giornata successiva.

Giorno 6. Volare – Göreme

Abbiamo ancora gli occhi gonfi di sonno quando la navetta della Universal Balloon passa a prenderci per condurci alla pista di decollo. Il viaggio con i nostri compagni di avventura si svolge nel silenzio più assoluto, con i cuori combattuti tra paura, esaltazione e incredulità. Il pallone colorato che ci avrebbe condotto sopra i cieli dell’Anatolia ci accoglie riverso a terra, pronto per essere gonfiato dalle fiamme e dal vento. Osserviamo il rituale del gonfiaggio pervasi da una sacralità inattesa, consapevoli che una nuova fede si approprierà di noi, fino alla viscere, senza lasciarci mai più. Il tempo smette di scorrere lento e attutito nel momento in cui il pallone, ben teso e svettante, ci invita ad entrare nel cesto rapidamente. Dopo una breve descrizione delle regole di sicurezza, è il momento di librarsi in aria. Pochi attimi di attesa, 3, 2, 1 e la cesta comincia a salire dolcemente, senza fretta, al passo con il nostro respiro. Il vuoto allo stomaco dura giusto un attimo, l’emozione fa uscire qualche lacrimuccia e bastano pochi minuti per capire che non mancherà la terra sotto i piedi, che stare lassù sarà la cosa più naturale del mondo. E’ difficile descrivere la sensazione di esaltazione che si prova nel volare all’alba sopra un paesaggio geologicamente unico al mondo, in compagnia di altre 150 ceste di sprovveduti. E’ adrenalina pura, è gioia estrema, è serenità condivisa. I bruciatori suonano una melodia ancestrale, pacifica, facendoci dimenticare paura, frenesia e irrequietezza. Scendere a terra, dopo quasi un’ora di ebbrezza, ci provoca un dolore profondo e ci fa provare repulsione verso le nostre stesse gambe. Festeggiamo con un brindisi e un certificato di volo che stringiamo al petto come se fosse il bene più prezioso. Riccardo, che la sera prima faticava a parlarmi, mi ringrazia dal cuore, con gli occhioni blu spalancati, per avergli fatto vivere una delle esperienze più emozionanti della sua vita. Si può toccare il cielo con un dito più di così?

Rientriamo in albergo in tempo per la colazione e poi crolliamo a letto sfiniti. Riusciamo nel pomeriggio, decisi a visitare la Kılıçlar Valley, subito fuori dal villaggio, con i suoi camini delle fate appuntiti. Ci fanno compagnia dei cavalli amichevoli, alloggiati in grotte scavate dal tempo e dall’ambizione dell’uomo. Una volta tornati al piazzale principale, veniamo letteralmente assaliti da una mandria di cavalli selvaggi al galoppo. Ci mettiamo goffamente al riparo, spaventati, per poi scoprire che un gruppo di persone e un fotografo sono rimasti imperterriti al loro posto. Assistiamo al folle photo shooting dei Dalton Brothers più volte, increduli, realizzando che esperienze molto più adrenaliniche del volo in mongolfiera abitano questo luogo fuori dal mondo.

Assistiamo al tramonto dal punto panoramico di Göreme, in un’atmosfera rarefatta, ancora increduli per la giornata piena di emozioni appena vissuta. Ceniamo con dei deliziosi falafel e facciamo sosta in qualche negozio di souvenir, per decidere cosa porteremo a casa per tenere vivi i ricordi.

Giorno 7. Esplorazione – Göreme

Rinfrancati da una sveglia decisamente più benevola dei giorni precedenti, decidiamo di riprendere lo scooter per la giornata, desiderosi di continuare ad esplorare i dintorni mozzafiato di questa terra unica. Torniamo al piccolo villaggio di Çavuşin, che ci aveva già conquistati durante la breve sosta dei giorni precedenti, con il suo mercatino dal sapore gitano e le scenografiche rovine diroccate. Ci perdiamo per il ripido complesso di case abbandonate che salgono vertiginosamente verso l’alto e restiamo senza parole di fronte al fascino dell’antichissima Chiesa di San Giovanni Battista, con le massicce colonne ben conservate e il sublime panorama. Adocchiamo anche le nostre prime colombaie, che attraggono lo sguardo con fare misterioso.

Risaliamo in groppa al nostro bolide per costeggiare la Paşabaği Valley, dove si trovano i camini delle fate più iconici e famosi della Cappadocia, sormontati addirittura da tre coni. Non paghiamo il biglietto da poco introdotto, perché ci prende una strana voglia di cambiare aria e allontanarci dai dintorni di Göreme, per visitare una claustrofobica città sotterranea.

Il viaggio per la città sotterranea di Kaymaklı è lungo e stremante, decisamente poco raccomandabile su un due ruote. Arriviamo sani e salvi con la testa un po’ confusa e ci catapultiamo in un vero e proprio labirinto di gallerie che scendono per molti metri nelle viscere della terra. L’idea che ci si potesse rifugiare là sotto, senza luce, anche per mesi, ci chiude la gola e ci fa mancare il respiro. Cerchiamo di scoprire gli angoli più nascosti del percorso, con la paura di perdersi che non ci abbandona neanche per un istante. Pranziamo in una tavola calda con un toast, per poi rientrare alla base per un po’ di riposo. Il tramonto di oggi decidiamo di goderlo dalla vetta di Uçhisar. La vista a perdita d’occhio non ci appaga come i punti panoramici dei giorni precedenti, ma la salita del simbolico castello, con la sua forma accattivante e le tenere finestrelle, vale comunque la pena.

Giorno 8. Luna di miele – Göreme

In astinenza da mongolfiere, riempiamo i nostri dispositivi con altre spettacolari fotografie prima di concederci l’ultima colazione al Wonder of Cappadocia. Chiudiamo le valigie pronti per spostarci, per una sola notte, in una location più esclusiva, Hanzade Suites, dove abbiamo prenotato una spaziosa suite con vasca idromassaggio. Dedichiamo la giornata al relax e al benessere, senza fretta, concedendoci una piccolissima luna di miele. La mattina raggiungiamo a piedi la Pigeon Valley, dove passeggiamo in completa solitudine, senza incontrare anima viva. Il sentiero ci permette di conoscere una parte di Göreme ancora inesplorata e di godere di una vista mozzafiato, circondati da numerose piccionaie scavate nella roccia, con Uçhisar a fare da sfondo. Prima di pranzo visitiamo la Moschea di Göreme, inconsapevoli della mistica esperienza che avremmo vissuto di lì a poco. Ci avvicina un anziano fedele, incuriosito dalla nostra presenza, dato che pochi viaggiatori in paese decidono di visitare la moschea, attratti da bellezze più naturalistiche. Ci accompagna nella sala principale spiegandoci con grande passione i principi del Corano e ci conquista, inaspettatamente, con la sua genuinità.

Dopo un pranzo con kebab, dedichiamo il pomeriggio al relax, complice anche una mia febbriciattola fastidiosa. Ci coccoliamo con l’idromassaggio in un’atmosfera da mille e una notte, grati per tutte le meraviglie che hanno deliziato i nostri occhi in questi giorni e per la fortuna che abbiamo avuto a poter godere di questo remoto angolo di mondo. Decidiamo di godere del tramonto dalla nuova terrazza, che purtroppo non ha niente a che vedere con quello a cui ci aveva abituati il precedente alloggio. Ma il canto del muezzin della moschea vicina e una chiacchierata improvvisata con una giovane coppia di australiani ci fa capire che non avremmo voluto essere in nessun’altro posto.

Giorno 9. Passaggio a Sud – Kaş 

Con il transfer organizzato dall’albergo raggiungiamo velocemente il piccolo aeroporto di Kayseri, dove ci aspetta il secondo volo interno che ci condurrà sulla Costa Turchese, al mare. Atterriamo in una Antalya umida e accaldata, dove recuperiamo la Renault Clio di Sixt che ci aspetta trepidante. Il viaggio per Kaş ci coglie alla sprovvista, con una viabilità confusa, una segnaletica mai vista e dei limiti di velocità frustranti. Ci fermiamo a mangiare in una stazione di servizio dimenticata e arriviamo in paese solo nel tardo pomeriggio, dove il proprietario del Kaş Old Town Hotel ci attende con un parcheggio tenuto libero per noi. Ci sistemiamo nella bella camera all’ultimo piano, con la terrazza panoramica a nostra disposizione. Ceniamo al Nazende, un delizioso ristorante di pesce, che ci coccola in modo totalmente inaspettato e rinfranca i nostri corpi provati dal viaggio. Il villaggio di Kaş ci conquista, con i suoi vicoli acciottolati e le sue boutique alla moda. Dopo giorni lontani dall’atmosfera occidentale, tiriamo un sospiro di sollievo nell’averla ritrovata in questo tenero angolo di mondo, in tutto il suo splendore. Ci sentiamo chiamare e rimaniamo piacevolmente sorpresi nell’incontrare di nuovo la coppia milanese conosciuta qualche giorno prima sui tetti di Göreme, con la quale ci diamo appuntamento per la cena dell’indomani.

Giorno 10. Turchese – Kaş 

Con il viaggio che sta volgendo al termine, la parola d’ordine non può che essere relax. Con questo obiettivo chiaro in testa, facciamo il nostro primo parcheggio creativo per godere della scenografica Kaputaş Plajı. Veniamo letteralmente accecati dal colore intenso del mare e dalla distesa di candidi ombrelloni e lettini a prezzi stracciati. Nonostante la spiaggia sia molto affollata, non percepiamo caos o claustrofobia. Gli avventori vanno e vengono e si divertono con pacatezza, permettendoci di godere di una lenta giornata di riposo, coccolati da un mare un po’ agitato ma cristallino. Non potendo apprezzare il tramonto dalla spiaggia, decidiamo di spostarci all’anfiteatro di Antiphellos, a due passi dal nostro alloggio. Non ci aspettavamo assolutamente un luogo così magico, con due musicisti ad intrattenerci e una vista sul mare impagabile. Il sole ci saluta con dei colori strabilianti e ci riempie di un’energia nuova.

Ceniamo in compagnia di Alessia e Andrei con meze e polpo alla griglia e tiriamo tardi parlando di viaggi, itinerari turchi e vita da trentenni. Prendiamo confidenza con l’accesa vita notturna di Kaş, tra locali mondani, concerti improvvisati di artisti di strada e simpatici poliziotti in borghese.

Giorno 11. Licia – Kaş

Assonnati dalla serata brava, ci dirigiamo verso l’immensa spiaggia di Patara. Seppur indisposti dal costoso biglietto istituito all’ingresso, rimaniamo folgorati dalla lunghezza sconfinata del litorale, piacevolmente attrezzato e con una distesa di sabbia finissima. Godiamo degli spazi molto più ariosi rispetto al giorno precedente, circondati dalle dune e dai nidi delle tartarughe marine. Nel tardo pomeriggio visitiamo le antiche rovine dell’importante città Licia ai margini della spiaggia. Lo stato di apparente abbandono del sito ci fa soffrire molto, ma non intacca minimamente il fascino della sua storia millenaria. Attraversiamo senza fretta l’anfiteatro popolato da capre selvatiche, l’antico “parlamento” della lega licia e l’iconica strada colonnata parzialmente riedificata. Il tramonto arricchisce l’esperienza con colori pastello che ci fanno sentire di essere tornati indietro nel tempo, senza il minimo sforzo.

Rientrati a Kaş in compagnia di una luna piena luminosissima, prenotiamo per l’indomani una traversata giornaliera in traghetto che avevamo già adocchiato nei giorni precedenti. Ceniamo circondati da gatti esigenti, per poi acquistare qualche oggetto di artigianato locale alla stupenda Tuğra Art Gallery.

Giorno 12. Kastellorizo – Kaş

Raggiungiamo di buon ora il molo dei traghetti della compagnia Meis, pronti a salpare per l’isola greca di Kastellorizo, paradiso naturale che ha ospitato il film Mediterraneo. Dopo essere stati ripresi per le effusioni in pubblico dal poliziotto di frontiera, sfidiamo il mare alle volte dell’Europa, chiedendo al nostro stomaco infastidito di resistere. Il villaggio di pescatori di Megisti ci accoglie con colori dai toni accoglienti e con un aspetto surreale da cartolina, quasi troppo bello per essere vero. Basta poco per sentirsi a casa in Grecia: una taverna sfiziosa, il mare di cristallo, il silenzio e la pace di una meta poco turistica. Ci incamminiamo lungo la romantica passeggiata che costeggia il lato nord-est dell’isola, alla ricerca di un punto comodo per tuffarci. Superata la deliziosa tomba licia, ci accoglie una piattaforma ben tenuta e poco frequentata dalla quale riusciamo a godere di un bagno come si deve, in un mare finalmente calmo. Ci lasciamo cullare senza fretta, abbandonando alle acque preziose le nostre frustrazioni più recondite. Torniamo verso il porto per esplorare il lato opposto della baia. Ci pervade uno stato di grazia ipnotico, un ritmo interno lento e languido, una sensazione di contatto con la parte più intima della nostra anima. Sentiamo che questa isola ci sta curando, da tutto quanto c’è di brutto nell’universo.

Pranziamo alla Athina Seafood Tavern, accolti e coccolati dall’irresistibile simpatia del proprietario. Mentre gustiamo una freschissima orata alla griglia, una tartaruga caretta caretta nuota proprio accanto a noi, sotto le barche ormeggiate, e ci lascia letteralmente senza fiato. E’ incredibile come un’escursione non preventivata, possa diventare inaspettatamente tra le tappe più incredibili di un viaggio. Lasciamo l’isola affranti, quasi disperati, come ogni volta che si è costretti a lasciare un luogo che sappiamo per certo ci avrebbe reso felici, se solo avessimo avuto il coraggio di restare. Cerchiamo invano di anestetizzare il dolore, distraendoci con i murales che costeggiano la banchina di attracco del porto di Kaş, per poi rientrare in camera stremati.

Giorno 13. Myra – Kaş

Riprendiamo la macchina miracolosamente senza multa e ci dirigiamo verso Demre, dove si trova il monumentale sito archeologico di Myra. Come si fa a non rimanere estasiati davanti ad un anfiteatro e a tombe rupestri di dimensioni così memorabili? Per non parlare delle maschere teatrali scolpite nelle pietre sparse tutto attorno, che farebbero innamorare chiunque almeno una volta abbia assistito al miracolo della scena. Ci perdiamo tra le rovine polverose, desiderosi di esplorare ogni angolo, resistendo continuamente alla tentazione di arrampicarci per sbirciare l’interno di queste tombe così scenografiche.

Lasciamo Demre colpiti dalla sua bellezza assolutamente inaspettata e sulla via del ritorno ci fermiamo a Kaleüçağız, nella speranza di poter godere della baia di Kekova risparmiandoci gli affollati tour giornalieri in barca o kayak. Purtroppo incontriamo soltanto moli abbandonati e strade senza uscita o impercorribili che non ci permettono di visitare neanche la fortezza di Simena, della quale ammiriamo a malapena il profilo merlato. Torniamo verso Kaş delusi, ma con gli occhi pieni dei colori di questa parte di costa decisamente idilliaca. Approfittiamo per godere della vista dal punto panoramico di Kaş, dove degli avventori piuttosto improvvisati organizzano brindisi romantici con tanto di musica di sottofondo. Passiamo il resto della giornata nel caos composto di Büyükçakıl Plajı, dove approfittiamo dell’ottimo servizio ristorazione e del mare limpido e placido. Combattiamo per tutto il tempo con la tentazione di aiutare i nostri vicini, in estrema difficoltà nel piantare gli ombrelloni, difficoltà apparentemente condivisa dal popolo turco nella sua interezza. Ad un tratto uno strano magone ci assale, dato dalla consapevolezza che il viaggio sia agli sgoccioli e che tutte queste bellezze diventeranno presto un lontano ricordo. Passiamo l’ultima sera bevendo rakı tra i vicoli acciottolati del paese, sovrastati da enormi bandiere rosse col viso fiero di Atatürk che sventolano dolcemente, come ad augurarci un benevolo “arrivederci”.

Chiara di Effetto Wanderlust

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