CINA: avventure nel paese dei ‘mandarini’ – 2° pt
IL NUMERO TRE.
Entro in una frutteria e alla ragazza che serve chiedo, tra le altre cose, tre banane indicandole (parlare non è proprio il caso perché lei non sa l’inglese ed io non so il cinese) e facendo il numero tre con il pollice, l’indice ed il medio della mano; lei mi guarda con lo sguardo perso nel vuoto non capendo il mio gesto ed io non capisco il motivo della sua incomprensione per cui rischiamo di trovarci in una situazione di stallo quando mi si accende una lampadina: mi ricordo che, in precedenti occasioni, avevo visto i cinesi indicare il numero tre con il mignolo, l’anulare ed il medio della mano, quindi cambio rapidamente le dita utilizzate ed il suo sguardo si illumina riconoscendo, finalmente, il gesto e dandomi le banane richieste.
SENZA PUDORE.
Le donne cinesi sono particolarmente pudiche solo per quanto riguarda il seno; al resto non danno molta importanza.
Mi trovavo su un autobus a Suzhou quando sale una donna, con una gonna al ginocchio, che si mette seduta su uno dei sedili perpendicolari alla direzione di marcia lasciando le gambe aperte senza minimamente preoccuparsi di chi ha davanti e lasciando che si vedano tranquillamente le mutande; tuttavia noto che i cinesi non danno particolare peso alla situazione e mi viene da pensare che la stessa situazione, riproposta sull’autobus 64, a Roma, noto per vari incidenti “hard”, avrebbe scatenato un putiferio.
Anche quando usano la bicicletta, le donne non hanno problemi ad indossare gonne corte o attillate e, questo, nel movimento del pedalare, provoca inevitabilmente che le gambe si scoprano abbondantemente, ma non se ne danno pensiero alcuno.
IL MECCANICO DELLE… BICICLETTE Paese che vai mestiere che trovi.
Cosa ci fa un tizio seduto sul marciapiede sotto un ombrellone con una bacinella d’acqua (zozza) vicino? Semplice! Aggiusta le biciclette o, meglio, ripara le camere d’aria delle ruote e l’acqua gli serve per controllare dove si trova l’eventuale foratura; visto che esiste una miriade di biciclette, esistono tantissimi che fanno questo mestiere nelle condizioni descritte fino ad arrivare a vere e proprie “officine” dove si riparano solo ed esclusivamente… biciclette.
LO STUZZICADENTI Questo oggetto è parte integrante della quotidianità dei cinesi; è molto facile, dopo che hanno mangiato, trovarli a ripulirsi i denti; il fatto che lascia un po’ sorpresi è che questa pulizia è indipendente dal luogo e dal momento in cui viene eseguita.
Bisogna dire che i cinesi mangiano a qualunque ora del giorno (e della notte) e non necessariamente in un locale apposito ma anche per strada o dietro le bancarelle di vendita, per cui la conseguente pulizia a mezzo stuzzicadenti avviene più o meno nello stesso luogo dove si è consumato il pasto e questo porta a situazioni che, agli occhi di un “non cinese”, potrebbero sembrare… sconvenienti.
CHI LO CAPISCE, IL CINESE? La lingua usata nelle mie comunicazioni con gli autoctoni era, ovviamente, l’inglese ma, al di là degli alberghi e degli aeroporti, era praticamente impossibile trovare un cinese che lo parlasse o quantomeno ne abbozzasse la comprensione; anche il mio tentativo di “dire” qualcosa in cinese non ha sortito effetti positivi.
Primo caso: mi trovo nella città di Hangzhou ad attendere l’arrivo di un autobus e sono l’unica persona palesemente straniera in mezzo ai vari cinesi.
Ad un certo punto mi si avvicina una donna dell’apparente età di 50 anni e mi rivolge la parola, in cinese, dicendomi sa solo Dio che cosa; io faccio fatica a credere che costei voglia parlare proprio con me, visto che è evidente che non sono cinese e che, quindi, ci sono buone possibilità che non possa comprenderla e, allora, rispondendole in italiano le dico dell’inutilità dei suoi tentativi perché, tanto, non capivo una beata…; lei insiste a dirmi chissà cosa e io ribadisco, sempre in italiano, che stavamo soltanto perdendo tempo; a questo punto lei, sconsolata e scuotendo la testa, si allontana borbottando frasi incomprensibili.
Secondo caso: dal vocabolario che mi ero portato dietro scopro che la parola “tè” in cinese si dice “cha” ed ha un corrispondente ideogramma; alla prima occasione, nel chiedere del tè, provo ad usare la parola cinese ma dall’altra parte trovo il vuoto pneumatico dell’incomprensione; riprovo a dire la parola cercando di usare tutti i modi e suoni vocali che avevo già sentito in precedenza ma non c’è verso di ottenere l’ambrata bevanda; allora cerco sul vocabolario il corrispondente ideogramma e lo faccio leggere al mio interlocutore che, subito, illuminandosi in volto pronuncia la famosa parola in uno dei modi che avevo già usato anch’io, o almeno così mi pareva; mi viene quasi da chiedergli: “Perché, io cosa avevo detto?”.
Terzo caso: uscito dalla visita ad un tempio, s’era fatta ora di pranzo, per cui ho cominciato a vedere dove poter mangiare qualcosa; c’è da dire che se c’è una cosa che in Cina non manca è dove mangiare; esistono posti di tutti i tipi e per tutte le tasche.
Nel caso che sto per descrivere, avevo adocchiato un locale che poteva essere una via di mezzo tra una bettola ed una trattoriola casareccia delle nostre parti, che in qualche modo mi ispirava fiducia e, quindi, sono entrato.
Ovviamente in questi posti o parli cinese o, in alternativa, parli cinese; nel mio caso, ho subito scartato la prima ipotesi e, conseguentemente, anche la seconda per cui abbiamo comunicato a gesti (cosa peraltro ripetuta in gran parte dei locali in cui ho mangiato).
A quella che sembra la padrona spiego, a gesti, che vorrei mangiare qualcosa (qualunque cosa) e lei, molto gentile, mi fa vedere il menù del giorno appeso ad un muro e scritto in… cinese; le faccio capire che per me è incomprensibile e, sempre a gesti, tento di farle capire che se mi porta un piatto di “noodle” (spaghetti cinesi) per me va bene; lei sembra aver capito e mi fa accomodare ed io mi rassegno a vedermi portare chissà quale assurdità; invece, poco dopo, ritorna proprio con quello che avevo chiesto: INCREDIBILE MA VERO!!! Comunque, c’è da dire che in altre situazioni la risoluzione della questione mangereccia è stata risolta più facilmente perché esisteva un menù in inglese (condizione necessaria ma non sufficiente) o perché potevo vedere ciò che preparavano e, quindi, indicare quello che volevo (condizione non necessaria ma sufficiente).
CLIMA In quasi tutte le città visitate, le temperature non sono mai scese sotto i trenta gradi; il problema susseguente nasce dal fatto che l’umidità relativa viaggia, almeno in agosto, tra il 70 ed il 75%, per cui più che respirare si nuota in una specie di nebbiolina lattiginosa che incombe come una cappa e sfuma i contorni degli oggetti distanti.
Tuttavia, gli autoctoni si muovono anche nelle ore più calde (si fa per dire) apparentemente senza grossi problemi ed utilizzando accorgimenti ad hoc: le donne usano ripararsi dal sole cocente con dei semplici ombrelli colorati; gli uomini, specialmente quelli che fanno lavori all’aria aperta, usano un asciugamano bagnato con cui coprono testa e spalle per tenersi al fresco e, ogni tanto, lo ribagnano; io, non avendo né l’uno (l’ombrello) né l’altro (l’asciugamano), ogni tanto passavo un quarto d’ora in un negozio dove l’aria condizionata era a palla.
Anche l’abbigliamento è condizionato dal clima; nei momenti di relax, gli uomini usano passeggiare vestiti con canotta giromanica ascello-panzare, bermudoni e ciabatte da casa o, in alternativa, calzini bassi e scarpe da passeggio; le donne usano vestiti leggeri e corti ed anche loro fanno uso di un calzino trasparente a volte messo sopra le calze; sì, perché anche con il caldo cocente che c’era, ho visto donne che andavano in giro con le calze e… rigorosamente depilate.
A tal proposito c’è da dire che anche gli uomini cinesi non hanno peli sul corpo e men che meno sulle gambe per cui quando mi incontravano, visto che stavo sempre in bermuda, guardavano le mie gambe pelose con un’espressione tra il divertito ed il meravigliato.
In taluni posti il tempo metereologico può cambiare anche nel giro di pochi minuti; mi trovavo a passeggiare su un lungolago nella città di Hangzhou sotto un cielo QUASI sereno; dopo un quarto d’ora non riuscivo a trovare più la mia ombra e, guardando in su, ho visto il cielo completamente plumbeo; contemporaneamente si è alzato un fortissimo vento con lampi e tuoni; tutt’intorno la gente (cinese) guardava quasi affascinata lo spettacolo del temporale che si stava preparando e ne approfittava per farsi delle foto sullo sfondo del cielo diventato improvvisamente grigio con venature nere; ho fatto appena in tempo a trovare un rifugio che si è scatenata l’iradiddio di pioggia e vento.
SERVIZIO IN CAMERA Esiste una piacevole usanza negli alberghi cinesi (e orientali in genere): di solito, dopo aver trascorso la giornata in giro, si torna in albergo per rinfrescarsi, cambiarsi ed andare a cena da qualche parte; ebbene, mentre si sta fuori per la cena, un inserviente dell’albergo viene in camera e provvede a scostare le coperte per preparare il letto per la notte, mettere un paio di ciabatte da camera vicino al letto, chiudere le tende, predisporre il tappetino della doccia all’uso, accendere la luce per la notte e mettere sul cuscino il messaggio “Good night”; non avrei avuto certo da ridire se una gentile fanciulla avesse atteso il mio ritorno in camera a completamento dell’operazione.
SONO STANCO Quando vogliono riposarsi e non c’è dove sedersi, i cinesi si accovacciano sulle gambe e rimangono così per parecchio tempo, fumando, chiacchierando o semplicemente senza fare niente; sembra che sia una posizione molto gradita.
Spesso si trovano persone che dormono in pieno giorno, nei posti più impensati e, soprattutto, nei modi più strani: seduti su una sedia in un tempio, semisdraiati su un tavolo in un locale, seduti per terra appoggiati ad un muro ecc… Saranno stanchi per il troppo lavoro? PRIMA IO Per i cinesi fare la fila è un concetto estremamente teorico; mettersi in coda ed attendere il proprio turno è un’attività ben lontana dalla quotidianità dei cinesi; quando arrivano davanti ad un qualunque sportello o devono salire sull’autobus o su un treno, tendono a creare un’allegra (per loro) e rumorosa calca ondeggiante, riempiendo qualunque spazio vuoto creatosi.
Mi trovavo davanti allo sportello per fare il biglietto per accedere ad un tempio e attendevo, soldi alla mano, che la persona davanti a me finisse il suo turno; quando è toccato a me, stavo per chiedere il biglietto, quando, chi stava dietro di me lancia dei soldi alla cassiera chiedendo (intuisco) il biglietto e, quindi, tentando di sopravanzarmi; la cassiera, bontà sua, ha comunque servito prima me, ma, come detto, il concetto di fila, sia essa a piedi o in macchina o in bicicletta, è qualcosa che esula dalla vita dei cinesi; sembra che dovunque siano diretti, debbano assolutamente arrivare primi.
Questa indole credo che sia inculcata ai cinesi fin da piccoli.
Stavo visitando, nella città di Hangzhou, una caratteristica ed antica farmacia dove venivano preparate le medicine secondo tecniche antiche e all’ingresso era stato sistemato un distributore dal quale, con un bicchiere, si poteva attingere del liquido che, se ho ben capito, doveva essere una qualche tisana; mentre aspettavo il mio turno, un bambino, sgomitando (i cinesi hanno i gomiti ben sviluppati) è andato avanti ma ha urtato malamente una signora che in quel momento stava per sorbire il liquido bollente appena attinto e che, per l’urto, le è finito in parte addosso; costei ha inveito contro il ragazzino e, subito, è insorto il genitore del suddetto pargolo prendendo le sue immediate difese. Conclusione: il genitore e la signora si sono scambiati battute al vetriolo, ognuno sostenendo la propria posizione. Chi aveva ragione? Ai posteri l’ardua sentenza! Naturalmente non ho capito un’acca di quello che si sono detti ma, data la situazione, ho intuito (spero correttamente) il tipo di dialogo che poteva essere avvenuto.
GIOCHI I cinesi amano i giochi; in particolare, girando per le strade di una qualsivoglia città, non è infrequente vedere gruppi di 2-4 giocatori, senza distinzione di sesso e di età, cimentarsi in qualche gioco da tavolo nei parchi o su un panchetto messo sulla pubblica via anche fino a sera inoltrata quando, ormai, il buio rende praticamente impossibile capire le varie mosse.
Oltre alle classiche carte da poker, usano anche delle carte strette e lunghe con, al posto delle classiche figure, degli ideogrammi.
Un altro gioco è costituito da una piattaforma simile ad una scacchiera dove sono disegnate delle linee assimilabili a quelle che usiamo noi nel gioco del “filotto”; su queste linee vengono mosse delle pedine secondo una procedura che mi è risultata incomprensibile; il gioco sembra talmente popolare che esiste anche una trasmissione televisiva nella quale i conduttori, interagendo con il pubblico, giocano una partita e spiegano (semprechè abbia intuito correttamente) come impostare le mosse nelle varie situazioni che si vengono a creare.
TRASPORTI Le distanze cinesi sono, ovviamente, molto grandi; soprattutto all’interno di città molto ampie, come Pechino o Shanghai, per spostarsi da un posto all’altro si fa un largo uso di vari mezzi di locomozione come, nell’ordine: bicicletta, autobus, metropolitana, taxi (che peraltro hanno tariffe estremamente basse); i treni, poi, viaggiano sempre completi e anche gli aerei (esistono decine di compagnie e dai nomi più curiosi) ormai sono largamente usati dal popolo cinese.
Anch’io mi sono adeguato a queste abitudini per cui negli spostamenti tra città vicine ho usufruito dei treni e per tragitti molto lunghi mi sono affidato (con qualche patema d’animo) agli aerei (comunque di compagnie ben note come l’Airchina); naturalmente non mi sono azzardato ad acquistare i biglietti per i treni per mio conto ma ho demandato l’incarico all’albergo presso cui alloggiavo: le difficoltà non sarebbero state tanto nel nome della destinazione (avevo tutti i nomi delle città che avrei visitato scritti in caratteri cinesi) quanto nel chiedere il tipo di sistemazione (sempre in cinese visto che ben difficilmente l’addetto alla biglietteria avrebbe parlato inglese); inoltre l’onnipresente calca davanti alle biglietterie avrebbe fatto perdere la pazienza anche a… Giobbe! A Pechino e Shanghai ho utilizzato i trasporti urbani, autobus e metropolitana; ora, per quanto riguarda quest’ultima, il problema di comprendere il nome delle fermate non si pone poiché sono scritte anche in pinyin che è la trascrizione in lettere latine degli ideogrammi cinesi.
Per gli autobus il discorso è diverso perché sulle tabelle di fermata l’unica cosa comprensibile è… il numero della linea; per il resto si intuisce che quell’autobus proviene da qualche parte, andrà (presumibilmente) da un’altra e che prima o poi passerà.
Per ridurre al minimo il disagio legato all’uso degli autobus, nel momento in cui arrivavo in albergo adocchiavo subito i numeri di quelli che passavano nei pressi in modo tale che nel momento in cui mi fossi trovato in un qualunque punto della città dove uno di questi era in transito avrei potuto prenderlo con la ragionevole certezza di arrivare a destinazione; in altri casi chiedevo in albergo quali autobus prendere per arrivare in un certo posto.
Naturalmente in alcune situazioni ho dovuto fare ricorso a un po’ di spirito di iniziativa: avevo appena finito di visitare il “Tempio dei Lama” a Pechino e, all’alba delle 2.30 di un pomeriggio canicolare, dovevo spostarmi al “Tempio del Cielo”; la distanza e la temperatura sconsigliavano decisamente lo spostamento a piedi per cui mi sono avvicinato alla palina della fermata degli autobus sperando in un segno (comprensibile) del cielo che mi facesse capire quale linea scegliere; ahimè, dopo un attento esame degli incomprensibili ideogrammi, ero al punto di partenza, così ho fermato un taxi.
Salito sulla vettura, dico, o meglio tento di dire, al conducente il nome del luogo dove volevo andare cercando di articolare i suoni con la pronuncia cinese; il risultato è stato meno di zero e la situazione rimaneva in stallo; allora ho tentato la carta del “vedi ergo capisci” ed ho fatto vedere all’autista la foto sulla guida di cosa volevo visitare; a quel punto, illuminato in volto e compreso l’obiettivo è partito senza indugio alcuno e in men che non si dica eravamo felici e contenti (io) a destinazione.
L’uscita dal tempio appena visitato riproponeva il problema dell’andata e cioè capire come tornare in albergo; la preferenza era per l’uso dell’autobus, ovviamente più economico, anche se i taxi, in Cina, costano veramente poco; in questa particolare circostanza il cielo mi ha aiutato perché uscito dal tempio, ormai ben “lesso” per la giornata passata in giro, scorgo che tra i vari autobus che passano lì davanti c’è anche l’unico che transita davanti al mio albergo; ringrazio mentalmente qualcuno e vado.
Altre volte mi sono affidato al mio senso di orientamento; trovandomi in un punto della città, mappa alla mano ho individuato la direzione da prendere per arrivare nel luogo desiderato e… ho preso un autobus (dopo attento ragionamento) che andava in quella direzione seguendone il percorso sulla cartina e pronto a scendere appena avesse cambiato direzione (è andata sempre bene!) Qualche volta, pur prendendo l’autobus corretto, magari indicato dal personale dell’albergo, bisognava capire dove scendere, soprattutto se l’obiettivo era verso la periferia e non facilmente identificabile; il fatto è che le fermate dell’autobus, in Cina, sono come quelle della metropolitana nel senso che può esserci anche una notevole distanza tra l’una e l’altra per cui, se ne sbagli una, poi devi fare un chilometro a piedi per tornare indietro; nel caso che sto per descrivere mi sono trovato sull’autobus giusto senza sapere, esattamente, dove scendere.
Avevo preso l’autobus per andare a visitare il museo del tè nella città di Hangzhou e stavo tentando di seguirne il percorso sulla cartina della guida; purtroppo, ad un certo punto, ho perso il filo conduttore per cui rischiavo di arrivare all’altro capolinea (chissà in quale sperduta località di periferia) o, alle perse, di scendere ad una fermata molto distante dalla mia meta. Mentre pensavo al da farsi, una gentile fanciulla autoctona mi saluta e mi fa la classica domanda che ormai sentivo da giorni: “Where are you come from?”; rispondo che vengo dall’Italia e lei, stavolta in cinese, mi chiede qualcos’altro; penso di aver compreso che mi chieda dove vado o cosa sto combinando lì e, a quel punto, le mostro un foglietto con su scritto, in cinese, il nome del luogo dove mi stavo dirigendo e che avevo previdentemente fatto scrivere dal personale dell’albergo. Lei comprende la situazione e mi fa capire che mi dirà lei quando scendere; la ringrazio ed attendo fiducioso. Dopo un po’ mi fa cenno che alla prossima fermata dovrò scendere e che dovrò camminare ancora per 5-10 minuti prima di raggiungere l’agognata meta.
JOGGING E GINNASTICA IN GENERE Nonostante la calura e l’afa opprimente i cinesi si dedicano all’arte dello jogging (come faranno!), di solito nei parchi cittadini ai quali, comunque, si accede pagando il biglietto. Nella città di Guilin che è solcata da vari canali d’acqua, lo jogging si fa sulle rive che sono state opportunamente rese transitabili (io mi sono limitato a lunghe passeggiate serali, senza correre e, comunque, si sudava ugualmente); un comportamento curioso è quando, sempre a Guilin, le persone si fermano in certi punti che, se ho visto bene, sono pavimentati con delle pietruzze in rilievo, e continuano a… camminare ma rimanendo sempre nello stesso posto forse per massaggiare la pianta dei piedi.
MERCATI E TRATTATIVE In ogni città esiste una zona dedicata a mercati e mercatini che sono dei veri e propri bazaar; in questi luoghi non si riesce a fare un passo senza che qualcuno non cerchi di richiamare la tua attenzione per venderti le cose più improbabili; per le compravendite è normale avviare delle trattative sul prezzo da pagare; io, in particolare, ho contrattato sul costo di alcuni cappellini che inizialmente mi erano stati posti a 36 Yuan (moneta locale) ciascuno (1 Yuan = 0,12 €) ed alla fine ne ho portato via 3 a 55 yuan; da notare che, di solito, la trattativa di chi vende è gestita dalle donne. In un’altra occasione ero interessato a dei ventagli; la trattativa è partita da un prezzo di 45 yuan ciascuno; dopo aver scelto quelli che mi sembravano i migliori ho posto il prezzo a 50 yuan per due ventagli, praticamente alla metà del prezzo iniziale di ciascuno; dall’altra parte si sono attestati a 65 ma io, irremovibile, non mi sono smosso da 50; alla fine la donna che vendeva è capitolata e ha incassato i 50.
Queste trattative le ho condotte, più per gioco che per altro, anche quando mi toccava ripristinare le riserve d’acqua portatile e dovevo affidarmi alle bancarelle per strada; bisogna sapere che i prezzi delle bottigliette d’acqua da 500/600 ml. Oscillavano da 1 yuan dei “supermercati” ai 2 yuan delle bancarelle per strada ai 3 yuan delle bancarelle vicine ai luoghi turistici; personalmente avevo stabilito che oltre i 2 yuan non avrei speso, anche alle bancarelle che chiedevano 3 yuan perché mi pareva che il doppio del prezzo del supermercato fosse più che sufficiente.
Per questo, quando dovevo comprare l’acqua in zone particolarmente turistiche, chiedevo il prezzo che immancabilmente era 3 yuan; al che dicevo, un po’ sorridendo, che avrei pagato 2 yuan; dall’altra parte c’era una iniziale resistenza e, allora, io dicevo che sarei andato alla bancarella vicina; dopo questa mia affermazione c’era la capitolazione e l’acqua mi veniva data ai 2 yuan che avevo offerto; naturalmente nei negozi e supermercati gli acquisti erano fatti ai prezzi richiesti.
E ADESSO COSA MANGIO? Come già accennato nel paragrafo “IL CINESE, CHI LO CAPISCE?” il capitolo vitto, tutto sommato non ha posto grandi difficoltà; in ogni strada, ogni 50m. Esiste un luogo dove mangiare che và dal locale assimilabile alla nostra trattoriola casareccia/bettola fino al ristorante vero e proprio.
Personalmente ho scelto sempre di evitare i classici ristoranti per avere la possibilità di penetrare nella vita quotidiana dei cinesi mangiando nei locali dove abitualmente mangiavano anche loro.
Il problema, semmai, poteva nascere dal capire cosa mangiare.
Primo caso: esiste un menù scritto anche in inglese; è la situazione più conveniente anche se non sempre si capisce, dalla traduzione, a che cosa si va incontro; comunque, alla fine, si ottiene qualcosa di buono da mangiare.
Secondo caso: non esiste il menù scritto in inglese; in tal caso si usa il vocabolarietto portatile facendo leggere a chi di dovere la parola cinese che corrisponde a cosa si desidera mangiare tipo “manzo”, “maiale”, ecc…; tuttavia in un paio di occasioni il risultato è stato lontano dalle aspettative.
Terzo caso: non esiste il menù in inglese ed al momento neanche il vocabolario portatile è si prova a spiegare a gesti quello che si vuole; nei casi in questione, pochi per la verità, ho avuto sempre risultati positivi. La variante è costituita dal fatto che talvolta i piatti erano direttamente visibili e, quindi, si poteva scegliere direttamente “de visu”.
Le alternative, comunque, non mancavano; si poteva scegliere tra i vari Mc Donalds e similari (scelti soprattutto a pranzo) e cene in camera (le ultime due, visto che ormai non mi andava più di girare per cercare un posto dove mangiare qualcosa di decente); per pochi yuan si potevano acquistare nei “supermercati” dei contenitori in cui si trovavano dei “vermicelli” disidratati, una confezione di brodo e dei pezzettini di carne, sempre disidratati; si aggiunge acqua calda e nel giro di pochi minuti si ottiene un interessante piatto di “vermicelli al brodo”; per un paio di sere poteva andare bene poiché, poi, integravo con frutta e yoghurt presi a parte.
Questo è tutto, anzi no, probabilmente tante cose non le ricordo, semplicemente perché si sono depositate nel fondo della mia mente e riverranno a galla soltanto se opportunamente sollecitate.
Tuttavia l’esperienza è stata sicuramente positiva e, visto che un antico proverbio cinese recita: “Non è un eroe chi non sale sulla Grande Muraglia”, io, fosse solo perché lassù ci sono salito, posso considerarmi a buon diritto… eroe.
BUON VIAGGIO!!!!!