Capodanno in Tunisia: “Broccolo Tour”

Dopo due giorni di discussioni, abbiamo deciso di partire per la Tunisia, prendendo un traghetto la sera del 27 dicembre da Genova. Il 27 mattina Silvia decide di unirsi a noi, un'ora dopo scopriamo che non c'è più posto in cabina. Partiamo lo stesso, c'è un broccolo sotto al sedile che darà il nome al viaggio, e dopo aver girato...
Scritto da: Roberto De la tour
capodanno in tunisia: broccolo tour
Partenza il: 27/12/2002
Ritorno il: 05/01/2003
Viaggiatori: fino a 6
Spesa: 1000 €
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Dopo due giorni di discussioni, abbiamo deciso di partire per la Tunisia, prendendo un traghetto la sera del 27 dicembre da Genova. Il 27 mattina Silvia decide di unirsi a noi, un’ora dopo scopriamo che non c’è più posto in cabina. Partiamo lo stesso, c’è un broccolo sotto al sedile che darà il nome al viaggio, e dopo aver girato come disperati in un porto di Genova estremamente poco chiaro, troviamo finalmente questa benedetta nave e scopriamo che la folla è costituita principalmente da fuoristrada coperti di autoadesivi di vari “club avventura”, da camper con famigliole e da motociclisti con tute di cuoio coloratissime e coperte di scritte pubblicitarie. Ci sistemiamo ai posti assegnateci, nel cinema della nave. Vado a inquietarmi alla reception se ci fosse una cabina libera, e vengo schiacciato da un bel niet. Poco dopo ci va Giorgia, e torna con le chiavi di una comodissima cabina a quattro letti con doccia.

Traversata quindi piacevole e rilassante, anche se un po’ lunga. A Tunisi ci aspetta una lunga e faticosa processione attraverso i meandri della dogana, con un sacco di uomini vestiti di arancio che sono li’ per spiegarti dove fare la coda e che poi chiedono una lauta mancia. Ad aspettarci c’è una conoscente del padre di Giorgia, che già ha previsto per noi un albergo a Tunisi e ha già pensato a organizzarci una festa di capodanno con ballerini e baiadere, ma noi la riaccompagnamo a casa sua, beviamo il suo the, guardiamo ammirati i reggiseni da lei disegnati, e via per il sud della Tunisia.

Iniziamo il viaggio con una stupenda autostrada, poi prendiamo la strada per Kairouan, dove eroicamente resistiamo alla tentazione di fermarci in una delle numerose griglierie che ci sono lungo la strada, per mangiare invece con calma dopo essere arrivati e esserci sistemati in albergo. Grave errore, come vedremo tra poco. Dopo un po’ di giri per Kairouan, troviamo l’albergo consigliatoci dalla Lonely Planet. Camere fredde a due letti, doccia in un corridoio e gabinetto nell’altro. Siccome era tardi, non siamo andati in cerca dei ristoranti consigliati dalla guida, ma siamo entrati in quello dietro l’angolo, carino con soppalco, e riusciamo a mangiare una specialità nazionale, il “brick à l’oeuf”, uovo pastellato fritto, che pero’ lì era purtroppo gocciolante di vecchio olio seguito da costolettine d’agnello dure, ossute e bruciacchiate. A letto preoccupati per il nostro fegato, e il mattino dopo i pareri sono stati discordanti sulla qualità dell’albergo: chi ha dormito come un ghiro, e chi è stato tenuto sveglio dal freddo e dal grido del Muezzin. Visita alla Medina, con la più antica moschea del nordafrica e stupende scuole coraniche, il tutto condito da venditori di tappeti scassamaroni.

Ripartiamo verso sud ovest, e dopo essere riuscito a riempirmi il collo di aghi di fico d’india lungo la strada durante una sosta dovuta a un bisogno naturale, ci fermiamo prima in un magnifico negozio di vecchie cose, da radio d’anteguerra a vecchi mobili intarsiati di madreperla (strano trovarlo lì, lungo la strada, tra ulivi e fichi d’india), poi a visitare le rovine romane di Sbeitla.

Tira un vento tremendo, ma non ci impedisce di ammirare templi e terme illuminati dalla luce del tramonto. Finalmente arriviamo a Tozeur che è già buio, e sembra che ci siano più italiani che tunisini, arrivati lì coi loro grossi fuoristrada e le loro moto. Uno ci dice che non c’è più posto in nessun albergo. Che gioia, fa decisamente freddo e non abbiamo materiale da campeggio. Invece troviamo una camera a tre letti addirittura riscaldata in un hotel abbastanza caro, col bagno dotato di saponetta che profuma di mela tutta la stanza. Mangiamo un ottimo couscous in un ristorantino molto simpatico, e il mattino visitiamo questa ridente cittadina con un bellissimo centro storico tutto a viuzze e passaggini dove Giorgia passa tre ore a negoziare tappeti; io invece compero un’enorme cammello di peluche che ci accompagnerà per il resto del viaggio.

Finalmente partiamo, sempre verso sud, e attraversiamo lo Chott el Jerid, un deserto di sale. Un immensa tavola piattissima, come un bigliardo, con la superficie che assomiglia alla crosta del panettone Galup. La stada è sopraelevata su un terrapieno, fiancheggiata da canali di drenaggio con acqua limpidissima che però è salata come quella del mar morto. A un certo punto c’è addirittura una barca arenata, ma abbiamo il sospetto che sia stata messa lì affinché i turisti si fermino a far foto e comprino le porcate in vendita in quel punto. Arriviamo a Kebili, e ci perdiamo nel palmeto alla disperata ricerca di una sorgente termale; quando la troviamo scopriamo che ci hanno costruito sopra un hamman. Purtroppo se volessimo usufruirne i servizi dovremmo separarci; diamo comunque un’occhiata all’interno: nella parte riservata agli uomini in mezzo al vapore, e tra una piscina d’acqua calda e l’altra ci sono uomi i che si lavano e massaggiano a vicenda. Riprendiamo l’automobile, e arriviamo a Douz, la porta del deserto.

Douz è una ridente cittadina, anche lei piena di italiani, la cui principale fonte di reddito sembra essere l’organizzazione di giri nel deserto in fuoristrada o in cammello per i turisti, e di vendergi mantelle, tappeti e babucce. Posto in albergo ne troviamo, ma facciamo parecchi avanti e indietro tra due hotel a causa del dubbio amletico: “prendiamo quello riscaldato e con bagno in camera ma caro, e sotto la moschea, o quello economico, ma col bagno in corridoio e lontano dalla moschea?” Finalmente optiamo per quello più caro, ma scopriamo che il riscaldamento nella camera con bagno è rotto, e ci prendiamo una camera a tre letti senza bagno. Poi ci accorgiamo che se accendiamo il riscaldamento salta la luce nell’albergo. Per fortuna le coperte erano calde, e alla fine la moschea non l’abbiamo sentita. Il giorno dopo andiamo a visitare due paesi lì vicino, dove degli abitanti con le donne vestite coi loro colorartissimi abiti tradizionali ci accolgono molto gentilmente, ma poi una turba urlante ci salta addosso cercando di venderci i loro scialli bianchi tradizionali. Torniamo a Douz non prima di esserci fermati a ammirare delle dune di sabbia bianca finissima che sembra cipria, e Giorgia si eccita enormemente alla sublime visione di una carcassa di dromedario in decomposizione. A Douz troviamo la Land Rover prenotata il giorno prima con la quale saremmo andati a passare capodanno nel deserto.

Con noi ci sono l’autista e una giovane guida. Partiamo, ci fermiamo a un posto di polizia a segnalare la nostra posizione, l’auto si guasta dieci volte ma l’autista riesce sempre a ripararla, facciamo una sosta per bere un the alla menta in un caffè in mezzo al nulla (dagli autoadesivi appiccicati sul bancone, notiamo che si sono fermati lì i tour di tutte le agenzie italiane di viaggi “avventura”), continuiamo, fino a uscire dalla zona dove c’è ancora un po’ di vaga vegetazione rinsecchita, e ci fermiamo tra le dune.

Il posto è bellissimo, parto a fare una passeggiata con Silvia e la guida, mi tolgo le scarpe per camminare a piedi nudi su questa incredibile sabbia finissima prima che venga troppo freddo, e poi voglio tornare alla macchina che intanto si era spostata per trovare un posto adatto per passare la notte. A quel punto succedono due drammi: non trovo più le mie scarpe e la macchina si insabbia. Giro tutte le dune una per una, ma niente scarpe (le dune hanno un grande difetto: si assomigliano da morire). Io giro in tondo, mentre gli altri mi chiamano a gran gesti per venire a aiutare a spingere.

Ottempero, ma a piedi nudi mi ferisco a un piede. Tira spingi scava, finalmente la macchina si muove. Riparto nella mia ricerca, e finalmente, dall’alto di una duna, le vedo, molto più a ovest di quel che credevo. Tutto è bene ciò che finisce bene, e ci prepariamo per la serata. Con legna raccattata prima dell’inizio delle dune si acendono due fuochi. Uno servirà per il pane, l’altro per la zuppa.

Infatti una grande specialità beduina è il pane fatto nella sabbia rovente sotto le braci, deliziozo inzuppato nella meravigliosa zuppa di agnello con verdure preparata sull’altro fuoco. Passiamo quindi la serata con un freddo spaventoso intorno al fuoco avvolti in coperte, poi si va a “letto” (io cedo le armi alle undici, le altre resistono fino a mezzanotte quando stappano una mignon di spumante venuta con noi dall’Italia). Ci stipiamo in cinque nella tenda, senza sacchi a pelo purtroppo, su dei materassini rattoppati e sotto vecchie coperte. Ci attende una notte lunga, gelida, scomoda. Ci svegliamo poco dopo l’alba, fa freddo, ma fa freddo, ma fa proprio freddo.

Inoltre siamo pieni di sabbia. Ma è bellissimo. Che luce, che colori! E l’autista ha acceso un fuoco, e presto ci mangiamo pane della sabbia caldo con nescafé e formaggio philadelfia spalmabile. Poi, dopo qualche foto ricordo con il broccolo che ci ha accompagnato per tutto il viaggio e che abbandonoiamo lì per gli animali eventuali, ripartiamo. La macchina si ferma venti volte, e foriamo pure. Ma arrivaimo sani, salvi e insabbiati a Douz, paghiamo e ringraziamo gli autisti, ricuperiamo la nostra gloriosa Punto, e siccome abbiamo fretta non mangiamo ma comperiamo pane e yogurt che riesco a rovesciarmi addosso in auto.

Andiamo alla volta di Matmata, ci fermiamo nella bella Tamerzet dove visitiamo un piccolo museo che è la ricostituzione di una casa berbera tradizionale, e arriviamo a Matmata, dove le case sono scavate nel terreno. Anche l’albergo, usato come set per la scena della discoteca nel film “Guerre Stellari”, è una vecchia casa scavata, e le camere sembrano grotte. Purtroppo c’è un milione di turisti, in maggioranza italiani, e decidiamo di ripartire subito.

Prendiamo una strada un po’ brutta dove a ogni incrocio ci sono dei ragazzini che vogliono sessere pagati per dirvi la direzione, e giungiamo all’imbrunire a Toujane, borgo costruito tutto in pietra a fianco di montagna, visitiamo un antico torchio, e comperiamno l’olio di oliva, con il timore che le vecchie bottiglie di acqua minerale utilizzate si rompano in macchina. Giungiuamo a Medenin, città senza niente da vedere, ma proprio per questo ha la grande qualità che nessuno rompe, troviamo con un po’ di difficoltà l’albergo, dove finalmente facciamo una lunghissima doccia calda e ci toliamo la sabbia che ci era entrata in orifizi che non pensavo neppure avessimo. Andiamo poi a mangiare un po’ fuori città a Metameur, dove hanno ricavato un ristorante da uno Ksar, un antico granaio. Il posto è molto carino, il couscous ottimo e l’agnello un po’ meno. L’albergo non serve la colazione, perciò andiamo in un caffè dall’altra parte della strada. E` pieno di tunisini che alle otto e mezza del mattino fumano il narghilé guardando RAI 1 alla televisione.

Ripartiamo verso sud, e giungiamo a Tataouine. Andiamo al mercato, dove compero cose indispensabili come un enorme sapone da bucato che ha impuzzolentito l’automoibile per il resto del viaggio, e un chilo di peperoncino secco. Le ragazze sono ipnotizzate dai banchi dove vendono henné e simili. Poi iniziamo un lungo giro in auto per visitare gli Ksar, questi granai multipiano, alcuni fortificati,tipicoi della zona. Sono bellissimi, ma in alcuni ci sono tonnellate di turisti, in altri i turisti devono esserci stati di recente, perchè è impossibile togliersi di dosso ragazzi che pretendono fare da guida, per fortuna in altri ancora c’è pace e veniamo lasciati in pace. Sono comunque posti magnifici in luoghi stupendi, e uno è stato usato anche lui come set per una scena di Guerre Stellari. Nella città vicina ci sono varie ville nuove, imponenti e di un gusto un po’ da telenovela; ci siamo domandati se non si tratta di gente che ha fatto i soldi grazie al film. La strada è magnifica.

La sera stessa facciamo una lunga guidata fino a Sfax, dove arriviamo verso le nove. Abbiamo qualche difficoltà a trovare un albergo che abbia tutte le qualità richieste (stupendo, magnifico, pulito, silenzioso ma che costi poco), e alla fine faccio il preopotente dicendo che è tardi, siamo stanchi, abbiamo fame, e ci fermiamo qui.

Terzo piano senza ascensore, polvere sui comodini, magnifica doccia calda, ma ahimè la camera si è inondata. Silvia, che sembra essersi ingraziata il portiere, mi impedisce di andare a protestare in mutande, va lei, e ottiene che ci diano la camera vicina, più pulta e con doccia che non provochi inondazioni. Poi afffamati andiamo in cerca di un ristorante, purtroppo quello nel quale secondo la guida fanno la minestra di polpo secco è chiuso. Dopo una puntata alla medina e averne trovato uno già con le sedie sui tavoli ma con tre polli striminziti che giravano su uno spiedo, torniamo verso l’albergo e entriamo nel ristorante più caro del viaggio, dove cioè avremmo pagato i prezzi di un ristorantino in Italia. Branzino eccezionale, polpo fresco delizioso, gamberetti un po’ troppo cotti, e… Vera birra! Quella conl’alccol dentro! Gioa e felicità! Il mattino dopo visitiamo la medina, circondata da impressionanti mura, tutto un vicolo pieno di vestiti babucce asciugamani cordame eccetera, ma poca roba per turisti. Subito dietro c’è un meraviglioso mercato dove oltre ai banchetti dove vendono henné, incenso, acqua di rose e polveri da trucco e dove Giorgia e Silvia si fermano ogni volta, ci sono anche dei venditori di olio che lo smerciano sfuso.

Altro acquisto, ormai abbiamo la macchina piena di olio di oliva. A me è rimasta la pulce nell’orecchio riguardo alla stroria del polpo essicato, e non mi do pace finche non lo trovo in un negozio di cordami. Sembra lo vendano li’ a causa dell’odore. Silvia e io mangiamo un delizioso spiedino di agnello in un minuscolo ristorantino, mentre Giorgia resta digiuna perchè ha passato tutto il tempo in un negozio di tappeti.

Ripartiamo verso nord, ci fermiamo a El Jem per visitare l’anfiteatro e un museo con incredibili mosaici romani, e continuiamo verso Tunisi, attraversando uliveti a perdita d’occhio. Arrivati a Tunisi, troviamo subito un albergo molto carino che ci mette tutti d’accordo subito (miracolo) nel quartiere coloniale francese, e troviamo per pranzare un simpatico ristorante nel quale scopro il couscous con la trippa. Tutti gli altri avventori sono tunisini, l’atmosfera è simpatica e chiassosa, e nemmeno Visconti, avesse voluto per una scena di un suo film creare un ambiente volutamente kitsch, sarebbe arrivato a tanto col decoro. Il giorno dopo visita della medina affollatissima, quanto ma quanto ciarpame che vendono, eppure c’è anche roba bella. Tutti vogliono farti vedere la grande moschea dall’alto di un terrazzo, ma detto terrazzo fa parte di un negozio di tappetti…Pomeriggio passato al museo del Bardo dopo aver guidato nel traffico di Tunisi, visti i mosaici romani più pazzeschi che si possano immaginare, guidata fino a Cartagine dove non c’è più granché da vedere, infine ricerca disperata di un autolavaggio (i pochi che troviamo sono pieni, il sabato sera i tunisini lavano l’auto prima di uscire) perchè la nostra macchina ormai sembra un dromedario. Lo troviamo, ci fa un lavoro magnifico, intanto andiamo in un supermercato di quartiere a comperare altro oilo di oliva e varie specialità tunisine, torniamo in centro a prendere i bagagli e il narghilé di Giorgia che sennò muore, ultima minestra veloce e via al traghetto. Di nuovo niente posto, e di nuovo ci danno una cabina, più bella che all’andata. Mare molto mosso, la macchina appena lavata si copre di sale, ma arriviamo a Genova, Giorgia supera come un ermellino tutta la coda del controllo passaporti, sgusciamo fuori, stranamente niente dogana (bisogna dichiarare l’olio d’oliva? E i tappeti?), e via su Torino.

Bellissimo viaggio. Bellissimo paese.



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