California + polinesia

Honeymoon di hamburger e cocco. Io e Salva avevamo sempre sognato di andare in Polinesia, e, grazie ai documenti di viaggio scaricati da internet, e grazie soprattutto al resoconto di viaggio di Steve (vedi “La mia Polinesia Francese” del 30.05.01 e relativo mini-portale), abbiamo deciso di organizzare la nostra honeymoon andando a visitare...
Scritto da: Elena Picco
california + polinesia
Partenza il: 21/05/2001
Ritorno il: 11/05/2001
Viaggiatori: in coppia
Honeymoon di hamburger e cocco.

Io e Salva avevamo sempre sognato di andare in Polinesia, e, grazie ai documenti di viaggio scaricati da internet, e grazie soprattutto al resoconto di viaggio di Steve (vedi “La mia Polinesia Francese” del 30.05.01 e relativo mini-portale), abbiamo deciso di organizzare la nostra honeymoon andando a visitare questa tanto ambita meta.

Spronati dalla nostra frase continua “se non lo fai adesso non lo fai più” (è da anni che ci consoliamo così. Ma arriverà mai il momento dove “non lo faremo più”? Andando avanti così ho i miei dubbi! Amiamo così tanto viaggiare che ogni anno ci ritroviamo a organizzare viaggetti succulenti), abbiamo optato per un viaggio sia itinerante che rilassante e romantico. Così, avendo a disposizione quasi 30 giorni tra matrimoniale e ferie, abbiamo deciso di “vagabondare” per 8 giorni in California prima di volare verso le Isole del Paradiso (Steve … questa volta non abbiamo ascoltato i tuoi consigli!).

Così, arrivati stremati a San Francisco (avevamo proprio bisogno di “staccare” la spina dopo estenuanti giorni trascorsi nella tensione più completa. Mille disguidi legati all’organizzazione del matrimonio tipo: bomboniere consegnate la mattina stessa del matrimonio ovviamente sbagliate, io con il ciclo che stavo male, nonni all’ospedale qualche giorno prima della data fatidica, il rogito della nostra casa fatto due giorni prima del matrimonio, la prima notte di nozze trascorsa in una casa vuota su di un materasso per terra, e mille altre disavventure. Ma è un’altra storia e questa non è la sede giusta per parlarne!) non ci sembrava vero che dopo così tante disavventure avessimo toccato terreno americano. All’aeroporto un omone di pelle nera ci controlla il visto e siamo già al massimo dell’esaltazione. E’ solo l’inizio di un nuovo amore: l’America e gli americani. Io e Salva notiamo che “tutto è come nei film”, e questa frase accompagnerà la nostra permanenza in territorio americano.

Ci dirigiamo verso l’hotel prenotato via internet per 2 notti, hotel vittoriano in zona Fisherman’s Warf, abbastanza abbordabile nel prezzo (circa 60$ a camera). L’unico neo era che non avevamo il bagno in camera: problema ovviato dal bagno in comune estremamente pulito e carino. Hotel che consigliamo per il prezzo (credo non ce ne siano di così economici in posizione così tattica e sicura) e per l’atmosfera “old America” veramente fantastica! Abbiamo trascorso quasi 2 giorni in questa bellissima città, “abbuffandoci” di milk shake alla banana in finti ma suggestivi diners e di hamburger (che a ripensarci avrebbero fatto “rabbrividire” quelli fantastici mangiati in un secondo tempo a San Diego).

Abbiamo visitato tutta la città a piedi e ogni tanto sfruttato qualche passaggio offertoci dal Cable Car, caratteristico tram a cremagliera dove la gente si intravede uscire a grappoli. E’ tutto come ci si immagina, “tutto è come nei film”: la nebbia che avvolge la città in lontananza, il Golden Gate che incombe all’orizzonte nel suo color rosso fiammante (ancora più romantico se visto dalle vetrate del Ristorante Alioto’s con del granchio nel piatto), Market Street con i suoi tantissimi homeless (una delle tante contraddizioni dell’America!), Castro e le bandiere arcobaleno appese ovunque, rappresentanti dell’orgoglio gay (molto spiccato a San Francisco), Financial District con il suo simbolo Transamerica Piramid, Union Square con i grandi magazzini Macy’s, le strade così ripide famose nei film per gli inseguimenti, Fisherman’s Warf con i negozietti trappola per turisti, Mission e i suoi murales dai mille colori, ma soprattutto i quartieri poco turistici ma mozzafiato di Nob Hill e Haight Ashbury (il mio preferito).

Insomma tutto veramente come si legge sulle guide (la nostra la Routard, fantasticamente per turisti fai da te come noi) e si vede nei film.

Il terzo giorno, di prima mattina, siamo andati a ritirare l’auto prenotata dall’Italia. E via, siamo partiti alla volta del sud costeggiando la mitica 101! Dopo esserci persi più volte ci siamo convinti che così non poteva andare. Una volta a Los Angeles che cosa avremmo fatto? Ci saremmo suicidati! Così ci siamo seriamente impegnati, e, armati di una cartina americana molto dettagliata (portata da casa), abbiamo finalmente imboccato la strada costiera che avremmo dovuto percorrere fino a San Diego. Due erano i giorni preventivati per raggiungere questa città, così abbiamo potuto fermarci più volte lungo la strada. Abbiamo attraversato Monterey (graziosa cittadina di mare), percorso la Ocean’s Miles Drive (un circuito a pagamento divenuto riserva naturale. Che ville!), soffermati per una tappa nella cittadina dove anni fa Clint Estwood è stato sindaco, Carmel (veramente esclusiva. Un piccolo gioiello) e San Simeon Castel (che peccato era ormai tardi e avevano già chiuso!).

Salva è stravolto dal viaggio e dai limiti di velocità che sono così restrittivi da indurre alla sonnolenza. Gli si chiudono gli occhi ed io che ho seri problemi di vista non è il caso che di notte mi metta sulle freeways alla guida. Così ci fermiamo poco dopo in un motel sulla strada di quelli che si vedono nei film, ma questa volta, nei peggiori film! Il motel è di quelli sporchi, pericolosi, di quelli che se non metti una sedia a ridosso della porta (così il mio cavaliere ha fatto!) c’è la possibilità che entri un uomo mezzo ubriaco con qualche donnina recuperata dalla strada. Riposate le nostre stanche membra, stragiate per i chilometri macinati e ancora per il jet-lag, di prima mattina siamo saltati in macchina e siamo letteralmente scappati da quel posto poco gradito (la persona che ci ha dato le chiavi della stanza non ci ha chiesto i documenti, la tappezzeria della nostra stanza era logora e a brandelli). Eravamo un po’ affranti e avevamo bisogno di viziarci un po’(insomma è o non è la nostra honeymoon? Abbiamo fatto tanti viaggi allo sbando, amiamo molto le cose spartane, semplici e un po’ all’avventura, ma a volte ci piace viziarci in ottimi hotel e ristoranti. Questa volta mi sembra proprio il caso di poterlo fare!).

Abbiamo iniziato il nuovo giorno andando a fare una colazione pantagruelica in un ristorantino messicano sulla strada, con tanto di omino baffuto molto tipico. Ci ha dedicato anche una serenata mentre noi poco romanticamente ci strafogavamo di burritos e tacos. Abbiamo sostato poco dopo a Solvang, paesino molto caratteristico fondato anni fa da una colonia di danesi in stile scandinavo. Quindi mulini a vento, architettura tipica del nord Europa e fantastiche pasticcerie dalle quali traboccava un buon odorino di biscotti burrosissimi. Così io e Salva non ci siamo sottratti alla seconda colazione! Sempre sulla strada Los Alamos: paesino fantasma costituito da una sola strada tutta a tema Far West. L’impressione che ci ha dato è stata quella di qualcosa non messo lì per il turista desideroso di vedere le ricostruzioni dei saloon e delle vecchie pompe di benzina, e magari un omino con la pistola che simula una vera e propria sparatoria. Era invece un paese semi disabitato e le costruzioni degli hotel e dei saloon sembravano veramente vere ed abbandonate. A rendere verosimile il tutto un tempo un po’ grigio, una pioggerella, il vento e il rotolio malinconico delle cartacce sull’asfalto. Suggestionante! L’autoradio suona “Hotel California” ed io e Salva ci sentiamo proprio liberi e felici.

Santa Barbara ci accoglie con il brutto tempo. C’è molta foschia che arriva dal mare. Comunque riusciamo ad apprezzare il boulevard centrale con i suoi negozi e le sue limousine, il lungo mare con i rollerblader, le lunghe strade fiancheggiate da enormi filari di altissime palme e la bellissima Missione Spagnola.

Siamo in giorni “Memorial Day” e questo ci impedisce, una volta arrivati alla periferia di San Diego, di trovare una stanza in centro città. Visto l’ora (le 11 p.M.) decidiamo di rimanere in periferia e così facendo troviamo un ottimo Motel Best Western, molto carino e forse troppo caro (avevamo dei buoni sconto recuperati su una rivista, ma che purtroppo non erano validi visto il periodo di festività imminente! Che iella!!!). Ci meritiamo però un “vero” hamburger, con bacon, onion rings, doppio hamburger , salsa Western, pomodoro, insalata e chi più ne ha più ne metta! che rimarrà per sempre nel nostro cuore e nella nostra mente. Le dimensioni? L’altezza di circa 20 cm e la larghezza di 15. Una cosa indimenticabile.

La mattina siamo andati sul lungo mare alla ricerca di un motel. Ed eccolo il motel che cercavamo: piccola piscinetta, furgoni parcheggiati stracolmi di tavole da surf e un andirivieni di ragazzi nel corridoio che ti invitano alla festa che stanno dando nella stanza di sotto, seduti sugli scalini con le birre in mano che ti salutano con un “Hi” con quell’accento così maledettamente da sballo! Io e Salva ci siamo vestiti consoni al posto: sandali della Nike molto sgaruppati (forse perchè siamo in viaggio di nozze, forse perché rasentiamo la trentina, ma qui ci si sente un po’ matusalemme), pantaloni bianchi sotto il ginocchio e maglietta in stile marinara (tutto rigorosamente uguale!).

Abbiamo fatto l’errore di andare a Tijuana (trappola per turisti) e perso quindi parte della giornata andando e tornando con il pullman (la macchina la si deve per forza lasciare al confine). L’unica cosa positiva è che così potremo dire di essere stati anche in Messico (anche se di Messico vero c’è ben poco!!).

Verso il tramonto siamo rientrati a San Diego, giusti giusti per l’aperitivo rigorosamente sul mare. Avevamo la telecamera e così abbiamo potuto fare una ripresa molto suggestiva: noi sulla spiaggia con le birre in mano e tutti i ragazzi che salutano dentro la telecamera. La popolazione americana è molto grassa (lo credo con quello che mangiano! Siamo stati al supermercato: trovare qualcosa di poco calorico è un’impresa!), ma a San Diego (sarà che è la California dello sport!) abbiamo trovato dei fisicacci da paura. Alti, muscolosi e molto atletici. Io e mio marito, entrambi neri e non particolarmente alti, non ci mimetizzavamo neppure a metterci un sacchetto in testa! La cosa bella è che ti si avvicinavano e ti dicevano: “Italian? Wow!).

La mattina seguente, dopo una bella carburata da Denny’s (discreta catena di fast food ipercalorica, dislocata un po’ ovunque) con il solito Milk Shake alla banana e pancakes al burro (i chili persi prima del matrimonio li ho recuperati tutti!), siamo partiti per Las Vegas.

A Santa Barbara avevamo comprato un CD di musica country e non era difficile sentirsi come Thelma e Louise.

L’intenzione era, una volta arrivati a destinazione, di risposarci magari alla Little White Chapel of Love (dove si è sposata anche Demy Moore). Ma il tempo era poco, così ci siamo accontentati di andare a visitarla. Fuori da questa via costipata di chapels di ogni genere (ognuna ti offriva cose diverse: chi la limousine per 2 ore, chi una bottiglia di champagne, chi una torta per tutti gli invitati, …), motel da quattro soldi per consumare in modo veloce il “si” appena pronunciato e squallidissimi negozi-noleggi di abiti da sposa e sposo. Uno squallore esaltante! Abbiamo pernottato al Cesar’s Palace, hotel 5 stelle molto elegante (saputo che eravamo in honeymoon ci hanno offerto una bottiglia di champagne) e abbiamo trascorso tutta la notte in giro tra i Casinò degli hotel a filmare e giocare alle slot machines (ho sempre perso!).

La monotonia della guida sulla strada del ritorno (5 ore!) è stata “spezzata” da due soste significative: la prima a uno dei tanti outlet che costeggiano la statale (abbiamo comprato diverse cose di marca a ottimi prezzi. Bisogna però saper scegliere e frugare: la maggior parte dei vestiti sono molto di gusto americano!) e l’altra ad un diner molto tipicamente anni ‘50 (fantastico, con le cameriere vestite di rosa con il grembiulino e le scarpe bianche. Stile Happy Days!). Siamo arrivati alla nostra ultima tappa, Los Angeles. Il giorno seguente l’abbiamo speso girovagando per Hollywood, Melrose, Beverly Hills, Malibu, Venice. Forse perché ci avevano dipinto questa città come qualcosa di veramente brutto, noi l’abbiamo trovata comunque America, quindi bella. Ma a quel punto, ubriachi di esaltazione indiscriminata, noi non facevamo più testo.

Riconsegnata l’auto all’aeroporto di Los Angeles, ci siamo imbarcati per raggiungere il nostro tanto “sognato sogno”: la Polinesia Francese. A differenza dei primi otto giorni molto fai dai te, in Polinesia (vuoi perché si presta al turismo di agenzia, vuoi perché non conosciamo il francese e l’inglese è un po’ arrugginito, vuoi perché ci sono pochi Resort sulle isole e la nostra intenzione non era quella di adattarci a qualsiasi cosa, NON IN POLINESIA!) abbiamo optato per un viaggio tutto già prenotato in agenzia. Questo però non significa che abbiamo comprato quei pacchetti all inclusive dove ci si trova con tutti gli italiani nello stesso albergo e nelle stesse isole per tutta la vacanza (aereo, pullman, hotel, aereo, pullman, hotel con sempre la stessa mandria). NOI all’agenzia abbiamo dato la scaletta delle isole e degli alberghi scelti su catalogo o su Internet. L’agenzia ci ha solo prenotato il viaggio COSTRUITO DA NOI. E così di italiani neanche l’ombra! Atterrati a Papeete, tra ghirlande di fiori, bellissime vahinè e chitarrine e suoni magicamente paradisiaci e profumi di cocco, vaniglia, fiori … insomma già drogati dall’atmosfera, ci siamo spostati subito verso la parte di aeroporto dedicato solo ai voli nazionali. Meta Moorea. E ad aspettarci al chek-in indovinate un po’ chi c’era?! Una gallina con al seguito i suoi rumorosi pulcini e due gatti sul bancone. Non altra presenza. Intanto l’ora della partenza si avvicinava e di gente neppure un segnale. Solo pochi minuti prima dell’ora prevista è arrivata una famiglia (per la serie, tutto a conduzione famigliare). La madre faceva chek-in, la figlia controllava i biglietti, un figlio caricava i bagagli sull’aereo e l’altro guidava l’aereo. L’aereo era di quelli a eliche, capienza 10/15 persone. Ho detto a mio marito che se voleva portarmi sull’isola interessata doveva caricarmi di peso. E così ha fatto! Abbiamo pernottato a Moorea per 3 notti e 4 giorni in un graziosissimo Farè (soluzione economica e molto caratteristica) molto tipico con davanti un mare semplicemente da favola. Per non parlare del cibo (il pesce crudo marinato nel limone e cocco era squisito). Una cosa meravigliosa. E si che è stato l’hotel pagato meno!!! Le giornate erano scandite da ritmi molto diluiti. Ci svegliavamo, facevamo colazione sul mare, facevamo passeggiate con i fiori nei capelli, snorkelling, gite in piroga, davamo da mangiare ai nostri amici uccellini che venivano tutti i giorni verso sera a trovarci e concludevamo la giornata bevendo un aperitivo sulla terrazza sciolti nel rosso del tramonto. Non dimenticherò mai le sensazioni di pace e serenità e felicità vera provate.

Dopo avere girato l’isola per il lungo e per il largo ed averla assaporata appieno è arrivato il giorno della partenza. Il nostro taccuino segnava Huhainè. E così dopo neanche due ore eravamo già con una nuova ghirlanda di fiori in testa e un cocktail di benvenuto in mano. L’hotel scelto era di medio alta costo e la qualità ottima! A Huahinè ci siamo rimasti solo 2 notti e 3 giorni. Essendo un’isola ancora molto selvaggia la presenza di animali di qualunque genere abbonda. Scarafaggi grossi come mandarini, ragni con zampe più lunghe della Marcuzzi, granchi da cocco a passeggio sui marciapiedi e sabbia bianca che si muove (non erano nient’altro che piccoli granchietti rifugiati in conchiglie vuote rigettate sulla spiaggia dal mare). Ho trascorso tutta la mia permanenza sull’isola andando in canoa, in motorino e in braccio a mio marito. Insomma poche volte ho messo i piedi a terra! Isola veramente esaltante per il suo sapore ancora vero e selvaggio, ma quantomeno, per me che sono una fifona di animali invertebrati, da infarto. L’animale era sempre in agguato. “Finalmente” la tanto agognata Bora Bora.

Grazie a Steve sapevamo che sull’aereo avremmo dovuto sederci a sinistra per poter ammirare la laguna dall’alto. Ma una cosa non sapevamo con tanta certezza: la vista è mozzafiato. I colori di mille sfumature rendono merito al mito. È stata una delle cose più belle della mia vita. Non avrei mai immaginato esistesse al mondo niente di così fantastico.

Credo che neanche un pittore potrebbe creare colori simili. Le sfumature di azzurro e blu e bianco e viola sono così tante da rendere unica quella tavolozza di colori.

Avremmo trascorso 4 notti e 5 giorni sull’isola, ma siccome sarebbe stata l’ultima isola, abbiamo deciso di trattarci bene pernottando in uno dei più esclusivi hotel overwater dell’isola (non il Bora Bora hotel! Lì ti costa un paio di milionate a notte!). Siccome però il costo era di circa 800.000 delle vecchie lire a testa a notte, non abbiamo potuto permetterci altro che 2 notti, le ultime sull’isola. Le prime 2 le abbiamo trascorse in un altro hotel, di medio bassa categoria.

I primi due giorni li abbiamo sfruttati facendo tutte le escursioni possibili: safari jeep tour, giro dell’isola in motorino, shark feeding (letteralmente dare da mangiare agli squali) e cenetta al Bloody Mary con aragosta e carne di squalo. Gli ultimi due giorni, invece, li abbiamo trascorsi godendoci i £ 3.200.000 spesi. Cocktail sulla spiaggia, cenetta a lume di candela con spettacolo polinesiano, tuffo in mare (una piscina nel vero senso della parola) direttamente dal terrazzino della nostra stanza (eravamo su un overwater) e tanto tanto relax.

Lasciato il paradiso abbiamo trascorso l’ultimo giorno a Papeete, caotica e colorata città famosa per il suo bellissimo mercato di prodotti artigianali.

Saliti sull’aereo io e Salva ci siamo ripromessi di ritornarci, magari la prossima volta in un altro arcipelago. Mentre sto scrivendo sono nel mio ufficio a Milano. Sono davanti ad una finestra e fuori sta piovendo a dirotto. Il cielo è grigio e il freddo incomincia ad entrarti nelle ossa. È Novembre. Ogni tanto io e Salva riguardiamo le centinaia diapositive fatte e incominciamo a sognare di essere ancora là in quella terra meravigliosa, tra gente veramente indescrivibile. Gente che non conosce la tristezza e l’egoismo e la cattiveria. Gente che vive nella serenità più totale inconsapevole del mondo che li circonda. Consigliamo vivamente di andare a visitare quelle isole, non solo per i paesaggi, ma anche per l’animo così genuino dei suoi abitanti.

La prossima volta sarà sicuramente Rangiroa nelle Tuamotu! Visto il costo forse ce lo potremo permettere ancora solo al nostro 25°! Elena e Salvo



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