Azzorre: delle ortensie e degli sparvieri

(Viaggio fatto da Franco Fabiani e Luigia Romano) Il mondo è proprio strano, sapete? Circa vent’anni fa feci un viag-gio alle Isole Azzorre, arcipelago che mi sembrò più immaginario che reale. Anzi, così "fuori luogo" rispetto a tutto che quando tor-nai mi parve che anche il mio viaggio fosse stato immaginario. Ave-vo visto delle balene che...
Scritto da: Franco Fabiani
azzorre: delle ortensie e degli sparvieri
Partenza il: 16/08/2006
Ritorno il: 28/08/2006
Viaggiatori: in coppia
Spesa: 2000 €
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(Viaggio fatto da Franco Fabiani e Luigia Romano) Il mondo è proprio strano, sapete? Circa vent’anni fa feci un viag-gio alle Isole Azzorre, arcipelago che mi sembrò più immaginario che reale. Anzi, così “fuori luogo” rispetto a tutto che quando tor-nai mi parve che anche il mio viaggio fosse stato immaginario. Ave-vo visto delle balene che fin ad allora avevo considerato animali immaginari; avevo ascoltato storie di vite tragiche che pensavo esi-stere solo in letteratura; avevo visto paesaggi strani, dove gli albe-ri di ananasso si mescolano alle ortensie, che credevo si trovassero solo nei manuali di geografia fantastica. Affinché tutto quello che avevo visto e vissuto non svanisse nell’aria come un miraggio, pen-sai di raccontarlo (A. Tabucchi – AUTOBIOGRAFIE ALTRUI, 2003) Viene da pensare che forse hanno ragione gli induisti a credere nella reincarnazione; il fatto è che da sempre ci sentivamo irresistibilmente attratti da questo arcipelago vulcanico in mezzo all’Atlantico, territorio portoghese a oltre novecento miglia dalle coste iberiche.

Delle Isole Azzorre, sostanzialmente, conoscevamo solamente questo e poco altro; eppure quando quest’estate ci siamo arrivati e ci siamo persi nella loro straripante natura, lasciandoci sopraffare da indescrivibili muraglioni di ortensie pervinca, ebbri di un’aria quasi perennemente fina e fresca, la sensazione è stata quella di un’accoglienza e un conforto che solo i luoghi familiari sanno dare.

Sia o no plausibile un qualche nostro trascorso da delfino o da rapace, se qualcuno avesse bisogno di un incoraggiamento – essendo in dubbio o meno se partire o meno alla volta delle Azzorre – il consi-glio è certo quello di andarci.

Posto ciò, le note che seguono non possono e non vogliono essere una sorta di “guida a…”, ma sola-mente offrire ai frequentatori di questo sito un po’ di indicazioni, utili nei limiti del nostro punto di vista e della loro incompletezza (visto anche che si parlerà solo di tre delle nove isole dell’arcipelago).

A proposito di guide: sulle Azzorre in commercio, in italiano, ne esiste una sola, edita in una collana distribuita dal Touring Club: senza volere tranciare un giudizio incompetente, dobbiamo sottolinea-re che il modo un po’ troppo diario di viaggio in cui essa è impostata, qualche suo passaggio un po’ affrettato e la carenza pressoché totale di cartine e mappe, ci hanno fatto sentire non poco la mancanza proprio di una di quelle belle e canoniche pubblicazioni verdi del TCI! Tutto sommato, è stata quasi più utile la guida “Azores, the Living Nature”, distribuita gratuitamente sulle isole; in portoghese, inglese o tedesco.

Peraltro, probabilmente altre guide non ce ne sono perché le Azzorre non sono una località turisti-ca, almeno nel senso comune che si dà a questa parola: fatto salvo il Porto di Horta – che è un caso a sé – non è che si vedano moltitudini di viaggiatori stranieri in giro. Certo, negli alberghi capita di sentire parlare il solito tedesco, o francese o olandese e noi – in dodici giorni – abbiamo incontrato solo un trio di italiani: la maggior parte dei pochi vacanzieri, poi, sono portoghesi continentali: valu-tate quindi secondo i vostri gusti i pro e i contro di questa situazione ma tenetene comunque conto come dato di fatto.

Qualche altra annotazione preliminare e generale. La vacanza è stata organizzata, abbastanza in fretta, tra la fine di Luglio e i primi di Agosto: ciò ha comportato alcune difficoltà operative, soprattutto nel reperire i passaggi aerei (e per trovare ta-riffe più vantaggiose?) e quindi il consiglio – che vale sempre e in ogni caso ma che spesso è difficile da seguire – è quello di organizzarsi il più possibile per tempo.

Oltre che per raggiungere Lisbona, abbiamo scelto l’aereo anche per volare da isola a isola: d’estate ci sarebbero anche i traghetti, ma le distanze non sono trascurabili e avrebbero comportato impe-gnare troppo tempo nella navigazione. Ognuna delle nove isole, peraltro, è attrezzata con un proprio aeroporto.

Per girare all’interno delle isole abbiamo pensato all’auto (ne abbiamo noleggiata una per isola, per complessivi dieci giorni): certo si perde un po’ del contatto con la realtà vera di città e paesi, ma il timore – che sul posto ha trovato conferma – era che utilizzando il trasporto pubblico locale la no-stra mobilità ne avrebbe risentito non poco… Il nostro viaggio è durato – come accennato – dodici giorni, compreso un pernottamento a Lisbona ed è venuto a costare, tutto compreso per due persone, circa 4.000 Euro. Anche le altre indicazioni di prezzo che si troveranno più avanti sono generalmente riferite alla spesa globale di due persone.

Isola di São Miguel Al nostro arrivo siamo stati accolti dalla medesima pioggerellina fina che altrettanto sorprenden-temente avevamo trovato a Lisbona. Niente paura: presto abbiamo capito e imparato a fare i conti con la variabilità del tempo atlantico; se piove da una parte – e non lo fa mai per troppo tempo – ba-sta spostarsi di qualche chilometro o puntare sull’altro versante dell’isola, per stendersi in costume a prendere il sole! São Miguel, delle tre che abbiamo visitato, è senza dubbio l’isola che dal punto di vista naturalistico offre maggiori attrattive: forse converrebbe lasciarsela come tappa finale, se non altro per trova-re – con il suo splendore negli occhi – risorse maggiori e più vivide nel sempre malinconico momento del ritorno a casa. È un’isola piuttosto vasta e i nostri tre giorni a disposizione non sono stati suffi-cienti per girarla interamente: uno in più da dedicarle è fortemente consigliato.

Ponta Delgada, è una graziosa, piccola città, piuttosto curata e verde, per le cui strade è piacevole passeggiare, anche se – come ogni capitale che si rispetti – sfoggia una densità di automobili private e taxi che non si ritrovano altrove nell’arcipelago.

A parte chiese e palazzi del XVI secolo – e pur se può apparire discutibile – raccomandiamo una vi-sita al Parque Atlantico, un centro commerciale a due livelli recentemente costruito nella parte più alta e moderna di Ponta Delgada: le scelte architettoniche (tutto rimanda alle balene e alla loro caccia, permessa nelle isole fino a qualche decennio fa), quelle organizzative (una piazza con i tavoli da ristoro in comune tra una decina di bar e ristoranti diversi: dal “Caffe Roma” al take-away cine-se…) e la buona qualità dei negozi, valgono una visita anche per chi non fosse un forzato dello shopping.

Degli altri centri urbani di São Miguel, dalla parte opposta di Ponta Delgada, sulla costa nord, meri-ta un’occhiata Ribeira Grande (curioso l’”Arcano” nella chiesa di Nossa Senhora da Estrela) e ancor di più Mosteiros; sulla punta nordovest, questi è poco più che un villaggio di pescatori incastonato in uno dei tratti più belli per gustarsi il blu e le spume dell’oceano.

In realtà, percorrendo senza fretta tutto il periplo esterno dell’isola, i moltissimi “miradouros” – i belvedere spesso attrezzati – ripagano certo dell’impresa, così come qualche sosta nei diversi e ti-pici centri che si incontrano lungo la strada.

L’interno, poi – dicevamo – è la glorificazione della natura: la vista dall’alto dei laghi Azzurro e Ver-de di Sete Cidades, l’attraversamento della Serra de Agua de Páu, la Lagoa do Fogo, il bagno nelle acque termali della Caldeira Velha, meriterebbero spazi a parte (e altre capacità descrittive…).

Qui ricordiamo solo che i Portoghesi, grandi naviganti e colonizzatori, del tè orientale importarono non solo il nome (“chà”) ma anche l’arte del coltivarlo e se si volesse visitarne una piantagione, ce n’è una dalle parti di Porto Formoso.

A chi volesse fare il bagno nell’oceano – magari sfidando qualche cavallone o una marea non abituali sui nostri lidi – consigliamo la spiaggia dos Moinhos (costa nord, sempre vicino a Porto Formoso) o quella, grandissima, di Ponta dos Caetanos (a Lagoa, sulla costa sud).

Capitolo ricettività & dintorni: noi siamo scesi all’Hotel Talisman, un tre stelle in stile liberty al cen-tro di Ponta Delgada: se si riesce ad avere una stanza che non dia sul cortile interno, si evita il sot-tofondo della lavanderia, perennemente in funzione e un insopprimibile odore di frittura di pesce; ma la veranda della sala-colazione – con vista su un giardino pubblico – è apprezzabile e tutto som-mato il prezzo vale l’offerta.

Per mangiare, sempre a Ponta Delgada, consigliati “Aristides” (scorfano fritto; bistecca di squalo mako; ottimi dolci casalinghi all’arancia) e soprattutto “o’ Corisco” – entrambi confortevolmente frequentati da clientela locale – intorno ai 35 Euro, mentre “Casa Açoreana” ha pretese (e costi) di maggiore spessore, non giustificati però dalla qualità della cucina.

Isola di Terceira Per andare dall’aeroporto di Lajes (ex base USAF) alla capitale dell’isola, Angra do Heroismo, c’è una superstrada lunga una ventina di chilometri: vale la pena di farsela, perché Angra è senz’altro la più bella delle cittadine azoreane: palazzi d’epoca dipinti con colori pastello, la Cattedrale del Sé e il Convento di São Gonçalo, i Giardini del Duque da Terceira.

Angra è anche una capitale culturale: ospita una rassegna cinematografica internazionale, un festi-val jazz e uno di rock, mentre noi abbiamo incrociato la parte finale di quello di musiche e danze po-polari, con gruppi folkloristici provenienti da tutta Europa.

E Terceira è la patria della Tourada à Corda: un incrocio incruento tra la corrida e la basca Fiesta di San Firmìn, interessante e divertente qualora si abbia la ventura di assistervi (i sabati o le do-meniche pomeriggio d’estate, in molti paesi dell’isola).

Al centro di Terceira ci si può arrampicare sugli oltre mille metri della Serra di Santa Barbara: noi ci siamo ritrovati in mezzo alle nuvole e con diversi gradi in meno di temperatura, ma di certo non mente chi dice che – in caso di condizioni meteo favorevoli – la vista da lì sia mozzafiato. Se pioves-se, peraltro, ci si può riparare nelle profondità dell’Algar do Carvão, una grotta che scende all’interno di un cono vulcanico (spento, spento… in fondo c’è un laghetto!), spettacolo che – pare – si possa ammirare solo lì e in Indonesia.

Nelle vicinanze, da non mancare, ci sono gli sbuffi e i pennacchi solforosi della Furnas do Enxofre e una bella passeggiata al faro di Ponta do Queimado non è certo sprecata.

Per gli amanti di tintarella e bagni, meta obbligata è Ponta dos Biscoitos: piscine naturali, traspa-renti e pullulanti di pescetti, con gli scogli che riparano dalle ire dell’Atlantico.

Il nostro tre stelle di Horta era il “Beira Mar”, decisamente di buona qualità e con una splendida terrazza (per la colazione e la cena) a tutta vista sulla baia dominata dal Monte Brasil; questi è così chiamato perché ricorda – in molto piccolo, naturalmente – il Pan de Azucar carioca: vi lasciamo im-maginare… Se qualcuno avesse voglia di un ricovero più prestigioso, sappia che dalla primavera di quest’anno il Castello di São Sebastião (o’ Castelinho) – che vigila sull’approdo al porto di Angra – è stato attrezzato per entrare nel circuito delle Pousadas portoghesi (dimore storiche, trasformate in resorts di lusso): andarlo a visitare è gratis; pernottarci, in alta stagione costa invece sui 180 Eu-ro per una doppia.

Per mangiare. Ad Angra, un’apoteosi di bacalhau e calamari giganti vale una visita da “o’ Marcelinho”: il prezzo (32 Euro) è più che onesto, solo un po’ mortificato da un servizio non altezza del locale, peraltro piuttosto curato. Altro buon indirizzo per cenare sembrerebbe essere “La Ilha” a São Se-bastião, a una decina di chilometri a est di Angra, ma l’abbiamo trovato chiuso; ci siamo allora spo-stati nel vicino Porto Judeu, dove al “Boca Negra” abbiamo ordinato l’alcatra: è questa una tipica pietanza azoreana, servita per due in un calderone fumante, può essere di carne (in tutte le isole sviluppatissimo è l’allevamento di bovini e ovunque si vedono placide frisone pezzate pascolare tra le ortensie) o di pesce; noi abbiamo scelto la versione ittica, con il congro come ingrediente principe e che – non sapendo, a priori, trattarsi di una specie di anguillone – abbiamo gustato in tutta la sua abbondanza e bontà: 30 Euro, in due con la mancia, alle nostre longitudini potrebbero non bastare per la pizza! Isola di Faial Il cuore pulsante di Faial è Horta e il cuore pulsante di Horta è il Peter Cafè Sport.

Peter – ovvero l’ormai compianto Josè Azevedo – che cominciò a fare affari con la marina militare americana quando questa, di là, doveva per forza passare e fermarsi per i rifornimenti, prima di sbarcare in Normandia o in Sicilia. Adesso, i suoi discendenti continuano a gestire tutta una serie di attività vitali per il porto, tappa ugualmente insopprimibile per ogni navigante transoceanico. I moli di Horta testimoniano avventure reali che il turista comune può solo provare a immaginare: a bocca aperta davanti a centinaia di coloratissimi murales, realizzati o rinnovati da coloro i quali lì attraccano. Ma se l’invidia degli impiegati per così tanti inarrivabili Corti Maltesi dei giorni nostri prendesse il sopravvento, se l’improvviso turbinio di lingue, bandiere, vele e ottoni fosse troppo im-provviso e alieno ai consueti toni azoreani, basta fare cinquanta metri e si scopre che Horta ha an-che un cuore dolce e malinconico. Magari quello liberty del Cafè International, là dove un vecchio professore antisalazarista legge il suo giornale o ad Antonio, il proprietario, si illuminano gli occhi se lo fai parlare della sua chitarra, la viola basso che lui pizzica nell’orchestra di fado… là gustarsi un brandy, un vino di Oporto o una semplice Coca Cola, ammiccando dalla finestra alla vetta di quasi duemila e cinquecento metri della vicinissima isola di Pico, ha veramente un gusto diverso.

Faial non è un’isola molto estesa, ma – nel suo piccolo – non lesina certo meraviglie naturali. Anche se lo spettacolo di neri scogli vulcanici perennemente frustati da acqua e spuma, di falesie a picco tra il verde brillante delle colline e il blu profondo dell’Atlantico comincia a essere abituale (!), come non emozionarsi, ritrovandosi sulla cresta dell’enorme Caldeira, un cratere spento di oltre due chilometri di diametro e profondo trecento metri? E come dimenticare il golfo adamantino, formato dalle due Caldeirinhas do Inferno, visto dalla sommità del Monte da Guia? C’è poi Capelinhos, l’ultima arrivata: nel senso che – una volta – il limite occidentale di Faial era più o meno fissato al faro di Capelo; poi, nel 1957, il mare lì davanti ha cominciato a ribollire e in pochi mesi la natura vulcanica di queste parti ha scolpito una non indifferente appendice all’isola: parto di fuoco che – all’epoca – ha costretto all’emigrazione negli Stati Uniti e in Mozambico un paio di co-munità locali. Anche qui, la visita alla punta – magari preceduta da quella al piccolo museo – è da non mancare.

E come pensare che 50 Euro (a persona) possano essere troppi da spendere per un’escursione in battello tra le acque di Faial, Pico e São Jorge? Stando alle rilevazioni, tra Maggio e Giugno è pres-soché certo ritrovarsi a tu per tu con gli sbuffi delle balene; noi – ad Agosto – abbiamo visto “solo” le immense code dei capodogli immergersi e le pinne dei delfini saltare. Credete, è già un’esperienza sufficiente per ricordarsela per sempre! Già, ritrovarsi vicino a quei cetacei, la caccia dei quali – come accennato più sopra – fino a qualche decennio fa rappresentava una delle voci principali dell’economia azoreana: chi volesse (noi lo consi-gliamo, è molto interessante) a Horta si può visitare la Indústria Baleeira, una vecchia fabbrica di macellazione dismessa e riadattata a museo. Chi avesse invece voglia di atmosfere più auliche, può sempre fare due passi tra le ombre del giar-dino botanico di Flamengos.

Anche a Horta, per quanto riguarda il mangiare – così come, in generale, durante tutta la nostra e-sperienza alle Azzorre – non abbiamo avuto difficoltà a trovare locali piacevoli e con una buon rap-porto qualità/prezzo. Una citazione particolare merita però, certamente, la Taberna do Pim (sem-pre intorno ai 35 Euro per due): se non altro perché suoi i tavoli all’aperto occupano una terrazza strepitosa proprio sopra l’omonima baia. Leccarsi le dita unte di pesce fritto, lì, mentre il sole tra-monta in quell’oceano in cui – poche ore prima – ci si è fatti il bagno, ha certamente un gusto incan-cellabile! E con negli occhi l’immagine – un po’ meno prosaica – della grande spiaggia sottostante, ripensiamo al racconto “La Donna di Porta Pim”: ci riagganciamo così alla citazione iniziale di Antonio Tabucchi e terminiamo qui questo nostro, piccolo contributo.



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