Andalusia, Terra di Flamenco
Avevo prenotato con largo anticipo l’auto a noleggio che mi avrebbe dovuto scarrozzare dal Deserto di Tabernas a Tarifa, dalla Sierra Nevada a Ronda, da Siviglia a Granada. Il caso ha voluto che mi clonassero la carta due giorni prima della partenza e nulla è servita la mia costanza e tediosità nel convincere l’addetta della Hertz a consegnarmi ugualmente l’auto, tra l’altro già pagata. Mi son ritrovata così immersa nei 45°c della “caliente” Siviglia in un giorno di metà agosto, con il mio zaino da 8 kg sulle spalle e il rimbombo delle parole dell’impiegata dell’autonoleggio in testa. Sveglia dalle 4 del mattino l’unica soluzione possibile era racchiusa nella Bibbia di ogni viaggiatore:
«Dobbiamo andare e non fermarci finché non siamo arrivati» «Dove andiamo?» «Non lo so, ma dobbiamo andare». – On the Road, J. Kerouack
E così ecco che un viaggio organizzato da casa nei minimi dettagli si trasformò in un viaggio zaino in spalla senza meta e senza alloggi, avendo dovuto disdire le prenotazioni in quanto raggiungibili solo in auto (e ho ancora l’amaro in bocca per un bellissimo campeggio nei boschi delle Alpujarras), un viaggio pieno di imprevisti, dagli insetti nelle lenzuola in un Hostal, alla mancanza di mezzi pubblici all’uscita della stazione di San Roque-La Lìnea, alla mia lombo-sciatalgia che dopo km e km a piedi con lo zaino in spalla decise di dare il meglio di sé, ma un viaggio arricchito da persone dal cuore d’oro, dagli autisti degli autobus ai capistazione, dai proprietari degli Hostal ai camerieri delle Taberne, senza di loro, la loro disponibilità e i loro consigli non avrei potuto fare quello che ho fatto ovvero compiere, senza averla programmata, una vacanza di due settimane esclusivamente con mezzi pubblici girando l’intera Andalusia e riproponendo un viaggio che sarebbe dovuto essere affrontato in auto.
Quando lessi che Siviglia è una città bollente non mi spaventai più di tanto. Non mi toccò neanche la miriade di sconsigli dei viaggiatori sul periodo da me scelto, agosto. Ho queste di ferie pensai, tirerò fuori il mio miglior spirito di adattamento. Ma il primo giorno è sempre il più tosto e vagare alle 4 del pomeriggio nella città più calda d’Europa per di più in preda alla siesta giornaliera lo sconsiglio anche al più temerario (una cosa che mi ha colpito molto, negozi che chiudono alle 13 e riaprono alle 18.30, fa riflettere abbastanza). Mi rintano senza minimamente pensarci nel primo locale che scorgo per rinfrescarmi con una “cerveza” e mi catapulto senza avere il tempo di accorgermene nelle abitudini spagnole: alle 4 del pomeriggio, si pranza.
“Casa Tomate”, questo il nome del locale, è uno fra i tanti tapas bar nascosti dagli aranceti che percorrono Calle Mateos Gago (Casco Antiguo) fino ad arrivare alla Giralda, viale che si anima nelle notti andaluse con chitarre portate da qualche commensale che vuol far serata. Tavolini sotto l’ombra delle arance, alle pareti vecchie locandine della più famosa delle manifestazioni, la Semana Santa, e un bel “jamon iberico” sul bancone rigorosamente tagliato a coltello per deliziarti con qualche tapa, piccoli piatti assortiti dalla minima spesa alla massima resa.
Due passi e raggiungiamo l’imponente Cattedrale che visitiamo senza pagare alcun biglietto, scoprendo poi da un cittadino di aver avuto la fortuna di entrare in quel lasso di tempo in cui a quanto pare era gratuita, non saprei dire però se era un giorno o un evento particolare che permetteva questo. Uscendo dalla Cattedrale, sono di nuovo a sedere a gustarmi una bibita e a guardare il passaggio in Avenida De La Constitution, per poi affrontare una lunga e splendida passeggiata sulle rive del Rio Guadalquivir. Sono le 9 di sera e Siviglia viene avvolta da una luce aranciata da mozzare il fiato. I raggi illuminano la Torre dell’Oro e capisco finalmente a cosa è dovuto il suo nome, il Barrio Triana dall’altra parte del fiume si ricopre di ombre e tenebre e le acque del Rio accolgono alcuni canoisti in penombra. Il Paseo de Cristòbal Colòn con le sue alte palme e i gazebo di piante rampicanti ti porta sino a Plaza de Toros e incuriosita decido all’ultimo minuto di partecipare ad una visita guidata all’interno dell’arena: siamo noi, una famiglia spagnola e due anziani inglesi. Il silenzio che regna all’interno della Maestranza, l’arena più antica di Spagna è magnifico, il tutto però diventa un po’ triste quando realizzi che tipo di manifestazione avviene all’interno. La guida ci porta direttamente sugli spalti che dominano la pianta ovale che ospita la Corrida (unica arena spagnola ad avere questa geometria) iniziando a parlare, prima in spagnolo poi in inglese, di riti e toreri facendoti precipitare nella storia andalusa, colorata in queste ore, dal contrasto fra la sabbia ocra e il cielo cobalto di una calda sera di mezza estate.
L’indomani, avendo avuto il sentore che comunque Siviglia non è una città piccolissima, noleggiamo due bici in un negozio situato proprio di fianco al nostro Hostal nel Barrio di Santa Cruz.
Prima meta è la fiabesca Plaza De Espana, che naturalmente consiglio di visitare in mattina quando le temperature sono ancora sopportabili.
Percorriamo il Rio nel senso opposto rispetto la sera prima, attraversiamo lo splendido Parque de Maria Luisa dai laghetti e fontane nascoste da una vegetazione rigogliosa per poi ritrovarci spaesati in questa immensa piazza che non riesce ad entrare in toto nel tuo campo ottico. Sono confusa. I portici che danno l’impressione di tendere all’infinito, i ponti vagamente barocchi sul piccolo canale d’acqua al centro della piazza e il caleidoscopio di colori delle maioliche che ricoprono l’intera circonferenza mi mandano in visibilio. Percorro ogni rientranza in ceramica della piazza rapita dalla bellezza dei colori delle maioliche che raffigurano una zona , una provincia, una città della Spagna e in ultimo salgo sul Palacio Espanol per ammirarla dall’alto.
Di nuovo in sella per raggiungere la Siviglia commerciale. Calle Sierpes alterna vetrine di importanti marchi a piccoli negozi di artigiani. Il cuore venale della capitale andalusa batte riparato da parasoli bianchi sopra le vostre teste a proteggervi, da un palazzo all’altro, dai forti raggi del sole. Da qui si arriva in pochi minuti alla “setas” come la chiamano i locali, conosciuta da noi europei come Plaza de la Encarnaciòn dove si staglia l’imponente Metropol Parasol, una struttura in legno costruita nel 2011 per mettere in comunicazione le diverse anime della piazza. Naturalmente sul “fungo in legno” ci si può salire grazie ad un passerella che ti permette di avere una bella visuale sui tetti bianchi sevillani.
Spinta dalla curiosità di uscire dai circuiti turistici pedalo per circa 20 minuti in direzione del quartiere popolare di Siviglia, la Macarena. Ad accogliermi è la Torre de Los Pedigones, alta 45m è ciò che resta di un antica fabbrica di munizioni. Poco più in là vi è la Basilica de la Macarena che con il suo giallo ocra e il campanile a vela risulta essere una delle basiliche più amate dai locali facendo da dimora alla Madonna protettrice della città.
Ultima tappa della giornata il Real Alzàcar, il palazzo reale dallo stile mudèjar che vi incanterà a testa in su grazie alla sua cupola nel Salòn des Embajador, una volta intarsiata da disegni geometrici, stelle e cerchi colorati d’oro. Il Real Alcazàr è il benvenuto che vi aspettavate in questa regione dai contrasti arabi e rinascimentali.
Prima di partire l’indomani mattina, decido di perdermi nella notte nel dedalo di stradine del Barrio de Santa Cruz. Fra patios nascosti, maioliche che raffigurano danzatrici di flamenco, musicisti solitari agli angoli dei vicoli, mi ritrovo in passaggi sempre più stretti e in un silenzio dal sapore slow.
A circa un’ora di treno da Siviglia, ci aspetta la città in cui ogni anno viene celebrato il “Festival Der Patios”: Còrdoba. Alloggiamo all’Hostal La Fuente, che con nostro stupore, possiede al suo interno proprio uno di quei patios da me tanto apprezzati in cui fare colazione, ma in ogni caso avrete modo di ammirare a pieno la bellezza dei giardini che ogni singola abitazione espone con fierezza al vicino di casa, al turista, al passante: fontane, piante, sedie in vimini, per un abitante di Còrdoba il patio all’ingresso rappresenta il biglietto da visita.
Di primo acchito vagamente greca, con stradine bianche e muri azzurri, Còrdoba ha una moltitudine di sfaccettature. La Mezquita di origine araba era stata costruita come moschea ma fu poi “rivisitata” dai cattolici e trasformata in una bellissima cattedrale gotica dove ci si può perdere nella sua “foresta di colonne” una moltitudine di archi che vanno sempre più a rimpicciolirsi fino a raggiungere l’infinito, a mio avviso uno dei monumenti più ricchi di storia dell’intera Europa. Rimanendo sullo stile arabo, seguendo le mura si arriva all’Alcàzar de los Reyes Cristianos, un palazzo costruito dai califfi di Cordoba con giardini principeschi e giochi di fontane che definiscono la vita da pascià.
Se il caldo diventa veramente insopportabile, non potete non rilassarvi al “Salon De Te”, un locale che abbiamo trovato quasi per caso girovagando nella Juderia, l’antico quartiere ebraico, e che vi rapirà con i soli odori che emana dall’ingresso. Un patio dal tipico riad marocchino fa da sfondo a tavolini bassi, narghilè, cuscini, piante e frutta il tutto mentre si assaporano i più disparati infusi di te e si sgranocchia pasticceria tipica mediorientale. Una vera e propria catarsi per i sensi.
Girovagare e perdersi nella Juderia di Cordoba, come in ogni città, è determinante per scoprire le chicche nascoste. Numerosi sono gli artigiani all’opera in vetrine aperte che danno sulla strada e ti costringono a perderti nelle loro opere: dallo scultore di creta creatore di tori, alla decoratrice di pellame intenta nel ridisegnare lo stemma della città, il tutto nascosto in vie dalla bellezza simile a Calleja De Las Flores, uno stretto passaggio abbellito da numerosi vasi di gerani che si apre in una piccola piazzetta cui androni delle case sembrano messi li apposta per invitarti a bussare.
Ma se si vuole apprendere a pieno il crocevia di culture che resero Cordoba una città politeista si deve raggiungere la Torre de la Calahorra. Di origine islamica, ci si arriva percorrendo un lungo Ponte Romano che al tramonto si colora di un bell’ocra. All’interno della Torre è stato allestito il “Museo Vivo de Al-Andalus” una sorta di rievocazione della città durante il suo massimo splendore, ovvero quando era capitale di al-Andalus e si giostrava fra le diverse religioni: islamica, ebraica e cristiana.
Due ore e mezza di autobus fra un sali e scendi dipinto da lande desolate di un bel colore giallo alternate a colline puntinate da una marea di ulivi ci portano a Granada e lì capimmo che nulla fu più propiziatorio della clonazione della carta. Se a Siviglia e Cordoba girare con un eventuale auto ci sembrava un impresa difficile, a Granada poteva risultare impossibile. Una città di montagna travestita da danzatrice di flamenco, spaccata da due montagne, il Sacromonte e l’Albaicìn, rispettivamente il quartiere gitano e quello arabo, fanno di Granada la detentrice di uno dei complessi più belli di tutto il mondo, candidato ad essere una delle sette meraviglie del mondo moderno: l’Alhambra.
Sorta sopra ad un monte, l’Alhambra era una vera e propria medina fortificata. Vi erano alloggi per i soldati, case popolari, mercati, insomma una città dentro la città. Ciò che resta oggi sono le rovine e uno dei complessi più magnifici della cultura araba, il Palazzo Nazaries, che insieme agli altri complessi come il Palacio De Los Leones o il Palacio De Comares, unisce in un denominatore comune il fattore primario della vita, l’acqua che grazie ad un sistema di fontane, piscine e canali che scorrono nel pavimento fanno di questa fonte il principale elemento della struttura.
Ci vuole un attimo a perdersi nella notta calda andalusa, fra il Sacromonte e l’Albaicìn. Un servizio di navetta vi porta dal Sacromonte fino al Mirador De San Nicolas per ammirare uno dei tramonti più belli dell’intera Spagna, quello che ha fatto si che il complesso andaluso più conosciuto al mondo fosse definito appunto “La Cittadella Rossa”. Da questa piazza però iniziano a districarsi una serie di viuzze sempre più strette, scalinate infinite, vicoli ciechi e l’Albaicìn sembra risucchiarti senza via di scampo. Attimi di panico si sono palesati per essermi persa nell’antico quartiere arabo con la consapevolezza che l’ultima corsa era alle 23.00 e non avevo ancora molto tempo a disposizione per ritrovare il mio punto d’origine.
Granada però non è solo l’Alhambra. Il bellissimo Monasterio de San Jeronimo, accoglie chiunque abbia bisogno di un ora di pace e silenzio per perdersi a contemplare il suo bellissimo giardino interno di aranceti, disturbati raramente dalle prove canore delle monache di clausura che lo abitano. Ore di pace però possono essere trascorse anche nell’immenso Giardino di San Vicente dedicato a Federico Garcìa Lorca, dove si può visitare la casa museo del poeta assassinato durante la dittatura di Franco.
Avere un auto a questo punto dell’itinerario sarebbe stato profetico per arrivare sino al bellissimo Cabo De Gata attraversando la splendida Sierra Nevada e assaporare l’unico deserto presente in Europa, il Deserto di Tabernas. Ahimè ci siamo dovuti affidare alla sorte e così l’indomani mattina prenotiamo l’Hostal Margarita a La Lìnea De La Conceptiòn, il paese confine con il territorio inglese e saliamo sul primo treno in partenza per Gibilterra.
Cinque ore di viaggio attraverso un suggestivo tragitto che merita di essere percorso anche solo per ammirarne le vedute, l’entroterra andaluso è attraversato da lingue di terra rosso fuoco, canyon e tori all’orizzonte, un paesaggio che richiama vagamente i vecchi film western.
Scendiamo nel torrido pomeriggio alla stazione di San Roque-La Lìnea, località più prossima al nostro alloggio. Peccato che sin da subito ci accorgiamo che San Roque è un grazioso paese in cima ad una collina a 3 km dalla stazione e la Lìnea ne dista una decina. Non vedendo un solo autobus nelle vicinanze chiediamo al capostazione informazioni. Di una gentilezza estrema ci indica una rotonda ad un ipotetico km di distanza assicurandoci della presenza di un autobus con destinazione La Lìnea. Quel km in realtà erano 4-5 km, che sotto ad un sole cocente, con uno zaino di 8 kg sulle spalle, per una alle prime armi come me nell’affrontare questo tipo di viaggio, è risultato peggio che andare al patibolo, senza contare che seguivamo la ferrovia e mi sembrava di essere stata catapultata in qualche film on the road americano. Giuro la tentazione di tirare fuori il pollice si è palesata più di una volta, anche perché abbiamo dovuto ripetere il medesimo tram tram per tre giorni di fila.
La Lìnea De La Conceptiòn posso quasi con certezza affermare che sia un paese anonimo, di passaggio, come ogni paese di confine. Persino il cameriere de “La Taberna” un grazioso locale nel centro de La Lìnea che offre un gustosissimo salpicon, pensava alloggiassimo in città solo perché avevamo amici in zona e non si capacitava del fatto che potessimo fermarci per ben tre giorni in questo porto di confine. Ma la Lìnea risulta essere un ottima base per visitare l’Inghilterra, l’entroterra e il punto più sud-occidentale della Spagna, la bellissima Tarifa.
Entrare a Gibilterra è stato come me l’ero esattamente immaginato: problematico. Nel periodo in cui ero in visita la diatriba Spagna-Inghilterra per quello sperone di roccia si era accesa più del dovuto e le ripicche da uno e dall’altro avevano iniziato a creare un vero disagio, determinando file chilometriche di auto e una media di attesa per varcare il confine che variava dalle 5 alle 7 ore. Oltrepassare il confine a piedi è stata la scelta migliore, anche per la suggestione nell’attraversare le piste dell’aeroporto di Gibilterra, una cosa che non capita tutti i giorni. Ed eccomi catapultata nuovamente, nel giro di due settimane, in stili e abitudini completamente diversi. Pub in ogni dove, negozi british che chiudono alle 18.00, cabine telefoniche, autobus rossi, sterline in mano e una nuova lingua, ti danno una sensazione di stordimento e incredulità e pensi che fino a due minuti fa eri in Spagna!
Prendiamo la cabina teleferica che ci porta sino al The Rock Of Gibraltar, punto panoramico da dove, in giornate limpide, si può scorgere l’Africa. Ad accoglierci senza neanche essermene accorta è una scimmia che in men che non si dica entra nella cabina saltando da una parte all’altra. Macachi e bertucce in uno stato semi-selvaggio dominano la roccia e sono alla continua ricerca del distratto di turno che lascia la borsa aperta o sventola il cappello, pronte per rubar qualcosa. Simpatiche si, ma son sempre animali allo stato brado e come tali bisogna comunque avere una certa diffidenza.
L’indomani mattina siamo di nuovo alla stazione San Roque-La Lìnea diretti a Ronda, nella stupenda Sierra de Grazalema. Ronda è uno dei romantici pueblos blancos isolati nel terriorio andaluso, nonché una delle più antiche città della Spagna. La peculiarità di questo paese è quella di essersi sviluppato a ridosso di una gola molto profonda in cui scorre un fiume chiamato El Tajo. Per unire il paese sorto da entrambe le parti della gola, nel 1800 la popolazione costruì il Ponte Nuevo, un imponente struttura romana che può essere meglio apprezzata dal Camino De Los Molino, un ripido sentiero che si snoda fino al fondo della gola. Sia dal ponte che dalle numerose terrazze presenti in città si può ammirare una vista mozzafiato sulle pianure alluvionali e sulla Serranìa di Ronda, i monti che la circondano. Passare una giornata a Ronda è come divenire autentici spagnoli, lontana dai circuiti turistici e dal caos della Costa del Sol, ti siedi a contemplare il paesaggio in un giardino durante le ore più calde, bevi una cagna de cerveza (una birra piccola) in un intercalare fra i racconti di Hemingway (luogo tanto amato dallo scrittore) e le leggende della famiglia Romero, i toreri più famosi di Spagna nati proprio a Ronda.
Ci trasferiamo dalla Costa del Sol alla Costa De La Luz, approdando dopo un ora di autobus attraverso un sali scendi fra parchi eolici e vacche al pascolo, nella hippie Tarifa.
Quando l’addetta all’ufficio turistico di Granada mi chiese che direzione avrei preso una volta lasciata la città, alla mia risposta sgranò gli occhi e mi assicurò che Tarifa era veramente uno splendore, peccato per il forte vento.
Noncurante delle sue parole, scesi dall’autobus e mi ribaltai. Mai sentito un vento così forte, non a caso è patria del windsurf. Lembi di spiaggia finissima bianca come il gesso e un mare turchese fanno della spiaggia di Tarifa una località che nulla ha da invidiare a quelle più caraibiche, ma il vento picchia fortissimo e bisogna attrezzarsi per non divenire, nell’arco di cinque minuti, una delle numerose dune di sabbia.
Gli ultimi due giorni del nostro tour andaluso li trascorriamo a Cadice. Essendo una città relativamente più cara rispetto alle vicine Siviglia e Malaga, optiamo per alloggiare all’Hostal Paris di San Fernando, un piccolo paese che viene collegato alla città tramite la tratta metro-ferroviaria Cadice/Jerez De La Frontera.
La prima peculiarità che ho notato di Cadice è stato il ritmo. Ogni città ha un suo ritmo, chi frenetico, chi armonico, chi lussureggiante. Cadice è la tipica città slow dai tetti bianchi. La mattina, bello o brutto tempo che sia, ad aspettarti c’è il mercato del pesce, una distesa di bancarelle una ammassata sull’altra che offrono tranci di tonno giganti, granchi e aragoste, pesce azzurro e pesce spada. Una contrattazione che ti catapulta indietro nel tempo e che si riversa anche nel vicino mercato delle carni, con prosciutti appesi in ogni dove e code di toro della miglior qualità. Un tegame di paella da assaporare in uno dei tavolini nel Barrio de la Viña, il quartiere abitato da pescatori nella città vecchia, per poi stendersi al sole a Playa De La Caleta, la spiaggia degli abitanti che ti aspettano fra panini di jamon iberico e cerveza durante uno dei loro tradizionali picnic domenicali. Una passeggiata sino alle mura del castello in mezzo al mare, fra bambini che si tuffano nella acque dell’oceano, ragazzi che si dilettano in acrobazie vertiginose e vecchi alla ricerca di vongole e granchi per poi finire la serata ad una festa popolare di San Fernando, fra rivisitazioni d’epoca e anziani che assaporano un tinto verano.
Al-Andalus, passionale ed emblematica, un crocevia di culture e architetture, una chitarra che suona un flamenco ballerino.