5 giorni in Norvegia in solitaria, tra fiordi e treni panoramici
Ammettiamolo: sono una che si lascia tentare facilmente, quando si tratta di viaggi. Per questo quando la Ryanair mi ha mandato l’email che annunciava un volo per Oslo a 16.99 euro, in alta stagione, vederlo e comprarlo sono stati un unico gesto. Ma una volta raccolta l’offerta, che fare? Vedere la capitale, girare sui fiordi, puntare all’estremo Nord dimenticando quello che c’è sotto, andare a caccia di troll? Dopo un attimo di indecisione e una lettura veloce di qualche blog, la scelta mi è sembrata scontata: se si va in Norvegia, si inizia dai fiordi! Il resto si vedrà con la prossima offerta di voli a tempo. Ma andare in Norvegia solo per i fiordi è come andare in un ristorante costoso con ottima cucina e assaggiare solo il primo. Ed è così che ha avuto inizio la mia folle avventura di 5 giorni in Norvegia in solitaria; 5 giorni e 2 notti forse dovrei dire, perché ho dormito così poco che le notti non possono veramente contarsi per intero.
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Oslo, la capitale moderna affacciata su un fiordo
I meravigliosi voli Ryanair riservano spesso delle sorprese, si sa. In questo caso la sorpresa era la distanza di 120 km dall’aeroporto (Torp) al centro di Oslo, al prezzo di soli (?) 37 euro (in pratica mi è costata più la navetta dall’aeroporto del volo stesso). Pazienza: da Londra a Parigi ormai è una costante, quella di doversi fare un viaggetto in bus/treno di un paio d’ore per pagare lo scotto di aver volato con la compagnia low-cost che finora mi ha fatto girare l’Europa in assoluta leggerezza.
Arrivata alla stazione centrale di Oslo, però, non mi sono trovata davanti a quei luoghi tristi e pieni di lerciume e degrado a cui ci hanno abituati le stazioni delle grandi città! Mi sono trovata davanti l’Oslofjord, il museo di Munch, il Teatro dell’Opera e una vista mozzafiato sulle isolette sparse nel fiordo. Mica male come biglietto da visita!
Ed è allora – nel momento in cui anziché puntare verso l’ostello mi sono diretta verso l’acqua con il mio zaino da 10 kg – che è iniziata questa folle vacanza in cui semplicemente non ne avevo mai abbastanza di vedere e di conoscere e di esplorare e di scoprire. Oslo, dicono, non è bella come Bergen e non è una meta da mettere in agenda. Per fortuna non mi fido mai del tutto di blog di viaggiatori che non conosco e quindi mi sono concessa un’intera giornata da vivere su e giù per la capitale. Intanto, diciamocelo, quante capitali abbiamo visitato che si affacciano su un fiordo? E quante capitali abbiamo visto pulite e ordinate anche nelle zone più a margine? E quante occasioni abbiamo di veder splendere un sole spettacolare su una città del Nord Europa, senza neanche una nuvola all’orizzonte? Insomma, gli ingredienti per non farmi tornare praticamente mai in ostello c’erano tutti.
E così ho sottoscritto un abbonamento mensile al bike sharing di Oslo per 15 euro (un prezzo ridicolo, se consideriamo che una birra costa 13,50 euro) e ho girato la città in bicicletta, passando attraverso la Fortezza di Akershus (aperta al pubblico, liberamente visitabile nonostante ci siano anche politici importanti come il Primo Ministro e gratuita), scoprendo il Vigeland Park (un parco popolato da sculture che riproducono l’uomo in tutte le sue condizioni, opera dello scultore Vigeland), costeggiando la strada panoramica (con sosta birra al Vippa, locale multietnico totalmente ecofriendly), visitando il quartiere universitario, entrando nella sala in cui consegnano il premio Nobel per la Pace, guardando ragazzi di ogni età stesi sui prati a improvvisare giochi di ogni tipo. Per ottimizzare al massimo il tempo a disposizione, ho prenotato un tour di 3 ore con Viking Biking e mi sono ritrovata una guida americana con il casco con le corna da vichingo. Una guida americana in Norvegia, che fregatura! è quello che ho pensato finché il simpatico vichingo non ha spiegato che si è trasferito a Oslo per poter studiare gratis (sappiamo quanto è costosa l’università in America), per avere l’assistenza sanitaria gratuita, per essere accolto come cittadino del mondo e per studiare la Friluftsliv (l’amore per la vita all’aria aperta, oggetto addirittura di un corso di studi universitario)! Ed ecco che questo vichingo americano trapiantato a Oslo mi dà immediatamente un’immagine di accoglienza e integrazione che mi accompagnerà per tutto il viaggio. Dopo la sveglia alle 5, le 3 ore di sonno (non vuoi metterlo un concerto la sera prima del volo?) e le tante ore in bici, cosa farebbe una persona normale? Riposerebbe, mi direte! Ma io non sono normale (o almeno non lo sono stata in Norvegia) e non appena il vichingo americano mi molla mi lancio a sfruttare il suggerimento di un blog: visitare l’Oslofjord con il traghetto pubblico, usando l’Oslopass ed evitando le trappole turistiche che tanto odio (e che mio malgrado prenderò durante questa vacanza, ma sul Sognefjord).
Così mi lancio al molo, prendo il primo traghetto in partenza e mi ritrovo all’improvviso in quello che sembra un lago, solo che è troppo lungo e largo per esserlo e quindi è certamente un fiordo. E vedo isole, isolette minuscole, isole fatte solo di una chiesa e un cane di metallo, isole con spiagge di ciottoli, isole con paesini fatti di casette di legno colorate e vialetti e sull’acqua una moltitudine mai vista di barche a vela, kayak, windsurf, SUP, acquascooter e ogni genere di attrezzo possa usarsi in acqua. Cavolo se sono sportivi questi norvegesi! Dunque non è solo la genetica a renderli così belli. Arrivo in ostello alle 23, i miei compagni di stanza (che mai vedrò in faccia) dormono già e io mi faccio una doccia e dormo quelle poche ore che mi separano dalla sveglia delle 5. Già, perché per sfruttare al meglio il tempo ho prenotato un treno che parte alle 6:20 e che mi porterà nella celebre Bergen.
Da Oslo a Bergen, sul treno delle meraviglie
Diciamocelo: un viaggio in treno è sempre una gran seccatura se non una perdita di tempo. Ma allora perché questo tragitto mi ha colpita così tanto, all’andata, che ho perso il volo di ritorno da Bergen a Oslo per tornare in treno? Semplice: perché la natura norvegese è così ricca e pulita e vasta che è un vero peccato volarci sopra anziché passarci attraverso. Partiamo dal presupposto che io non ero mai stata in Nord Europa e quindi per me era tutto nuovo e inesplorato (magari a qualcuno che è stato già in Scandinavia la Norvegia piacerebbe meno). Ma i miei occhi affamati hanno trovato paesaggi appetitosi e non se ne sono quasi mai staccati. Per le 7 ore di viaggio non ho fatto altro che passare da un finestrino all’altro per fotografare villaggi, foreste, laghi, fiumi, torrenti, cascate, animali, casette dal tetto erboso. Certo, forse a un certo punto l’adrenalina ha preso possesso del mio corpo e mi ha impedito di notare alcune somiglianze nei panorami… ma io vivo al mare, sono stata quasi sempre in posti caldi e non avevo mai visto un ghiacciaio né avevo idea di come mi si sarebbe presentato davanti nell’agosto 2022 (un agosto molto caldo, ahimè). L’esperienza è stata quindi per me sublime e la conservo così, con buona pace di quelli a cui forse sembrerò una paesanotta del sud che non ha mai visto il Nord. Io sono rimasta estasiata e questo è ciò che conta.
Dopo le 5 ore scarse di sonno (8 in due giorni, con migliaia di km percorsi) e le 7 ore di treno passate a riempire la memoria del telefono con le foto, era il momento di riposare. Certo, bisognava riposare… ma ormai adrenalina era il mio secondo nome e così mi sono ritrovata a mollare lo zaino da 10 kg in ostello e a girare per Bergen desiderosa di conoscerla. Lo dirò subito: per quanto Bergen sia bellissima, forse le sue celebrazioni rendono le aspettative troppo alte. E le casette colorate di Bryggen non hanno nulla di bello: ricordano Galway, Burano, Amsterdam, Copenaghen, Bruges, etc. etc. La bellezza di Bryggen è sul retro, tra le stradine strettissime su cui si affacciano edifici decadenti che periodicamente vengono distrutti e ricostruiti, tra i muri storti delle botteghe antiche e tra i ciottoli scivolosi delle sue strade. E se ci si dimentica per un attimo che ogni edificio ospita un ristorante o un negozio di souvenir, si riesce a sentire la magia di un posto antico e pieno di storia.
Altra attrazione di Bergen che non è all’altezza della sua fama: il mercato del pesce. Qui forse le mie origini terrone giocano in senso inverso, se consideriamo che quando ero bambina mio padre mi portava al porto di Gallipoli a vedere i pescatori che vendevano il pesce direttamente dal peschereccio, spesso ancora vivo, e la gente contrattava per il prezzo con abilità che neanche a Wall Street! A Bergen invece ordinate bancarelle con menu per turisti, con camerieri italiani, cinesi o spagnoli, offrono tutte le stesse pietanze. D’accordo, servono burger di balena, salame di alce, granchio gigante e un salmone che noi ce lo sogniamo, ma niente che possa ritenersi caratteristico di Bergen in quanto tale.
Bergen è una bomboniera circondata da 7 montagne e rappresenta benissimo quella convivenza felice tra natura e uomo che sono per me il segno distintivo della Norvegia. Con poche corone si prende la Fløibanen che in 4 minuti porta al Monte Fløyen e consente ai turisti di vedere dall’alto la città e il fiordo. Non è però la vista panoramica ad attirare la mia attenzione, quanto il fatto che a due passi dal centro abitato partano sentieri di trekking che collegano tra loro diverse città e che vi sia gente che su quel monte ci passerà la notte, in tenda. Sì, perché il camping in Norvegia è gratuito ed è consentito ovunque, tranne che nelle poche zone in cui è vietato. E questo (insieme ai prezzi assurdi degli alberghi) spiega come mai tanta gente di ogni età passeggi con zaini enormi completi di tenda e sacco a pelo, pronta ad accamparsi ovunque gli piaccia.
Dopo il tramonto visto dall’alto, la birra a 13,50 euro e la cena a 50 euro (la Norvegia è cara, inutile girarci attorno), la vista ripetuta di troll in realtà inesistenti mi convince che è l’ora di rientrare. E così alle 23 crollo nella mia stanza di ostello, questa volta vuota (le altre due ragazze sono a far vita notturna), e dormo la sola notte che posso definire tale. Sveglia alle 6:30 (ma non sarà troppo tardi?) e via per il grande errore di questa vacanza: la crociera sul fiordo. Intendiamoci: la crociera è da fare e il fiordo che ho scelto (Sognefjord, il più lungo di Norvegia) meritava la priorità. Però se avessi trovato qualche blog più attento avrei fatto da Bergen a Flåm in traghetto e da Flåm a Oslo in treno, dormendo a Flåm. Invece questo osannare Bergen mi ha fatto fare andata e ritorno da Bergen a Flåm, con una navigazione di 10 ore (e ne sarebbe bastata la metà). A parte questo, la crociera è stata bellissima. Intanto, l’essere passati dal gelo al caldo, dalla pioggia al sole, dal vento estremo alla calma piatta nel giro di qualche ora mi ha dato un’idea chiarissima del perché in Norvegia bisogna sempre vestirsi a cipolla. E io mi sono realmente vestita a cipolla, ma a un certo punto gli strati non bastavano e a Flåm ho comprato un giaccone Norway (del costo di due birre, peraltro).
Il fiordo lo si capisce meglio dall’alto che non navigandolo attraverso il suo lungo corso, tra le infinite insenature, gli affluenti, i passaggi stretti a ridosso delle montagne e le ampie aperture. Dal traghetto però si apprezza questa comunione felice tra uomo e natura, in cui la natura è di gran lunga la padrona e l’uomo si limita a costruire villaggi fatti di casette di legno che servono per lo più come base per l’esplorazione. Anche qui, per 10 ore sono stata a fare foto e a riempire di nuovo la memoria del telefono, ma soprattutto gli occhi e il cuore. Non ci sono parole per descrivere la varietà dei panorami: solo le foto possono rendere l’idea.
Flåm
A metà della crociera abbiamo fatto una provvidenziale sosta di due ore a Flåm. Tutti conoscono Flåm (realmente un buco di villaggio) per la Flåmsbana, una linea ferroviaria panoramica definita dalla Lonely Planet una delle migliori al mondo. Io non l’ho presa: di turistico mi bastava la crociera e inoltre ho già fatto un’esperienza simile altrove, per cui ho preferito sfruttare il tempo in altro modo. A Flåm sono andata a vedere da vicino le casette con i tetti erbosi, a studiare le case con giardino, a sentire il fresco intorno alla cascata e ad ammirare persone di ogni età che, zaino in spalla e impermeabile addosso, percorrevano km nel verde alla ricerca del posto adatto per dormire. Impermeabile, sì, perché in Norvegia ho beccato sempre pioggia (ma questo non è mai stato un limite) e per fortuna il poncho primo prezzo Decathlon esclude qualsiasi traspirazione e mi ha fatta sentire sempre al calduccio (era una sauna, diciamocelo).
Dopo le 12 ore complessive di crociera, arrivata a Bergen avrei potuto riposare… e in effetti c’è stato un momento in cui ho pensato di cenare e poi dormire. Ma che ve lo dico a fare? Andando in ostello ho visto un parco, poi un viale, poi una cattedrale in cima a una salita, poi una fila di localini, poi un’altra fila di localini, finché non sono arrivata a un quartiere residenziale semi-deserto, autentico, bellissimo, tutto casette colorate e sampietrini, che mi ha ripagata della fatica. E così ancora una volta ho rinunciato a dormire e ho girovagato per la città, imbattendomi anche nel quartiere universitario (dalle finestre si sentivano rumori di feste e musica) e vedendo anche un altro lato di questa perla.
Il ghiacciaio di Finse
L’ultimo giorno di viaggio avrei dovuto fare un altro giro di Bergen e poi volare (questa volta con Norwegian, con aeroporto comodo vicino al centro) verso Oslo. Ma la natura della Norvegia mi ha stregata e così il terzo giorno, dopo vari studi di foto e blog, ho deciso di investire tempo e denaro in una tappa non programmata. Come ho detto, nelle mie vene scorre sangue terrone che viaggia al caldo e un ghiacciaio non lo avevo mai visto. Così, dopo averne intravisti alcuni dal treno Oslo-Bergen mi sono messa a studiare e a cercare visite guidate (non sarei mai stata così folle da andarci sola). Del resto, avevo comprato un giaccone e avevo tutto ciò che occorreva! Dopo aver scoperto tristemente che al 24 agosto “season is over” per visitare i ghiacciai, ho deciso di vederlo nel punto più vicino possibile. Avevo visto molta gente scendere dal treno a Geilo e quindi quella è stata la mia prima idea.. .ma poi ho scoperto che dopo Geilo c’è Finse, luogo raggiungibile solo in treno, bici o a piedi, e non ho potuto fare a meno di andarci.
L’arrivo a Finse (con un regionale che ha fatto un fiordo diverso da quello dell’andata e mi ha regalato un nuovo pezzo di Norvegia) è stato forse un po’ azzardato. Il noleggio bici chiudeva un’ora dopo il mio arrivo, ma questo non era un problema: il ragazzo mi ha lasciato la bici senza chiedermi documenti e dicendomi semplicemente di rimetterla di fronte al negozio al mio ritorno, insieme a decine di bici nuovissime lasciate alla pubblica fede senza nessuna chiusura. In generale, in Norvegia non mi hanno mai chiesto un documento, neppure in ostello, e nessuno ha mai voluto conoscere i miei dati personali (a parte l’email per l’invio dei biglietti elettronici). Comunque, mi ritrovo a Finse, 1222 metri slm, con in spalla uno zaino da 10 kg e ovviamente la pioggia. Al noleggio bici lo zaino non lo posso lasciare, perché sono in chiusura. Qual è quindi la soluzione? Nell’albergo (credo unico) di Finse c’è una sala aperta a tutti, in cui ci si cambia prima delle escursioni verso la vetta o il ghiacciaio. Entro e trovo (bellissimi fisici di) escursionisti di rientro dalle fatiche (è pomeriggio inoltrato e si sa che queste cose si fanno di mattina presto, non certo poco prima della sera…). La fiducia del noleggiatore di bici mi contagia e decido di lasciare lo zaino in questa stanza in cui tanti estranei passano e vanno via. Mi consola l’idea che hanno già tutti un loro zaino e che forse non hanno voglia di portarne un altro solo per rubarlo a me. Certo, qualche cliente dell’hotel potrebbe portarlo in stanza indisturbato. Comunque alla fine lo zaino è rimasto lì ad aspettarmi, con tutto il suo contenuto. Lo devo dire, in Norvegia ho avuto quel senso di sicurezza che avevo sperimentato solo in Giappone. La sensazione generale di fiducia nel prossimo è di molto superiore a quella di altri paesi europei.
A Finse arrivo stanca, con poche ore di sonno e infiniti km alle spalle, ma non ci bado. La MTB mi conduce su un sentiero sterrato, umido, in parte scivoloso, e il ricordo della caduta di un paio di anni fa e la consapevolezza che non c’è nessuno in giro (è tardi per le escursioni, meridionale che non sei altra! sono già le 4 di pomeriggio e piove) mi agitano un po’. Decido che sarò prudente ma sicura e proseguo nel mio giro, imbattendomi anche in una capra enorme che mi sfida a suon di sguardi finché non ha pietà di me e non mi lascia passare. Poco dopo, la vista di una coppia di escursionisti mi dà tutta la serenità di cui ho bisogno e la forza per riprendere il mio giro con decisione.
Cascate, ruscelli, casette, animali di vario tipo, anziani con lo zaino in spalla, nulla mi è sembrato interessante: per me esisteva solo il ghiacciaio. E così ho percorso, a piedi o in bici, ogni sentiero che ho trovato, sprofondando in acque gelide e saltellando su zolle di terra, tirandomi dietro la bici o abbandonandola per strada, e ho potuto vedere il blu del ghiacciaio in tutta la sua bellezza, nascosto dalle nubi o libero di farsi ammirare. Ed è quello, per me, il momento più bello di questo viaggio: ero sola, poco preparata per la montagna, al freddo, con i piedi fradici e le gambe stanche dai giorni passati, ma non sentivo nulla.
Al ritorno alla sala in cui avevo lasciato lo zaino ho buttato le calze (non avevano nessuna speranza di asciugare in tempo), ho abbracciato il termosifone e ho osservato il riposo degli esperti che erano saliti in alto, ai piedi del ghiacciaio, e si godevano l’arrivo della sera in montagna. Dopo 20 minuti è arrivato il mio treno e, stremata e felice, mi sono diretta verso Oslo, per la mia ultima notte in Norvegia.
Gli ostelli in Norvegia
L’esperienza nell’ultimo ostello è stata brutta. Mi sono trovata in stanza 3 ragazze italiane che non avevano idea di cosa vuol dire condividere uno spazio con estranei e che, nonostante le mie ripetute proteste, hanno prima parlato fin oltre mezzanotte e poi deciso di fare la doccia all’1:30, sebbene il giorno dopo non avessero impegni. Io ho il sonno leggero e il rumore dei loro passi in stanza mi ha impedito di prendere sonno fino alle 2. Alle 4:20 è suonata la sveglia e io ero ormai a un livello di stanchezza indescrivibile. Nello stesso ostello, la prima notte di viaggio, avevo avuto un’esperienza del tutto diversa e anche a Bergen ho trovato compagni di viaggio silenziosi e rispettosi. Comunque, l’ultima notte utile è stata un inferno, con due ore e mezzo di sonno e molta rabbia.
Così, quando all’aeroporto ci hanno prima fatti imbarcare e poi fatti scendere per un guasto all’aereo, salvo farci di nuovo salire – 4 ore dopo – con i tecnici ancora al lavoro, sono andata in paranoia: non volevo salire, non volevo volare, ero certa che quel volo non sarebbe giunto alla meta. Ero sola ed ero del tutto priva di sonno e questo è stato un errore. Ho voluto fare la mia prima esperienza in ostello, ma almeno per l’ultimo giorno avrei dovuto investire in una singola per arrivare riposata. Ora so che sfidare troppo i propri limiti fisici quando si è soli è pericoloso. Per fortuna le mie amiche mi hanno mandato dei messaggi per sfottermi, mi sono calmata e ho dormito beata per tutto il volo. Ma è stata un’esperienza importante per i prossimi viaggi: se sei solo, devi riposare.
A presto, Scandinavia!
Un blog così lungo per 5 giorni di viaggio, è ovvio che me ne sono innamorata. Il rapporto con la natura, il fresco, l’assenza di folla, i colori, l’aria pulita e i panorami così diversi da quelli a cui sono abituata mi hanno davvero conquistata. È molto cara, soprattutto se si sceglie di mangiare fuori (ma anche al supermercato il caffè costa 4 euro e l’acqua piccola 3 euro). Si gira meglio in auto, cosa che permette anche di dormire in posti meno turistici e più economici, ma è soprattutto camminandoci e pedalandoci che la si vive. È adatta anche alle famiglie (ne ho viste tantissime) e per i pigri sarà sufficiente fare il giro delle città e la crociera anziché mettersi a scarpinare.
Tornerò in Scandinavia, ne sono certa, e spero di farlo per vedere l’aurora boreale e provare un po’ il loro freddo. A presto, Nord!