Norvegia on the road: da Bergen a Tromsø lungo le strade dell’Atlantico  

Quasi 3000 km lungo le strade della Norvegia, tra luoghi stupendi e bufere di neve
Scritto da: balzax
norvegia on the road: da bergen a tromsø lungo le strade dell'atlantico  
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Norvegia on the road: da Bergen a Tromsø lungo le strade dell’Atlantico  

Da giorni tenevo sottocchio le comunicazioni di “Viaggiaresicuri.it” sulle condizioni di viaggio richieste per andare in Norvegia e poi rientrare in Italia. A inizio marzo ecco la buona notizia: la Norvegia ha riaperto al turismo e praticamente eliminato tutte le restrizioni precedentemente imposte causa COVID. Per il rientro in Italia basta il Green Pass rafforzato e compilare il PLF Passenger Locator Form, niente di speciale. Bene, finalmente riesco a realizzare un’idea di viaggio tenuta in serbo da più di due anni e sempre rinviata a causa della pandemia. Il progetto iniziale di viaggio in gruppo con 3 amici non è più realizzabile: le due compagne di viaggio hanno scelto di andare alle Maldive e il mio amico svizzero non ha ferie in primavera. Quindi decido di partire da solo. Il programma è ambizioso: fare tutta la costa atlantica della Norvegia in auto, sfidando la temperatura che prevedo ancora gelida in molte regioni, il ghiaccio lungo le strade e il vento forte sulle isole. Ma lo spirito del viaggiatore prevale su tutto, e allora via!

Scelgo un’auto media, perché per un viaggio come questo è perfettamente inutile prendere un’auto grande e ancora peggio scegliere un SUV: su molte strade l’ingombro sarebbe solamente un impaccio, oltre che contribuire ad aumentare i rischi di incidente. Mi danno una Toyota Corolla ibrida che si rivelerà perfetta. La benzina costa da 19 a 23 NOK (1.9-2.3 €/lt) secondo i posti, quindi più o meno come da noi prima dell’intervento del governo per la riduzione delle accise. Il roaming europeo vale anche per la Norvegia, perciò si può usare Google Maps senza aggravio di costi, e questo è un bel vantaggio.

Pneumatici da neve standard come è ovvio, luci sempre accese e grande attenzione per i limiti di velocità (max. 80 km/h salvo l’ebbrezza dei 90 o 100 all’ora su qualche tratto autostradale della E6), perché le multe qui sono salate (minimo 7000 NOK = circa 700 €) e la tolleranza del 10% non c’è. Il noleggio auto in Norvegia è caro, ma un’offerta di Auto-Europe mi permette di contenere i costi a 60 € al giorno, più il costo del drop-off in diversa città che grazie al contratto con l’agenzia di noleggio risulta abbastanza conveniente.

Itinerario previsto: Bergen – Molde – Trondheim – Bodø – Lofoten – Narvik – Senja – Tromsø. Comprende almeno queste ‘scenic highways’: Hardangervidda, Atlanterhavesveien, Kystriksveien, Lofoten, Senja.

Bergen  

Prima tappa a Bergen. Arrivo il 18 marzo con volo KLM via Amsterdam. Cambio 250 € a un bancomat in aeroporto: errore! Farò fatica a spenderli, perché qui tutto si paga con le carte di credito. Per loro il pagamento in contanti è solo un vecchio retaggio che fa disperare gli esercenti, incapaci di trovare il resto, soprattutto le monete. Per cui, lasciate pure a casa gli euro e portate invece la carta di credito, o meglio due se possibile. Il cambio Euro/Corona Norvegese è all’incirca 1€ = 10 NOK, per cui fare i conti è facile.

Subito due belle scoperte: la prima è che c’è il sole e la gente gira in maglietta, la seconda che la mascherina qui non è obbligatoria nemmeno al chiuso (ristoranti, mezzi pubblici, musei). Quando uscito dall’aeroporto prendo il light train per il centro città indossando la FFP2 come qualche altro turista, i locali mi guardano con curiosità e diffidenti si siedono distante: magari questo porta la maschera perché ha il virus. Chiedo informazioni a due signore che mi confermano che l’uso della mascherina è facoltativo. In pratica non la porta nessuno: in 20 giorni di Norvegia avrò visto al massimo 5 norvegesi con la mascherina, più alcuni turisti pervicacemente aggrappati al rispetto degli obblighi vigenti nei paesi d’origine. Personalmente, mi adeguo subito alle regole locali e ripongo la mascherina nella borsa assieme alla scorta di maschere di ricambio che mi sono portato a dietro.

Bergen si gira facilmente a piedi, facendo attenzione a qualche punto dove c’è ancora ghiaccio per la strada. Monopattini elettrici scorrazzano dovunque e hanno rimpiazzato le biciclette cittadine verdi, ormai sempre più rare. Al sabato mattina è aperto il mercato del pesce della Torget, che in pratica è una pescheria con annessi ristoranti, dove per un piatto di gamberetti o di cozze ci lasci giù 30 €. Meno male che proprio dietro c’è un Subway con cui ci si salva: i Subway ci sono in tutte le città principali e i panini footlong si riveleranno una buona soluzione per la cena.  Nelle vasche della Torget sguazzano enormi giant crabs con le chele lunghe un metro, capesante da mezzo chilo l’una e astici formato famiglia, ma i loro prezzi iperbolici mi fanno desistere dall’intenzione di provarli. Nel porto impossibile non notare “The slurp”, un imbuto sommerso che aspira la sporcizia gettata dai passanti che finisce in acqua.

Per noi turisti il cuore della città è Bryggen, in verità frequentatissimo anche dagli stessi Bergenser, ex-quartiere dei pescatori con una bella fila di case a cui il sole del tardo pomeriggio conferisce colori caldi e intensi. Ne sono rimaste una quindicina, in gran parte trasformate in negozi di souvenir. La cosa più piacevole è perdersi tra le stradine dietro la fila di case che si affacciano su Vagen, il porto, dirigendosi anche oltre verso la stazione della funicolare Fløibanen che sale sulla collina di Fløien. Ma ahimè la linea è in manutenzione e riaprirà a aprile, quando io sarò al nord, quindi pazienza e scarpinata sulla collina a piedi facendo centinaia di gradini di granito, che già arrivare a metà del pendio è un’impresa. Dalla collina, grazie anche alla luminosità eccezionale, il panorama sui tetti rossi e ardesia è stupendo. Bergen è sparpagliata su 7 colline (come Roma): le immagini delle villette colorate col tetto spiovente che dai pendii delle colline occhieggiano su Bryggen e sul porto fanno un bellissimo effetto tavolozza che non si dimentica. Una esplosione di colore è anche il viale Kaigaten, davanti ai musei Kode, con le casette multicolori che si riflettono nel laghetto Lille Lungegårdsvannet.

Dalla Fløien si scorgono anche alcuni inattesi murals che ravvivano il centro città, e che dopo scenderò a vedere da vicino: il più curioso raffigura un elfo verde e un lupo e ricopre l’intera facciata di un edificio.

I giardini della città sono già ravvivati da candidi bucaneve e colchici gialli e viola. La temperatura non raggiunge i 10 °C, ma c’è il sole, la gente gira in maglietta e le ragazze col pancino scoperto, accalcandosi nella zona pedonale di piazza Torgallmenningen che è il centro cittadino dello shopping, attorno al grande Sjømannsmonumentet, un monumento marittimo che racconta la storia della Norvegia attraverso i suoi navigatori dall’epoca vichinga fino al XX secolo. Ho visitato i musei Kode, apprezzando in particolare l’esposizione di opere di Edward Munch, quello del famoso urlo (che però si trova alla Galleria Nazionale di Oslo). Nel Kode 3 ho visto un’introspettiva di Paul McCarthy, artista dall’arte grottesca, ipertrofica e dissacratoria le cui opere sono un pugno nello stomaco.

Norway in a nutshell   

Terzo giorno a Bergen dedicato al programma “Norway in nutshell”, cioè “la Norvegia in un guscio di noce”, che concentra in una sola giornata l’essenza del paese e comprende: treno da Bergen a Voss sulla Bergen Railway – bus da Voss a Gudvangen lungo la E16 – crociera da Gudvangen a Flåm attraverso l’Aurlandsfjord e lo stretto e spettacolare Nærøyfjord (patrimonio UNESCO) – viaggio in treno lungo la ripida Flåmsbana, che in 20  km sale dai 2 metri di Flåm agli 866 metri di Myrdal – ritorno in treno a Bergen ancora sulla Bergen Railway.

La giornata di sole e cielo azzurro ha reso la gita indimenticabile. Il Nærøyfjord è il più stretto e conosciuto dei molti bracci del Sognefjord, che con i suoi 203 chilometri di lunghezza è il fiordo più profondo della Norvegia e il secondo più lungo al mondo. Circondato da imponenti montagne alte fino a 1.700 metri, questo braccio del Sognefjord è incredibilmente bello. Si passa quasi tutto il tempo della crociera fuori, a scattare foto e ammirare  ripidi fianchi montuosi, valli sospese, cime imponenti, nevai, cascate e piccoli borghi di casette colorate.

La ferrovia Flåmsbana opera tra Flåm e Myrdal, arrampicandosi tra profondi burroni, cascate che scendono dal fianco delle montagne innevate e fattorie di montagna aggrappate a vertiginosi pendii a strapiombo. Il treno ferma ogni tanto per raccogliere gli sciatori che fanno fondo sulle piste da sci lungo la ferrovia e fa una fermata obbligata davanti alla cascata ghiacciata Kjossfossen.

La Bergen Railway è la linea ferroviaria lunga circa 500 chilometri che collega Bergen e Oslo. Chi inizia il tour norvegese da Oslo dovrebbe prendere questa ferrovia, considerata una delle più belle del mondo, per raggiungere Bergen.

Costo di questo programma 1878 NOK (190 €).

Da Bergen a Bodø: Atlanterhavsveien e Kystriksveien   

Ritiro la macchina in aeroporto e finalmente via verso nord. La costa atlantica della Norvegia è lunghissima: da Bergen a Bodø sono circa 1500-1600 km, secondo il percorso che si sceglie. Qualunque esso sia, almeno 6-7 giorni sono indispensabili. Ho deciso di alternare i tratti costieri con altri su alcune scenic routes consigliate dal sito web e altri sulla E6 che corre nell’interno, dividendo il percorso in 6 tappe.

Da Bergen a Lærdal: questo percorso si snoda lungo la Hardangervidda, strada di panorami eccezionali. Si costeggiano l’Hardangerfjord e l’Eidfjord macchiati dai colori dei villaggi (Norheimsund, Alvik, Granvin) superando ponti altissimi e spettacolari, poi si sale lungo un ripido percorso a spirale verso la cascata Voringsfossen, purtroppo chiusa in marzo. Per raggiungerla bisognerebbe lasciare la macchina sul ciglio della strada e fare 1 km nella neve fresca: ci ho provato, ma ho desistito dopo un centinaio di metri con un po’ di rimpianto. Sul bianchissimo altopiano di Dyranut mi sono fermato a guardare i ragazzi che fanno snowkite con le tavole da snowboard, usando aquiloni da trazione per farsi trainare su pianori innevati. Poi un tratto della scenic route Aurlandsfjellet, quindi ho lasciato questa strada per dirigermi verso nord lungo la RV 52 Hemsedalsfjellet, sulla quale ho cominciato a fare esperienza di guida su fondo ghiacciato. Sulle strade panoramiche ci sarebbe da aprire un capitolo apposta: in realtà tutte le strade norvegesi offrono panorami da cartolina in qualunque punto uno si fermi, chiaramente se il tempo è bello e c’è luce. Per esempio, la RV 52 non è citata dal sito web ufficiale delle scenic roads, come anche altre che ho fatto dopo, ma a percorrerla c’è da stropicciarsi gli occhi e fermarsi mille volte a fare fotografie. Comunque, questa strada era un buon collegamento verso l’obiettivo che avevo programmato: la “Stavkirkje” di Borgund.

La nera stavkirkje di Borgund è una chiesa in legno situata nel comune di Lærdal, contea Vestland. Fra l’XI e il XII secolo, lungo le antiche rotte commerciali in Norvegia, furono costruite circa 2000 Stavkirkje, chiese di legno il cui termine deriva da stafr in lingua norrena = assi portanti. Oggi quella di Borgund è la meglio preservata delle 28 stavkirkje rimanenti in Norvegia. Venne costruita intorno al 1180 e consacrata all’apostolo Andrea. Decorata con intricati intagli raffiguranti draghi e croci cristiane, la chiesa ha un esterno a gallerie protetto da pilastri, aggiunto nel 1300, e un interno a 3 navate dove è stato allestito un museo. Diverse iscrizioni runiche si trovano sulle pareti. La sagoma della Borgund Stavkirkje si riconosce subito perché vista da lontano sembra il busto di Darth Vader. Sono contento di avere fatto questa deviazione per arrivare fino a qui e vedere questa opera. Chi invece viaggia dalle parti di Oslo, dovrebbe puntare sulla altrettanto famosa stavkirkje di Heddal, che si trova a un’ora e mezza di macchina dalla città.

Da Lærdal a Molde: questo tratto tocca il maestoso Geirangerfjord, per fortuna non ancora trafficato dalle decine di navi da crociera che lo intasano d’estate. Il punto d’osservazione migliore è a Ljoen, appena all’uscita da una galleria sopra Hellesylt. Lungo le  strade meravigliose che portano verso Molde si comincia a fare conoscenza con i ferry che sostanzialmente fanno parte della viabilità. Uno arriva e il ferry è lì che lo aspetta, oppure si mette in coda per un’attesa che in questa parte del paese non è mai lunga (più a nord invece conviene controllare gli orari). Ferry semivuoti in questo periodo. A Molde ho scelto lo Scandic Seilet hotel che è posto in posizione panoramica in riva al mare e mi hanno offerto una stanza all’ultimo  piano che ho preso al volo: grazie alla giornata luminosa e alla finestra non sigillata ho potuto scattare dall’alto delle foto stupende sulla baia fino a Vestnes sull’altra sponda, sia al tramonto che all’alba.

Da Molde a Kristiansund lungo la Atlanterhavsveien: questa scenic road è lunga circa 100 km, ma le maggiori attrattive sono concentrate negli 8 km che vanno da Vevang a Karvag, che si snodano su diversi isolotti e scogli collegati da strade rialzate, viadotti e otto ponti. Il più famoso è il ponte “in curva” Storseisundet, che collega la penisola continentale di Romsdal all’isola di Averøya. Guardandolo dalla piazzola di parcheggio si percepisce un “effetto baratro”: grazie all’angolo di visuale che nasconde metà del ponte le auto in arrivo sembrano provenire dal nulla e quelle che vanno sembrano buttarsi nell’infinito.

Trondheim: una sorpresa. Bella città animata dagli studenti delle università, piena di palazzi storici e chiese. Magnifica la Nidaros Domkirkje, cattedrale con il tetto verde spiovente e un grande parco alberato davanti. La zona più bella è il quartiere storico Baklandet, disteso sulla sponda destra del fiume Nidelva, con decine di edifici colorati su tutte e due le sponde, gente che fa jogging o pedala nelle vie interne e tanti angoli carini per un caffè o una birra. Meno famoso di Bryggen ma secondo me più bello. Il centro città è la piazza Torvet, dove domina dall’alto di una colonna alta 15 metri la statua del re vichingo Olaf Tryggvason, o Olaf I di Norvegia, primo re vichingo convertito al cristianesimo. Tutte queste zone si girano a piedi. Più decentrato invece, nella zona del porto, è il Monumento al Vichingo, Den Siste Viking, statua di Nils Aas che diversamente dallo stereotipo del guerriero con elmo cornuto, raffigura una marinaio con la cerata e l’elmetto.

Da Trondheim a Mosjoen: tratto in parte lungo la strada costiera e in parte sulla E6 che corre nell’interno. Giornate nebbiose e bufere di neve una dietro l’altra. A Mo I Rana alle 6 di mattina registro la temperatura minima toccata durante questo viaggio: -15 °C. Deviazione verso Rørvik per vedere il Norveg dalla caratteristica struttura a vela, centro di cultura e industria costiera norvegese.

La Kystriksveien: sogno on the road  

Da Mosjoen a Bodø lungo la Kystriksveien: il tempo è migliorato, ci sono 2 °C e un po’ di sole si insinua tra le nuvole. La strada è ghiacciatissima, ma le gomme chiodate garantiscono una tenuta sorprendente al punto che anch’io mi azzardo a andare a 80 all’ora come i norvegesi. La Kystriksveien è la strada atlantica che si snoda per 700 km sul lungo tratto costiero tra Steinkjer e Bodø. Per farla tutta ci vorrebbe almeno una settimana: meglio dimezzare e concentrare il percorso sugli ultimi 350 km (non pochi comunque!) che vanno da Sandnessjøen a Bodø. Oppure limitarsi agli ultimi 150 km circa da Glomfjord, che però per mancanza di strade di connessione  comportano di dovere percorrere tutta la E6 fino a Bodø (percorso comunque bellissimo) e poi fare l’atlantica ritroso in direzione sud. In questo modo però si perdono alcune attrattive importanti come per esempio il ghiacciaio Svartisen.

Scenari incredibili, panorami mozzafiato dovunque. Ci sono molti ferry da prendere, che qui al nord sono meno frequenti che nel centro-sud. Salvo qualche eccezione i ferry non si possono prenotare, quindi bisogna programmare bene il percorso e controllare gli orari dei traghetti, specialmente se si viaggia il sabato e la domenica quando le corse si riducono. Per esempio, il ferry Kilboghamn-Jektvik, che è il più lungo e importante del tragitto, al sabato c’è alle 8 e poi più niente fino alle 14. Per cui se perdi quello delle 8 poi devi studiare qualche giro alternativo per trascorrere la mattinata. Problemi di spazio sui ferry almeno in questo periodo proprio non ce ne sono: sul ferry da Ågskardet a Forøy c’erano solo 3 macchine! Se i ferry da prendere sono molti, è possibile risparmiare il 50% facendo la autopass ferry card su www.autopassferje.no. Utilissima anche la Kystriksveien Travel Guide, che si trova su internet come file web Kystriksveien travel guide | Kystriksveien oppure si può ordinare per posta al costo di 60 NOK.

La Kystriksveien è il sogno di ogni amante dei viaggi on the road. La strada corre lungo i fiordi saltando di isola in isola su ponti che sono capolavori di ingegneria oppure coi ferry, ma spesso devia nell’interno tra valli e montagne incappucciate di neve. Ci sono molti tratti ghiacciati, che richiedono attenzione in discesa e in curva, oppure all’incrocio con i camion che come in ogni parte del mondo si prendono la precedenza essendo più grossi. A metà circa della tratta in ferry da Kilboghamn a Jektvik, si supera il Circolo Polare Artico, con tanto di annuncio da parte del comandante. Punti più belli: la costiera tra Stokkvagen e Bråtland – il ghiacciaio Svartisen, di un azzurro quasi surreale, sull’Holandsfjord poco dopo Halsa, che si può raggiungere in traghetto da Holand – la spiaggia di Storvik che appare inattesa al termine di una discesa – la baia di Godøy appena prima di Bodø. E ovviamente i panorami dei fiordi visti dai ferry.

Nel frattempo il cielo è diventato nero e il vento è cresciuto di intensità. A Bodø raffiche e nuova bufera di neve, ma questa città non ha attrattive particolari e quindi si può anche rimanere in albergo a riordinare idee, bagagli e appunti del diario.

Le Lofoten    

È domenica e ho il ferry delle 13 da Bodø a Moskenes (954 NOK con Torghatten), una delle poche tratte che si possono prenotare. In mattinata continua a nevicare, ma ho un po’ di tempo e decido lo stesso di fare un giro per vedere la stazione di Bodø, che è quella più a nord delle ferrovie norvegesi, e la cattedrale dove essendo domenica spero che ci sia una messa. La messa, che comunque sarebbe in rito luterano, purtroppo non c’è ma si sta esibendo il coro locale. Non cantano solo pezzi religiosi, per esempio mentre arrivo stanno intonando “Looking for something” di Era. Mi fermo un po’ ad ascoltarli, anche perché non ho nessuna voglia di tornare fuori nella tormenta. Poi però è ora di andare al porto e prendere il traghetto.

La bufera di neve imperversa. Salgo sul ponte auto della motonave Vaeroy tra raffiche di vento e cristalli di ghiaccio che sbattono contro i finestrini, mentre gli addetti al check-in vanno avanti con le operazioni di imbarco come se niente fosse. C’è anche una nebbia fittissima, visibilità 20 metri sì e no. Mentre penso con un po’ di apprensione all’efficienza del radar della nave e mi chiedo se in queste condizioni partono o no, l’altoparlante annuncia di lasciare le auto e recarsi nel ponte superiore, quello dei passeggeri, perché durante le traversate in traghetto è proibito stare in macchina. Quindi tranquillamente e in perfetto orario si parte nella nebbia fitta e col vento che sibila e mulina neve. Tre ore e mezzo di traversata in cui letteralmente non si vede un tubo. Evidentemente ci sono abituati, perché il traghetto fila via veloce e arriva in perfetto orario.

Secondo la Lonely Planet “non dimenticherete mai il momento in cui vedrete le Lofoten all’orizzonte”. L’orizzonte? Le Lofoten per adesso le ho viste solo negli ultimi venti metri della traversata, ombre indistinte nella tormenta. Con fatica riesco a individuare il cartello stradale che indica la direzione per Reine, e grazie a Google Maps a trovare il Lofoten B&B dove ho prenotato. Le password ricevute dalla signora Kristina per il parcheggio davanti alla Gallery Eva Harr e per la camera funzionano, meno male. Dentro c’è un gruppo di norvegesi sommersi da una montagna di lattine di birra che mi danno il benvenuto e mi invitano al party. Accetto una birra ma dopo mi schiaffo in camera col trolley per i soliti controlli (riscaldamento, WiFi, bollitore per il caffè). Guardo con desolazione fuori dalla finestra dove la tormenta impazza sempre più fitta. Però controllo meteo-norway, https://www.yr.no/en ,  e scopro con piacere che per il giorno dopo è previsto sole tutto il giorno.

Infatti al mattino di lunedì sole pieno e allegria nell’animo: finalmente posso vedere le tanto decantate isole Lofoten! La macchina però è sommersa da 30 cm di neve caduti a sera e nella notte, quindi dal parcheggio è impossibile venire fuori. No problem: i solerti norvegesi sono già all’opera con turbine spazzaneve e macchine gratta-ghiaccio. Nel giro di un paio d’ore le strade vengono liberate e, fatta la solita abbondante colazione, si può partire per la visita dell’arcipelago.

Con il sole e il cielo terso le isole si dispiegano in tutta la loro bellezza. Decido di andare prima verso la punta di Moskenesøya, la parte finale dell’arcipelago, verso il borgo che essendo l’ultimo delle Lofoten si chiama semplicemente Å, come l’ultima lettera dell’alfabeto norvegese. Le scogliere sono tappezzate dai  tralicci con i merluzzi appesi a essiccare, sparsi tra rossi rorbuer, le case dei pescatori oggi quasi tutte adibite a alloggio per turisti. Poca gente in giro, come sempre, per cui anche negli spazi angusti dei villaggi si può girare con tranquillità malgrado gli imponenti mucchi di neve. Mi sono segnato un po’ di punti panoramici: Utsiktspunkt, Reine photo point, Hamnoy Rorbu, Rambergstranda, Torvdalshalsen, Ballstad, Vik beach, Nyvagar. Non tutti sono raggiungibili causa neve, ma poco importa. Dovunque ci si fermi lo spettacolo è assicurato.

Le alte montagne delle isole osservano dall’alto lo scarso movimento di persone lungo le strade in questo periodo. Gli isolani le chiamano Lofotveggen, le “pareti delle Lofoten”. Sono un’immagine di forza e di ghiaccio, come di forza e di ghiaccio è fatta la vita, nel periodo invernale, di quest’angolo di mondo dell’estremo nord. Le neve ricopre i campi, le montagne, i battelli da pesca, ma non è un ostacolo. Gironzolando per l’arcipelago sotto il sole non ci si accorge neanche del tempo che passa. È difficile dire quali sono i punti più belli: forse le case di Å e di Tind, la baia di Reine semighiacciata, i gialli rorbu di Sakrisøy e Hamnøy,  il villaggio di pescatori di Nusfjord, le spiagge di Ramberg e Vik, la chiesetta di Flakstad interamente costruita con legno proveniente dai fiumi siberiani che sfociano nell’Artico e trasportato fino alle isole Lofoten dalle correnti marine.

Disponendo della macchina, si possono fare tante deviazioni dalla E10, che è la strada principale che attraversa le Lofoten, raggiungendo paesini nascosti sulle isole principali Moskenesøya, Flakstadøya, Vestvågøy e Austvågøya. A Leknes ho deciso di seguire il suggerimento della Lonely Planet e deviare sulla deserta e spettacolare RV815, lasciando la E6. L’unica limitazione alle deviazioni è l’accumulo di neve che a  volte impedisce di proseguire lungo le stradine poco battute, ma poco male: si torna indietro e se ne sceglie un’altra.

Vista la giornata di sole, verifico l’indice K di probabilità dell’aurora boreale, che dà un valore di 5, quindi alto. Allora a mezzanotte fuori in cerca delle luci verdi nel cielo. Come me molta gente per le strade armata di treppiede, ma malgrado il calcolo probabilistico la signora della notte non appare e rimaniamo lì invano col naso all’insù nel gelo dei -10°C per un pezzo, fino a quando il freddo ha il sopravvento e bisogna rientrare.

Il giorno dopo è ancora dedicato alle Lofoten, ma al mattino manco a dirlo nevica. Però con sguardo rassicurante la signora Kristina ci dice “don’t worry, it is a small snow”. Difatti verso le 8 smette di nevicare, e allora via per un altro giro stavolta con la luce rosa del mattino che sale dal mare e rende ancora più suggestive le immagini e le foto. Incrocio anche l’Hurtigruten che sta attraccando a Reine. Le montagne innevate sono uno sfondo perfetto per le foto dei villaggi, delle baie, dei porticcioli con i caratteristici pescherecci a scafo alto. A Ramberg osservo una barca di pescatori che rientra con la vela esposta, e mi rendo conto della puzza di merluzzo che satura l’aria in questi luoghi. Altre deviazioni, verso Fredvang con i suoi due spettacolari ponti consecutivi, a Nusfjord lungo una stradina dove alle 10 di mattina non si vede ancora la traccia di un pneumatico, a Repp sulla Offersøya.

Nel pomeriggio lascio le Lofoten in direzione di Narvik.

Il merluzzo è come il maiale: non si butta via niente

Viaggiando alle Lofoten si notano dovunque i tralicci con i merluzzi appesi a essiccare. Infatti la maggior parte del pescato di merluzzi europei proviene da qui. La stagione della pesca, la Lofotfiske, va proprio da marzo ad aprile, anzi marzo è anche il mese del campionato del mondo di pesca del merluzzo che si svolge proprio a Svolvaer. In questo periodo ogni giorno decine di barche da pesca lasciano Svolvaer e gli altri porti al mattino presto e iniziano a solcare le acque gelide del Mare del Nord alla ricerca dei banchi di merluzzi, con il fondamentale aiuto dell’ecoscandaglio. Dopo qualche miglio di navigazione  vengono calate le grosse reti “Snurrevard”, che si inabissano fino a raggiungere la profondità di duecento-trecento metri. L’equipaggio, che veste le colorate tute Helly Hansen, poco dopo issa a bordo la rete con l’aiuto di un argano. Un braccio meccanico aggancia la rete e la sposta sopra i contenitori scaricando la massa guizzante.

Ogni merluzzo pesa da tre a sei-sette chili, e in un giorno di buone catture le stive dei piccoli pescherecci colorati riescono a contenerne ben otto tonnellate. Alla sera le circa 1700 imbarcazioni che si dedicano a questo tipo di pesca nelle Lofoten rientrano nei porti.  Alla fine di ogni stagione, i tremila pescatori di merluzzo norvegesi riescono a strappare alle onde del mare ventimila tonnellate di pescato.

Il merluzzo è un po’ come il maiale: non si butta via niente. I pesci appena pescati e portati nei depositi in riva al mare vengono puliti e le viscere essiccate per farne farina di pesce. Le uova sono salate e disposte in barili di legno e subito spedite alle fabbriche di Caviar, il caviale di merluzzo apprezzato in tutta la Scandinavia e che troverete spesso a colazione. Il fegato dei pesci è messo anch’esso sotto sale e inviato in Svezia, dove ne sono particolarmente ghiotti.

Le teste dei pesci vengono private delle lingue, che qui considerano un piatto prelibato. I bambini delle Lofoten, grazie alle loro piccole mani, sono gli addetti a questa operazione: estrarre e tagliare. Le lingue dei merluzzi, carnose e gustosissime, finiranno in tutti i più famosi ristoranti dell’arcipelago, impanate e fritte, un vero boccone da re! Le teste invece vengono essiccate e spedite in Nigeria, dove serviranno come ingrediente principale per una famosa zuppa locale.

Quello che rimane del merluzzo, cioè due grandi filetti, prende due strade: spinato, spazzolato, lavato, messo sotto sale per un mese e poi essiccato al vento diventerà baccalà. Invece i filetti legati a due a due per la coda e appesi su grandi rastrelliere di legno, le hesje, rimangono a essiccare al vento secco e gelido per due, tre mesi. Così il merluzzo diverrà lo stoccafisso, classificato a seconda del peso, grandezza, consistenza, essiccamento e disidratazione, in ben diciotto qualità.

Quando il sole tramonta alle Lofoten, il mare è vuoto, senza barche, senza un suono. Una completa solitudine, tipica di queste estreme latitudini. Solamente le rastrelliere piene di pesci fanno da cornice al sole che si spegne. Per un beffardo destino i merluzzi stanno appesi a essiccare di fronte alle onde, mossi dolcemente dal vento, a due passi dal mare che li ha cresciuti.

Narvik     

Sulla strada verso nord molti cartelli ricordano i luoghi della battaglia di Narvik, combattuta tra aprile e giugno 1940 nei dintorni della città norvegese, che vide contrapposti un contingente di truppe tedesche al comando del  il generale Eduard Dietl, che si era impossessato della città con un attacco a sorpresa, e una forza Alleata composta da reparti norvegesi, britannici, francesi e polacchi. La battaglia, uno dei maggiori scontri della campagna di Norvegia della seconda guerra mondiale, si concluse con la ritirata delle truppe Alleate, che pure erano riuscite a riprendere la città ai tedeschi.

La città si trova sul Rombaksfjord e ha un porto importante che grazie alla corrente del Golfo è libero dai ghiacci tutto l’anno e quindi funziona come porto alternativo invernale per l’esportazione del ferro proveniente dalle miniere svedesi di Kiruna, quando invece i porti del golfo di Botnia sono impraticabili perché il mare ghiaccia. La città non è particolarmente interessante, ma mi colpiscono subito le piste da sci illuminate, che rimangono aperte fino alle 23, e arrivano proprio davanti all’albergo, praticamente in centro città. La stazione del treno è vicinissima: come rinunciare a un viaggio sull’Arctic Train, il treno più a nord d’Europa? Biglietto A/R Narvik-Abisko-Kiruna (in Svezia) comprato su internet per 450 NOK, in una giornata di nevischio quindi il viaggio in treno ci sta bene. Poi migliora, permettendo nel tratto tra Abiko e Kiruna viste spettacolari sulle montagne da una parte e sul lago ghiacciato Torneträsk dall’altra. La ferrovia collega Narvik a Lulea in Svezia o anche fino a Stoccolma (un treno al giorno), collegandosi a Kiruna con un ramo che raggiunge le miniere di ferro. Lungo il percorso si incrociano spesso gli interminabili treni che su centinaia di vagoncini a bascula trasportano il minerale ferroso fino agli altoforni per l’estrazione del metallo.

Dedico una mattina alla visita del Polar Zoo di Bardu, 50 km a est di Narvik. Sulla strada verso lo zoo incrocio una lunga colonna di cingolati e carri militari con i cannoncini bene in vista che stanno dirigendosi a nord lungo la E6. L’esercitazione è segnalata da numerosi cartelli lungo la strada. Evidentemente anche qui sono all’erta in previsione di un eventuale coinvolgimento della Norvegia nel conflitto russo-ucraino. Devo dire che stare in coda con un  cingolato davanti e un carro armato dietro è abbastanza inquietante, poi a un certo punto due soldatesse scendono da un carro e fanno passare noi automobilisti a lato della colonna.

Il Polar Zoo è un interessantissimo giardino zoologico e faunistico istituito nel comune di Bardu. Ingresso 315 NOK. Nei recinti si può vedere da vicino praticamente tutta la fauna artica: alci, cervi, lupi, orsi, volpi, linci, renne e buoi muschiati. Non perdetelo se siete in viaggio da queste parti.

Senja

A Senja siamo nel Finnmark, la regione più a nord della Norvegia. Secondo molti questa è l’isola più bella della Norvegia, benché poco conosciuta dai turisti che preferiscono le vicine Lofoten. In effetti è un piccolo ecomondo in cui la natura si sviluppa incontaminata tra spettacolari fiordi, ripide montagne, villaggi sonnolenti e le acque cristalline del Mare del Nord.

La magnifica costa nord dell’isola è percorsa dalla Strada Turistica Nazionale di Senja (la 86/862), lunga circa 150 km da Finnsnes, che si snoda su e giù per le montagne fino a Torsken, dove avevo il B&B, e a Gryllefjord dove d’estate arrivano i ferry da Andøya, con deviazioni verso Husøy, Mefjordvӕr e Bøvӕr.

Il tempo purtroppo qui non è stato buono: tanta neve e poco sole. Tra l’altro, il tempo cambiava in continuazione  passando da un fiordo all’altro: tempesta di neve da un parte, poi una galleria sotto la montagna, sole dall’altra parte, e via di seguito. Strade strette e con molta neve, e per di più oltre ai camion qui bisogna fare attenzione anche alle renne che sbucano all’improvviso attraversando la strada.

I punti panoramici principali sono Bergsbotn e Tungeneset. Il paesaggio che si ammira lungo il percorso per arrivare a Bergsbotn lascia senza fiato, ma il clou è il punto panoramico. Arrivare fino in fondo alla piazzola, dove c’è il parapetto di osservazione, è stata un’impresa a causa della neve caduta durante il giorno e penso anche nei giorni precedenti, ma la vista che si ha dalla piattaforma panoramica lunga 44 metri che permette di ammirare il Bergsfjord in tutta la sua grandezza e bellezza è qualcosa che è difficile descrivere a parole. La strada continua, a tratti sempre più stretta e tortuosa, tra paesaggi sempre più belli, villaggi di pescatori che ricordano le vicine Lofoten e casette colorate poste ai piedi di montagne altissime e nei posti più impensabili, fino ad arrivare alla seconda piattaforma panoramica. Tungeneset si trova sulla punta del promontorio che separa lo Steinsfjord dallo Ersfjord. Qui è stata costruita una passerella in legno che permette di passare tra le rocce e raggiungere il mare, da dove si ha una splendida vista sulle Okshornan Mountains, anche conosciute come i ‘Denti del Diavolo’, e sul bellissimo ghiacciaio che ne ricopre una parte.

Questi sono i due punti panoramici “codificati” lungo il percorso, ma grazie a qualche spiraglio di sole riesco a scoprirne altri meravigliosi: la baia di Hopen – la spiaggia di Eidfjord – il porticciolo di Husøy, piccolo borgo posto su un’isola collegata alla terraferma da un ponte di 300 metri e circondato da montagne altissime. L’isola è lunga 1 km e larga 500 metri.  Le foto più belle di Husøy si fanno dall’alto della strada che scende verso le acque verdi del bellissimo Øyfjorden. Il villaggio è disposto attorno agli stabilimenti per la lavorazione del merluzzo, di cui ci si accorge subito per via dell’olezzo che pervade l’aria, ma malgrado questo dovendo scegliere un luogo simbolo di questo viaggio, opterei proprio per questo borgo di 250 anime che è un po’ l’essenza della Norvegia del Nord: montagne innevate, allevamenti di merluzzi, porticciolo e pescherecci, case colorate e un’isoletta. E poi qui nelle case dei pescatori ci abitano i pescatori, non le affittano ai turisti.

Tromsø e l’aurora boreale     

Ultima meta del viaggio: Tromsø, la città più grande della Norvegia del Nord, conosciuta come capitale dell’Artico e Parigi del Nord. Il centro cittadino è situato sull’isola Tromsøya, collegato dal ponte Bruvedenbrua che sormonta lo stretto di Tromsøysundet, alla valle Tromsdalen a est sulla terraferma e a ovest all’isola Kvaløya (isola delle balene).

Tromsø ha un centro storico carino in cui passeggiare, facendo grande attenzione ai marciapiedi ghiacciati,  dove si ammirano edifici in stile neoclassico che si fondono con quelli in legno tipici norvegesi. La Cattedrale Artica (Ishavskatedralen), costruita nel 1965, è l’edificio simbolo della città e spicca proprio in fondo al Bruvedenbrua grazie alla sua particolare struttura ispirata al paesaggio del Finnmark, che ricorda vagamente la punta di un iceberg o una tenda Sami. Dentro ha enormi e magnifiche vetrate colorate.  In centro città c’è anche la cattedrale protestante più a Nord del Mondo, la Tromsø domkirke, l’unica cattedrale in Norvegia ad essere stata costruita interamente in legno. Anche qui esercitazioni militari: nel porto accanto ai pescherecci e alle imbarcazioni da diporto sono ormeggiate le navi da guerra della Marina Norvegese.

Due escursioni qui: una al villaggio sami di Tønsvik, dove a parte qualche amenità per turisti giapponesi come dare da mangiare alle renne e fare un giro sulla slitta trainata da renne, si fa conoscenza con la storia e la cultura Sami, che è senz’altro la parte più interessante del tour. Ottimo anche il pranzo con spezzatino di renna e patate.

Ma manca ancora l’aurora boreale. La giornata non è stata eccezionale come soleggiamento. Mi dicono che l’indice Kp è 3.5 e poi siamo già a inizio aprile, quindi proprio ai limiti per potere osservare questo fenomeno, ma alle 20 si parte lo stesso. Organizzazione di Northern Shots Tours, che fornisce tuta termica e assistenza fotografica. Dello staff fa parte anche una ragazza italiana, Giulia, che è qui per il corso magistrale in scienze fisiche e ambiente e mi dice di non preoccuparmi per le nuvole in cielo che l’aurora la troviamo. Il minibus si dirige verso la Finlandia, sulla E8 che è detta proprio la Northern Lights Road.

Dopo almeno 150 kilometri con autista e guida che confabulano in continuazione,  finalmente in mezzo alle montagne ecco la dama della notte apparire davanti agli occhi ondeggiando tra le vette innevate. Ben presto il cielo si riempie di luci fluttuanti verde smeraldo che assumono forme di nastri, di spirali, di archi, di corone. Uno spettacolo emozionante, che rivedo dopo una precedente esperienza in Islanda. Incuranti del gelo, scattiamo tantissime foto, grazie anche a un 50 mm fisso e al treppiede prestatomi dall’organizzazione, poi bisogna rientrare perché il freddo è pungente (-10 °C circa) e i piedi stanno congelando, immersi nella neve fresca in cui si sprofonda facilmente. Per fortuna sul bus ci danno una bevanda calda al cioccolato e dei biscotti, poi con gli occhi e la mente pieni di immagini indimenticabili bisogna tornare a Tromsø.

Il viaggio finisce qui. Domani si torna in Italia.

Informazioni pratiche

Il tempo, sole e neve: nelle foto sui dépliant delle agenzie di viaggio c’è sempre il sole, ma la realtà non è mica così idilliaca. In questo periodo la nevicata fitta, o addirittura la tormenta, sono sempre in agguato, con probabilità che aumenta mano a mano che si va più a nord. Il rumore degli spazzaneve e delle macchine provviste di un disco dentato per grattare la crosta di ghiaccio spesso mi ha svegliato al mattino. Meteo Norway è utilissimo per pianificare le attività in funzione delle precipitazioni. Però non ho mai trovato una bufera che durasse due giorni consecutivi, anzi le giornate più limpide e soleggiate sono state proprio quelle dei giorni successivi alle nevicate. Il problema della neve è un altro, e cioè che ne cade tanta, troppa. La neve occupa spazio, riduce la larghezza delle strade che in molte zone sono già strette di loro, rendendo difficile la guida e problematici gli incroci con i mezzi pesanti, nasconde i parcheggi e soprattutto di notte ghiaccia.  E occhio che sul ghiaccio si scivola! Temperature generalmente decenti o persino gradevoli durante il giorno, dai 9-10 °C di Bergen ai 2-3 °C di Tromsø, ma minime di -15 °C una mattina a Mo I Rana e -12 °C sempre al mattino a Mosjoen. Inoltre, la neve purtroppo non sempre viene spalata dai sentieri che portano ai viewpoints. Vedi per esempio il sentiero verso la Voringsfossen, impraticabile, e le piattaforme panoramiche di Bergsbotn e Tungeneset a Senja, percorribili solo affondando in mezzo metro di neve fresca. A proposito, giacca a vento e un paio di pantaloni termici sono indispensabili, almeno in questo periodo. Poi da aprile mi hanno detto che il tempo migliora decisamente.

Hotel e pernottamenti: questa voce incide parecchio sul costo del viaggio. Costo medio di un hotel: 1200 NOK, di un bed&breakfast 850 NOK. Chi vuole dormire in un rorbu alle Lofoten deve mettere in conto anche 1400-1500 NOK per notte, perché questi sono mediamente più cari. Notare che siamo in bassa stagione. Con un programma di viaggio come quello che ho fatto, quasi tutte le prenotazioni erano day-by-day, con precedenza a quelli che permettevano l’opzione di cancellazione last minute. Dove c’erano, ho scelto gli hotel della catena Scandic, che sono tutti posti in posizioni panoramiche (eccezionale quello di Molde) e soprattutto servono una colazione abbondantissima (vedi dopo).

Ristoranti: mangiare al ristorante in Norvegia è caro (attorno alle 500 NOK per un piatto principale, più un’insalata e la birra). Allora un consiglio: scegliete un albergo che offra la colazione inclusa e abbuffatevi al mattino. Le colazioni in Norvegia comprendono di tutto: salame e prosciutto – formaggi – salmone affumicato, marinato e caviale di salmone –  uova e prosciutto o bacon – frutta e verdura – marmellate varie – croissant e torte – spremute, succhi di frutta, caffè e thè. Per cui, colazione ipercalorica, piccolo furto di croissant, banane e prugne per il sostentamento durante il giorno e poi qualcosa alla sera. A Bergen, Trondheim e Bodø ho trovato i Subway, che ho imparato a conoscere negli USA, dove puoi farti un panino footlong mettendoci dentro quello che vuoi, per un costo di 150 NOK compresa l’acqua o la bibita. Altra ottima soluzione sono gli shop delle stazioni di servizio lungo la strada, che hanno la griglia sempre accesa e preparano hot dogs o hamburger giganteschi, con anche insalate preconfezionate se uno vuole, per 150-200 NOK.  Ma qualche cena al ristorante ogni tanto ci vuole, e questi tre valgono davvero il prezzo che si paga: da Tino’s a Namsos, gestione napoletana, pareti affrescate con immagini di Ravello e Pozzuoli, dove puoi mangiare una carbonara o un’arrabbiata ottima, oppure la pizza verace ….per 300 NOK, sigh…, mentre con salmone e fritto misto te la caveresti con solo 200 NOK – Restaurant No 3 a Mo I Rana, dove la specialità è l’eccellente halibut di Lurøy, oppure da dividere in 2 la cataplana di bacalao tipo quella che mangeresti a Lisbona. Si trova proprio davanti al caratteristico hotel Ole Tobias,  arredato come se fosse un vagone del treno, con sedili, portapacchi, cappelli e mantelli d’epoca  e persino i finestrini provenienti da vecchie carrozze delle ferrovie norvegesi –  ristorante Egon a Tromsø , che fa parte di una catena presente anche in altre città, ma questo serve in filetto buonissimo in un’atmosfera calda e accogliente, e oltretutto ha la birra alla spina più buona tra tutte quelle che ho provato in Norvegia. Se poi vi volete svenare, provate i ristoranti Fjellskål della Torget di Bergen. Qui per 500 NOK mi hanno dato una platessa con tre fagiolini e due patate al forno…

Strade, traghetti e pedaggi autostradali: malgrado le neve e il ghiaccio le strade sono tenute in perfetta efficienza durante tutto l’inverno. I pneumatici chiodati delle auto garantiscono una tenuta di strada eccezionale, al punto che si va a 80 all’ora (limite massimo consentito) anche sul ghiaccio vivo. Viaggiare on the road in Norvegia vuol dire imbattersi spesso in traghetti, ponti e tratti autostradali a pedaggio. Sul momento non ti fanno pagare niente. Quando prendi il ferry, un addetto fotografa le targhe dei veicoli che imbarca, pulendole prima se sono illeggibili. Sulle strade a pagamento, le fotocellule captano automaticamente un codice elettronico presente su tutti i veicoli registrati in Norvegia. Si chiama AutoPASS, è di proprietà della Statens Vegvesen (l’Amministrazione delle Strade Pubbliche Norvegesi), una specie di Telepass insomma. Alla fine del viaggio l’agenzia di noleggio riceve la fattura cumulativa (ferry + strade/ponti), il cui importo viene automaticamente trattenuto dalla carta di credito e te la inviano per mail.

Aperti e chiusi: la stagione turistica norvegese è concentrata tra maggio e settembre. Questo vuol dire che negli altri periodi dell’anno molte cose e luoghi da vedere sono chiusi, o semplicemente non sono raggiungibili a causa della neve o del ghiaccio non spalati, oppure fanno orari ridotti e magari al sabato e alla domenica rimangono chiuse. Bisogna sempre guardare prima la Lonely Planet e controllare che l’attrazione che si vuole vedere sia aperta. Il problema si è presentato soprattutto a Senja, dove le piazzole turistiche erano sommerse dalla neve e il Museo dell’Halibut di Skrolsvik, che mi incuriosiva, era chiuso. Alle Lofoten, chiusi perché impraticabili i sentieri che salgono sulle montagne verso i punti panoramici come il famoso Ringebringen, ma pazienza, sono stupende anche viste dal basso.

I norvegesi: i norvegesi li vedi solo nelle città, e noti subito che hanno un gran desiderio di vivere all’aria aperta quando il tempo glielo consente. Fanno jogging e girano in bicicletta sotto la neve fregandosene del freddo e del ghiaccio che sbatte sulla faccia. Oppure tirano fuori gli sci e vanno a fare fondo, talvolta anche lungo le autostrade, oppure discesa perché spesso la pista da sci ce l’hanno appena fuori di casa, magari illuminata fino a mezzanotte. Appena esce un po’ di sole si sparpagliano per le strade e riempiono i tavolini all’aperto dei bar per un bel succo di mela (che dal colore inizialmente pensavo fosse birra) o un caffè tipo long drink come quello americano. Fuori dalle città invece vedere un norvegese è un’impresa. Ma dalle luci che filtrano dietro le tendine di pizzo delle finestre si capisce che ci sono e che evidentemente preferiscono la privacy casalinga.  I norvegesi on the road invece sanno che guidare sul ghiaccio e nella neve è difficile, per cui sono sempre pronti a aiutare l’automobilista in difficoltà. Sul rettilineo tra Ramberg e Flakstad, nelle Lofoten, sono uscito di strada durante una bufera di neve. Disperati tentativi di ritornare sulla carreggiata, col solo risultato di affondare sempre di più nella neve fresca. Bene, tutte, ma proprio tutte le macchine che mi sono passate accanto si sono fermate chiedendomi se avevo bisogno di aiuto. Due signore mi hanno dato il caffè caldo del loro termos. Un ragazzo ha chiamato un amico dicendomi “lui ha il cavo”. Nel giro di 20 minuti mi hanno tirato fuori la macchina dalla buca. Tutto questo alla temperatura di -2 °C mentre il vento sbatteva in faccia  folate di neve e cristalli di ghiaccio.

Conclusione

  • km percorsi: 2900
  • regioni attraversate: 7 (Vestland, Møre og Romsdal, Viken, Innlandet, Trøndelag, Nordland, Finnmark)
  • ferry: una ventina. Panorama migliore: dal ferry Skarberget-Bognes
  • fiordi: una ventina o forse più. Spesso non capisci se stai costeggiando l’oceano o un fiordo. I più belli: Sognefjord, Geirangerfjord e Leirfjord
  • ponti: anche questi almeno una ventina. Opere di ingegneria eccezionali e spettacolari, spesso costruiti in luoghi stupendi, molti non hanno niente da invidiare al Golden Gate californiano
  • bufere di neve: tre
  • giornate di sole o comunque senza precipitazioni: circa il 60%
  • affondamenti nella neve fresca: uno
  • temperatura massima: 10 °C a Bergen
  • temperatura minima: -15°C a Mo I Rana.

Un viaggio lungo e bellissimo, di quelli che ti rimangono dentro per un bel po’.

Grazie per essere arrivati fin qui.

Luigi

luigi.balzarini@studio-ellebi.com

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