5000 km in treno, 400 km a piedi e 30 giorni in giro per il Giappone: non è un viaggio, ma un’avventura per pochi

Scritto da: RosaLuca
5000 km in treno, 400 km a piedi e 30 giorni in giro per il giappone: non è un viaggio, ma un'avventura per pochi
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Nel 2012 eravamo già stati in Giappone per due settimane, con un fai da te antesignano, visitando le mete classiche più turistiche. Ci era rimasta nel cuore la voglia di tornarci per fare e vedere altre cose. Visto l’incremento dei viaggi organizzati dopo la riapertura post-Covid e anche dei viaggi in autonomia, che nel 2012 appunto erano quasi inesistenti quando il Giappone non era così “di moda”, abbiamo pensato di costruirci un itinerario un po’ alternativo.

Purtroppo, dovendo decidere le date in base ai nostri impegni e ai prezzi dei biglietti aerei, ci è caduta nel mezzo anche la golden week (il loro ferragosto) a cavallo fra fine aprile e primi di maggio, ma avendo prenotato tutti gli alberghi alcuni mesi prima e i treni in loco appena attivato il Japan Rail Pass (JRP) non abbiamo avuto problemi. Volo Emirates Bologna-Dubai-Tokyo Narita e ritorno Osaka Kansai-Dubai-Bologna (1.085 € a testa); assicurazione sanitaria (52 € a testa); Japan Rail Pass da 21 giorni (632 € a testa, costa molto, ma se ci si sposta spesso in treno conviene anche per la grande comodità della prenotazione che è sempre compresa) da attivare all’arrivo; rimangono fuori purtroppo gli ultimi giorni in cui gli spostamenti saranno da pagare di volta in volta (il solo Fukuoka-Osaka ci costerà 100 € a testa)

Fatta presso la motorizzazione la patente internazionale del tipo valido in Giappone (33 €) in caso volessimo noleggiare auto, cosa che però poi non abbiamo fatto vista la comodità dei mezzi pubblici per le mete che ci interessavano. La guida a sinistra non sarebbe stata per noi un problema perché l’abbiamo sperimentata tante volte senza difficoltà. Prenotato il pocket wifi pagandolo direttamente all’atto della prenotazione online con Japan Wireless da ritirare all’aeroporto (83 € per 30 giorni). Prenotata escursione al Monte Fuji con GetYourGuide, cancellabile fino a due giorni dalla data prevista (78 € a testa per l’intera giornata).

Per decidere l’itinerario, oltre a leggermi 3 guide diverse e a cercare notizie in internet, mi sono basata sul sito Rome2Rio dove ho trovato mezzi, distanze e tutte le informazioni necessarie per calibrare gli spostamenti che abbiamo fatto totalmente in treno. Le scelte sono state a sentimento. Un paio di cose che avevo nel cuore, altre saltate fuori leggendo le guide. Le cose da vedere sarebbero, come ovunque, infinite e tutte interessanti. Ma a un certo punto tocca scegliere e organizzare l’itinerario. Anche perché ho prenotato per tempo tutti gli alberghi per non avere sorprese di prezzo e location.

Di seguito parte delle cose che ho letto su carta e che sono servite per la preparazione:

  • Guida Giappone del Touring (acquistabile qui)
  • Guida Giappone National Geografic (acquistabile qui)
  • Guida Giappone Mondadori (acquistabile qui)
  • Cartoville Tokyo (acquistabile qui)
  • Tokyo Pocket Lonely Planet (acquistabile qui)
  • Kyoto e Osaka Pocket Lonely Planet (acquistabile qui)
  • I Love Japan e I Love Tokyo della Pina (acquistabili qui e qui)
  • Guida agli Onsen (acquistabile qui)
  • Tokyo tutto l’anno e Wa di Laura Imai Messina (acquistabile qui)
  • Sata di Alan Booth (acquistabile qui)

Ho prenotato gli alberghi per le 11 tappe programmate da Booking.com, 8 dei quali con colazione compresa e tutti con cancellazione gratuita fino a un paio di giorni dalla data del soggiorno. Ovviamente tutti accuratamente scelti in posizione comoda vicino alla stazione ferroviaria. Solo a Tokyo, Nagasaki e Matsuyama dalla stazione serviva un mezzo per raggiungere l’hotel, due fermate di tram/metro. Mai usato il taxi. E tutti scelti in base al prezzo. La media a notte alla fine è stata di 84 € la doppia.

  • Tokyo 4 notti
  • APA Hotel Nihombashi Bakurocho Ekimae
  • Sendai 3 notti
  • APA Hotel TKP Sendai Eki Kita
  • Kanazawa 2 notti
  • Kanazawa Capsule Hotel Musashimachi
  • Kioto 2 notti
  • Fujiya Ryokan
  • Matsue 2 notti
  • Green Rich Hotel Matsue Station Across Artificial hot spring Futamata Yunohana
  • Takamatsu 3 notti
  • JR Clement Inn Takamatsu
  • Matsuyama 2 notti
  • Comfort Hotel Matsuyama
  • Beppu 2 notti
  • Nogami Honkan Ryokan con onsen
  • Nagasaki 2 notti
  • Hotel Belleview Nagasaki Dejima
  • Fukuoka 3 notti
  • Via Inn Hakataguchi Ekimae
  • Osaka 2 notti
  • APA Hotel & Resort Osaka Umeda-eki Tower

Apro una parentesi sulla permanenza a Tokyo: dovevano essere 6 notti ma purtroppo il 17 aprile, giorno in cui dovevamo partire, c’è stata la mega alluvione all’aeroporto di Dubai. Abbiamo trascorso in pratica due giorni in aeroporto a Bologna in coda al desk Emirates rimpallati su varie opzioni finchè ci hanno messo su un volo per Amsterdam e da lì su un volo diretto a Tokyo, ore infinite di volo, posti sparsi tipo tappabuchi. Delirio di mail con l’albergo e con il Japan Wireless per spostare le date, alla fine tutto ok, ci hanno tenuto la stanza e fatto pagare solo 4 notti anche se ne avevamo prenotate 6 e Japan Wireless ci ha tenuto il pocket a disposizione malgrado non fossimo presenti al ritiro pattuito. Quindi tutto bene, malgrado partenza soffertissima e due giorni in meno a Tokyo, menomale che ci eravamo già stati per una settimana intera!

Seconda parentesi, siamo partiti in quattro, due coppie, e abbiamo viaggiato insieme fino a Kyoto, poi noi abbiamo proseguito per altri 15 giorni e siamo rientrati da Osaka, loro invece da Kyoto sono tornati direttamente a Tokyo e al Narita e da lì a Bologna.

Non abbiamo fatto le carte prepagate giapponesi (Suica e Pasmo) per i mezzi e per i pagamenti che suggeriscono i vari siti, perché quando ci serviva abbiamo fatto i giornalieri alle macchinette e sono bastati senza problemi. Abbiamo sempre usato invece per le piccole spese le nostre prepagate (Money e Postepay) mentre per gli alberghi la carta di credito.

In Italia abbiamo acquistato degli Yen ordinandoli per tempo nella nostra banca e abbiamo pagato molto in contanti, in molti posti fra l’altro accettano solo cash, così in tutto il periodo, abbiamo dovuto fare solo due piccoli cambi di euro in banca verso la fine del viaggio per sicurezza. Gli Yen rimasti li abbiamo ricambiati in aeroporto alla partenza.

Dal punto di vista sanitario non serve niente, noi per sicurezza abbiamo rinnovato l’antitifica e stampato un po’ di ricette dei farmaci personali perché si legge che possono controllare e fare problemi sui farmaci, ma non abbiamo visto nulla di tutto ciò.

Oltre al quaderno per il diario, a quello per registrare spese e attaccare biglietti etc, mi prendo su anche un quadernino per i timbri di cui vado a caccia ovunque e che sono principalmente nelle stazioni e nelle cose da visitare. Tutto sempre nello zaino.

Diario di viaggio in Giappone

19/20 aprile – Bologna-Amsterdam-Tokyo

Volo veramente estenuante e si atterra! Passaggio dell’immigrazione con moduli da compilare, due, uno per i dati personali e uno per la dogana. A bordo non avevano i moduli e se ne sono scusati, così si fa una discreta coda ma poi è tutto ben organizzato e veloce. Foto e impronte digitali e siamo in Giappone. Veloci anche i bagagli.

Purtroppo KLM atterra al T1 mentre Emirates atterra al T2 così peniamo un po’ per trovare il bus n.6 che ci porta al T2 dove andiamo diretti al desk della JapanWireless a ritirare il famoso pocket wifi. Il tipo non parla inglese ma capisco che tutto ciò che mi serve è nella busta e andiamo diretti all’ufficio dove si attiva il JapanRailPass. Anche questo è molto veloce e ci fa anche la prenotazione per il Narita Express. In un baleno siamo già a bordo. Tutto molto semplice. Finalmente siamo arrivati!

Circa un’oretta e siamo alla stazione centrale di Tokyo. Spaventosamente immensa e con informazioni ovunque, ma bisogna farci l’occhio e il viaggio pesa! Comunque troviamo la Sobu Line che in 2 fermate ci porta a Bakurocho. L’uscita che affaccia praticamente sul nostro albergo ma però è senza ascensore, scalone con valigie un po’ hard. In albergo gentilezza massima, ci hanno tenuto la stanza e non ci fanno pagare le due notti non usate. Da non credere. Dimensioni della stanza micro però dotata di ogni confort come del resto l’albergo. Una sistemata veloce e torniamo in stazione e ci facciamo tutte le prenotazioni dei treni fino a Kyoto. Poi ci facciamo anche l’ufficio del turismo con un po’ di informazioni soprattutto sui mezzi di trasporto, per oggi usiamo solo la Yamamote che è compresa nel pass. Domani faremo il giornaliero per tutte le linee.

Partiamo per il Senso-ji, il tempio buddista più antico della città dedicato al bodhisattva Kannon. Il pomeriggio è già inoltrato ma i negozietti della strada di accesso sono ancora aperti. La famosa Kaminarimon, la “porta del tuono” da cui pende l’enorme lanterna di carta rossa. Da qui parte la Nakamise-dori, la strada che porta all’entrata del tempio e che è tutta piena di negozietti. Pagoda e tempio si stanno illuminando pian piano e acquistano ancora maggiore suggestione. Passeggiamo un po’ storditi dalla meraviglia e dalla gente, molti vestiti in abiti tradizionali, e poi ci cerchiamo un ristorantino. Ne troviamo uno molto famigliare, piatti classici in stile ramen e tempura, buonissimo. Poi tornando verso la metro troviamo un localino caratteristico e festeggiamo l’inizio della vacanza a sakè!

Metro, hotel e a letto veramente stracotti.

Dimenticavo che appena arrivati in hotel avevo messo in funzione il pocket wifi. Semplicissimo, accendi, subito si collega ad una rete, metti il wifi nello smartphone e immetti la password che è sul display del pocket wifi e sei in rete, E così per tutti i compagni di viaggio ed eventuale pc o tablet, pare regga fino a 10 device. Chi è collegato però deve stare nel raggio massimo di una decina di metri da chi ha con sé il “bombardino”. Io lo tenevo sempre nella tasca superiore dello zaino. Alla sera lo spengo perché uso il wifi dell’hotel, lo metto sotto carica per il giorno dopo (nella busta c’è caricatore, batteria supplementare e presa per caricarlo).

21 aprile – Tokyo

Alle 7 apre la colazione, e noi siamo presenti. Si può scegliere fra quattro menù, ovviamente molto giapponesi: pesce, riso, curry etc. e noi non ci scomponiamo. Comunque non male. Usciti facciamo subito il giornaliero alle macchinette a 800 Y (circa 5 €) a testa per 24h su tutti i mezzi.

Partiamo per il santuario shintoista Meiji-jingu scendendo alla fermata di Harajuku e poi una bella camminata a piedi in mezzo all’incredibile parco; c’è un sacco di gente e chi va verso il tempio sta sulla destra, chi torna sulla sinistra, così è tutto ordinato e tranquillo. Una inaspettata oasi nel centro di Tokyo, si passa sotto giganteschi torii in legno di cui uno è veramente immenso, poi una distesa di barili di sakè istoriati regalati al tempio e una marea di ema colorati. Il tempio è magnifico e c’è in corso una cerimonia che possiamo osservare. Diversi punti vendita curati dai monaci dove compriamo alcune cose molto particolari. Per tornare indietro passiamo da altre zone del parco dove troviamo anche una meraviglioso bagno.

La disponibilità di servizi gratuiti pulitissimi con montagne di carta igienica sapone ed ogni confort sarà una delle cose che apprezzeremo in tutto il Giappone per tutta la durata del viaggio.

Usciti dal parco affrontiamo la famosa Takeshita Dori, stradina pedonale tutta negozi e locali dove bere e mangiare, molto caratteristica e piena anche di personaggi interessanti da osservare! Ci facciamo un mega matcha freddo in un locale specializzato. La percorriamo tutta e raggiungiamo la Omotesando, un viale alberato lungo il quale si concentrano le boutique d’alta moda e sfarzosi centri commerciali multipiano conosciuta anche come la Champs-Élysées di Tokyo. All’inizio spicca il centro commerciale Tokyu Plaza con l’ingresso con le scale mobili circondate da centinaia di specchi!

Riprendiamo la metro e scendiamo a Shibuya. La stazione, come molte zone di Tokyo, è piena di lavori in corso ed è immensa. Comunque troviamo l’uscita per il famoso incrocio e per la statua di Hachiko. Coda ordinata e gentile per fare la foto e ci si scambiano i favori coi vicini di coda. Attraversiamo e ci cerchiamo dove mangiare. Troviamo un ristorante in alto che affaccia proprio sull’incrocio e riesco a fare bellissime foto dell’attraversamento vuoto e pieno! Il locale ha gli ordini da fare da tablet e il cibo viene portato da carinissimi robottini che strizzano pure l’occhio. Tutto ottimo e acqua caffè the e brodo free a self-service.

Preciso che per scelta non abbiamo mai cercato ristoranti particolari segnalati dalle guide: troppe delusioni passate, trovato spesso troppi turisti e poca autenticità. Quindi abbiamo sempre mangiato a caso (ci sono ristorantini ovunque) dove ci ispirava in locali frequentati da giapponesi. E abbiamo mangiato sempre benissimo con una spesa media da sei a 10 euro a testa tutto compreso. Solo una volta abbiamo mangiato sushi (a noi non piace il pesce crudo) in quei locali col tapis roulant. Non entusiasmante.

Usciti facciamo un giro al famoso 109, negozio delizioso di moda femminile al top, e da Mandarake, sotterraneo incredibile e patria dei manga. Poi decidiamo di fare un giro a Shinjuku, vediamo grattacieli e in particolare la famosa Gakuen Cocoon Tower ma siamo già stanchi di camminare e le distanze in questo quartiere sono enormi e incappiamo anche qui in chilometriche deviazioni per lavori in corso. Così riprendiamo la metro per Ikebukuro e sempre in mezzo a maree di gente e a chilometri da fare a piedi raggiungiamo Sunshine City per salire all’osservatorio gratuito. Molto carino e bella vista su Tokyo. Aspettiamo l’imbrunire per vedere il panorama con le luci notturne. Bello e….pieno di gente!

Scendiamo e piove così vicino alla metro troviamo un Izakaya (ristorantino tipico locale) sotterraneo, con zone alla Ichiran (ramen in solitaria a parete). Mangiamo benissimo e con la metro torniamo finalmente in albergo, stanchi e un po’ storditi.

22 aprile – Tokyo-Fuji

Oggi è il giorno della gita al Fuji. Gentilmente l’albergo ci dà la colazione da asporto perché dobbiamo partire presto. Trovare da dove parte il bus di GetYourGuide alla stazione non è facilissimo. Mega corridoi, mega edifici ma alla fine arriviamo. Organizzazione perfetta. Avevo prenotato un paio di mesi prima e puoi disdire fino a due giorni prima gratuitamente, poi ti prelevano i soldi e sei a bordo. Ovviamente, come è scritto ovunque, l’unica cosa che non è garantita è la vista del Fuji! E ovviamente è brutto tempo e mi sa che anche stavolta non si farà vedere. Unica magrissima consolazione siamo in buona compagnia, bus pieno e in giro durante il tour troveremo tanti altri sfigati come noi!

Partiamo in perfetto orario con guida parlante ottimo inglese. Prima sosta al Lago Kawaguchi, il più facilmente accessibile tra i Cinque Laghi del Fuji. Del vulcano nessuna traccia, nuvolaglia e anche qualche goccina. Butta male. C’è un bellissimo centro commerciale ricco di ogni possibile souvenir, bagni, cibo e una bella passeggiata sul lungo lago pieno di fiori. Si riparte e seconda fermata all’Arakurayama Sengen Park. Attraversiamo il paesino a piedi e arriviamo all’attacco della salita per la famosa Chureito Pagoda. I 400 gradini sono terribili, alti e verticali. Si fa veramente fatica. Volendo c’è anche una strada a tornanti molto lunga se si vogliono evitare le scale. Noi però vogliamo soffrire! E ce la facciamo. Siamo finalmente nella location iconica di tutte le guide del Giappone, manca solo il Fujisan. Siamo in buona compagnia, attendiamo tutti qualche alito di vento che ogni tanto sembra spostare le nuvole ma niente. Si fa l’ora di tornare al bus e scendiamo in parte per la strada (per via delle ginocchia!) che offre a sua volta begli scorci. Siamo fortunati solo perché c’è ancora qualche ciliegio in fiore.

Si parte per la terza fermata, il paesino di Oshino Hakkai, un piccolo villaggio fatto di pittoresche case dal tetto in paglia, mulini e botteghe di souvenir e prodotti alimentari tipici della zona. E’ famoso per gli otto stagni che sono la cosa caratteristica di questa area.

Gli stagni sono alimentati dalla neve che si scioglie dal Monte Fuji e che filtra attraverso strati porosi di lava, con il risultato di un’acqua limpidissima ed estremamente pulita, tanto che nei pressi di uno degli otto stagni è possibile persino bere direttamente dalla sorgente. È proprio carino e ci viene lasciato tempo per girarlo e mangiare. Ci sono moltissime bancarelle di varie cose invitanti. Assaggiamo spiedini di carne, mochi con salsa piccante, takoyaki con gamberetti, schiacciatine di riso con alga nori, tutto buonissimo e fatto al momento.

Si riparte per un’altra sosta in un luogo sui 2000 metri slm dove non c’è niente se non una sbarra che chiude l’accesso a un sentiero e intorno al piazzale dove sostiamo numerosi ciliegi in fiore. Non capiamo benissimo ma pare un punto da cui partono le escursioni al vulcano. Del Fuji non sto più a dirlo neanche l’ombra.

Si riparte per l’ultima sosta al Fujisan World Heritage Center. Qui lo vediamo, nei filmati e in una ricostruzione luminosa molto suggestiva.

Si riparte verso Tokyo. In pratica la gita è stata ottima, tutto quello che era previsto è stato fatto, pullman bellissimo e comodo. Tornati in stazione decidiamo di andare a vedere il Tokyo International Forum che è abbastanza vicino. È un enorme centro congressi usato soprattutto per convegni e congressi, i suoi spazi sormontati da una copertura con struttura a carena e da passerelle volanti, ospitano anche una biblioteca, una galleria d’arte, caffetterie e negozi. Il progetto, inaugurato nel 1997, è dell’architetto Rafael Viñoly di origini uruguayane. La struttura ha un corpo a forma di mandorla e un aspetto che rende questo edificio unico nel suo genere. La struttura si eleva per un totale di sette piani fuori terra e tre interrati, in modo da raggiungere i 60 metri di altezza.

L’accesso è libero e spettacolare, scale mobili, servizi a disposizione, panchine per sedersi. Giriamo in libertà mentre si stanno accendendo le luci e l’insieme è veramente suggestivo e stupisce che un posto così straordinario sia di libero accesso. Solo ci viene incontro e ci gira intorno un robottino della security con quattro occhietti curiosi e quattro lucine a intermittenza. Ecco perché sembra tutto così free! Nelle vicinanze della stazione troviamo un ristorantino strapieno di giovani e di salary men che ci ispira tantissimo per come mangiano di gusto e si divertono. Aspettiamo un po’ e alla fine una cameriera carinissima ci fa accomodare. Mangiamo benissimo. Highball con mega fettona di pompelmo. Bacelli di soia da sgranocchiare, spiedini, curry, Alla fine ci scappa anche un selfie con la ragazza che ci ha servito. Usciamo fra un’ovazione di inchini! Aria di baldoria totale.

Torniamo in stazione per le due tratte di metro che ci separano dall’albergo. Ci accoglie nel bellissimo salone principale della Tokyo Station una gigantografia del Fuji che immortalo tristemente. Immortalo invece gioiosamente lo “stalletto” per fumatori, sigillati in un box sotto vetro con enorme tubo di scarico dei fumi che si perde nel lontano soffitto.

A letto stanchini. Domani è già l’ultimo giorno a Tokyo. Il diluvio a Dubai proprio non ci voleva.

23 aprile – Tokyo

Ultimo giorno a Tokyo. Cercheremo di vedere il più possibile. Sveglia sempre prestissimo e colazione al solito. Andiamo subito in stazione per fare il biglietto giornaliero per la metro e per chiedere come arrivare al tempio dei 47 Ronin. Ci imbattiamo in un desk con robottino simil umano in divisa che davanti ha un tavolino touch dove scegliendo la lingua puoi fare le domande e lui risponde. Nel frattempo ti inquadra e vieni immortalato alle sue spalle. Troppo forte.

Partiamo dunque per lo Sengakuji, tempio dei 47 ronin, dove si trovano appunto le loro tombe e quelle di Asano, il loro daimyo. Il tempio è conosciuto anche per essere la culla del Buddismo Soto Zen.

Asano Naganori fu un daimyo del primo secolo del periodo Edo, signore del feudo di Ako, fu costretto a fare seppuku per un suo gesto violento e 47 suoi samurai, diventati ronin perché senza padrone, attesero a lungo per vendicarlo e poi fecero tutti a loro volte seppuku. Su questa vicenda è stato fatto anche un bel film interpretato da Keanu Reeves.

Il luogo è molto coinvolgente e si può entrare solo acquistando un mazzetto di incensi che la venditrice accende e che bisogna deporre su ogni tomba. L’addetta, piuttosto anziana, sfoggia un bellissimo traduttore on line col quale ci spiega la procedura. Siamo soli. Molto bello. Facciamo tutto il rituale sentitamente.

Riprendiamo metro e andiamo allo Zojo-ji, vicino alla Tokyo Tower. Il Tempio di Zojo-ji ospita personaggi di grande valore storico. Venne trasferito nel sito attuale nel 1598, quando Tokugawa Ieyasu, condottiero e futuro capo del Giappone, si insediò a Edo (l’odierna Tokyo). Qui infatti sono sepolti sei dei 15 shogun Tokugawa che hanno governato la nazione.

La porta di accesso, di un rosso brillante, è chiamata Sangedatsumon ed è quella originale del 1622, più antico edificio in legno di Tokyo e l’unica struttura originale del tempio sopravvissuta alla Seconda Guerra Mondiale. Alta 21 metri, a due piani, è veramente bellissima.

Il tempio e il mausoleo sono scenograficamente posti davanti alla Tokyo Tower (alta 332,6 m), effetto contrastante fra antico/mistico e moderno/tecnologico. Le foto sono d’effetto. Ma la cosa che più ci colpisce è il Sentai Kosodate Jizo (Giardino dei bambini non nati). Lunghe file di piccole statue in pietra raffiguranti dei bambini che rappresentano i non nati, compresi gli abortiti e i nati morti. I genitori possono scegliere una statua nel giardino e decorarla con piccoli vestiti e giocattoli. Tutti hanno cuffiette rosse all’uncinetto, vestitini, fiori. Di solito le statue sono accompagnate anche da un piccolo regalo per Jizo, il guardiano dei bambini non nati, per assicurarsi che vengano portati nell’aldilà. L’insieme di questo tempio cattura veramente e la zona dedicata ai bambini è particolarmente toccante.

Ci spostiamo a Roppongi Hills per vedere la Mori Tower: un grattacielo di 54 piani, alto 238 metri, con al 52º piano un osservatorio panoramico. Tentiamo la salita ma c’è coda e dobbiamo aspettare. Rinunciamo perché abbiamo poco tempo.

All’entrata della Mori Tower c’è la Maman, una gigantesca scultura in bronzo e acciaio dell’artista Louise Bourgeois che rappresenta un ragno gigante. Bourgeois considera questa opera come una lode a sua madre e la paragona ad un ragno: intelligente, furba, utile e protettiva. Un altro ragno, sempre così grande e imponente, si trova davanti al Guggenheim di Bilbao. Foto e, dopo un giro nella zona, tutta grattacieli, uffici, ristoranti, giardini, fontane etc ci spostiamo all’ex mercato del pesce di Tsukiji. Dico ex perché quello nuovo è ad Odaiba ed è lì che fanno le famose aste del tonno, qui è rimasto il mercato “normale” e tutti i ristorantini di tipo tradizionale. L’altra volta avevamo tentato alle 4 del mattino di vedere l’asta ma quando siamo arrivati i posti disponibili erano già esauriti! Stavolta non ci proviamo neanche. Giriamo a lungo curiosi. Interessanti le verdure, gli enormi germogli di bambù, i coltelli. Ci sediamo in un sushi bar con tapis roulant e ci facciamo un tot di piattini. L’accompagnamento al pesce crudo con the verde non è il massimo, ma qui ti danno solo quello, e come sempre il sushi non mi entusiasma, forse per il senso di viscido del pesce crudo. Becco anche un pallidissimo pezzo di seppia cruda che mi rattrista molto. La cosa migliore sono le ikura (uova di salmone) inserite in un ovale di alga. In molti alberghi erano presenti in ciotoline anche a colazione e le ho mangiate spesso.

Ripartiamo ancora verso Jimbocho, il quartiere delle librerie. Giriamo un po’ e ne vediamo alcune interessanti, una ad esempio monotematica sui gatti. Troviamo anche un bel locale caratteristico dove ci facciamo una bella birra con snack vari. Bell’ambiente.

Da lì altro giro verso Ueno. La stazione e i dintorni sono animatissimi e la movida serale è già in fermento. Giriamo un po’ per una strada tutta negozi e ristorantini. Ci cattura una che fa dei fritti di ogni genere bellissimi. Ambiente molto locale, cameriere simpatico e l’ultima cena a Tokyo ci piace proprio!

Purtroppo Tokyo per noi finisce qui, Ci mancano i due giorni che comunque sarebbero stati pochi. A Tokyo si può stare anche più di una settimana e non basterebbe. Peccato. Abbiamo dovuto scegliere e correre un po’ qua un po’ là. L’atmosfera però ce la siamo goduta e almeno l’abbiamo inquadrata orientandoci con i mezzi e nelle varie zone.

24 aprile – Tokyo-Sendai- Mitsushima

Si parte. Andiamo in stazione e senza problemi troviamo il binario del nostro Shinkansen diretto a nord. Subito lo spettacolo delle pulizie a tempo di record, una squadra di una decina di persone, in divisa, curatissime, con una precisa sequenza di inchini, entra ed esce sotto cronometro del capo, pulisce, gira le poltrone, raccoglie eventuali resti (nessuno lascia niente, è tutto pulitissimo sempre e non ci sono cestini) e si sale e allo scoccare dell’orario il treno parte. È il primo spostamento di questo viaggio, ma l’inizio promette bene. Ed è tutto come lo vedemmo 12 anni fa! 326 km in un’ora e mezza. Arrivati alla stazione di Sendai, come in tutte le stazioni, andiamo subito all’ufficio turistico per informarci su come raggiungere le cose che ci interessano e organizzare le nostre visite. Andiamo in albergo, vicinissimo alla stazione e raggiungibile con un passaggio interno a un centro commerciale, ci sistemiamo e via di corsa, sempre con tempo loffio, a prendere un treno locale verso Mitsushima. Arrivati in poco più di mezz’ora andiamo al porto per prenotare la gita in barca alle isole. Per somma gioia piove pure. Questo è considerato uno dei più bei panorami del Giappone e, mi sa tanto che, come per il Fuji, ce lo giochiamo maluccio. Ma il nostro programma non ci concede altre opportunità! Ci consola che la barca è piena di turisti locali e comunque le isole si vedono benissimo e la suggestione è grande. Incomincia ad aleggiare lo spirito di Matsuo Basho e mi ronzano in testa i suoi haiku. Proprio qui rimase catturato da questo insolito paesaggio. Le “isole” sono scogli di varia dimensione e foggia ricoperti da pini e vegetazione. Accanto alla stazione del treno ci facciamo uno spuntino in un locale con nome e vecchissime musiche italiane. Cibo però assolutamente giappo!

Riprendiamo il treno e torniamo a Sendai e ci avventuriamo nelle infinite e chilometriche strade commerciali coperte piene di gente e molto interessanti. Negozi e locali di vario genere e solo l’imbarazzo della scelta. Questa città al primo impatto ci piace moltissimo.

Ceniamo in un vero Ichiran. Coda accettabile, poi si scelgono ingredienti e condimenti del ramen e si attende che ti chiamino per la postazione. Budello stretto con attaccapanni alle spalle, sgabello e postazione singola con tendina in vimini. Veramente “strano”. A un certo punto la tendina si alza e una manina anonima fa scivolare sulla postazione il ramen e si mangia in totale solitudine tutti in fila ma senza vedersi. Io mi faccio anche un budino al matcha ottimo. Esperienza interessante. Altra passeggiata e a letto.

25 aprile – Sendai-Hiraizumi

Ottima colazione, molto giapponese ma gradevole (la cosa che spiazza di più è il pesce e il brodo di prima mattina e quasi zero cose dolci, anche se effettivamente anche Germania e paesi scandinavi usano aringa e salmone)! Incredibile, c’è il sole! Andiamo a prendere nuovamente uno Shinkansen prenotato ieri verso Ichinoseki, in lontananza alte montagne innevate, dove cambiamo su una linea locale fino ad Hiraizumi e dalla stazione attendiamo una decina di minuti per il bus che ci porta all’attacco del percorso per il tempio.

Non è faticoso, saliamo e camminiamo in un bosco spettacolare ed arriviamo al Tempio Chusonji. Ancora qualche ciliegio in fiore (siamo più a nord di Tokyo) e così, insieme a quelli visti nella gita al Fuji almeno su questo ci siamo tolti qualche soddisfazione. Proseguiamo e diventa quasi una passeggiata, fino alla famosa Sala d’oro Konjikido, per la quale e per l’annesso Museo, si paga biglietto d’ingresso in quanto la sala, completamente ricoperta di foglie d’oro e dedicata al Buddha della Luce Infinita, è all’interno di una costruzione protettiva. Un vero capolavoro. Intorno sempre foresta, fiori, serenità, tempietti, insomma una vera immersione nella religiosità autentica.

Torniamo all’autobus e ci facciamo lasciare all’altra cosa che intendevamo visitare ad Hiraizumi: il Tempio Motsuji, i suoi giardini, progettati secondo i principi contenuti nel più antico manuale sui giardini del Giappone, e lo stagno della Terra Pura. Bellissimo, zero persone, anche qui tracce evidenti di Matsuo Basho e dei suoi meravigliosi haiku.

Torniamo di malavoglia alla stazione, questa prima immersione nel Giappone poco turistico ci è piaciuta molto. Di nuovo treno locale fino a Ichinoseki, poi Shinkansen sempre prenotato ieri all’arrivo a Sendai all’ufficio del turismo. L’orario l’avevamo pensato in base alle cose che volevamo vedere tenendoci larghi.

Tornati a Sendai rifacciamo i nostri giri in città nelle animate strade commerciali a caccia della cena. Mangiamo in una sorta di spaghetteria pensando a udon o soba e nvece scopriamo che sono proprio spaghetti italiani però ottimamente lavorati alla giapponese con verdure, pesce, curry e quella che ormai è la nostra bevanda preferita, l’highball che viene proposto o con il whisky giapponese o alla frutta. Sempre con ghiaccio e super dissetante, in alternativa alla birra locale che comunque è pure molto buona.

Poi in un supermercato ci prendiamo sia una bottiglietta di sakè che una di liquore tipico di prugna Umeshu per il bicchiere della staffa in camera con il ghiaccio, sempre disponibile gratuitamente in hotel. Entrambi poco alcolici e non entusiasmanti, però a me piacciono le etichette da incollare nel diario!

26 aprile – Sendai-Yamadera

Sveglia presto colazione e subito al treno per Yamadera. Tempo spettacolare, per fortuna, perché oggi ci aspettano i famosi 1.100 gradini sempre in stile Basho! Circa un’ora di treno, quindi più vicino di ieri, e senza cambi né bus si scende alla stazioncina e ci si incammina attraversando il torrente per raggiungere l’inizio della salita e l’accesso al tempio Risshakuji, che è il nome ufficiale di Yamadera, che letteralmente significa “tempio di montagna”. La prima cosa che si incontra, dopo esserci preoccupati alla vista della piantina del percorso, è la sala Konponchu-do, situata ai piedi della montagna, che ospita la “Luce eterna del Buddismo”, una fiamma che si dice bruci sin dalla fondazione del tempio nell’860. La sala è realizzata in legno di faggio ed è considerata la più antica del suo genere in Giappone.

Iniziano i gradini scavati nella pietra e si sale in mezzo a una mistica foresta di cedri secolari fra rocce, statue, tempietti e impietosi cartelli che scandiscono le centinaia di gradini ancora da fare. Per fortuna è mattina presto e la parete della montagna è in semi ombra. Il famoso poeta di haiku Basho (da notare la sua statua e quella del suo discepolo all’attacco della salita) compose proprio qui, salendo al tempio, una delle sue poesie più famose:

“Silenzio.

Graffia la pietra

un canto di cicale”.

Finalmente, all’avvicinarsi della cima, avvistiamo la stupenda porta Niomon finemente scolpita e si entra nella zona del complesso di templi in cima alla montagna fino alla Sala Godaido e alla Sala Kaisando. Panorama incredibile e foto a non finire del tempietto riportato in molte guide del Giappone. È stata dura ma alla fine accettabile (considerata anche la nostra età) per le molte soste all’ombra e per la suggestione del posto veramente indimenticabile. Purtroppo ci tiriamo sempre dietro degli zainetti un po’ pesanti che sono il nostro incubo: borraccia, guide, un po’ di medicine e pronto soccorso, pocket wifi, caricatore per il telefono, qualcosa da mangiare, una felpa, ombrello, calzino di ricambio etc.

In cima negozietto di souvenir e, non ci posso credere, una buchetta delle poste… vorrei proprio vedere il postino!

A malincuore scendiamo, questo posto ci rimarrà per sempre nel cuore, riprendiamo il treno e torniamo a Sendai in tempo utile per vedere almeno la location del castello (che non c’è più) e la famosa statua equestre di Date Masamune, potente daimyo della regione del Tohoku che fondò l’attuale città di Sendai, famoso anche per avere un occhio solo. Dalla stazione parte un autobus molto carino, il Sendai Loople, che fa tutto il giro delle cose da visitare che sarebbero tantissime. Purtroppo chiude tutto alle 17 quindi soprassediamo sul Mausoleo che ci interessava e ci accontentiamo dei resti del castello, fra l’altro con bel tempio shinto e della statua visto che è in posizione super panoramica sulla città. Si vede anche in lontananza Sendai Kannon la colossale statua che rappresenta il bodhisattva buddhista della compassione, alta 100 metri. Nel bus comunque proiettano foto delle location di interesse turistico. Il guidatore, come un po’ tutti negli autobus, ha mascherina, guanti bianchi e microfono e racconta cose che non capiamo ma che alle persone piacciono molto e divertono. Ci spiegheranno poi che è proprio una delle loro competenze, oltre a far pagare al momento della discesa. Grandissimo negozio di souvenir con Date rappresentato in varie forme, bello e particolare.

Riprendiamo il Loople e torniamo al centro. Saliamo da un centro commerciale all’osservatorio all’ultimo piano, gratuito e con una vista notevole. Da notare le arterie pedonali coperte che dall’alto sembrano grossi tubi che attraversano la città! Ultima cena con gyoza e riso alle verdure e purtroppo domani lasceremo Sendai!

27 aprile – Sendai-Kanazawa

Colazione e si parte. Oggi trasferimento lunghetto, in tutto circa 4 ore e mezza. Purtroppo per la tratta Sendai Omiya (praticamente si torna quasi a Tokyo) non c’erano più posti a sedere e grazie al Japan Rail Pass ci hanno “prenotato” i posti in piedi! Essendo il treno molto bello nella zona dei bagni, immensi e ben organizzati, c’è anche una stanza per relax o bisogni vari con divanetto e poltroncina e ci sistemiamo lì. Dopo un po’ però il controllore ci fa spostare, ma un po’ alla volta si libera qualche posto e riusciamo a sederci. Nessun problema invece da Omiya a Kanazawa dove i posti c’erano.

La stazione di Kanazawa ha un famoso immenso portale in legno ed è considerata una delle stazioni ferroviarie più belle del Giappone.

Ovviamente subito ufficio del turismo e indicazioni per come muoverci. Si ostinano sempre a dire che si può raggiungere tutto a piedi (loro camminano velocissimi e moltissimo) ma noi che siamo in pista da mattina a sera con il famoso zainetto di Fantozzi ci preoccupiamo.

Comunque chiarite un po’ di cose ci incamminiamo verso il nostro “albergo”. Dico albergo fra virgolette perché abbiamo optato per un capsule. Volevo fare questa esperienza e per due notti dovremmo sfangarla. È in posizione centrale davanti al mercato di Omicho. Il dramma numero 1 sono le valigie, più grandi degli armadietti e soprattutto con cose condivise. Così ci dotiamo del necessario individuale per i due giorni e diamo la valigia in deposito. Le capsule sono loculi piccoli ma carini su due piani, con prese, luce, mensole e ganci e una volta dentro si tira giù una serranda per la privacy. A noi vista l’età danno quello in basso. Poi ti danno una bella sportina con pigiama asciugamani spazzolino da denti e chiave per reparto femminile o maschile, non è possibile promiscuità, che fa anche da chiave per il proprio armadietto. I bagni sono molto belli, dotati di tutto, tipo buon campeggio. Dramma numero 2 le scarpe, quello che poi definirò “la rumba della ciabatta”. Come varchi la reception devi toglierti le scarpe e metterle in una cassettiera e darne la chiave alla reception in cambio della chiave della capsula. A quel punto per salire in “camera” puoi usare le tue ciabatte o quelle che ti danno loro. Poi c’è una ciabatta da doccia e una da gabinetto. Quindi questo cava e metti è un tantino stressante. All’uscita riconsegni chiave della capsula loro ti danno chiave del cassetto delle scarpe dove metti le tue ciabatte e sei libero dopo esserti acrobaticamente rimesso le scarpe nella zona comune. In questo capsule hotel la colazione non c’è ma è compresa una tessera Starbucks per notte, ce n’è uno quasi di fronte, con una cifra fissa che puoi usare in tutti gli Starbucks del Giappone e se vuoi anche ricaricare. Per noi è stata una soluzione veramente utile.

Ci infiliamo subito al mercato e l’impatto è poco piacevole: è strapieno di turisti stranieri, e dopo tre giorni a Sendai ci colpisce negativamente perchè fanno una gran confusione e le cose non sono così invitanti. Qualcosa mangiamo ma decidiamo di andare subito al quartiere delle geishe, a piedi è lunghetta. Cogliamo l’occasione per fare una sosta in una gelateria che usa la foglia d’oro. Ha l’aria un po’ fasulla e sinceramente inutile ma anche noi cadiamo nel trappolone delle guide! Gelato buono ma l’oro non sa di niente. Il quartiere delle geishe, Higashi Chaya, è molto carino, case in legno e negozietti ma è strapieno. Ci attira un locale per il sakè molto famoso ma è strapieno. Da notare l’enorme sugitama, la palla di rami di cedro che man mano si seccano indicano il percorso della maturazione del sakè, Scopriamo che verso le 17 chiude tutto e il quartiere si svuota e si gira liberamente ma con l’aria di un set cinematografico un po’ finto. Faccio belle foto senza nessuno all’orizzonte e localizziamo la casa della geisha visitabile e ci segniamo gli orari, torneremo domani.

Andiamo a visitare il tempio Myoryuji, detto tempio Ninja, molto interessante e particolare, poi troviamo un locale per la cena con un po’ di difficoltà, Kanazawa, a parte le zone visitate dai turisti, sembra un po’ un mortorio.

Giornata intensa, ci “incapsuliamo” volentieri e dormiamo benissimo. Troviamo anche una famiglia italiana decisamente alternativa.

28 aprile – Kanazawa

Sveglia presto, doccia, traffico di sistemazione armadietti etc, colazione allo Starbucks e ci rimangono pure soldi, e partiamo a piedi per il famoso giardino Kenrokuen, uno dei più belli e famosi del Giappone. Ovviamente l’ufficio del turismo ci ha consigliato di andarci a piedi ma è una discreta scarpinata. Subito notiamo molta gente, per fortuna andandoci presto inizialmente ce lo godiamo abbastanza. Uno dei luoghi clou è la lanterna Kotojitoto in pietra a due sostegni. Il tempo è bello e piante e fiori stupendi. Notiamo che gli alberi, pur se storti o deformi, vengono lasciati come sono e puntellati artisticamente e diventano come opere d’arte. Sembra tutto perfetto e curatissimo e nello stesso tempo tutto allo stato naturale.

All’interno del giardino visitiamo anche la villa Seisonkaku, molte stanze, su due piani, e giardino interno. Interessante. Usciti ci spostiamo nel quartiere dei samurai, Nagamashi, dove visitiamo la casa del Samurai Nomura, bellissima e affascinante come tutto il quartiere, anche qui ovviamente molti turisti.

Viste le distanze e quanto già abbiamo camminato decidiamo di usare un taxi per tornare nella zona geishe per visitare la casa che ieri ci eravamo persi. È la Ochaya Shima, molto interessante anche perché ha diversi reperti sia di abbigliamento che strumenti musicali e utensili di cucina. Ovviamente anche qui ingresso a pagamento e ci si tolgono le scarpe, ma ne vale la pena. Esploriamo poi un’altra zona del quartiere più autentica e meno invasa e lì ci fermiamo in quella che sembra proprio una casa privata per uno spuntino super giapponese serviti da persona gentilissima.

Rifocillati ripartiamo verso il Castello, si sale e si visita una parte restaurata all’interno, interessante, e soprattutto si visita il bellissimo panoramico giardino. Anche qui ponticelli che si riflettono nell’acqua e belle vedute. Con una lunga passeggiata raggiungiamo il santuario shintoista di Oyama dedicato alla figura di Toshiie Maeda, signore della guerra del clan omonimo che rese famosa la città di Kanazawa. Diverso e innovativo il portale di accesso al tempio a tre piani.

Troviamo un ottimo ristorantino a conduzione famigliare e anche stasera si cena abbondantemente spendendo meno di 10 euro a testa tutto compreso.

Alla capsula ci danno un nuovo sacchetto con tutto il set da notte pulito, sistemiamo le nostre cose e avvisiamo che domattina partiamo molto presto. E’ stata una bella esperienza.

29 aprile – Kanazawa-Kyoto

Ricostituiamo l’assetto bagagli da viaggio e andiamo sparati in stazione a prendere il nostro treno per Kyoto. Da notare in stazione l’orologio che forma i numeri delle ore con cascatelle d’acqua. Bellissimo.

Viaggio di poco più di due ore con cambio a Tsuruga. Abbiamo scelto di partire così presto perchè staremo solo due giorni a Kyoto (l’altra volta ci eravamo stati cinque giorni e un sacco di cose le abbiamo già viste) in ragione del fatto che essendo la golden week sarà strapiena.

La stazione è stupefacente, immensa bellissima, ci si potrebbe vivere. Solito ufficio del turismo organizzatissimo e andiamo a depositare le valigie dove dormiremo, dopo le capsule il ryokan! È una vera casa giapponese e le stanze sono poche, niente colazione, bagno in comune, orari e comportamenti rigidissimi. Ovviamente tutto rigorosamente a terra e la rumba delle ciabatte al top. Ma come non fare anche questa esperienza?

Ripartiamo subito con treno locale per Fushimi Inari. L’infilata di migliaia di torii rossi e l’adorata volpina Kitsune sono imperdibili. L’assalto però di orde di turisti non ce lo aspettavamo! L’altra volta eravamo praticamente quasi soli! In tutta la parte iniziale scattare qualche foto classica senza persone è praticamente impossibile. Noi saliamo abbastanza e la ressa cala. Certo la molta gente toglie suggestione e sentimento e fa un po’ sagra di paese però rimane un posto imperdibile.

Torniamo e andiamo decisi alla ricerca della pagoda Yasaka a Gion, alta 5 piani è l’ultima struttura rimasta di un complesso di templi del VI secolo noto come Hokanji. Camminiamo non poco e fra piantina non chiarissima e denominazioni varie facciamo una gran fatica a trovarla ma poi compare. Suggestiva e con una bella stradina piena di negozietti e street food vario. Un gelato al matcha non si nega a nessuno!

Facciamo una passata al ryokan e usciamo per la cena, decidiamo di guardarci per bene la stazione che ha una zona a scalinata immensa con proiezioni di immagini e lunghissime scale mobili. Nei passaggi sotterranei centri commerciali e una zona ristoranti fantastica. Facciamo una delle cene migliori, riso, curry, spiedini vari, tempura. Poi ci buttiamo nel futon dopo aver fatto più volte casino con le ciabatte. Una la devi usare nei corridoi e per le ripidissime scale, un tipo durissimo è nel gabinetto, quindi lasci fuori una e ti infili quella che è già dentro, poi un’altra è quella da usare in stanza sul tatami e una nella doccia. Al terzo giro gira anche qualcos’altro. In più la padrona di casa ci osserva e ci sentiamo un po’ come Fantozzi al ristorante giapponese, temiamo di essere beccati in qualche scambio di ciabatta e puniti! Adoro il Giappone, ma due cose non le capisco, le bacchette e il vivere a terra. Il ryokan dal mio punto di vista è bocciato. È scomodissimo per le valigie e per sdraiarsi e rialzarsi non essendo più giovani e con le ginocchia non al top.

Comunque sia una volta sdraiati dormiamo bene e siamo grati per questa esperienza. Ci vengono in mente gli anni di campeggio a terra su materassino, ma eravamo decisamente più giovani.

30 aprile – Kyoto

Un po’ incriccati dalla notte a terra (forse è quasi più comoda la capsula) facciamo colazione sfruttando ancora le card dello Starbucks del Capsule e prendiamo il bus (coda notevole in stazione) per il Kiyomizu-dera, per quello che ci ricordiamo la cosa più bella di Kyoto! La strada che porta all’accesso alla salita al tempio è pedonale e tutta negozi e cose da mangiare, molto carina e…turistica. Saliamo e la struttura è quanto di più spettacolare per i sublimi intrecci di legno a palafitta graticciata senza un solo chiodo! Tutto immerso in un verde scintillante.

Sotto l’edificio principale le cascate di Otowa con l’acqua pura che sgorga dalla montagna divisa in tre fontane e i fedeli, aiutandosi con un lungo mestolo, prendono l’acqua per purificarsi, cosa che ovviamente facciamo pure noi! In lontananza spunta fra gli alberi la Pagoda Koyasu, ma decidiamo di non raggiungerla. Il programma di oggi è già completo!

Scendiamo per sentiero alternativo e ci facciamo un fantastico cetriolo sotto sale su bacchetto rinfrescante e reidratante! Prendiamo l’autobus per il Kinkaku-ji, padiglione d’oro! Arrivati ovviamente anche qui marea di gente e nelle postazioni da foto si fa la coda. È bellissimo anche il giardino. Ce lo giriamo tranquillamente e poi decidiamo di andare a piedi (non vicinissimo) al Ryonanji per vedere il famoso giardino zen Karesansui. Anche qui tanta gente, nostalgia dell’altra volta che lo visitammo ed eravamo soli! Il Giappone è diventato proprio di moda! Dalla vicina fermata prendiamo un bus che ci porta verso il centro. Ne prendiamo un altro che fa un lungo giro per andare dietro la stazione e raggiungere il To-ji con la pagoda più alta del Giappone, 55 metri, e meravigliosi immensi padiglioni ricchi di statue e oggetti buddisti. Anche il giardino è molto bello e la pagoda che si riflette nel laghetto fra i fiori è una foto iconica, e qui, per la prima volta oggi, quasi zero persone, forse perché a breve chiudono!

Torniamo verso il Ryokan e da lì raggiungiamo il Pontocho. Lungo giro nella stradina famosa parallela al fiume Kamo su cui molti locali si affacciano. Numerose anche le strettissime stradine laterali. Bisogna visitarlo di sera perché solo allora si anima di luci e lampioncini colorati col famoso uccellino. Cerchiamo di trovarci un ristorante. Per la maggior parte viene proposta la famosa carne di manzo di Kobe, marezzatissima (l’effetto è molto grasso) e molto costosa. Qui i livelli sono troppo alti per le nostre tasche e a dire il vero ci sembrano molto impostati per i turisti. Così in un localino alla moda (sembra quasi di essere a Milano) ci facciamo l’aperitivo con un Whiskey highball e decidiamo di ributtarci nella zona ristoranti della stazione ricchissima di offerte interessanti e di qualità.

Io vado di curry e tempura ed è buonissimo.

È la sera dell’addio: mio fratello e mia cognata domani staranno ancora a Kyoto fino al pomeriggio e poi torneranno a Tokyo-Narita e a casa, io e mio marito invece partiremo prestissimo per Matsue. Abbiamo già i treni prenotati per diversi giorni fino allo scadere del JapanRailPass. Poi toccherà pagarli singolarmente.

1 maggio – Kyoto-Matsue

Lasciamo ben volentieri il Ryokan dopo l’ultima doccia e il casino ciabattifero e andiamo diretti in stazione. Il viaggio dura circa 4 ore e mezza con cambio a Okayama. Da lì si prende un treno particolare, lo Yakuno Limited Express molto carino e si passano verdi vallate, montagne verdissime e si costeggia un vivace torrente. Arriviamo così a Matsue, detta “Città dell’acqua”, situata tra il Mar del Giappone e i due splendidi laghi Nakaumi e Shinji e attraversata da diversi canali.

Anche la stazione di Matsue è molto carina, piena di negozi e con il suo bell’ufficio del turismo che subito ci facciamo. Chiediamo informazioni per come raggiungere il nostro hotel, vicinissimo alla stazione, e su come muoverci per le visite che intendiamo fare.

Come sempre, arrivando prima delle 15 non ci fanno fare il check in, lasciamo le valigie e partiamo subito per il castello col bus. La salita è bella ripida e faticosa ma quando lo vediamo, elegante e nero, in buona parte originale e datato 1642, non ci resta che la meraviglia. Tocca togliersi le scarpe e salire le ripide scalette in legno piano per piano.

Il castello è uno dei 12 originali giunti a noi dal periodo Edo (elenco tratto da “Orizzonti blog” di Patrick Colgan):

  1. Il castello di Himeji
  2. Il castello di Matsumoto
  3. Il castello di Inuyama
  4. Il castello di Matsuyama
  5. Il castello di Hikone
  6. Il castello di Matsue
  7. Il castello di Bicchu Matsuyama (Okayama)
  8. Il castello di Hirosaki
  9. Il castello di Kochi
  10. Il castello di Uwajima
  11. Il castello di Marugame
  12. Il castello di Maruoka

Nel viaggio precedente avevamo visto quello di Himeji, questa volta vedremo anche quello di Matsuyama. Siamo stati indecisi se fermarci anche a Okayama, ma abbiamo preferito fare più giorni a Takamatsu e alla luce del poi ne siamo contenti.

Scendiamo e con un altro bus andiamo a vedere la residenza di Lafkadio Hearn 1850-1904 (Yakumo Koizumi per i giapponesi), famoso giornalista/scrittore/insegnante di letteratura che scrisse moltissimo sul Giappone. Visitiamo la sua casa (mi colpisce il tavolo che si era fatto costruire molto alto perché ci vedeva poco e non voleva stare chino a scrivere) e il minimalismo assoluto dei suoi pochi e semplici ambienti.

Poco lontano nel quartiere dei samurai visitiamo una famosa residenza, Buke Yashiki, veramente bellissima, ampia, arredata, con giardino e atmosfere suggestive.

Usciti molto contenti, l’impatto con questa città è positivo, autentico e soprattutto siamo fuori dalla pazza folla di Kanazawa e Kyoto, becchiamo un bus e torniamo in stazione per fare finalmente check in in albergo. Ci pare un sogno avere un letto normale dopo capsule e ryokan.

Usciamo per la cena, la ragazza dell’ufficio del turismo ci ha segnato sulla cartina due zone ricche di ristoranti. Dirigiamo a quella più vicina, alla sera la stanchezza si fa sempre sentire! Troviamo un posto molto carino, pieno di gente, servito da giovani, con la carta anche in inglese, e una grande varietà di sfiziosi spiedini, ma anche pesce, soia fresca, gyoza e mitici highball allo yuzu. Ci si siede su una sorta di cassette della frutta trasformate in sedie, sul tavolo un curioso porta bastoncini degli spiedini mangiati, e ci sono molti giovani e molta allegria. Ci piace proprio. Mangiamo abbondantemente con i soliti 10 euro a testa! E poi a letto!

2 maggio – Matsue-Izumo-Matsue

Oggi si fa gita a una delle tappe che avevo scelto come must! La colazione dell’albergo è deliziosa, a buffet, e servita tutta porzionata in ciotoline multiformi e carinissime.

Andiamo in stazione e prendiamo il treno che ci aveva consigliato ieri l’ufficio del turismo. Circa 40 minuti e siamo alla stazione di Izumoshi. Da lì si prende un bus e scendiamo alla fermata da cui si ha l’accesso principale al santuario Izumo Taisha Oyashiro, dedicato alla divinità shintoista Okuninushi no Okami che, secondo la mitologia giapponese, sarebbe il creatore della terra del Giappone ed è anche considerato il protettore delle buone relazioni e del matrimonio, qui infatti le coppie cercano un momento di consolidamento della loro unione, ma anche luogo d’incontro di tutte le divinità giapponesi in un grande evento a novembre. Le antiche cronache giapponesi ne accertano l’esistenza già dai primi anni del 700, dunque è considerato il più antico santuario shintoista del Giappone.

Izumo Oyashiro ospita anche uno degli shimenawa giganti del Giappone, corde di paglia intrecciate appese in luoghi sacri, quali santuari e monumenti spirituali, per allontanare il male. Ne vedremo infatti di tutti i tipi appese a circondare alberi, porte o rocce, ma l’immensità di questa è impensabile. 

La passeggiata nel verde per arrivare all’ingresso del tempio, situato in mezzo a verdissime colline, è suggestiva e si passa sotto numerosi immensi torii, ci si inchina e si battono le mani, in questo tempio 4 volte invece delle solite 2. Sparsi nel verde intorno al tempio, oltre alle casette dei monaci, vari coniglietti legati ad una leggenda sempre di una coppia di innamorati.

Non ce ne andremmo più. Veramente un luogo da non perdere e dove lasciare un pezzetto di cuore. Essendo felicemente sposati da 40 anni ci facciamo fotografare da un’altra coppia con gentile scambio di favore sotto un torii con vista sulla shimenawa. Cosa volere di più?

Prendiamo l’autobus per tornare in stazione da un’altra fermata. Scopriamo che il treno tornando indietro va direttamente a Yasugi dove si trova l’Adachi Museum of Art che è l’altra cosa che vorremmo visitare a Matsue. Adachi Zenko, artista giapponese, ha realizzato questo posto, inaugurato nel 1980, per creare un luogo in cui arte e natura potessero convivere in totale armonia, coniugando così le sue due passioni: quella per l’arte giapponese e quella per il design di giardini.

Andiamo diretti e dalla stazione c’è una navetta gratuita che porta al museo e che ti riporta solo se paghi l’ingresso e ti viene dato un ticket con l’orario che scegli per tornare. Il museo è piuttosto lontano dalla stazione, sperduto nelle campagne. È famoso per il giardino botanico di notevole interesse naturalistico, artistico e culturale, considerato uno dei tre più belli del Giappone insieme al Kenrokuen di Kanazawa (visto) e al Ritsurin di Takamatsu che vedremo.

All’interno del museo, struttura molto bella, opere d’arte di vari stili artistici moderni giapponesi del periodo Meiji (1868-1912), del periodo Taisho (1912-1926) e del periodo Showa (1926-1989).

Il giardino del museo, che conta 165.000 metri quadri, è composto da una varietà di giardini, ciascuno in uno stile diverso. Rimaniamo stupiti dal fatto che si vede solo dalle ampie vetrate del museo e non ci si può passeggiare in quanto l’ideatore Adachi ritenne che doveva essere guardato come un dipinto vivente. Il giardino più rappresentativo è quello di ghiaia bianca e pini, un paesaggio immacolato con una cascata in lontananza dietro al contrasto quasi astratto di verde e bianco. E una sorta di mammelloni di vegetazione di varie sfumature di colori, con fiori o senza. Magnifico. Qui molti turisti giapponesi e coreani. Siamo comunque ancora nella golden week.

Ci sono inoltre un giardino di muschio, un giardino con stagno e bellissime carpe e un giardino secco. L’aspetto e la personalità di ciascun giardino cambiano drasticamente in ciascuna stagione. Le finestre, alcune ampie, altre più piccole, incorniciano perfettamente la vista creando “dipinti viventi”.

Torniamo con la navetta e riprendiamo il treno da Yasugi.

Decidiamo di andare ad esplorare la seconda zona di Matsue indicata dall’ufficio del turismo come “carina” e con locali vari. Discreta scarpinata ma arriviamo in una zona pedonale molto bella con canali e ponti e bei locali. Ci sono belle barchette che fanno i giri nei canali, lunghe panchine di legno che costeggiano la Matsue Water Terrace, a terra i tombini colorati con il castello e le insegne di Matsue. Arriviamo fino al mare con belle passeggiate.

Matsue decisamente approvata. Per la cena decidiamo di tornare nel locale di ieri sera che ci è piaciuto troppo. Ci riconoscono e ci sentiamo già di casa anche nelle ordinazioni. Spiedini di vario genere e ottimi noodles con verdure. Purtroppo domani si parte di nuovo, ma la curiosità chiama!

3 maggio – Matsue-Takamatsu

Oggi è il gran giorno, si va nello Shikoku, uno dei luoghi che desideravamo vedere.

Sono circa 4 ore di treno con cambio a Okayama. Tutto facile, tutto con il JRP e tutto prenotato da Kyoto. Primo tratto sempre con lo Yakumo, treno veramente originale e poi per arrivare a Takamatsu lunghi tratti sull’acqua con ponti e scenari di isole bellissimi, siamo finalmente sul Seto, il famoso mare interno del Giappone. (Da Wikipedia: Il mare interno di Seto è il braccio di mare che separa le isole di Honshu, Shikoku e Kyushu, tre delle quattro principali isole del Giappone. È utilizzato come via d’acqua di importanza internazionale che unisce l’oceano Pacifico e il Mar del Giappone. Le regioni che si affacciano sul mare interno di Seto sono conosciute per la mitezza del clima e per i livelli relativamente bassi di pioggia.)

Arriviamo a Takamatsu e scopriamo l’ennesima stazione bellissima, piena di vita, negozi, ristoranti e ovviamente bagni spettacolari, nursery ed ogni tipo di confort. La piazza all’esterno poi è magnifica, affacciata sul mare con enormi bianchissime strutture moderne, di cui una è il nostro albergo!

Stazioniamo a lungo all’ufficio del turismo, personale al solito gentilissimo, per informarci su come raggiungere le isole di Teshima e Naoshima visto anche il fine settimana!

Lasciamo le valigie in hotel (niente check in al solito fino alle 15…..sono tutti fiscalissimi) e prendiamo un trenino fino alla fermata che porta al giardino Ritsurin. Mi aveva detto Patrick Colgan, uno dei redattori della Guida del Touring del Giappone e titolare di Orizzonti Blog, che il Ritsurin Koen è imperdibile. Ringrazio per il consiglio e confermo. Lo giriamo tutto con calma, il tempo fra l’altro si è messo al bello e i panorami sono meravigliosi, ci sono anche le barche per fare dei tour, ahimè tutte già prenotate. Ci consoliamo con uno squisito gelato al matcha.

Il giardino ha sei stagni e 13 colline paesaggistiche. E’ progettato in modo che il paesaggio circostante cambi a ogni passo, ed è vero! E poi ci sono le carpe più meravigliose mai viste, con livree sgargianti, una in particolare completamente bianca con il tondo perfetto rosso sulla testa come la bandiera del Giappone. È amore a prima vista e capiamo perché sono così apprezzate e costose. (Da Wikipedia: la carpa koi, più specificamente nishikigoi, letteralmente “carpa broccata” o carpa giapponese, è la varietà ornamentale addomesticata della carpa comune (Cyprinus carpio). Sono allevate per scopi decorativi in stagni all’aperto e laghetti da giardino. I colori più comuni comprendono il bianco, il nero, il rosso, il giallo, il blu e il color crema.).

Nella cultura giapponese questi pesci sono paragonati per il coraggio ai guerrieri Samurai, che incarnano il simbolo supremo di forza e dedizione, poiché nuotano anche controcorrente, sono simbolo di capacità e volontà individuale. Non a caso sono rappresentate negli angoli del tetto più alto dei castelli dei Samurai. Sono longeve, 25/35 anni e costosissime. In Giappone la carpa si trova in acque calme, ma è sempre rappresentata in movimento contornata da onde di acqua: questo tipo di rappresentazione suggerisce le virtù di un guerriero determinato ed è spesso associata con le qualità auspicabili nei giovani uomini. La carpa è utilizzata ovunque anche in forma di aquiloni colorati nelle feste e come decorazioni per rappresentare ed auspicare forza e virtù.

Giriamo tutto il possibile e torniamo ad uscire da dove siamo entrati così riprendiamo il trenino per la stazione. Facciamo check in, stanza carina, di qualche cm più grande di quelle degli APA, e subito fuori al porto per verificare orari e mezzi agli imbarcaderi per le isole. Mi sa che Teshima sarà un po’ un casino. Prima di definire l’itinerario avevamo pensato di dormire a Okayama da cui un trenino porta a Uno da dove partono le barche per Naoshima e Teshima. Ci era però sembrato un po’ troppo complicato. Qui almeno usciamo dall’hotel e saliamo in barca!

Poi facciamo discreta scarpinata fino alla classica zona commerciale coperta, molto bella e animata, e scegliamo una sorta di self service famigliare con il cuoco che ti fa i piatti in diretta, pochi ma gustosi, e una bella sequenza di fritti di ogni tipo e genere. Io scelgo udon freddi, strani ma gustosi, e tofu fritto e mio marito un mega curry squisito. Prezzi bassissimi e ambiente veramente famigliare e accogliente. Ovviamente zero turisti.

Torniamo e a letto presto. Domani levataccia per accaparrarci il posto sulla barca. Vorrei aprire una parentesi sulla TV che ci ha catturato pochissimo. Raramente una CNN con sempre le stesse notizie ripetute all’infinito, pochissimo sport, golf, baseball e sumo e solo in presenza di atleti giapponesi e zero film. Insomma, l’accendiamo così per compagnia, ma non attizza.

4 maggio – Takamatsu-isola di Teshima-Takamatsu

In questo hotel abbiamo scelto di non fare la colazione perché facciamo due levatacce su tre mattine! Mio marito parte alle 6 e si va a posizionare all’ingresso della biglietteria per la barca veloce che ha posti limitati e poche corse al giorno. Aprirà alle 6,30 e ovviamente saremo i primi. Purtroppo non si fa l’andata e ritorno, tocca rifare la trafila là per l’orario in cui si vuole tornare. Ci organizzeremo! Facciamo colazione prendendo cose dai numerosi distributori che sono ovunque.

Anche le barche hanno orari spaccati al minuto come treni e bus. Si parte, tempo magnifico, mare e cielo blu e ovunque isolette verdissime di vari formati. Uscendo dal porto si costeggia anche ciò che resta del castello di Takamatsu affacciato sul mare. Una favola, siamo emozionatissimi anche perché oggi faremo una delle cose che sogno da tempo, una di quelle da una volta nella vita!

Si sbarca dopo circa 40 minuti al porto di Leura. Praticamente nel nulla. C’è in coincidenza un bus che porta dall’altra parte dell’isola all’altro porto che si chiama Karato. L’autista ci stipa tutti alla morte a più strati ma per fortuna la maggior parte scende circa a metà strada al Teshima Art Museum. Noi tiriamo dritto fino a Karato, capolinea, come sempre foto agli orari per il ritorno e dirigiamo a piedi al nostro obiettivo prioritario: ”Les Archives du Cœur” di Christian Boltanski (1944-2021). Ho conosciuto la scrittrice Laura Imai Messina durante un corso di scrittura, avevo già letto dei suoi libri, uno di questi è “L’isola dei battiti del cuore”, stupendo, e che mi ha aperto un interesse smodato verso questa struttura, anche perché avevo già conosciuto il lavoro di Boltanski visitando il “Museo per la Memoria di Ustica” a Bologna, di indimenticabile intensità.

Così seguiamo una stradina praticamente nel nulla (il porto di Karato è deserto) a parte un piccolo tempietto con torii e in mezzo al verde arriviamo alla bellissima spiaggia deserta di Ojigahama e all’insenatura su cui affaccia la struttura in legno. È piccola, il personale giovane e gentile in camice bianco un po’ ospedaliero. Decidiamo di visitare ciò che la struttura offre; una stanza lunga e buia con una sola lampadina in mezzo pendente dal soffitto che si accende e si spegne in concomitanza del battito del cuore cui è collegata. Lo stesso concetto delle 81 lampadine intermittenti che rappresentano gli 81 morti nella strage di Ustica. Prima di entrare un display indica la sequenza dei cuori che daranno ritmo alla lampada nei prossimi minuti e cambieranno random in continuazione. Alle pareti piccoli specchi di varie dimensioni. Il suono del battito del cuore e il buio intermittente sono inquietanti e affascinanti nello stesso tempo.

Usciamo storditi e impressionati; pagando una quota extra si può registrare e lasciare ai posteri il proprio battito. Io decido di farlo. Si può inoltre cercare nell’archivio battiti di altre persone già registrati. Così ovviamente cerco e ascolto emozionata quello di Laura Imai Messina e registro il mio. Mi viene data una bella confezione con il CD della mia registrazione e materiale illustrativo del progetto. Il mio cuore adesso rimane qui, non solo in senso figurato ma veramente. Chissà un giorno qualcuno verrà qui e potrà ascoltare il mio battito!

Torniamo a Karato, riprendiamo il bus e ci fermiamo al Teshima Art Museum. Marea di persone, anche se pochi stranieri. Tentiamo l’ingresso ma bisognava prenotare online. Abbiamo toppato! Comunque dopo una breve pausa seduti all’ombra ed una merenda con poche cose di risulta che avevamo nello zaino, ritentiamo e la ragazza all’ingresso ci fa passare non essendosi presentati tutti i prenotati. Paghiamo riccamente e iniziamo il tour della originale mega installazione a “goccia” bianca gigante con buco al centro della superficie. Le gocce in effetti sono due ma la seconda è piccolina ed adibita a shop e bar.

Ryue Nishizawa è l’architetto autore dell’opera e se siete disposti a pagare per un museo che non espone nulla questo fa per voi! Il percorso è obbligato, un lungo sentiero di cemento bianco come la goccia, che le gira intorno fino a portare all’apertura/breve tunnel di ingresso. Si entra rigorosamente scalzi. E non si uscirebbe più.

Si fa veramente fatica a descrivere la struttura e quanto ci ha catturato. Ho sempre amato arte moderna, strana, installazioni avveniristiche, ma questa ha veramente qualcosa che stordisce e dispiace che i nostri tempi di curiosi viaggiatori siano sempre stretti e tesi a vedere ancora altro e di più. Qui sarei stata molto più a lungo. Vietato fare foto, una di sghembo riesco a farla col telefono in stile italiano all’estero, ma poi compro alcune belle cartoline che incornicerò.

Il porto di Leura ci chiama per riprendere la barca. Bus e alla stazioncina ci diamo da fare per tempo per il biglietto. Lasciamo così Teshima a malincuore. È stata una giornata da incorniciare.

Per la cena dirigiamo in un’altra zona di Takamatsu specifica per i ristoranti. Ne adocchiamo uno che ha già la coda fuori e che ci ispira. Apre alle 18 e entriamo per miracolo. Mangio il tofu grigliato migliore del viaggio, sembra panna, udon con tempura di gamberi e un mega curry da sballo. Quando usciamo la coda è triplicata e ci credo. Anche l’interno è molto carino sia con tavolini appartati che con postazioni al banco che ai giapponesi piacciono sempre molto.

A letto con negli occhi la meravigliosa Teshima.

5 maggio – Takamatsu-isola di Naoshima-Takamatsu

Sveglia sempre molto presto. Essendo Naoshima più grande e con porto più attrezzato non siamo costretti alla barchina ma ci hanno consigliato il ferry che per passeggeri appiedati non ha limiti di posto. Comunque andiamo sempre fra i primi a farci il biglietto e in questo caso si può fare andata e ritorno. Il ferry è grandissimo e ci posizioniamo sulla terrazza alta, tempo ancora magnifico e vista spettacolare.

Arrivati prendiamo subito il bus per il museo d’Arte Chichu, il più lontano progettato dall’architetto Tadao Ando. Arrivati all’ingresso scopriamo che anche questo è prenotabile solo online. Facciamo un po’ di piagnisteo ma stavolta non ci dice bene, e aspettare la fortuna ci farebbe perdere tempo. Così ripartiamo con il bus e ci fermiamo alle istallazioni del Museo Lee Ufan, sempre a pagamento ma senza prenotazione e all’aperto in bellissimo ambiente panoramico. Ci sono molte cose interessanti e scenografiche, sempre con vista mare e pochissime persone. Idilliaco.

Riprendiamo il bus e scendiamo al Benesse House Museum. Progettato da Tadao Ando, coniuga le due funzioni di galleria d’arte e di albergo. Si trova su una collina che domina il Mare interno di Seto. Il museo presenta all’interno opere d’arte realizzate in loco da artisti contemporanei di fama mondiale (c’è anche un Giacometti) e opere d’arte disseminate nell’ambiente naturale esterno al museo e lungo la costa. E’ un posto veramente magico, super scenografico, con uno shop meraviglioso dove mi cedono i nervi e compro un po’ di cose con la mitica zucca di Yayoi Kusama…..che però ancora non abbiamo visto! Saliamo fino all’albergo e ci torna in mente il bellissimo film “Viaggio in Giappone”, visto recentemente, i cui personaggi visitano proprio Naoshima e soggiornano in questo hotel.

A malincuore pure stavolta lasciamo la bellissima location e a piedi facciamo un lungo tratto che costeggia la meravigliosa costa fino a riprendere un bus che ci porta dove si trova la famosissima enorme zucca gialla ormai simbolo di Naoshima. C’è un’ordinatissima e tranquilla coda per fare la foto. È in cima ad un pontile di cemento con sfondo naturale di mare e isole. Magari l’orario non è dei migliori, un filo in controluce, ma ci posizioniamo e come per Hachico o Izumo le code sono un passatempo. Persone gentili, ci si scambia il favore di farsi la foto a vicenda, noi becchiamo uno un po’ lesso che ce la fa molto “da lontano” ma pazienza. La cosa bella è essere qui!

La giornata a Naoshima è quasi finita. Riprendiamo il bus per andare al porto di Miyanoura. Ci sono altre istallazioni fra cui il Pavillon e un’altra enorme zucca rossa con grandi bolli neri nella quale si può entrare perché ha diversi buchi. Ovviamente ci facciamo pure quella e un gelatino in attesa del ferry.

Tornati ci facciamo un bel giro nel giardino del castello fino alle superstiti torri di guardia. Costruito nel 1590 il castello di Takamatsu è uno dei pochi castelli giapponesi situati a pochi metri dalla costa e proprio per questa sua posizione ha il fossato alimentato dall’acqua del mare. Della fortezza originale restano le imponenti mura, il fossato su cui oggi navigano le piccole imbarcazioni per turisti, la porta Asahimon e due torrette di controllo che servivano per sorvegliare l’entrata delle barche dirette al castello. Al centro del parco sorge l’edificio Hiunkaku, un’ex residenza ed ufficio governativo risalente al 1917 che oggi ospita mostre ed attività, immenso e quasi labirintico con pavimenti in tatami e sale arredate in stile giapponese. Molto bello anche il giardino, vasto e animato di gente locale.

Per cena troviamo nuovamente un locale carino con self service di fritti delizioso. Udon e tofu fritto a completamento.

Al solito un po’ di spesa in un Lawson o Family Market o 7 Eleven (hanno tutti le stesse cose e gli stessi prezzi) e sono ovunque. Noi prendiamo l’acqua da mettere nelle borracce, qualche snack di conforto e qualche gelatino al macha della buona notte! Purtroppo è l’ultima sera, Takamatsu nel cuore per sempre.

6 maggio – Takamatsu-Matsuyama

Si parte presto, compriamo qualcosa per colazione in stazione e all’ingresso del binario ci avvisano che a metà strada avremo uno stop di quasi 2 ore per maltempo visto che il treno costeggia il mare e c’è molto vento. Si parte e comunque è tutto ben segnalato e preciso. La stazioncina in cui sostiamo ha un carinissimo shop dove riesco a fare acquisti di qualche pupazzino da appendere allo zaino. Sono meravigliosi, sarebbe il caso di comprarne a decine!

Arrivati a Matsuyama solito passaggio all’ufficio informazioni (inglese scarsissimo) e capiamo che per il nostro albergo servono 2 fermate di tram. Andiamo e alle solite depositiamo valigie e siamo già in pista per la prima visita. L’albergo ci fornisce anche 2 bellissimi ombrelli trasparenti. Riprendiamo il tram che ci lascia all’attacco di una bella stradina pedonale tutta negozietti che sale fino all’ingresso della funivia che porta sulla collina dove sorge il castello. Il tempo ahimè è piovigginoso ma anche ventoso, così speriamo migliori! Lungo la strada un locale particolare dove si fanno degustazioni di spremute d’arancia di vario genere. Viene fornita un’assicella con tre bicchieri e lungo una parete ci sono una decina di rubinetti e ognuno corrisponde ad un tipo di arancia. Veramente carino! Ovviamente lo facciamo e ci diamo una botta di vitamina visto che dovremo scarpinare!

La funivia ci porta all’attacco della salita al castello. Bella e affascinante la vegetazione e già si apre un bellissimo panorama. E quando ce lo troviamo davanti non possiamo che dire: ohhhhh! Si entra, scalzi, e la salita per le ripide e strette scalette in legno è faticosa ma premiano sia le cose esposte nei vari piani, fra cui bellissime armature da samurai, sia la vista dall’alto. Inoltre un meraviglioso Tomoe campeggia in una delle sale e c’è anche una postazione con un addetto che ti scatta foto con il tuo telefono (il tomoe rappresenta tre virgole in un cerchio, secondo alcuni sarebbe collegato alla triplice divisione tra Uomo, Terra e Cielo al centro dello Shintoismo, tanto che in origine è stato associato con il dio della guerra Hachiman e, per questo, adottato dai samurai come loro simbolo tradizionale). Giriamo a lungo catturati dalla bella atmosfera. Per fortuna non piove e decisamente anche questo castello, pur se effettivamente simile agli altri, merita una visita veramente! È questa la cosa strana dei castelli giapponesi: sembrano tutti uguali ma in effetti sono tutti diversi e affascinanti ognuno a modo suo!

Scendiamo nuovamente con la funivia e nella sala di accesso troviamo un bellissimo cartellone coi famosi 12 castelli e le immagini di tutti. Confermo il “simili ma diversi e bellissimi”! Nella stradina ci infiliamo in una piccola curatissima pasticceria per un tiramisù e un gelato al matcha a dir poco sublimi.

Beh, che dire, cambiamo città ma la sensazione piacevole di essere sempre a casa continua!

Torniamo in hotel, check in e subito alla zona pedonale coperta così famigliare e a caccia di cena. Per farci sentire ulteriormente a casa troviamo un ristorante simile a quello dove ci eravamo trovati così bene a Matsue e ci facciamo incredibilmente della carne, ottima, oltre varie altre cose sfiziose non meglio identificate. Voto 10!

A letto dopo breve passeggiata.

7 maggio – Matsuyama

Sempre mattinieri partiamo dopo ricca colazione stavolta però dirigiamo a piedi verso la vicina stazione di Matsuyama, molto più grande e attrezzata di quella JR dove si arriva col treno. In pratica le stazioni a Matsuyama sono due e bisogna programmandosi chiarire bene cosa vedere e da dove conviene partire.

Prendiamo il bus che con un tragitto lunghetto ci porta al tempio di Ishiteji, il n.51 degli 88 del popolare pellegrinaggio (Junrei) dello Shikoku. Il tracciato tocca appunto ottantotto templi disposti lungo il perimetro dell’isola di Shikoku, partendo dalla città di Naruto per arrivare alla città di Sanuki. Si crede che tutti questi templi siano stati visitati dal celeberrimo monaco buddista Kukai, più noto in Giappone con il nome Kobo-Daishi, che nacque appunto nello Shikoku nel 774. Il percorso è lungo circa 1200 km e a piedi richiede dai 30 ai 60 giorni per essere completato, mentre i pellegrinaggi organizzati dai tour operators specializzati durano in media 10 giorni. Chi percorre parzialmente o completamente il cammino per motivi religiosi o semplicemente spirituali normalmente segue la tradizione e i rituali buddhisti e quindi indossa la casacca o sopraveste bianca tradizionale del pellegrino. Il bianco secondo il buddhismo è il colore associato alla morte e indossarla significa prepararsi ad affrontarla. Altro accessorio è il leggero cappello di paglia carice (Carex è un genere di piante della famiglia delle Ciperacee) di forma conica, che ripara sia dal sole che dalla pioggia. Il bastone da passeggio in legno rappresenta non solo un sostegno nel cammino, ma simbolicamente rappresenta il sostegno di Kobo Daishi nell’impegnativo itinerario spirituale del pellegrino; accompagna nel cammino e sostiene nei momenti di riposo. E’ provvisto di una piccola campanella. L’altro pellegrinaggio famoso è il Sajgoku o dei 33 templi buddisti nel Kansai. Si fa, al contrario di quello degli 88, senza seguire ordine preciso, i templi sono dedicati a Kannon, considerata dea Bodhisattva della compassione e della misericordia. Di questo pellegrinaggio fa parte il Kiyomizu-dera di Kyoto,

Ishiteji è uno dei templi buddisti più antichi e importanti di Matsuyama. Costruito nel 728, all’interno ha numerose statue di Buddha e affreschi del periodo Heian. All’ingresso, dopo un camminamento coperto ricco di negozietti (mi compro un bel dipinto del monte Fuji che incornicerò, così lo vedrò sempre almeno in casa!), un enorme waraji, il sandalo di paglia tradizionale del pellegrino, con tantissime monetine infilate nell’intreccio delle corde. Abbiamo anche la fortuna di incontrare sia nel percorso che all’interno del tempio alcuni pellegrini con le vesti tradizionali.

Troviamo increduli anche 3 italiani, pure loro un po’ di una certa, che girano free come noi. Hanno osato pure la macchina a noleggio e arrivano dalla Corea. Molto simpatici. L’area del tempio è molto vasta, piena di sfere e cerchi di granito di cui non comprendiamo il significato, di piante, di strutture in legno anche un po’ malandate, di una lunga sequenza di sacchetti di riso (un po’ come le infilate di botti di sakè). Troviamo anche l’accesso molto nascosto alla inquietante e buia galleria scavata sotto la roccia lunga circa 200 metri che porta in un’altra zona dove ci dovrebbe essere una struttura particolare, un tempio a forma di sfera dorata unico e originale. Nella galleria è un susseguirsi di statue di varie dimensioni e abbigliamenti del budda. All’uscita ci si trova su una strada dove passano le auto e facciamo un po’ fatica a trovare la cupola, effettivamente stranissima, circondata da un padiglione dove sono ammassate in quantità statue in legno sempre del budda e di altre divinità che non conosciamo.

Ritorniamo sui nostri passi e andiamo a riprendere il bus verso il famoso Dogo Onsen. Intanto ragioniamo sulla bellezza e autenticità di questi pellegrinaggi e su come queste “toccate e fughe”, sentite ma pur sempre inevitabilmente superficiali, lascino dentro insaziabili curiosità e senso di profonda ignoranza.

Scendiamo alla fermata della Dogo Onsen Station, costruita nel 1895, la stazione ferroviaria di è uno splendido esempio di architettura tipica del Periodo Meiji (1868-1912). È il terminal delle tre linee di tram che servono la stazione e di fronte all’edificio è possibile ammirare un modello della storica locomotiva a vapore “Botchan”.

Da lì parte una galleria coperta (shotengai in giapponese) che porta allo stabilimento termale più antico del Giappone, il Dogo Onsen Honkan, risalente al 1894, con una sorgente termale che ha una storia di 3.000 anni e che ha ospitato le famiglie reali.

L’esterno della struttura colpisce per i laboriosi dettagli in stile tradizionale, e sul tetto si notano numerose statue di aironi; la presenza di questo uccello si rifà alla leggenda secondo la quale un airone ferito alla zampa fu completamente guarito dopo essersi immerso in queste acque termali. I bagni sono divisi fra uomini e donne e vi si entra rigorosamente nudi. Incontriamo gli italiani del tempio che escono tramortiti dal bagno. Per loro era veramente troppo caldo e non hanno resistito che pochi minuti. Noi rifuggiamo dall’idea ed entriamo invece per la visita guidata alla sezione Yushinden, costruita appositamente per la visita della famiglia imperiale nel 1899 e che oggi è aperta alle visite. Ovviamente senza scarpe. Bellissima.

Torniamo verso la stazione e alla fine della galleria ci fermiamo all’orologio Botchan Karakuri. Tra le 8:00 e le 22:00, l’orologio prende vita ogni ora. Si anima e rivela i personaggi del romanzo di Natsume Soseki, “Botchan “(Il signorino), che si muovono accompagnati dalla musica. Molto carino e intorno molta gente ad osservarlo. Fa molto Miyazaki! Accanto all’orologio una bella vasca con sedile tutto intorno per pediluvio: ci attizza e ci piazziamo subito per dare sollievo ai piedi dopo le lunghe scarpinate. La location e il relax impagabili. Si starebbe qui all’infinito.

Matsuyama ha un’altra caratteristica, è il luogo di nascita del moderno haiku grazie a Masaoka Shiki, che ne è considerato il padre, e che qui era di casa. Così in giro per la città ci sono cartoncini appositi dove scrivere i propri haiku e buchette della posta apposite dove inserirli. Non so poi che fine facciano! Ovviamente ne scrivo uno di getto e lo imbuco: “Gentilezza. Cuore commosso. Dolcezza dell’anko”. Non è bello spiegare le poesie (come le barzellette) ma rappresenta la sensazione che mi ha lasciato la popolazione con cui ci siamo intrecciati. E l’anko è la meravigliosa marmellata di azuki rossi spesso nel cuore dei mochi o dei dolci in generale. Ritorniamo con il tram alla stazione di Matsuyama City e chiediamo per andare ad un altro tempio, il Taisan-ji, n.52 degli 88. Troviamo un autista di una gentilezza toccante che ci porta fino alla fermata, ci indica tutto alla perfezione e ci lascia con un you welcome indimenticabile. Mi commuovo. Anche perché è tutto quasi senza inglese o altra lingua.

L’autobus ci mette un sacco e usciamo dalla città e siamo in piena collina. Ci incamminiamo seguendo un pellegrino sperando che vada al tempio. È allenato e finché la salita è leggera lo teniamo d’occhio ma poi si inizia a salire di brutto e verso la fine compaiono anche notevoli scalinate. Arrivati bellissimo portale, e si entra in un insieme di strutture sparse in un’area piuttosto vasta, all’ombra degli alberi troviamo anche altri pellegrini oltre al nostro! Turisti zero, ambiente mistico.

Taisan-ji è un tempio Shingon. La sala principale, Hondo, che è stata ricostruita nel 1305, è tesoro nazionale, si dice che sia stata costruita nell’anno 586 in un solo giorno da un mercante che fu miracolosamente salvato da una tempesta mentre navigava con un carico nel Mare Interno.

Nel 739, Gyoki consacrò l’immagine principale di Kannon dalle undici facce su richiesta dell’imperatore Shomu, e nel 749, costruì il complesso delle sette sale nella sua posizione attuale. Il tempio prosperò sotto il patrocinio del clan Kato, signore del castello di Matsuyama. Bei dipinti, piedi del budda decorati, sandali da pellegrino, insomma un sacco di cose da osservare, molte però di cui purtroppo non si riesce ad intendere il significato.

Altra bella scarpinata per tornare alla fermata del bus (come sempre all’arrivo localizziamo la fermata per il ritorno e ci fotografiamo gli orari, che qui spaccano!).

Alla fermata, in luogo isolato e sperduto, ci sono proprio due sedie abbandonate che ci fanno molto comodo. Torniamo e passiamo dall’albergo prima di cena. Poi giriamo un po’ ma alla fine torniamo nel nostro preferito. Stasera osiamo anche polipo al wasabi e spiedini di cose sconosciute ma buonissime.

Risistemiamo la valigia, dimenticavo che in tutti gli alberghi ci sono le lavatrici e asciugatrici a pochi yen quindi ogni tanto ho lavato un po’ di cose, sempre alla sera appena arrivati in modo che se le cose rimangono umide hanno tempo di asciugare. In valigia mi sono portata diversi attaccapanni di metallo sottili e un po’ di mollette e così riusciamo a gestire le nostre cose anche nelle camere molto piccole.

8 maggio – Matsuyama-Beppu

Nel programma originale avevamo pensato di andare in treno fino a Yawatahama e da lì prendere la nave fino a Beppu e poi di fare Beppu Nagasaki in bus in quanto il JRP era finito. Invece il casino di Dubai ce l’ha fatto “durare” due giorni in più così abbiamo deciso di fare Matsuyama Beppu in treno con ben 3 cambi, contando ovviamente sulla precisione dei treni nei quali ci sentiamo veramente rilassati e a casa. In tutto quasi sei ore con cambio a Okayama e Kokura. Abbiamo prenotato partenza mattutina e arriviamo a Beppu nel primissimo pomeriggio. Osservare il paesaggio dai finestrini è uno dei miei sport preferiti. Vediamo sempre risaie, poche verdure e pochissima frutta. Ma soprattutto tutto piuttosto abitato.

La stazione non è grandissima ma ha un bell’ufficio del turismo. Mentre chiediamo notizie su come visitare il famoso “inferno di Beppu” ci viene incontro una ragazza italiana che lavora proprio lì! Ha sposato un giapponese, ha anche un bimbo, ed è veramente carina. Ci facciamo spiegare un po’ tutte le cose da fare e andiamo a cercare il nostro albergo in stile giapponese. Non è vicinissimo alla stazione e la città sembra un po’ in stato di abbandono. In pratica la casa è grande e tradizionale ma all’ingresso c’è una vera e propria reception e le stanze sono in corridoi tipo albergo, dentro però tatami, futon, tavolino basso ma anche due poltroncine medie dove riusciamo a sederci senza buttarci a terra. E il bagno, minuscolo e strano, è in camera. Al solito zero appoggi e zero possibilità di appendere qualcosa. Le grandi contraddizioni degli organizzatissimi giapponesi! La cosa che ci entusiasma è che su prenotazione e a pagamento l’albergo dispone di un onsen privato dove si può fare il bagno in coppia e soli. Prenotiamo subito. Fare il bagno nudi insieme ad altri non ci attirava, come del resto non ci attirano anche in altre realtà le cosiddette SPA.

Usciamo e andiamo a piedi a raggiungere la torre panoramica di Beppu. La Beppu Tower è una torre a traliccio alta 100 metri. Si sale con ascensore e si gode una bella vista sulla città, sugli inferni nelle colline in lontananza, e sul mare. In zona anche grande centro commerciale, alberghi e ristoranti.

Torniamo verso la città e andiamo a cercare il testone con il nasone rosso che si trova al santuario di Tengu mikoshi. Ci si va da uno di quei camminamenti coperti con negozietti (in buona parte tristemente chiusi) e subito salta agli occhi il testone con lunghissimo naso rosso e barbona bianca. I tengu sono un tipo di creature fantastiche dell’iconografia popolare giapponese, a volte considerati kami e a volte yokai.

Questo Tengu è stato spesso descritto come protettore della libertà. Nel 1688 ci fu un enorme incendio a Beppu, e questo ha portato alla costruzione di molti santuari per proteggere gli abitanti del villaggio da ulteriori dolori e questo è stato costruito proprio nel punto da dove partì il fuoco.

In giro per la città altre statue tipo diavoli sempre richiamanti gli “inferni” per cui Beppu è conosciuta.

Andiamo a cena in un posto molto carino dove tutti i tavoli sono privati e divisi da separè. Prendiamo vongole e seppie che ti portano in specie di tajne su fuoco e te le cuoci in diretta. Intanto soba e spiedini. Tutto ottimo, solo un po’ più caro del solito, arriviamo a 12 euro a testa tutto compreso ovviamente!

Corriamo in albergo, indossiamo le yukate fiorite (la mia la acquisterò per ricordo) e andiamo finalmente a farci l’onsen. Il posto è veramente da manuale, tinozzine e sgabellini in legno dove lavarsi e vascone in pietra con acqua fumante a getto continuo. Praticamente da bollitura (come avevano detto gli italiani del Dogo Onsen!). Per fortuna il proprietario ci aveva detto che in un angolo c’è un rubinetto per aggiungere un po’ di acqua fredda se è troppo caldo. Facciamo, ma effettivamente si resiste poco e non ci piace così tanto. Siamo tipi da doccia e via! E’ giusto che volevamo provare, così come capsule e ryokan, esperienza fatta ma per noi non così vitale o significativa.

Da notare i comodissimi copripiumini praticamente fatti come le nostre lenzuola da sotto con angoli. Invece di ammattire a infilare il piumino nel copripiumino lo metti nel pseudo “coprimaterasso” così che a pelle hai il lenzuolo pulito e invece a vista il piumino con gli angoli bianchi del lenzuolo. Mi sarò spiegata? Mah! Però una bella idea.

9 maggio – Beppu

Oggi ci tocca colazione tipica da ryokan. Circa una decina di ciotoline con tutte cose diverse non chiarissime più una griglietta accesa con sopra un pescetto in cottura. Ovviamente solo bastoncini (ormai siamo esperti in materia) e ogni volta ci chiediamo perché non un coltello e una forchetta! Direi che non ci piace, niente caffè e un uovo, ma crudo. Comunque mangiamo almeno il riso e le verdurine in salamoia. Sul brodo a colazione ho le mie perplessità.

Andiamo a piedi fino in stazione a prendere l’autobus per gli inferni. Il tragitto è piuttosto lungo perché sono in collina lontanucci dalla città. L’autobus ci lascia in un mega parcheggio dove arrivano anche bus turistici e macchine private. Facciamo un po’ fatica a capire dove è il primo ingresso ma alla fine noi e un manipolo di altri turisti, forse coreani, lo troviamo! Dimenticavo che ieri all’ufficio del turismo avevamo già comprato il pacchetto dei 7 ingressi così basta cambiare il voucher e ti danno un librettino con tutti i biglietti.

Le sorgenti di origine vulcanica sono dunque le principali attrazioni di Beppu e vengono utilizzate sia per uso termale che per uso domestico e industriale. Se ne contano oltre 2000, che rendono Beppu la seconda area al mondo produttrice di acqua termale dopo lo Yellowstone National Park negli USA, ma se alcune vengono usate come onsen in cui rilassarsi con un bagno caldo come vuole la tradizione giapponese, in altre non ci si può immergere perché l’acqua può arrivare ad una temperatura di 99°C. Il richiamo per i turisti sono i 7 “jigoku”, ovvero i famosi “inferni”.

Procediamo dal primo a scendere per vedere i primi 5, poi bisogna prendere un bus per raggiungere gli ultimi due.

Umi Jigoku. È il primo, il più grande e probabilmente uno dei più spettacolari. Il nome significa “inferno del mare” ed è chiamato così per via del colore blu turchese dell’acqua che ricorda quella del mare e quasi inviterebbe a tuffarsi, se non fosse che la profondità arriva a 200 metri e l’acqua fumante raggiunge una temperatura di circa 98 °C. Il paesaggio è reso ancora più suggestivo dalla vegetazione rigogliosa che incornicia la sorgente.

Oniishibozu Jigoku. È il secondo “l’inferno delle teste rasate” perché le bolle di fango di colore grigiastro che emergono dalla sorgente sono state paragonate dagli abitanti di Beppu alle teste rasate dei monaci. Qui la temperatura ha una media di 99°C,

Shiraike Jigoku. “L’inferno bianco” prende il nome dal colore bianco dell’acqua dovuto ad un mix di minerali che la rende quasi simile al latte. La temperatura qui si aggira intorno ai 95°C. Dalle acque emergono delle formazioni rocciose e tutt’intorno si estende una bellissima distesa di vegetazione, tanto che il paesaggio sembra quasi un giardino zen giapponese.

Kamado Jigoku. Formato da piccole sorgenti che ribollono ed emettono vapore, in maniera simile a dei fornelli, all’ingresso una statua grottesca di colore rosso, raffigurante un demone che sorveglia i “fornelli” dalla cima della sua “grande pentola”. In questo caso però l’acqua termale ha in alcune sorgenti una temperatura gradevole e si può approfittare delle sue proprietà curative. I visitatori possono bere l’acqua calda termale, immergere mani e piedi nell’acqua calda e inalare i vapori per curare eventuali raffreddori o mal di gola. E facciamo tutto. In alcune di queste sorgenti la temperatura raggiunge invece il punto di ebollizione e chi lo desidera può assaggiare vari snack a base di verdure e uova sode cotti nell’acqua calda o a vapore. Infatti ci facciamo l’ovino verdastro cotto nei vapori. Buono.

Oniyama Jigoku. È l’inferno più pericoloso, la “montagna dei mostri” o, come viene più comunemente soprannominato “l’inferno dei coccodrilli” che qui si sono ritagliati la propria dimora. Sono circa 80 gli alligatori che tra le acque calde e fangose di questo jigoku hanno trovato l’habitat ideale per riprodursi. A dire il vero sembrano tutti secchi e imbambolati. Ma quando li bagnano si animano e fanno effettivamente paura. C’è anche un piccolo acquario

Facciamo un tratto a piedi, in mezzo ad alberghi, negozietti e ristoranti, per arrivare allo Jigokumushi Kobo Kannawa, una specie di ristorante dove è possibile cucinarsi le cose in autonomia con i vapori dell’inferno.

E’ proprio questo vapore alla base della jigoku mushi ryori, un metodo di cottura che risale al Periodo Edo (1603-1868) ed implica l’utilizzo delle acque termali degli jigoku, in cui l’acqua può arrivare ad una temperatura di 99°C, temperature che rendono queste acque inadatte alla balneazione, ma ottime per cucinare. Cucinare al vapore permette di esaltare il gusto degli alimenti ed è un metodo estremamente salutare per cuocere i cibi.

Con un po’ di difficoltà ci scegliamo le cose che vogliamo mangiare, ci mettiamo in fila e quando arriva il nostro turno ci danno i cestelli. Scegliamo vongole (qui usano molto e sono buonissime) e verdure varie. Poi un addetto ci accompagna dove ci sono i pozzetti con i vapori tutti chiusi da legni. Con appositi guantoni si inseriscono i cestelli. Ci danno un numero e un timer. Quando suona, sempre con guantoni, possiamo estrarli e mangiare. Ci si siede dove si vuole, the e acqua da bere free. C’è un sacco di gente che fa questa procedura, in mezzo a fumi infernali. Carino e dal mio punto di vista da non perdere.

Satolli andiamo ad una fermata a prendere il bus per gli ultimi due inferni.

Chinoike Jigoku. È tra i più terrificanti, per via del colore dell’acqua, rossa come il sangue, che ha portato a chiamarlo “inferno di sangue”. È di certo tra le sorgenti più popolari e scenografiche, ma è anche la più antica di quelle di Beppu e quella più “fresca” in quanto ha una temperatura media di 78°C. Il colore è dovuto a metalli e minerali presenti nel suolo, come ferro e un’argilla ricca di magnesio. Anche in questo caso è vietato il bagno, ma l’argilla del suolo viene utilizzata per creare ottimi prodotti di cosmetica. Anche qui bellissima postazione per pediluvio e non ce la perdiamo. E’ il terzo che facciamo e ci ha catturato. Toglie veramente stanchezza, anche perché le postazioni sono in luoghi ombrosi e rilassanti.

Tatsumaki Jigoku. È il settimo, l’ultimo, un “inferno tempestoso” quello che si può ammirare in questa sorgente che si contraddistingue per le potenti eruzioni di acqua che potrebbero raggiungere 50 metri d’altezza se non fosse per il largo disco di pietra che viene posizionato sul geyser per cercare di limitare, per quanto possibile, la potenza dell’acqua. I getti di acqua sono molto frequenti, ogni 30-40 minuti circa, e durano per 6-10 minuti, offrendo un incredibile spettacolo a tutti i visitatori. Davanti c’è anche un piccolo anfiteatro dove sedersi per attendere l’eruzione. Questo jigoku è anche il più caldo in assoluto: raggiunge 150 °C, emanando un fortissimo odore di zolfo. Escursione finita, veramente piacevole, diversa, interessante.

Riprendiamo un bus verso Beppu che fa un giro diverso e torna in città anche abbastanza velocemente.

Decidiano di andare a vedere il Takegawara Onsen, uno dei centri termali più popolari di Beppu. La sua facciata antica, l’atmosfera vintage e rilassata che si mescola all’odore intenso dell’acqua termale, sono una piacevole sorpresa-

L’edificio originale fu costruito nel 1879 ed era caratterizzato da un tetto in bambù da cui la struttura prende il nome. Nel 1938 l’onsen è stato ristrutturato, sostituendo il bambù con le tegole, ma conserva ancora il fascino di un tempo.

Altra passeggiata per la città un po’ mortorio, carini i tombini anche qui colorati e con disegni come a Matsue e in giro alcune installazioni di arte moderna.

Ceniamo nel posto più triste di tutto il viaggio….una specie di mensa dei poveri un po’ decadente e messa male con solo pochi piatti e un unico cuoco/cameriere piuttosto anziano come le sue pentole! Strano! Ci facciamo ramen e gyoza, effettivamente buoni e battiamo il record al ribasso, 6 euro a testa con tanto di birra.

Con questa notte si chiude definitivamente l’esperienza ryokan. Faccio alcune foto del delirio delle ciabatte, la cosa che in assoluto mi stressa di più.

Domani la tratta più complicata per raggiungere Nagasaki.

10 maggio – Beppu-Nagasaki

Colazione sempre molto particolare. Chiediamo di non darci la griglia con pescino affumicato e mangiamo tutto quello che è possibile sorridendo molto.

Andiamo rigorosamente a piedi in stazione dove davanti all’ingresso si trova una sorgente di acqua bollente dove si possono immergere le mani. Cosa che ovviamente facciamo. Nel piazzale c’è anche una grande statua del signor Kumahachi Aburaya detto anche Shiny Uncle, a cui Beppu deve il suo sviluppo in città turistica: fu il primo ad intuire le potenzialità della città, a promuovere lo sviluppo alberghiero e a creare un servizio di visite guidate con pullman lungo il percorso degli inferni.

In stazione, mentre attendiamo il nostro primo treno, incontriamo la ragazza italiana dell’ufficio del turismo che ci racconta di aver vissuto ad Okinawa, una delle mete che avevamo in testa ma non siamo riusciti a raggiungere….un mese sembra lungo ma non lo è abbastanza! Oggi prenderemo quattro treni con cambi a Kokura, Shin-Tosu e Takeo Onsen. Sempre tutto in perfetto orario, pulito, tranquillo. Direi che gli spostamenti sono un momento di vero relax.

Mentre siamo in treno, grazie al mitico pocket wifi che non ha mai perso un colpo, mi metto a cercare come visitare l’isola di Hashima, nota anche come Gunkanjima (Isola della nave da guerra), la più famosa delle 505 isole disabitate di Nagasaki. Ne avevo letto inizialmente perché location di film (Skyfall di James Bond) e per il suo strano fascino. Avevo anche visto che è difficile raggiungerla per via della mancanza di un vero approdo e quindi si va in base al mare che deve essere calmo. A farla breve trovo modo di prenotare gli ultimi due posti sulla barca di domani mattina (ci sono solo due visite al giorno e non tutti i giorni). Non mi chiedono appunto neppure il pagamento perché si decide alla partenza se si va o no in base al meteo.

Arriviamo a Nagasaki, ufficio del turismo al solito con piantine della città e tante informazioni sui mezzi etc. La stazione è fantasmagorica. Purtroppo però usciti vediamo un immenso piazzale con parti in costruzione e uno svincolo pedonale a più piani con ascensori da cui raggiungere la zona tram. Impressionante, Comunque ce la facciamo. Scendiamo alla stazione consigliata dall’ufficio del turismo ed è praticamente sull’ingresso dell’hotel. Mitico! Per la prima volta ci danno subito la stanza e ci sistemiamo ritrovando gioiosamente un letto!!!

Riprendiamo il tram per andare subito al museo della bomba. Dalla fermata trovare l’ingresso principale del museo è un po’ dura. Location vasta con notevoli su e giù. Alla fine troviamo e entriamo. Il museo è ovviamente molto interessante ed esplicativo. Noi l’altra volta eravamo stati a Hiroshima. Forse per come è sia museo, sia i famosi resti dell’unico edificio rimasto, che il parco/memorial ci aveva dato più suggestione. Anche la zona sotterranea dedicata al ricordo delle vittime è un po’ algida e asettica. E poi è tutto abbastanza sparso. Comunque alla fine usciamo e andiamo all’Hipocentrum Park, un ampio giardino, dove un semplice monolite di colore nero è posizionato al centro di una sorta di anfiteatro nel punto in cui ci fu l’esplosione della bomba. Non molto distanti si possono ammirare i resti di un muro danneggiato: è tutto ciò che rimane della Cattedrale di Urakami, completamente distrutta dalla bomba. All’epoca dello scoppio, la Cattedrale di Urakami era la più grande chiesa dell’Asia orientale e fu punto di riferimento per l’aereo che sganciò la bomba.

Da lì, con una discreta camminata si raggiunge la base della collina su cui si trova il parco della pace. Per fortuna per salire ci sono una serie di scale mobili e poi in lontananza si vede la famosa statua azzurra che svetta sopra una grande vasca con acqua a sfioro. La statua fu inaugurata l’8 agosto 1955 ed è alta 9,7 metri.

Ogni anno, il 9 agosto (il 9 agosto 1945 scoppiò “Fat Man” su Nagasaki, il 6 agosto “Little Boy” aveva colpito Hiroshima) ai piedi della statua si svolge la cerimonia della pace di Nagasaki.

La statua in bronzo è stata progettata dallo scultore Seibou Kitamura e ogni suo aspetto riveste un’importanza simbolica: la mano destra che indica il cielo ci ricorda il pericolo delle armi nucleari, mentre la mano sinistra estesa simboleggia la pace eterna. Anche il viso della statua rappresenta la pace, mentre gli occhi chiusi sono una preghiera per il riposo sereno delle anime delle vittime.

La gamba destra piegata è in posizione di meditazione, mentre quella sinistra estesa è piantata a terra e ci chiede di alzarci e aiutare il mondo. Ricorda la posizione seduta delle statue dei Buddha giapponesi.

Di fronte alla scultura si trova la Fontana della Pace, un altro luogo simbolo del parco: costruita nel 1969 è il punto in cui ogni anno, il 9 agosto, si svolge la cerimonia di commemorazione alla presenza del Sindaco di Nagasaki.

L’acqua della fontana simboleggia non solo la vita che non si ferma, quindi la rinascita di Nagasaki, ma ricorda tutte quelle persone che sono morte in seguito allo scoppio mentre erano alla disperata ricerca di acqua: una targa posta accanto alla fontana riporta la testimonianza di una bambina che soffrì enormemente la sete immediatamente dopo l’esplosione.

Giardino molto curato tranquillo. La statua è veramente imponente anche se l’effetto è un po’ “strano”!

Scendiamo sempre con le scale mobili e andiamo a cercare la fermata più vicina del tram (sempre piantina alla mano per capire direzione e colore, siamo sempre indecisi fra verde e blu) per tornare in centro e andare a vedere il famoso “ponte degli occhiali” (il riflesso degli archi nell’acqua fa pensare appunto ad un paio di occhiali) visto che l’orario potrebbe essere quello giusto per qualche foto.

Meganebashi è il ponte in pietra più antico realizzato in Giappone: si dice che sia stato costruito nel 1634 da un monaco cinese di nome Mokusu Nyoujo, che in seguito divenne l’abate del vicino Tempio di Kofukuji. L’effetto “occhiali” è veramente originale ed è una delle attrazioni turistiche più fotogeniche di Nagasaki. Ci facciamo una passeggiata per vedere il ponte da tutte le angolazioni. La balaustra è veramente bassissima e fa un certo effetto affacciarsi a guardare di sotto. Sul lungofiume alberato del Nakashima anche altri ponti di pietra e ogni tanto carpe koi e tartarughe che rendono l’atmosfera ancora più magica.

Non riusciamo ahimè a individuare le pietre a forma di cuore incastonate nelle mura lungo il fiume, si dice che portino fortuna, felicità e amore eterno a chi le trova..

Non ci staremo già innamorando anche di questa città? Non lontano da questa zona andiamo a cercare la Chinatown, il più antico quartiere cinese del Giappone.

All’epoca in cui in Giappone vigeva ancora una politica di isolazionismo il porto di Nagasaki era l’unico aperto al commercio internazionale e i mercanti cinesi erano gli unici stranieri a risiedere in città assieme agli olandesi, i quali però erano costretti a vivere e lavorare esclusivamente sull’isola di Dejima.

Si accede da un ponte rosso attraverso il classico portale cinese colorato e pieno di luci. La strada principale piena di negozi e ristoranti, sembra di essere a New York! Decidiamo di mangiare cinese. Scegliamo un ristorante carino e affollato ma il cibo non ci piace, direi la cena peggiore del viaggio e birra cinese carissima.

Comunque si poteva immaginare! Torniamo in albergo felici di avere un letto! Il ryokan è già un ricordo lontano!

11 maggio – Nagasaki

Sveglia al solito presto, colazione, tempo magnifico e a piedi raggiungiamo il porto che è vicinissimo. Scopriamo felici che la prenotazione per l’isola è vera, paghiamo visto che il tempo è buono e la gita si fa e restiamo in attesa della partenza, che avviene ovviamente in perfetto orario.

Situata a quattordici chilometri da Nagasaki, circa 40 minuti di navigazione, Hashima, più comunemente nota come Gunkanjima (Isola della nave da guerra) per la somiglianza della sua forma alla corazzata giapponese Tosa. Si dice che quest’isola inquietante e la sua ex miniera di carbone siano una delle attrazioni turistiche più curiose del Giappone. Potevamo perderla?

L’isola misura soltanto 480 metri di lunghezza e 160 metri di larghezza e un tempo vantava un ospedale, due scuole, negozi e persino un tempio e un santuario.

Gunkanjima offre uno scorcio davvero unico sulla storia del Giappone. Industrializzata dalla Mitsubishi e fulcro dell’estrazione nazionale del carbone, l’isola raggiunse nel suo periodo di massimo splendore la sorprendente cifra di più di 5.000 abitanti. Eppure fu rapidamente abbandonata intorno al 1974, quando il fabbisogno energetico cambiò con l’introduzione del petrolio come fonte di energia e la conseguente diminuzione della domanda di carbone e l’isola iniziò a perdere il suo valore economico fino a che le miniere di carbone furono chiuse.

Per anni fu lasciata a sé stessa a deteriorarsi, un triste simbolo della rapida industrializzazione del Giappone.

Nel 2009 fu aperta ai turisti come sito di architettura industriale degradata per gli edifici in rovina e il loro simbolismo e nel 2015 è stata nominata patrimonio mondiale dell’UNESCO. Osservando da vicino i resti rovinati dal tempo e gli edifici fatiscenti, è difficile immaginare che quest’isola fosse una volta sede di una comunità prospera e vivace impegnata in uno dei più produttivi siti minerari del Giappone. Durante la seconda guerra mondiale l’isola ha anche “ospitato” migliaia di prigionieri del conflitto bellico, fra cui molti coreani, costretti a lavorare in modo disumano nelle miniere al posto dei giapponesi richiamati alle armi.

Essendo un luogo veramente particolare e unico è stata scelta anche come location cinematografica, ad esempio per gli appassionati di James Bond i suoi scenari non dovrebbero essere una novità: il regista Sam Mendes ha preso l’isola come fonte di ispirazione per ambientare alcune scene del film di 007 Skyfall, ed è uno dei motivi per cui ne ero attratta.

Attracchiamo a pelo a una piattaforma di cemento, non c’è porto e si scende un po’ “al volo” (mi ricorda l’attracco al castello d’If a Marsiglia). C’è una guida per ogni lingua: noi dell’inglese siamo pochi, i più sono coreani e giapponesi. Per cui si fanno tre gruppi e si seguono percorsi prestabiliti da cui non si può uscire. Interessanti tutte le spiegazioni e le descrizioni degli edifici rispetto al loro utilizzo. Foto a raffica, veramente suggestivo e affascinante. Si riparte soddisfatti e colpiti da questa esperienza, dal nostro punto di vista consigliatissima. Mentre torniamo il mare e il vento cominciano a muoversi, consiglierei pertanto di fare la gita alla mattina presto come abbiamo fatto noi. Prima di puntare al porto la barca fa il giro completo dell’isola per farcela osservare da tutte le angolazioni. Direi propri che il prezzo (26 euro a testa) vale l’escursione.

Tornati in città andiamo a vedere il tempio zen Sofuku-ji, rappresentativo dello stile cinese, una delle testimonianze più belle di architettura religiosa del periodo della dinastia Ming. Costruito nel 1629 quando la comunità cinese di Nagasaki rappresentava il 15% della popolazione; è la sede di una delle scuole del buddismo zen Obaku.  

Il tempio sorge lungo il pendio di una collina, (anche qui tocca salire e fare scale) immerso nella vegetazione; la prima struttura che si incontra è la porta di ingresso, Ryugumon (letteralmente significa Porta del Palazzo del Dragone), situata ai piedi della collina, che segnala l’accesso al tempio con il suo colore rosso acceso – tipico dei luoghi di culto cinesi – sormontata da una struttura a due piani e da un tetto decorato. Molto bella e particolare.

Proseguendo su per la collina si arriva al cuore del tempio, in cui sorgono diverse sale di preghiera e un numero impressionante di statue e oggetti sacri venerati dai credenti, tra cui una campana del diciassettesimo secolo. L’edificio più importante, qui, è la sala del Buddha, che resta una delle poche strutture originali del tempio: risale al 1646 e non è solo la struttura più antica del tempio, bensì della città al cui interno è custodita una statua del Buddha protagonista di un episodio particolare: si narra che nei primi anni del ‘900, durante opere di restauro della statua, venne scoperto che all’interno si celavano delle parti in argento.

Nel parco del tempio si trova un grande calderone predisposto dal sacerdote Qianhai per cucinare il porridge per le persone che stavano morendo di fame durante la carestia del 1681. Da notare anche una gigantesca statua di carpa appesa al soffitto.

Riprendiamo il tram e andiamo a visitare la chiesa di Oura, costruita nel 1864 da un missionario francese per la crescente comunità cristiana di Nagasaki. Il cristianesimo arrivò per la prima volta in Giappone a metà del 1500, dove si diffuse proprio  nei dintorni di Nagasaki

La struttura è stata costruita in mattoni stuccati di bianco su cinque navate, con soffitti a volta ed una torre ottagonale. Al suo interno è ospitato il Museo Cristiano, che illustra la storia del cristianesimo in Giappone e nell’area di Nagasaki, molto interessante. A questo proposito avevamo visto il film Silence e letto il libro da cui è stato tratto sui  kakure kirishitan (“cristiani nascosti”) e come venivano costretti ad abiurare e torturati e uccisi se non lo facevano.

Infatti in seguito alla messa al bando della religione cattolica da parte dello shogunato di Tokugawa nei primi anni del 1600, la piccola popolazione cristiana giapponese divenne clandestina.

La breve salita che porta alla chiesa è tutta negozietti e locali. L’ingresso è a pagamento ed è comprensivo del museo.

Dalla chiesa ci spostiamo al monumento ai 26 martiri. E’ un grande monumento con le 26 figure in bassorilievo e si trova su una collinetta che si raggiunge al solito con una discreta salita. Suggestivo. I martiri sono un gruppo di cattolici uccisi il 5 febbraio 1597 a Nagasaki: sei missionari francescani europei, tre gesuiti giapponesi e diciassette terziari francescani giapponesi, compresi tre ragazzi. Vennero uccisi tramite crocifissione e una volta saliti sulla croce, veniva loro inferto il colpo finale con delle lance. Questi martiri sono stati canonizzati l’8 giugno 1862 da papa Pio IX.

Nel 1853 il Paese fu riaperto ai rapporti con l’estero: fu così che, pur essendo il proselitismo ancora vietato, giunsero molti religiosi di fede cattolica. Con la Restaurazione Meiji del 1871 venne poi introdotta la libertà religiosa, riconoscendo così alle comunità cristiane il diritto all’esistenza.

Il 24 novembre 2008 188 martiri cattolici, torturati e uccisi tra il 1603 ed il 1639 (tutti laici tranne il gesuita Padre Kibe), sono stati beatificati con una cerimonia che si è svolta a Nagasaki, per volontà di Benedetto XVI.

Facciamo uno stop in stazione per merenda con torta e matcha per poi fare ampia ricognizione su come raggiungere velocemente la stazione domattina per prendere il treno per Fukuoka, vista la situazione incasinata dei passaggi aerei e ascensori vari!

Ripartiamo per andare a visitare Dejima, la base olandese della Compagnia delle Indie.

Dejima è stata una piccola isola artificiale, luogo di scambio commerciale e culturale tra l’occidente ed il Giappone durante il sakoku (letteralmente paese in catene), l’auto-imposto periodo di isolamento giapponese. Si estendeva su una superficie a forma di ventaglio. Fu utilizzata prima dai portoghesi (dal 1636 al 1639) e poi dagli olandesi della Compagnia olandese delle Indie orientali (dal 1641 al 1859). Lavori di bonifica ne hanno determinato la completa integrazione alla terraferma e la conseguente perdita della caratteristica di isola ma mantenendo la forma a ventaglio che si può riscontrare visitandola.

Nel 1920 Dejima fu designata sito storico nazionale dal governo giapponese e nel 1996 venne lanciato ufficialmente il progetto di restauro e ricostruzione degli edifici storici dell’isola. Vi si accede da un ponticello e la visita richiede abbastanza tempo. Gli edifici sono molti e all’interno ci sono molte cose da vedere, soprattutto nei magazzini e nelle abitazioni e vengono ben illustrate le modalità dei commerci. Interessante scoprire quante cose sono arrivate in Giappone dall’occidente, ad esempio birra e caffè, e quante a noi dal Giappone, seta, pepe, zucchero, rame. E le modalità e le “confezioni” per il trasporto. Questa visita merita veramente.

Usciti andiamo a farci un bel giretto nelle zone commerciali con i soliti ameni passaggi coperti. Troviamo un bel locale dove fanno gli udon freschi in diretta (sembra da noi in Romagna dove fanno piadina e tagliatelle!) e ci fermiamo a cena. Ottimo e molto cordiale il gestore.

Ultimo passaggio al ponte degli occhiali in notturna. C’è abbastanza gente che scende anche sotto al ponte a cercare le famose pietre a forma di cuore. Noi ci rinunciamo visto che le scale sono impervie e vertiginose. Ci guardiamo il ponte da tutti i lati e facciamo lunga passeggiata sul fiume. Proprio suggestivo.

Prima di tornare in hotel l’ormai classico gelato al matcha che compriamo nell’onnipresente Lawson.

12 maggio – Nagasaki-Fukuoka

Questo è il primo trasferimento che ci paghiamo in diretta (circa 40 euro a testa acquistato e prenotato a Takamatsu) essendo scaduto il JRP che tanto ci ha fatto comodo.

Mega colazione in hotel e… diluvia! Tram (comodissimo il fatto che non si deve avere il biglietto singolo ma si paga direttamente quando si scende, a meno che ovviamente non si sia acquistato un giornaliero. Alla discesa c’è anche il cambio soldi, insomma tutto super easy e il conducente aiuta moltissimo. Arriviamo in stazione sempre sotto il diluvio. I camminamenti sperimentati ieri funzionano e ci bagniamo il giusto. Treno al solito in perfetto orario e con un solo cambio addirittura al volo sullo stesso binario a Takeo Onsen, due ore e mezza e siamo a Fukuoka! Continua a diluviare. Ci fermiamo in stazione, bellissima, all’ufficio del turismo. Al solito piantina e informazioni su come raggiungere le cose che ci interessano. Attendiamo che spiova un po’ e osiamo andare all’albergo, al solito abbastanza vicino alla stazione. Temiamo il solito rito del lasciare le valigie invece è il primo e unico hotel che ci dà subito la stanza e partiamo per il museo di Fukuoka (detta anche Hakata a seconda della situazione). La stazione infatti si chiama Hakata ed è uno dei principali centri di transito fra Fukuoka il grande Kyushu e il resto del Giappone. Fukuoka è una città portuale che vanta il più antico tempio Zen del Giappone, il più grande festival e un famoso ramen.

Decidiamo visto il tempaccio di andare al Fukuoka City Museum. Facciamo la tessera metro giornaliera e partiamo. Dalla fermata della metro al museo c’è la solita scarpinata….pit stop in un Lawson salvavita e arriviamo. Edificio e giardini bellissimi. In lontananza la famosa torre di Fukuoka ma certo oggi con questo tempo non ce la faremo!

Il museo, molto bello e ben organizzato, offre un viaggio affascinante attraverso la storia della città, mettendo in evidenza tesori come il sigillo d’oro del Re di Na e l’eredità del clan Kuroda. Inoltre sono visibili molte armature di samurai, dipinti, ceramiche e carri da matsuri usati durante il festival Hakata Gion Yamakasa. Ma certamente il sigillo d’oro è la cosa che cattura veramente.

(da Wikipedia: Nakoku era un regno ubicato attorno all’odierna città di Fukuoka, dal I secolo d.C. all’inizio del III secolo d.C. Gran parte delle informazioni su di esso provengono da antiche cronache cinesi e giapponesi. Secondo il Libro degli Han posteriori, nel 57 d.C., l’imperatore Guangwu di Han concesse al re di Nakoku un sigillo imperiale, modellato sui sigilli di giada cinesi, ma fatto d’oro: il sigillo d’oro del re di Na. In cambio, quello stesso anno, il re di Na inviò degli ambasciatori nella capitale cinese, offrendo tributi e auguri formali per il nuovo anno. Questo sigillo fu scoperto più di 1500 anni dopo da un contadino sull’isola di Shikanoshima durante il periodo Edo, contribuendo così a confermare l’esistenza del Nakoku, altrimenti noto solo dalle antiche cronache. Su di esso sono incisi i caratteri cinesi ????? (Kan no Wa no Na-no-Koku-o, “Re dello stato Na del Wa (vassallo) di Han”).

Torniamo alla metro e decidiamo per il tempio Tocho-ji per vedere la statua di Buddha in legno più grande del Giappone con i suoi 11 metri di altezza. Il tempio è un centro di pratica del Buddhismo Shingon. Nel giardino una maestosa pagoda rossa a cinque piani costruita nel XVII secolo; secondo la tradizione buddhista simboleggia la connessione tra la Terra e il Cielo. Molto bello.

Soddisfatti ci spostiamo nella zona della stazione Fukuoka Tenjin, un’altra enorme stazione in una zona tutta negozi e ristoranti. Numerose anche le tradizionali gallerie commerciali coperte (shotengai). Cerchiamo il Tenjin Chikagai, l’enorme centro commerciale sotterraneo che fu aperto nel 1976 e ospita circa 150 tra negozi, ristoranti e caffè. Giriamo un sacco ma non lo troviamo! Comunque anche tutta la stazione e i suoi sotterranei e chilometrici sottopassaggi sono tutti negozi e locali. C’è anche un bell’ufficio del turismo dove ci facciamo indicare le zone dove si trovano gli yatai, gli stand di street food tipici di Fukuoka molto rinomati soprattutto per il ramen, gli yakitori, la tempura e i ravioli.

Una delle aree è proprio quella del viale Watanabe-dori nella zona di Tenjin dove ci troviamo. Essendo brutto tempo oggi ce ne sono pochi e troviamo subito posto in uno che ci ispira abbastanza. Sono piccoli stand con una cucina molto “artigianale” e sinceramente non sono molto in linea con lo stile ordinato e pulito del Giappone. Hanno pochi posti a sedere, stretti e scomodi, intorno ad una specie di camioncino che viene attrezzato per cucinare. I posti a sedere circa 7-8 e l’ambiente è assolutamente informale ed amichevole. Mangiamo ramen e tempura, buono ma non ci entusiasma anche perchè è effettivamente molto scomodo.

Riprendiamo la metro e torniamo in albergo un po’ cotti. Il primo impatto con questa città non ci ha entusiasmato. Forse il tempo e le distanze. Però avere un letto, pur se nella classica stanza mignon e con tutti i comfort ci dà molta gioia e il ryokan rimane solo un lontano ricordo!

13 maggio – Fukuoka

E’ tornato il sole! Che bello! La colazione qui ha due versioni da scegliere, pesce o uovo con annessi giappo e un bel buffet vario. Scegliamo uno e uno, il pesce però è tosto, grigliato e un po’ secco. Osservo estasiata come il mio vicino di tavolo se lo mangia tutto con il solo uso delle bacchette, fatica un po’, ma ce la fa. Sono degli artisti, però ribadisco…coltello e forchetta sono il top!

Andiamo diretti alla stazione dei bus, enorme edificio multipiano a fianco della stazione dei treni. Coda ordinata per il bus per Dazaifu, una delle mete che ci siamo prefissati da visitare da Fukuoka. Esiste addirittura la figura dell’organizzatore di code. Uno in divisa che controlla, mette in ordine, chiede e fa che tutto fili liscio e che ognuno vada a finire sul bus giusto. Il bus compare dal nulla, si sale e parte uscendo per una rampa a spirale dalla stazione. Una cosa geniale!

Circa mezz’ora e siamo a Dazaifu. La fermata è in una piazza e c’è una sorta di hostess che ti dice dove andare e ti fa vedere da dove riprendere il bus e gli orari. Anche qui, come in quasi tutti i santuari importanti, stradina pedonale in leggera salita tutta negozietti, ristoranti e bar. Fra l’altro si incontra lo Starbucks più originale (indicato anche nella guida) in quanto per integrarsi nell’ambiente è tutto in legno con intrecci che richiamano la foresta e con un giardino interno con i classici susini tipici di Dazaifu. Molto bello e…strapieno.

Arriviamo al tempio. Il Santuario Tenmangu è dedicato a Sugawara Michizane, una figura storica giapponese rispettata come patrono dell’istruzione, studioso, poeta e politico del periodo Heian. Grazie alla sua grande cultura e conoscenza, Michizane è stato associato a Tenjin, divinità dell’istruzione, ed è popolare tra gli studenti che si vedono spesso frequentare il Santuario durante il periodo degli esami. Ne vediamo effettivamente tantissimi, tutti con le loro divise, ordinati ed osservanti dei rituali shinto.

Lungo il cammino verso l’edificio principale si incontrano laghetti e ponti, si vedono carpe koi e tartarughe e alcune statue di buoi che rappresentano un bue morto di stenti durante il trasporto della bara di Sugawara: per avere fortuna e trovare sollievo dai propri dolori e acciacchi le persone accarezzano le statue, trasferendo così l’energia negativa. E qui piccole code per accarezzare corna e muso dei vari buoi e farsi la foto. Anche noi ce la facciamo e accarezziamo molto le corna sperando ci portino bene! Proseguendo si arriva nel parco del santuario, un’area verde ricca di alberi di ciliegio e susini. Una costante dei santuari dedicati a questa divinità è la presenza di un susino di fronte alla sala delle offerte. Il santuario è famoso anche per la fioritura dei circa 2000 susini presenti nel complesso tra la fine febbraio e i primi di marzo.

Ahimè la sala principale è in restauro, ma il complesso di edifici è talmente vasto e ricco di cose da vedere che ci accontentiamo! Fra l’altro per sostituire la sala principale in restauro hanno allestito una sala con il tetto completamente rivestito di rigogliosa vegetazione che crea un bellissimo impatto e copre la “bruttura” della sala ricoperta dalle intelaiature per il restauro. Quindi l’effetto wow quando si arriva è salvo!

Ci allontaniamo pian piano tristemente da questo luogo veramente suggestivo e raggiungiamo il vicino Komyozenji, antico tempio buddhista, noto anche come Tempio della Luce Illuminata, famoso per il suo splendido giardino di rocce Zen con combinazione di vari tipi di pietre e piante. Entriamo un po’ di frodo perché anche in questo tempio sono in corso lavori di restauro e riusciamo a vedere e fotografare il giardino.

A malincuore torniamo al bus, nella vicina banca cambiamo un po’ di euro per sicurezza, e ritorniamo a Fukuoka. Dalla via che siamo nella stazione dei bus, con un po’ di incertezze, riusciamo ad identificare dove si prende, al terzo piano, il bus per Itoshima. Saliamo e siamo noi due e due ragazze. Praticamente nessuno. Si esce dalla città, ponti, stradoni, colline, mare e ci vuole circa un’ora e si arriva a costeggiare bellissime spiagge. Finalmente arriviamo al luogo che era fra i miei sogni: le rocce sposate e il torii bianco! Detto così non fa un gran effetto ma quando le avvistiamo il cuore si ferma un attimo. Troppo bello. E’ uno dei posti che aggiungo alla mia lista detta del “lasciatemi qui”.

Si trovano nella parte settentrionale della penisola di Itoshima, all’interno della baia di Futamigaura, le due rocce sono conosciute con il nome di Meoto Iwa, o rocce sacre e sono legate insieme da una ghirlanda gigante di paglia, una shimenawa. La più grande delle due rocce è considerata il marito, mentre la più piccola è la moglie. La shimenawa viene sostituita ogni anno in una cerimonia che si tiene durante le grandi maree primaverili di fine aprile o inizio maggio. Pesa circa una tonnellata e richiede la forza di oltre 50 uomini per essere spostata e appesa sulle rocce.

Di fronte al santuario si erge un grande torii bianco, la cui base viene battuta dalle onde e dalle maree. Con la bassa marea si può camminare fino alla base del torii; con l’alta marea la sezione più bassa del torii è completamente sommersa. Come si suol dire, per noi vale il viaggio. Si scende fino sulla spiaggia, si bagnano i piedi nel mare, si fanno foto, si gode il paesaggio sublime della baia e di questo suggestivo tempio. Non possiamo aspettare il tramonto, i bus sono rari.

L’addio è straziante, anche perché il cielo azzurro, l’acqua blu e il torii bianco ci hanno stregato. L’autobus è in orario preciso, a bordo noi e un’altra persona, questa corsa ha fruttato poco! Arriviamo alla mega stazione e decidiamo di fare merenda in una di quelle pasticcerie/panetteria che qui sono strutturate a buffet. Ti prendi un vassoio ed una pinza e giri fra un ben di dio incredibile e bellissimo anche esteticamente e prendi quello che vuoi poi porti alla cassa il vassoio e loro ti impacchettano e confezionano come preferisci. Io mi faccio ovviamente un melonpan (ne ho mangiati tanti e anche provato a farli a casa con scarsi risultati, mentre l’anko e i mochi mi sono venuti bene) e delle cose salate.

Si riparte verso Canal City, il centro commerciale top di Fukuoka. Non ci interessano i negozi (a parte alle volte Muji o Uniqlo) ma la struttura che è in effetti da capogiro. Colorata, piena di verde, di giochi d’acqua, di balconi circolari aggettanti, insomma, da vedere e difficile da descrivere. Giriamo stupefatti e dopo un po’ usciamo verso l’isola di Nakasu che si raggiunge con un ponte pedonale. L’area di Nakasu è il cuore dell’intrattenimento di Fukuoka ed è quella più ricca di yatai. E’ considerata la zona della movida notturna.

Ci aggiriamo, effettivamente la passeggiata lungo il canale è animata e gli yatai sono numerosi, alcuni già pieni di persone che mangiano. Li passiamo in rassegna tutti ma non siamo ispirati, così torniamo a Canal City nell’area food ricca di ristoranti tradizionali e ne scegliamo uno e seduti comodamente mangiamo rilassati e benissimo! Quindi per ora yatai bocciati. Dove si conferma che le guide spingono tutti i turisti ad omologarsi su una cosa che in effetti non è più quella che doveva essere.

Così torniamo alla fidata stazione, Lawson per gelatino al matcha e lattina di Suntory (highball con whisky buonissimo bevuto con ghiaccio sempre disponibile free negli hotel) e a letto. Oggi Fukuoka ha recuperato molti punti!

14 maggio – Fukuoka

Anche oggi è prevista gita. Veramente dovevamo andare a Kurume, ma incominciamo ad essere un po’ stanchini e cerchiamo una cosa più rilassante e originale. Il tempo è ancora magnifico così andiamo in stazione a prendere un treno locale, la Sasaguri Line, molto diverso dai treni delle lunghe distanze. Sembra di tornare indietro nel tempo. Bello.

La meta è il “Budda disteso” (un Daibutsu: grande Budda in giapponese) del tempio Nanzo-in. Pare sia il Budda sdraiato in bronzo più grande del mondo. Circa 40 minuti di treno in ambiente collinare selvaggio e verdissimo. La stazioncina è super artigianale e con molte scale da fare. Seguiamo le indicazioni e si inizia a camminare. Si oltrepassa un torrente con il classico ponte rosso e poi si sale per una collina e si cammina nella fiancata della stessa: statue, lanterne, alberi, acqua che scorre e poi un lungo tunnel tutto tappezzato di piccoli budda e poi ancora scale e un’area coperta tutta di negozietti con bagno e ascensore che porta finalmente al Budda. La visione è mozzafiato! Il colore azzurro intenso con lo sfondo verdissimo della collina e l’infinità di piccole statue davanti è spettacolare.

La statua non è “antica”, è stata realizzata nel 1995 grazie alla vincita di una lotteria da parte di un bonzo di questo tempio che ha deciso di usare i soldi per far forgiare una statua in bronzo lunga 40 metri, alta 11 e pesante quasi 300.000 Kg. Dentro sono conservate le ceneri del Budda e di due suoi discepoli diretti, reliquie provenienti dal Myanmar e regalate a questo tempio per le tante donazioni in medicinali fatte ai bimbi della ex Birmania e del Nepal. La statua, mastodontica, ha la fama di luogo fortunato per le vincite e proprio per questo attira molti fedeli e curiosi ed è un luogo di culto aperto a tutte le sette del buddismo, oltre che ai culti dello shintoismo, in concerto con il sincretismo misterico che contraddistingue la filosofia Shingon del santo bonzo Kukai. Quindi un luogo veramente ricco di suggestioni. Visitatori però tendenti a zero, occidentali solo noi. Siamo preoccupati per due anziani (molto più di noi) evidentemente spaesati che sono scesi dal treno insieme a noi e parevano disorientati e che non abbiamo più rivisto né al tempio né altrove.

Il Budda è disteso sul fianco destro nell’atto di raggiungere il Nirvana, colpisce, oltre che per le dimensioni, per la serenità che emana e per le piante dei giganteschi piedi che recano splendide decorazioni dorate legate agli insegnamenti buddhisti.

Vicino all’uscita una statua di un maneki neko (il famoso gattino) con una ciotola davanti da centrare con la monetina per testare la propria fortuna. Per noi niente da fare però!

Beh, non è da “lasciatemi qui” ma da starci a lungo seduti in contemplazione. Più che la fortuna è la serenità, la pace, l’ambiente, l’atmosfera che sono veramente penetranti. Senz’altro dovuto anche al fatto di essere praticamente soli. Il confronto con la ressa di Fushimi Inari è inevitabile. Riprendiamo il fidato trenino e torniamo alla stazione che è come sempre il fulcro dei nostri spostamenti.

Ci dirigiamo, rimanendo in tema religioso, al tempio Kushida, grande santuario scintoista, costruito nel 757 sotto l’imperatore Koken quando il porto di Hakata diventò il punto di riferimento per il commercio fra Giappone, Corea e Cina. Infatti appena entrati nel soffitto del portale si nota un orologio zodiacale cinese, molto particolare, che indica l’animale che corrisponde all’anno in corso. Poi, all’ingresso della sala principale, una bellissima shimenawa.

Presso la fontana del santuario ci sono statue con figure di gru; secondo una leggenda bevendo tre bicchieri di quell’acqua ci si assicura una lunga vita, proviamo ad assaggiarla ma è veramente cattiva! Continuando a passeggiare per le stradine del santuario si incontrano altri piccoli edifici e una serie di torii rossi tipici della religione scintoista. Nel cortile ci sono numerosi alberi di Ginkgo biloba, potati con una strana foggia che definirei “a pennacchio”, fra cui ne spicca uno immenso, tutto puntellato, che secondo la tradizione avrebbe più di 1000 anni. Intorno, nel recinto, enormi pietre, che sembrerebbero essere le ancore della flotta mongola; questi massi pare vengano sollevati dai lottatori di sumo come prova di forza e allenamento,

Il ginkgo è un albero antichissimo, proprio per questo e per la forma delle sue foglie, molto affascinante, le cui origini risalgono a 250 milioni di anni fa e per questo è considerato un fossile vivente, una specie relitta. Deve la sua resilienza all’elevata resistenza alla siccità, al freddo e all’inquinamento atmosferico. Il Ginkgo biloba è il simbolo della città di Tokyo. In autunno il giallo delle sue foglie è particolarmente bello e brillante.

Nel mese di luglio, si svolge un importante festival dedicato proprio a questo santuario. L’ultimo giorno della manifestazione si sfidano sette squadre provenienti da altrettanti quartieri di Hakata che trasportano dei carri enormi, chiamati kazariyama. Ognuno di essi è alto ben 10 metri e pesa circa una tonnellata; sono decorati con figure e scene tradizionali della cultura locale e durante l’anno sono esposti a Kushida. Infatti ne vediamo 2 nella zona laterale del tempio.

Le cose da vedere sono al solito molte e ci attardiamo un po’.

Visto che è in zona andiamo a piedi a cercare il WeBase Hakata Hostel dove avrei voluto dormire, ma quando ho prenotato le stanze, mesi prima del viaggio, ho scelto sempre la cancellazione gratuita fino all’ultimo per ovvi motivi, e questo ostello invece richiedeva pagamento alla prenotazione così ho rinunciato. Il fascino, essendo noi gattofili, è dovuto a un enorme gatto metà affacciato sulla strada e metà, posteriore e coda, all’interno della reception. Troppo forte. La ragazza al desk ci fa fare foto ma non vedere le stanze. Mi sa che comunque sia un po’ in stile capsule e quindi forse ci è andata bene!

Da lì bellissima zona moderna lungo un canale con grattacieli, ponti e zone commerciali coperte. Visto il tempo magnifico decidiamo per la Fukuoka Tower che pare molto bella. Metro e di nuovo scarpinata nella zona del museo del primo giorno. Arriviamo all’ingresso, tutto vetri e acciaio, riprende in pieno il riflesso del cielo azzurrissimo e brilla!

La Torre di Fukuoka è l’edificio più alto della città e la torre sul mare più alta del Giappone. Si sale con un ascensore fantasmagorico con vista a 360 gradi.

Alta 234 metri, ha tre piattaforme di osservazione, la più alta delle quali a 123 metri, Sulla seconda piattaforma c’è un caffè/lounge.

La vista sul mare, con la costa e le isole a perdita d’occhio e la città intorno vale veramente il biglietto. Cadiamo nel trappolone della foto fatta da loro per aggiungerla alla lunga serie che abbiamo a casa. Ce la fanno dall’alto e veniamo malissimo. Tocca riderci sopra.

Soddisfatti scendiamo e andiamo verso la passeggiata sul mare scoprendo una curiosa postazione dove puoi mettere il telefono nella posizione esatta per autoscatto perfetto con la torre sullo sfondo. Fatto! Osserviamo una struttura tipo hotel su un pontile nel mare dove fanno feste e matrimoni. Spiagge e mare bellissimo.

Prendiamo un bus per tornare nella zona di Tenjin e finalmente troviamo il gioiello nascosto, il Tenjin Underground Mall: il centro commerciale ispirato all’Europa del XIX secolo, con circa 150 negozi che si estende per 600 metri, luci soffuse, pavimenti in pietra e soffitti con design arabescato in ferro battuto. Bello ed elegante.

Visto che siamo nella zona della prima sera ritentiamo uno yatai anche se un po’ di malavoglia e poco ispirati dai cibi e dalla scomodità (vedi piedi abbarbicati sulla ruota del furgoncino, panchetta dondolante e senza schienale, zainetto da turista che non si può mettere da nessuna parte, fumo dei bracieri in faccia). Comunque ordiniamo e subito dopo arriva una famiglia di quattro persone, già eravamo stretti e vogliono inserirli, sposta e stringi e, primo e unico caso, il tipo è anche un po’ sgarbato. In sintesi ci alziamo e ce ne andiamo a dire il vero sollevati!

Torniamo verso l’albergo e in zona stazione troviamo un ottimo ristorante per l’ultima cena a Fukuoka. Totalmente rivalutata, al solito sensazione terribile di lasciarci alle spalle un sacco di cose non fatte e non viste.

15 maggio – Fukuoka-Osaka

È giunta l’ora dell’ultimo spostamento. Tristezza. Stazione e treno superveloce: 540 km in poco più di due ore e senza cambi. Il tutto a poco meno di 100 euro a testa.

A bordo posizioniamo al solito le valigie nell’apposito posto in testata alla carrozza. Alla seconda fermata salgono degli americani con valigie enormi (le nostre sono poco più di un trolley) e ci tolgono le nostre dicendo che loro hanno pagato il biglietto anche per le valigie. Non ne sappiamo niente, sono sgarbatissimi, ce le dobbiamo tenere malamente e viaggiare scomodi per la prima volta. Prima di scendere, visto che i tempi di fermata sono strettissimi, ci avviciniamo alla zona di uscita e subito ci aggredisce credendo che vogliamo rimettere lì le valigie (per le quali peraltro ci sarebbe stato posto). Gli diciamo di stare tranquilli che dobbiamo solo scendere, ovviamente ci scappa qualche vaffa fra i denti. Ecco come riconoscersi fra “stranieri”.

Scendiamo a Shin-Osaka e subito capiamo che sarà dura. Immensità di spazi e camminamenti in ogni direzione e su svariati livelli. Becchiamo però l’ufficio del turismo, cartina, informazioni etc. Il nostro Hotel, nuovamente un APA, è in zona Umeda station. Facciamo un giornaliero della metro a 5 euro a testa e partiamo.

Arrivati rimaniamo a bocca aperta: il grande complesso che comprende le stazioni di Osaka e Umeda è il centro dei trasporti più trafficato di Osaka, e lo possiamo confermare. L’intera area è collegata da tunnel sotterranei infiniti e ponti sopraelevati che al primo impatto ci fanno sentire definitivamente perduti. Chiediamo più volte e faticosamente troviamo la strada giusta con tanto di ascensore che ci porta in una zona molto animata, sotto una mega strada sopraelevata, e praticamente da dove sbuca l’ascensore si vede l’hotel. E’ bellissimo e lussuosissimo nell’ingresso e nella hall. Anche qui check in a self service (ti escono già le chiavi dal totem), e pure il check out è sempre automatico, butti le chiavi e vai. La stanza è la più micro del viaggio ma ormai siamo abituati.

Partiamo subito per lo Shitennoji, uno dei più antichi templi buddhisti dell’intero Giappone. Costruito nel 593, quasi 1500 anni fa, è stato il primo a celebrare i quattro Re Celesti grazie ai quali, secondo la leggenda, il principe Shotoku Taishi ottenne la vittoria contro i nobili devoti alla religione shintoista.

Il tempio, in realtà, è un insieme di varie strutture. Tutte, nei secoli, sono andate a fuoco varie volte ma sono state ricostruite sempre nella stessa posizione d’origine e mantenendo lo stesso stile. Ci sono tre cancelli d’ingresso, noi passiamo dalla porta principale, detta della Pura Terra dell’Ovest dove ci sono quattro ruotine, due a destra e due a sinistra, che vediamo vengono fatte girare da chi entra. Ovviamente le facciamo girare pure noi ma purtroppo non ne sappiamo il significato.

Si visita la Treasure House (casa dei tesori) che ospita vari dipinti e oggetti preziosi appartenuti ed appartenenti al tempio e la bellissima pagoda a 5 piani, i cinque livelli rappresentano i cinque elementi, ossia terra, aria, fuoco, acqua e cielo. Decidiamo di non salire in cima alla pagoda (il mio ginocchio è messo sempre peggio e dobbiamo camminare ancora molto) ma di girare tutti i padiglioni. Bellissimi scorci di lanterne e pagoda e un gigantesco torii.

Riprendiamo la metro e, non senza difficolta nei vari passaggi sotterranei, usando punti di riferimento catturati stamattina, riusciamo a ripassare dall’albergo per svuotare un po’ lo zaino e riposarci un attimo. E poi via di nuovo per la zona di Dotonbori, una delle mete turistiche più popolari di Osaka: famoso per la vita notturna e per i numerosi bar e ristoranti presenti in zona. Il quartiere è composto essenzialmente da una strada parallela all’adiacente e omonimo canale. Luci al neon e insegne colorate attirano turisti per passare la serata e mangiare o bere qualcosa.

Usciti dalla metro panico per la confusione e le molte strade intrecciate, chiediamo più volte e alla fine becchiamo l’ingresso alla strada pedonale. E subito è follia di insegne luminose in movimento e soprattutto di turisti di ogni tipo e genere. Un fiume, tutti in giro o in coda per mangiare o bere qualcosa. E’ come essere tornati a Kyoto! Ci facciamo tutta la strada e anche vari accessi al canale parallelo pieno parimenti di gente: locali, insegne fantasmagoriche, battelli, ruota, anzi ovale panoramica etc. Storditi e non attratti torniamo alla stazione di Umeda dove ci sono zone per la ristorazione molto invitanti, infatti mangiamo benissimo in tranquillo ambiente frequentato solo da giapponesi.

A letto nella stanza più piccola del mondo! Quindicesimo piano su 30 con ascensori divisi per piani, il ghiaccio non è nel nostro settore. Un po’ di casino. Anche qui onsen divisi maschio e femmina e ovunque si incontrano persone in yukata che vanno o vengono dal bagno. Per i giapponesi è proprio normale.

16 maggio – Osaka

Colazione stratosferica. La più faraonica in assoluto. Di tutto di più a perdita d’occhio e pur essendo l’albergo immenso è talmente spaziosa la sala che non c’è confusione.

Rifacciamo subito il giornaliero della metro e partiamo per il castello. Il tempo è così così e ventoso. Dalla metro al parco del castello solita scarpinata e poi nel parco ancora di più! Il castello è veramente lontano! Bellissima l’ambientazione e le mura e i vari portali. Quando si arriva veramente a vederlo è un bel colpo d’occhio. Coda non esagerata per fare i biglietti alla macchinetta e altra mini coda per l’ascensore che porta fino al quinto piano, poi si sale al settimo a piedi e si scende nuovamente a piedi perché in ogni piano sono esposte cose interessanti. E non si devono togliere le scarpe. La gente è veramente tanta. La vista dall’alto è splendida e così tutto ciò che è esposto. Al secondo piano c’è anche una postazione dove ti vestono da samurai e signora e ti fanno la foto. Ovviamente becchiamo! E facciamo bene, questa è veramente carina e rimarrà un divertente ricordo. Usciamo soddisfatti e lo siamo ancora di più perché all’uscita vediamo la coda per la biglietteria e per l’ascensore diventata infinita e così il flusso di gente che sale verso il castello. Abbiamo fatto benissimo a venire con la tecnica del mattino all’apertura. In questa situazione non so se ce l’avremmo fatta!

Torniamo a Umeda e prima di fare altro decidiamo di esplorare la strada da fare domani per andare all’aeroporto e il mezzo da prendere. Non è facile. Intanto decidiamo di prendere il treno “normale” che costa la metà dell’espresso e ci facciamo una bella coda per fare il biglietto. Poi dobbiamo raggiungere la stazione di Osaka City, che in pratica è tutt’uno con Umeda, ma è fantasmagoricamente avveniristica e di difficile orientamento, almeno al primo impatto. Inoltre è collegata con il Grand Front Osaka, che consiste in una serie di grattacieli, un’altra “città nella città”. Alla fine collezioniamo un tot di piantine del sopra e del sotto e vediamo il binario da cui partiremo domani! La stazione JR di Osaka (che non è Shin Osaka) e tutte le stazioni di Umeda sono collegate da un labirinto di passaggi e gallerie sotterranee e si trovano tantissimi punti di ristoro frequentati dalla gente del posto che propongono specialità tradizionali a prezzi convenienti. Alla fine in questo delirio ci stiamo orientando, giusto in tempo per partire!

Dopo questa esperienza abbastanza stressante decidiamo di raggiungere uno degli edifici simbolo di Osaka: l’Umeda Sky Building. Pare vicino, dicono a circa dieci minuti a piedi dalla stazione JR Osaka. Ma invece raggiungerlo è difficile per tutti i passaggi fra grattacieli e strade varie. La forma di questo colosso in vetro fatto da due torri collegate agli ultimi piani da una struttura circolare con un “buco” è unica. Un ascensore permette di raggiungere l’osservatorio posto a 173 metri dal suolo, dal quale si ha una vista panoramica eccezionale sulla città.

Esausti ci arriviamo. Posto fantastico, il piano circolare in cima offre rinfreschi vari e ci facciamo un meritato squisito gelatone al matcha. Poi saliamo perché l’anello ha sopra un camminamento all’aperto. Ventosissimo ed emozionante. La vista è imperdibile. E’ uscito pure il sole! Scendiamo a malincuore e torniamo in stazione e prendiamo la metro per il tempio Tenmangu, un meraviglioso tempio shintoista, una infinità di lanterne, shimenawa e zodiaco cinese. Un altro luogo mistico via dalla pazza folla.

Poi decidiamo di fare una corsa in metro fino al terminal del porto per vedere il mare aperto e uno dei nuovissimi grattacieli. Scopriamo che in zona ci sono molti uffici governativi ed essendo proprio pomeriggio è l’orario di uscita degli impiegati. Full immersion in questa quotidianità. Comunque location non entusiasmante.

Torniamo, un po’ di giri in zona commerciale, vediamo pure area di negozi vintage interessante con kimono (compro una bella giacca per mia figlia e un cappello) e finalmente becchiamo un posto tradizionale dove ci sono le piastre di cottura inglobate nel tavolo (bombola fra i piedi) e ti fanno l’okinomiyaki in diretta. È tipico di Osaka e l’avevamo già mangiato a Hiroshima nel primo viaggio e ne avevamo un bel ricordo. Praticamente un frittatone dove ti mettono tutto ciò che vuoi. Io chiedo sempre di non mettermi il tonno secco a scaglie perché non mi piace e unifica il sapore sul versante pesce. Comunque buonissimo. Seduti tranquilli con due persone che ce lo lavorano davanti agli occhi tutte per noi! Come ultima cena cosa chiedere di più?

Torniamo e decidiamo di fare la sistemazione delle valigie in versione volo domattina perché visto l’angusto spazio della stanza toccherà fare tutto sul letto quando ci alziamo. E’ l’ultima notte. Tristezza e nello stesso tempo stanchezza e desiderio di tornare.

17-18 maggio – Osaka-Bologna

Sveglia prestissimo, rumigone delle valigie, tenendo a mano il grosso dei souvenir (che in effetti sono pochi), per paura che si perdano. Mega colazione con asporto di generi di conforto per la giornata/nottata. Facciamo check out col lancio delle chiavi, depositiamo le valigie e partiamo per le ultime visite.

La prima visita è all’Ohatsu Tenjin, un luogo che è stato parte della storia di Osaka per oltre mille anni. Ed è a due passi dal nostro albergo in una zona di stradine molto caratteristiche piene di localini. I principali visitatori del complesso sono le coppie di innamorati, per via di un’antica leggenda secondo cui una cortigiana, Ohatsu, e il suo amante Tokubei, figlio di un ricco mercante, vittime di un amore eterno ma impossibile, si sono tolti la vita proprio qui. Infatti, nel 1703 proprio questo tempio Shinto divenne teatro del doppio suicidio, praticamente i Giulietta e Romeo giapponesi. Anche un famoso pezzo di Bunraku (teatro dei burattini) rappresenta questa storia. Qui sono riprodotti in statua i due innamorati e vi sono anche numerose postazioni dove sedersi o passeggiare in ambiente romantico. C’è anche una curiosa macchinetta con la figurina di una geisha che consegna bigliettini della fortuna (usano sempre molto nei santuari). C’è anche una bella immagine della coppia con i buchi per le facce e la postazione dove mettere il telefono per immortalarsi. Facciamo immediatamente! Qui mi prendo anche l’ennesimo ema con l’immagine dei due amanti.

Decidiamo poi di andare a vedere nella zona di Nakanoshima il Museo di arte nazionale per la sua famosa avveniristica struttura. E’ una creazione dell’architetto d’origine argentina César Pelli che combina pilastri metallici a lastre di vetro e l’insieme fa pensare ad una farfalla. Il museo è sotterraneo. L’insieme forma una struttura immersa nella terra. Non lo visitiamo. La zona è un’isola circondata da ponti e canali con bellissimi grattacieli in stile New York, quindi ce la giriamo un po’ per poi andare a cercare il famoso Namba Walk (simile al centro commerciale sotterraneo di Fukuoka). Immenso e affollatissimo. In pratica è una strada pedonale sotterranea che approfitta dell’ infrastruttura sotterranea della metropolitana di Osaka usando i corridoi, che uniscono le stazioni di Namba e Nipponbaschi, e le differenti uscite, come zone commerciali. In questo modo si gira fra ristoranti, fontane, negozi di moda.e molto altro. In superficie altre zone coperte e finalmente, con un po’ di giri a vuoto arriviamo allo Hozen-ji. Infatti è piuttosto nascosto in un’atmosfera da vecchio Giappone e vecchie stradine pur essendo nel bel mezzo della caotica zona commerciale di Dotonbori e Namba.

Il Tempio di Hozenji, costruito nel 1637, rende omaggio a Fudo Myoo, uno dei cinque guardiani del Buddismo. Nel 1600, Namba e l’area di Dotonbori fiorirono come centro di intrattenimento, con spettacoli drammatici di kabuki e bunraku svolti in diverse località del distretto. Anche il tempio si occupava delle arti dello spettacolo, con le tradizionali narrazioni e spettacoli teatrali eseguiti sul posto. La cosa per cui è rinomato è la statua di Fudo Myoo, soprannominato affettuosamente Mizukake Fudo, completamente ricoperta di muschio verdissimo. La tradizione dice di spruzzare la statua con acqua per mantenere vivo il muschio usando il mestolo e la fontana davanti alla statua stessa. Si dice che questo gesto porti fortuna. Ovviamente lo facciamo con un tantino di coda visto che è molto frequentato dai locali. L’ambiente è molto particolare e piacevole.

Purtroppo manchiamo il Santuario Namba Yasaka con la forma a testa di leone. Pazienza, sarà per la prossima volta. Torniamo invece a Dotonbori di giorno e ci piace quasi di più anche perché è animato ma non al parossismo come di sera. Ci facciamo anche dei takoyaki non eccezionali e un bel giro per i vari negozietti. Ormai è finita.

Torniamo in hotel a riprendere le valigie e facciamo un po’ di relax e sistemazioni varie. Poi senza esitazioni arriviamo diretti al nostro binario nella stazione di Osaka. Fra l’altro riusciamo pure a fare una sorta di scorciatoia e visto che abbiamo la valigia non è male. Treno che ha solo due carrozze che vanno all’aeroporto, le altre si fermano prima, ma noi facciamo sempre vedere i biglietti e così il controllore ci indica quelle giuste. Arrivati dirigiamo all’imbarco internazionale. La prima cosa però è rispedire il pocket wifi, cui ormai siamo affezionatissimi. Infiliamo tutto nella busta e imbuchiamo facendo fotografie della procedura (non si sa mai). KIX (sigla dell’aeroporto del Kansai) non è un gran ché, solite enormi distanze e ci mettiamo in attesa di imbarcare le valigie. In giro robottini di controllo, carini. Stavolta Emirates sembra ok. Anche in aeroporto c’è il Lawson. Ci facciamo dei mochi al matcha e per finire i soldi spicci ne compriamo un po’ da portare a casa. Le aspettative sul duty free per trovare qualcosa di carino per gli ultimi acquisti vengono deluse. Solo grandi firme tipo Bulgari e Vuitton e zero cose giapponesi. Così cambiamo gli ultimi soldi rimasti e per la prima volta non compriamo niente di tipico da portare a casa.

L’aereo è strapieno e al solito stra-scomodo, ma si parte con pochissimo ritardo. Cibo pessimo. Direi che KLM ci è piaciuta di più. L’aeroporto di Dubai ci richiede 40 minuti buoni di cammino per raggiungere l’imbarco per Bologna. Non una sedia e niente di interessante. Disperati per la stanchezza ci tocca prendere un caffè all’unico bar che è un McDonald per sederci un attimo ma sempre controllati che come finisci di bere devi alzarti. Insomma, ci lamentiamo che a Bologna ci sono pochi posti per sedersi ma qui è anche peggio. In più marea di gente pazzesca. Comunque ripartiamo e si arriva a Bologna. Coi tempi lunghi del nostro aeroporto arriva una valigia si e una no. Trafila alla denuncia ma poi salta fuori che si era bloccato il nastro e dopo verifiche varie riparte tutto e arriva anche la seconda. Andiamo in stazione a Bologna per prendere il treno per tornare a casa. E subito ci viene da piangere. Delirio della biglietteria e delirio sui binari. Siamo rientrati nel nostro mondo. Ce la faremo a riprendere i ritmi?

Ecco, se devo dire la cosa veramente negativa è il viaggio, lungo e scomodo. Il Giappone è lontano sul mappamondo e lontano anche nello stile di vita. Detesto i confronti. Non c’è meglio o peggio. Ci sono cose bellissime e cose che non piacciono. E questo ovunque. E ci sono posti che ti rimangono dentro dove torneresti sempre e posti che non ti hanno entusiasmato dove forse tornerai, ma fra molto tempo. Il Giappone rimane nel cuore e ti segna.

Bene. Viaggio finito. Viaggio magnifico. E siamo pure orgogliosi di averlo fatto così lungo e intenso, siamo considerati ”anziani” e molti ci dicono “ma dove andate alla vostra età”, ma proprio per questo, a differenza dei giovani che hanno tutta la vita davanti, siamo in grado di goderci ed apprezzare ogni minuto molto di più.

Viaggiare ringiovanisce più di un lifting!

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