Belize e Guatemala in auto da soli
Ritirata l’auto, abbiamo fatto uno spuntino veloce al Manatee Lookout, a due passi dall’aeroporto e siamo partiti per San Ignacio. Due ore di auto, lungo una strada in buone condizioni (tranne qualche tratto con dei lavori in corso) ci hanno portato alla nostra camera alla Martha’s Guesthouse. Siamo stati molto in dubbio se prendere una sistemazione in paese o in uno dei resort fuori. Alla fine abbiamo scelto per il paese, ma – con il senno di poi – si può anche evitare. San Ignacio infatti non offre granché, se non siete proprio appassionati ai bar rumorosi e alla gente. Noi comunque abbiamo optato per questa piccola guesthouse nel centro del paese. La stanza migliore è la n. 10, al terzo e ultimo piano (non c’è ascensore e vi dovete portare le valige da soli), considerata una suite. È molto ampia ed ha una grande terrazza attrezzata con panchine e un’amaca. La colazione è servita nel ristorante a piano terra (è compresa fino a 12 $ beliziani e il resto si paga). Per gli standard di San Ignacio la sistemazione è più che soddisfacente. Il personale è gentile è disponibile e si può anche avere il posto per l’auto. Sistemati i bagagli e fatto un breve giro per San Ignacio, si va a letto presto per prepararsi al tour a Caracol del giorno dopo.
Siamo partiti da San Ignacio alle 7,40, dopo aver fatto una sosta alla New French Bakery per prendere un po’ di panini (apre alle 6,30), visto che a Caracol non c’è nulla da mangiare. La prima destinazione è la stazione forestale Douglas D’Silva, che è il punto di raccolta per chi vuole andare a Caracol con la scorta dei militari (pare che negli anni scorsi ci siano stati degli assalti ad auto di turisti). A 23 km dalla stazione forestale si incontra un primo punto di controllo, dove prendono nome e numero di targa. Non so perché, ma il mio navigatore diceva di girare a destra a questo punto e invece bisogna continuare diritto, come opportunamente suggerito dall’addetto al controllo. Dopo circa 90 minuti di una strada a tratti veramente sconnessa, siamo arrivati alla stazione della forestale (circa alle 9,10). Un’auto fuoristrada è indispensabile per superare i tratti più brutti. Il punto di raccolta è in cima alla piccola salita, un centinaio di metri dopo aver incontrato il cartello sulla destra con il nome della stazione. È segnalato da due cartelli e non potete mancarlo. Qui prendono i dati dell’auto e dei passeggeri. La scorta parte alle 9,30, ma si può anche andare da soli (le guardie sconsigliano, ma ho visto i tour locali andarsene tranquillamente). Per arrivare a Caracol ci vogliono ancora 50 minuti, ma dipende ovviamente da come guidate, su una strada che resta difficile. Parcheggiate l’auto nel piazzale, pagate il biglietto al visitar center e poi entrate nel sito, che è molto poco frequentato (nel nostro caso, c’erano solo altre 4 auto oltre a noi). Il posto è ben tenuto ed ha il fascino del luogo esclusivo, non fosse altro che per la fatica fatta per arrivarci. Gli edifici non sono tanti, ma c’è sempre la più alta piramide del Belize! Una volta in cima, si gode un bel panorama sui monti circostanti. Tornando all’ingresso, si trovano dei tavoli all’ombra, dove si può mangiare (come detto, portatevi tutto e soprattutto tanta acqua, anche se sul posto c’era una persona che vendeva bibite). Credo che la scorta riparta alle 14, ma noi siamo tornati indietro da soli, partendo verso le 13,30. Sulla strada del ritorno, poco dopo la stazione della forestale, si può fare una sosta alle Rio On Pools, che sono delle piscine naturali formate dal Rio On che attraversa dei grandi lastroni di granito e dove è possibile fare il bagno. 5 km prima delle piscine naturali c’è la Grotta del Rio Frio, dove è possibile una sosta in alternativa. L’importante è non farsi sorprendere dalla notte lungo la strada e quindi occorre calcolare bene i tempi. Bilancio definitivo della giornata: quasi 5 ore di auto su una strada spesso piena di buche e oltre 3 ore di passeggiata fra i templi e la giungla, con l’impressione di essere degli intrepidi esploratori!
Su internet potete trovare tutte le informazioni che vi servono sulla storia del sito ed anche una piantina, ma riporto di seguito alcune brevi note su Caracol (o El Caracol), che è la più grande città Maya del Belize. Si ritiene che nel periodo di massimo splendore, intorno al 650 d.C., si estendesse su una superficie di oltre 180 kmq (3 volte l’attuale Belize city). Dal centro si irradiano 64 km di strade rialzate interne che portano alle ampie plazas e alle zone residenziali, collegando tra loro le varie parti della città. Nel periodo di massima espansione, Caracol contava probabilmente 150.000 abitanti, più del doppio rispetto all’attuale popolazione di Belize City. Non potendo disporre di fonti d’acqua naturali, gli abitanti scavarono bacini artificiali per raccogliere l’acqua piovana e crearono così vasti campi terrazzati. L’area centrale della città era ricca di templi, palazzi, trafficate arterie, laboratori artigianali e mercati, ma gli scavi si concentrano soprattutto presso la Plaza A e la Plaza B. La struttura di maggior interesse è il Caana (Palazzo Celeste), ubicato nella Plaza B e che con i suoi 43 m è a tutt’oggi l’edificio più alto del Belize! Il Caana fu costruito in fasi successive e completato intorno all’800 d.C.. Comprende quattro palazzi e tre templi. Alcuni alti scalini, che si fanno sempre più stretti a mano a mano che si sale, conducevano con ogni probabilità agli appartamenti della famiglia reale, dove è stata riportata alla luce la Struttura B-19, sede della tomba più grande ed elaborata di Caracol. Si può scalare il Caana per ammirare il panorama. Un monumento trovato a Caracol registra una vittoria militare sull’esercito di Tikal, avvenuta nel 562 d.C.; la stele mostra il Signore dell’acqua di Caracol che ha catturato e sacrificato il Doppio Uccello di Tikal. Questo evento appare coerente con le evidenze archeologiche ed epigrafiche che indicano intorno a questo periodo l’avvio del declino nella popolazione di Tikal, la fine della costruzione di monumenti e la distruzione di alcuni monumenti nella Grande Plaza. L’ultima data registrata su una stele a Caracol è nell’859 e la città fu completamente abbandonata nel 1050 e rimase nascosta dalla foresta fino a quando Rosa Mai, un tagliatore di piante di mogano, la scoprì nel 1937.
Il terzo giorno inizia di mattino presto, con la visita a Xunantunich. Il sito è molto facile da raggiungere, a pochi minuti da San Ignacio, lungo la strada verso la frontiera con il Guatemala. Si parcheggia sulla strada e si scende sulla vicinissima sponda del fiume, dove si prende la chiatta che porta sull’altro lato (la classica chiatta che scorre a mano lungo i cavi di acciaio, che ogni tanto si vede nei film western). Se il livello del fiume lo permette, si attraversa con l’auto e così uno si risparmia la lunga camminata in salita per arrivare dal fiume al sito. Prima di salire sulla chiatta, potete prendere una guida (stanno sotto una tettoia sul bordo della strada); noi siamo capitati con Secundino Jimenez, detto Dino (xunandino@yahoo.com) e credo che siamo stati fortunati, perché si è dimostrato molto preparato e cortese. Il sito merita sicuramente la visita ed è molto ben tenuto. Io consiglio di arrivare all’apertura, alle 8 di mattina, perché fa meno caldo e c’è pochissima gente. Portatevi l’acqua, perché al sito non si vende nulla! Riporto alcune brevi note anche su Xunantunich, che era abitata probabilmente già nel 1000 a.C., quando doveva essere poco più di un villaggio. I grandi edifici che si possono ammirare oggi furono costruiti solo a partire dal VII secolo d.C.. È probabile che, dal 700 all’850, Xunantunich fosse alleata politicamente con Naranjo, 9 miglia (14,5 km) a ovest, in Guatemala. Insieme, queste due città controllavano la parte occidentale della valle del Belize River, anche se la loro popolazione probabilmente non superò mai i 10.000 abitanti. Xunantunich sopravvisse in parte al declino del Periodo Classico, cominciato intorno all’850 d.C. (quando la vicina Cahal Pech fu abbandonata), ma nel 1000 la città era ormai deserta.
Finita la visita del sito, siamo tornati alla guesthouse per riprendere le valige e partire alla volta del Guatemala. L’attraversamento della frontiera ha richiesto una quarantina di minuti ed una serie di passaggi burocratici. Riporto di seguito una breve guida che può aiutare, ma tutto diventa più semplice se avete la fortuna – come noi – di trovare Jefferson, un ragazzino molto efficiente, di 14 anni, che per pochi dollari di mancia vi guiderà passo passo nella complessa trafila.
Una volta arrivati alla frontiera, al primo gabbiotto che incontrate, vi chiedono se entrate in Guatemala con l’auto o se invece parcheggiate e proseguite per Tikal con un taxi. Quando gli dite che volete passare con l’auto, allora vi indicano di andare avanti fino all’edificio verde e giallo e parcheggiare a destra, accanto all’edificio. Appena vi fermiate, venite avvicinati da persone che vi propongono il cambio ad un tasso non proprio conveniente, ma il problema è che i GTQ vi servono per pagare le tasse di ingresso sul lato Guatemala; mi sembra di aver visto che c’è anche un cambio ufficiale, ma confesso che non ho perso tempo a cercarlo, cambiando in nero solo il minimo indispensabile. Entriamo ora tutti (autista e passeggeri) nell’edificio e andiamo al primo gabbiotto per pagare i 20 US$ a testa. Quindi passiamo al secondo gabbiotto per il controllo passaporti. Terminato il controllo, l’autista torna indietro (a noi avevano detto di uscire dalla porta fra i due gabbiotti, ma poi più semplicemente ci hanno rimandato all’ingresso) e va a prendere l’auto mentre i passeggeri escono dalla porta sul fondo. I passeggeri aspettano l’auto nel piazzale subito fuori la porta mentre l’autista arriva con l’auto, facendo il giro dell’edificio (qui entra in campo Jefferson). Risaliti sull’auto, si va alla disinfestazione, che è proprio di fronte. Usciti dalla disinfestazione dell’auto, che dura pochi secondi (suggerisco di attivare il ricircolo), si parcheggia di nuovo l’auto vicino all’edificio a sinistra e si scende. Prima si paga il servizio di disinfestazione all’edificio sulla destra (17 GTQ) e quindi si va nell’edificio a sinistra, dove tutti fanno il controllo passaporti alla parte destra del banco. Quindi l’autista fa il controllo alla dogana per l’auto (parte sinistra dello stesso banco); consegna i documenti ricevuti da Crystal e l’addetto esce a controllare il veicolo. Si firmano un po’ di documenti e poi si vanno a pagare 160 GTQ allo sportello sul muro a destra. Quindi si torna dal funzionario della dogana che ti da un adesivo da mettere sul vetro dell’auto e il foglio di autorizzazione per l’auto (da conservare e mostrare alla Polizia in caso di controlli) e il gioco è fatto. Per finire, si esce, si incolla l’adesivo nella parte inferiore sinistra del parabrezza, si risale tutti in auto e si passa il ponte, al termine del quale si pagano 20 GTQ (ma se c’è la persona, altrimenti no) e siamo finalmente in Guatemala. Approfittate di Melchor de Mencos per cambiare un po’ di euro o dollari
La prossima tappa sono le rovine di Yaxhà, ma data l’ora facciamo prima una sosta per il pranzo a El Portal de Yaxhà, posto sulla strada principale, qualche decina di metri dopo il bivio per il sito archeologico (è un piccolo ristorante autenticamente locale, che consiglio, se vi piace immergervi nella cucina del posto). La strada per Yaxhà è lunga circa 8 km, sterrata e a tratti sconnessa, ma vi sembrerà una passeggiata dopo quella fatta per andare a Caracol. Anche qui siamo stati scelti da una guida (rassegnatevi: non siete voi a scegliere le guide, ma solo loro a scegliere voi; l’importante è chiarire prima il compenso pattuito). Il biglietto si paga solo in contanti e solo in GTQ (ecco perchè bisogna cambiare alla frontiera o a Melchor de Mencos). L’edificio più notevole di Yaxhà è la struttura 216, nell’Acropoli Est, quasi all’inizio del sito. Si sale fino in cima e si gode uno splendido panorama sul lago. Yaxhà fu scoperta nel 1904 dall’esploratore austriaco Teobert Maler, che stava remando attraverso il lago Yaxha e si accorse di una lunga catena di collinette nella giungla. Convinto che queste fossero rovine maya, iniziò immediatamente le esplorazioni. Il sito però è diventato popolare solo negli ultimi anni, grazie al reality show televisivo americano Survivor: Guatemala – The Mayan Empire, che è stato girato qui nel 2005 (potenza della televisione!). La relativa mancanza di monumenti scritti rinvenuti a Yaxhá ha reso difficile rintracciare la sua storia, anche se sembra che sia stata una protagonista importante durante il periodo classico, con una popolazione di oltre 20.000 abitanti. Si ritiene che Yaxhá sia stata impegnata in una continua lotta di potere durante gran parte di questo periodo con il suo vicino più piccolo, Naranjo, a circa 12 miglia (20 km) a nord-est e sembra che alla fine Naranjo invase Yaxhá nel 799 d.C.. Terminata la visita, si va a verso il Lago Petèn Itzà. Noi abbiamo scelto l’albergo Isla de Flores, posto appunto sull’isola, per godere appieno del fascino di questo caratteristico quartiere di Flores, ma vi sono tantissime altre sistemazioni, sia a Flores, sia a El Remate, se volete stare in un posto più tranquillo ed economico.
Siamo arrivati al quarto giorno. La partenza è al mattino presto per Tikal, in modo da arrivare alle 8 alla biglietteria, che si trova all’ingresso del Parco, ben 17 Km prima del sito. La strada è comoda e non vi sono problemi. In questo modo avrete meno caldo e meno gente. Arrivati all’ingresso del parco, vi fermano e si scende per andare a fare i biglietti (150 GTQ a persona) . Se volete andare anche a Uaxactun, serve un altro biglietto (50 GTQ a persona). Non sono sicuro che si possa pagare con carta di credito e quindi portatevi i GTQ. Alla sosta per la biglietteria trovate anche le guide, se siete interessati (non è obbligatorio, ma lo consiglio, come per gli altri siti). Riprendete l’auto e vi fate i 17 km che separano dal sito, con il limite di 45 km/ora (alla partenza vi danno un foglietto con l’orario, che poi riconsegnate all’arrivo, così da controllare il tempo impiegato: in pratica un tutor manuale). Dentro al sito si trovano punti di ristoro e bagni disseminati nella vasta area. I sentieri sono ben tenuti e i percorsi segnalati; come detto, una guida semplifica però molto la visita (conoscono anche i sentieri per accorciare il percorso). Andate al posto di controllo all’ingresso del sito e fatemi mettere il braccialetto di riconoscimento e poi cominciate la visita. Il pezzo forte è sicuramente la piazza principale, con il Tempio del Giaguaro (tempio I) e il tempio della Maschere (tempio II); la vista è stupenda e la salita sul tempio II è irrinunciabile. Si cammina a lungo (3 ore è il minimo) ma generalmente all’ombra, mentre le scimmie saltano sugli alberi. Sentirete probabilmente il verso delle scimmie urlatrici, che vi accompagnerà per tutta la visita. Si sale anche sul Tempio IV, che sbuca sopra le cime degli alberi e permette di osservare il mare verde che circonda tutto. Dal punto di vista storico, è certo che gli Itzá, che fondarono Tayazal (l’odierna Flores), e vi abitarono fino alla conquista spagnola del 1697, fossero a conoscenza dell’esistenza di Tikal e probabilmente vi si recavano per pregare nei santuari delle antiche divinità. I frati missionari spagnoli, che dopo la conquista si trasferirono nel Petén, lasciarono brevi riferimenti a queste strutture immerse nella giungla, ma i loro scritti rimasero sepolti per secoli sugli scaffali delle biblioteche. Altri cenni a una favolosa città di pietra nella giungla si trovano in altri scritti nel corso del XIX secolo e forse anche per questo nel 1848 il governo guatemalteco autorizzò una spedizione per ispezionare il sito di Tikal. Gli scavi di Tikal su basi scientifiche ebbero inizio però solo nel 1881. L’elemento più straordinario di Tikal sono i suoi imponenti templi, strutture dai fianchi molto ripidi e alti più di 44 m; tuttavia, il suo fascino si deve al fatto di essere immersa nella giungla. Le sue tante plazas sono state sgombrate da alberi e rampicanti che ricoprivano gli edifici, che sono stati scavati e parzialmente restaurati, ma spostandoci a piedi da un punto all’altro passeremo accanto a decine di “collinette” che nascondono ancora oggi altri templi e strutture.
Terminata la visita di Tikal, il nostro programma prevedeva di allungarci fino a Uaxactun. Il sito non ha nulla di paragonabile a Tikal, perché si tratta di poche strutture e anche malmesse, ma è una tappa esclusiva, che pochissimi fanno e questo vi farà sentire un poco esploratori, come per Caracol. Se è questo che cercate e cioè girare tra vecchie pietre, da soli, come foste i primi scopritori, allora Uaxactun è fatta per voi. Finita la visita di Tikal, tornate al posto di controllo dove vi hanno messo il primo braccialetto, per farvi aggiungere quello di Uaxactun. Chiedete dove si trova l’edificio dell’Amministrazione e fatevi dare il permesso per l’auto. Quindi prendete la strada attraverso il sito di Tikal seguendo i cartelli. Vi attende circa un’ora di strada in condizioni discrete, tranne il tratto centrale veramente malmesso (circa 25 km in tutto). Uaxactun è un piccolo villaggio posto ai due lati della vecchia pista di atterraggio utilizzata dai commercianti di gomma e dagli archeologi. Le aree archeologiche sono due e si trovano ai due lati della strada principale del paese, che fiancheggia la pista. L’area più vasta è quella costituita dai 2 Gruppi A e B, che si trova a nord-ovest del paese. Per arrivarci seguite la strada fino a quando finisce davanti all’ultima casa (17.3972108, -89.6362690) e quindi proseguite in salita a sinistra fino al parcheggio (17.3971228, -89.6384982). Il tratto di strada finale è peggio della strada che avete percorso da Tikal e richiede un buon fuoristrada! Una notazione di colore: nell’ultima casa della strada noi abbiamo trovato delle guide locali d’eccezione: due bambine di 9 e 10 anni, che ci hanno guidato nella visita al sito, con una serietà ed un impegno veramente strabiliante. Finita la visita della prima area, tornate indietro, riattraversando il villaggio e circa a metà del lato lungo vedrete il cartello per i Gruppi D ed E. Girate a sinistra nella strada indicata e proseguite sempre diritto. Qui la cosa più interessante sono i mascheroni sul lato della piramide davanti al Gruppo E. Lo stesso Gruppo E è perfettamente riconoscibile nella sua funzione di calendario astronomico (segnava i solstizi e gli equinozi). Uaxactun fu conquistata da Tikal nel IV secolo e rimase sottomessa alla sua vicina meridionale per molti secoli, ma ebbe un evidente periodo di rinascita nell’ultimo Periodo Classico, successivo al declino di Tikal, conseguente probabilmente alla conquista della stessa Tikal da parte di Caracol. A questo punto la visita è finita e si può riprendere la strada del ritorno, cercando di non farsi sorprendere dal buio, come invece è capitato a noi (nel caso, basta solo un po’ di prudenza in più nella guida).
Il quinto giorno è quello del ritorno in Belize. La procedura per l’attraversamento della frontiera è più complessa dell’andata (a quanto pare i Beliziani sono più esigenti dei Guatemaltechi). Si comincia attraversando il ponte per tornare all’edificio di frontiera del Guatemala (questa volta non ci hanno chiesto nulla all’imbocco del ponte, ma in compenso abbiamo ritrovato Jefferson). Si parcheggia accanto all’edificio e si scolla l’adesivo dal vetro, per incollarlo sul foglio che la Dogana del Guatemala ci aveva rilasciato all’andata. Si entra nell’edificio e si va tutti allo sportello sulla destra con la scritta “uscita Guatemala” per il controllo passaporti. Poi l’autista torna allo sportello Dogana sulla sinistra e consegna il foglio di autorizzazione sul quale è stato incollato l’adesivo; il funzionario controlla il tutto e quindi si può ripartire (questa volta non si paga nulla). Si riprende l’auto e si passa nuovamente attraverso la disinfestazione. Ci si ferma subito a destra appena usciti, per pagare il sevizio (10 dollari beliziani). Si riprende l’auto e si entra nel parcheggio oltre la sbarra e si parcheggia nuovamente. Tutti scendono dall’auto, prendendo anche tutti i bagagli e ci si mette in fila per entrare nell’edificio giallo-verde del Belize. Bisogna compilare un Immigration Form a testa (anche se su questo c’è stata un po’ di discussione) e si fa il controllo passaporti al primo sportello che si incontra. Quindi si va al posto della Dogana, che si trova subito dopo, per il controllo dei bagagli (niente frutta, birre, cibo, ecc.). Terminato il controllo, si esce dall’edificio. L’autista va a riprendere l’auto e quindi si ferma al controllo, dove verificano che non vi sia rimasto nulla; quindi procede a riprendere i passeggeri e si è finalmente in Belize. Lungo la strada si fa una tappa all’Orange Gallery, per comprare qualche ricordo e a un ristorante, magari a Belmopan e quindi si arriva a Belize City. Una volta sistematici in albergo (noi abbiamo preso Villa Boscardi, un’ottimo B&B). C’è ancora il tempo per un giro di Belize city, escludendo però i musei, ormai chiusi. Non che ci sia molto da vedere, ma le cose più interessanti sono concentrate tutte nell’area centrale, attorno allo Swing Bridge, che pare sia rimasto l’unico ponte mobile al mondo ancora azionato manualmente. Costruito presso le fonderie di Liverpool, fu installato nel 1923 in sostituzione di quello precedente, che era stato inaugurato nel 1897. Oggi lo Swing Bridge viene aperto raramente se non per consentire il passaggio delle navi più alte in vista di qualche seria burrasca. Dal ponte parte Albert St, che è il cuore del centro di Belize city (diciamo il corso principale). In fondo c’è la St John’s Cathedral, che è la più antica chiesa anglicana dell’America Centrale. Fu costruita tra il 1812 e il 1820 grazie al lavoro degli schiavi, che impiegarono mattoni arrivati dall’Inghilterra come zavorra per le navi. Girando a sinistra intorno alla chiesa, troviamo subito la Government House. Affacciata sul mare, questa bella dimora coloniale in legno a due piani fu la residenza dei sovrintendenti e governatori britannici del Belize dal 1814, anno in cui fu costruita, sino al 1996. proseguendo diritto per la parallela ad Albert St, quasi alla fine della strada incontriamo la Court House e cioè il palazzo di giustizia, che non passa inosservata. L’edificio fu costruito nel 1926 come quartier generale dell’amministrazione coloniale del Belize in sostituzione di una precedente struttura in legno distrutta da un incendio. Ancora oggi svolge funzioni amministrative e giudiziarie. Riattraversiamo il ponte e giriamo a destra, verso il Fort George Lighthouse, un piccolissimo faro che guida le imbarcazione all’entrata dell’Haulover Creek. Fu costruito con i fondi lasciati in eredità alla città dal barone Bliss, la cui tomba si trova proprio alla base del faro. Subito prima del faro, c’è la scritta colorata BELIZE che ogni tanto si vede nelle foto su internet. Due Parole sul Barone Bliss, che è un personaggio noto in Belize (ancora oggi, il Il Baron Bliss Day viene celebrato ogni anno il 9 marzo, anniversario della morte, o intorno a questa data) Nato nel 1869 in Inghilterra, Henry Edward Ernest Victor Bliss era un grande amante del mare, al punto che nel 1920 lasciò la moglie e la terra natia per i Caraibi, e trascorse i sei anni successivi vivendo a bordo del suo yacht Sea King II. Nel 1926 si ammalò per una grave intossicazione e allora accettò l’invito del procuratore generale del Belize e gettò l’ancora al largo del paese il 14 gennaio 1926. Purtroppo, la salute del barone Bliss subì un grave peggioramento e mori prima che egli potesse sbarcare dal suo yacht, ma non prima che firmasse un nuovo testamento, nel quale lasciava gran parte della sua fortuna (un milione di sterline) al Belize. A quanto pare, si era innamorato del Belize senza aver mai messo piede sul suo territorio! A questo punto il viaggio è finito. Domani si rientra a Miami e poi in Italia, ma il verde intenso della lussureggiante vegetazione, il mistero delle rovine maya e le roche grida delle scimmie urlatrici torneranno con noi, racchiuse nei nostri ricordi.