Crociera fluviale da San Pietroburgo a Mosca
Una crociera che attraversa laghi e fiumi che parte da San Pietroburgo, arriva a Mosca e tocca Mandroga, Khizi, Goritzy, Yoroslav, Uglich
I PREPARATIVI DEL VIAGGIO
Anche se la pratica per il visto va avviata quaranta giorni prima della partenza, io comincio con un po’ in anticipo e nel mese di giugno compilo sul sito https://visa.kdmid.ru il modulo di richiesta; a fine giugno lo stampo, appongo la data, lo firmo e infine lo spedisco all’agenzia tramite assicurata insieme al passaporto e una foto recente. Passaporto e visto verranno restituiti all’aeroporto di Malpensa.
Venerdì 17 agosto 2018
Partiamo alle 7.30 e alle 10 lasciamo l’auto al Maggia Parking a Lonate Pozzolo. Nell’area 5 del Terminal 1 di Malpensa recuperiamo i passaporti con il visto. Imbarchiamo entrambe le valigie per San Pietroburgo (sigla LED). Il controllo passaporti è stato automatizzato con scansione del passaporto e foto del passeggero. Il Gate B09 apre alle 12.40. Partiamo alle ore 13.15 (con 15 minuti di ritardo) e decolliamo alle 13.30 con volo di linea Rossiya SU6674; ormai è diventata un classico la passeggiata sulle piste di Malpensa con minuti di attesa in coda prima di accedere a quella per il decollo. Il pranzo è un croissant salato con un salume affumicato, formaggio spalmabile e i famigerati cetriolini di cui faremo incetta, secondo Giuseppe.
Arriviamo a San Pietroburgo alle ore 17.30 ora locale (le 16.30 in Italia: con sole 3 ore si arriva in Russia). Il controllo passaporti e il ritiro bagagli sono abbastanza veloci. All’uscita ci attende la corrispondente Francorosso che raduna tutto il gruppo proveniente da Milano. In autobus arriviamo al porto fluviale che si trova a sud della città di San Pietroburgo. La nostra motonave Repin è ancorata in seconda fila ed è nascosta dalla Kandinsky. Ci accoglie una ragazza che su un piatto offre una pagnotta di pane con al centro un mucchietto di sale: va staccato un pezzo di pane e mangiato insieme a un pizzico di sale. È il simbolo di benvenuto russo con cui si intende offrire quanto ci sia di più prezioso, il pane che garantisce sostentamento e il sale, ingrediente importantissimo nei tempi antichi per conservare i cibi. Ci viene assegnata la cabina 145 sul ponte principale, piccola, ma con tutto il necessario. I letti sono gemelli separati da un tavolino che funge da comodino. Attaccato ad una parete c’è un piccolo tv a schermo piatto che non trasmette canali italiani, rimarrà spento per tutto il viaggio. C’è la filo diffusione che al mattino dà la sveglia con il canto degli uccellini e l’aria condizionata. Gli armadi hanno dimensioni ridotte, ma i nostri vestiti trovano spazio sufficiente. Ripongo le magliette in una piccola credenza che si trasforma in scrivania tramite una ribaltina dove dentro c’è il phon, mentre le valigie vuote finiscono sotto il letto, dove è previsto un cassettone. Il bagno ha il water sospeso e una tenda che circonda la doccia. Il lavandino è commisurato all’ampiezza della camera e sopra si trova uno specchio a doppia anta. Dopo poco tempo ci si abitua agli spazi ristretti forse perché c’è la finestra che dà sul ponte della nave e sul panorama. Sopra, la nave ha altri 3 ponti: il superiore con altre cabine e a prua il bar, quello con il ristorante e la sala giochi/biblioteca (anche se il silenzio della biblioteca è difficile da trovare in una sala giochi) con le carte, altri giochi, libri in tutte le lingue, una televisione. L’ultimo ponte ha la sala conferenza dove si tengono le animazioni o le comunicazioni importanti. Da qui si accede al ponte sole all’aperto dove ci sono le sdraio. Ceniamo con un menu fisso con mousse di pollo, minestra di verdure, spezzatino di carne e purè, ananas con gelato, tè verde. Dopo cena andiamo in centro con il taxi chiamato tramite un’app della rappresentante del tour operator per conoscere subito il prezzo della corsa, calmierato rispetto ai taxi standard. Il tassista non spiccica una parola e temiamo che non ci porti fino alla Dom knigi, la casa del libro, ma invece dopo tanti chilometri e tante deviazioni giunge a destinazione. Qui c’è una libreria che fa angolo con la famosa prospettiva Nevsky. La strada è affollata e dall’angolo della Dom osserviamo la bellissima chiesa sul sangue versato. Passeggiando incontriamo il negozio Eliseyev, da me selezionato come uno degli edifici in stile liberty (in russo modern) da vedere. Il tassista del ritorno, chiamato dalla receptionist di un hotel, è un tipo loquace, non smette di parlare in inglese e fa una deviazione per portarci a vedere delle statue con orsi in bronzo che si trovano dinanzi all’ingresso di un palazzo. Rientriamo verso l’una.
SABATO 18 AGOSTO 2018
La colazione è alle 7 con frittelle (blini e pancake) troppo unte, marmellata, qualche bignè ripieno di crema, latte (da diluire con la giusta quantità di caffè per diventare bevibile), prugne secche e tè verde Julius Meinl, nel mondo del caffè dal 1862. La casa madre è austriaca e navigando su internet scopro che ha aperto uno stabilimento di tostatura “scura” a Vicenza nel 2005, mantenendo la tostatura “chiara” a Vienna. Nel corso della crociera ho provato il tè verde alla menta, quello al gelsomino e un oolong al latte dal gusto raffinato e delicato. Si parte alle 8 invece.
La prima visita è alla neoclassica Cattedrale della Resurrezione di Cristo o sul catrame (perché qui c’era un deposito di catrame, smole in russo). Elisabetta I, figlia di Pietro il grande, il fondatore nel 1703 di San Pietroburgo, nata prima del matrimonio del padre con Caterina I, ha commissionato la chiesa all’architetto Rastrelli. Quando Elisabetta muore, Caterina II congeda Rastrelli in quanto lei non ama il barocco, ma il neoclassico. L’interno, restaurato da poco, è luminoso per i colori bianco e dorato. L’altra cattedrale vista solo dall’esterno si chiama ancora della Resurrezione, ma viene chiamata di San Salvatore sul sangue versato ed è in stile russo. Il sangue versato è quello di Alessandro II, che ha subito 7 attentati di cui quello avvenuto nel 1881 in questo luogo è stato fatale. Alla sua morte il figlio ha fatto edificare la chiesa in sua memoria. Si tratta della chiesa intravista ieri da Dom Knigi. Percorriamo in autobus la Nevsky Prospekt, la principale arteria del centro città. Dalla piazza della borsa ammiriamo il panorama sulle colonne rostrate (si chiamano così perché ci sono rostri di nave attaccati) che hanno la funzione di fari, il Palazzo d’inverno e la cupola della chiesa di San Pietro e Paolo dentro la fortezza omonima. In Konnogvardejsky Bulvar ci fermiamo al negozio di souvenir Art House, dove compro dei magneti. In strada c’è un po’ di traffico e la guida M. ne approfitta per raccontarci delle notti bianche di San Pietroburgo che durano 2 mesi dal 21 maggio al 21 luglio. La città si trova solo 6 gradi a sud del circolo polare e questo fa sì che in prossimità del solstizio d’estate il sole tramonti alle 23.30 e sorga alle 3 di notte. In compenso d’inverno ci sono soltanto 5 ore di luce. Si prosegue con la visita dall’esterno della cattedrale di S. Isacco, la quarta cattedrale a cupola più grande al mondo dopo San Pietro a Roma, San Paolo a Londra, Santa Maria del Fiore a Firenze. La cupola è stata dorata a fuoco per usare meno oro e nel procedimento è stato adoperato il mercurio che ha provocato la morte di alcuni operai. Ci spostiamo sull’isola delle Lepri verso la Cattedrale di San Pietro e Paolo che sorge dentro la fortezza omonima. All’interno l’iconostasi in legno di tiglio dorata rispetta i canoni che devono avere queste strutture: 5 livelli di icone, subito a destra del centro ci deve essere l’icona del Cristo, a sinistra quella Madonna con il bambino, poi devono esserci anche quelle dei santi a cui la chiesa è dedicata e infatti l’ultima a destra è dedicata a San Pietro, l’ultima a sinistra a San Paolo. In un’unica sala ci sono le Tombe dei Romanov (si pronuncia Romanòv, con l’accento sull’ultima sillaba), anche degli ultimi, i cui corpi sono stati sepolti qui dopo 80 anni dall’uccisione. Sono ancora da inumare quelli di Alessio e Maria, figli di Nicola II, perché sono stati gettati fuori dall’unica auto che trasportava i loro corpi per alleggerire il carico. Trovo che l’esasperazione talvolta si accanisca troppo con i corpi senza vita di quelli che hanno affamato il popolo. Gli altri sarcofagi sono di marmo bianco tranne due: è di diaspro verde quello di Alessandro II, di rodonite rossa quello della moglie Maria Alessandra. Tutte le chiese ortodosse non hanno sedie perché le funzioni religiose si seguono in piedi, nonostante possano durare più di due ore.
Pranziamo al ristorante Bering dentro l’hotel San Pietroburgo, con vista sull’incrociatore Aurora da cui è partita la rivoluzione d’ottobre. Il servizio è a buffet. Mangio la minestra di barbabietole, quella di pollo, dello spezzatino, una polpetta di pesce e una di tritato di tacchino. Qualche fetta di torta farcita e chiudo con il tè verde. Alle 13 ci aspetta l’Ermitage che volevo visitare da tanti anni portando dentro di me il ricordo del film Arca Russa, interamente ambientato qui dentro. Il museo è costituito da una serie di palazzi affiancati: il palazzo d’inverno, il grande ermitage, il piccolo e la sede distaccata degli impressionisti al Palazzo di stato maggiore generale e la visita si rivela una vera maratona per il caldo che c’è (nel museo non c’è l’aria condizionata) e per la grande folla di visitatori. L’Ermitage fu voluto da Elisabetta I che chiamò Rastrelli, ma lei morì 3 mesi prima che venisse ultimato. Caterina II amava di più il gusto neoclassico al barocco del Rastrelli. Si entra nel salone di rappresentanza che è in barocco russo (intaglio di tiglio dorato, sostituito da gesso dorato dopo l’incendio e specchi) e si rimane estasiati per la luce, le dorature, l’ampiezza degli spazi; segue la sala dei feldmarescialli con un grande lampadario in rame dorato, la sala piccola del trono, la sala degli stemmi di 1000 metri quadri, la sala grande del trono di 950 metri quadri, con pavimenti intarsiati con 16 tipi di legni pregiati che riprendono il decoro dorato del soffitto. Nella sala dei padiglioni c’è l’orologio del pavone in cui un meccanismo muove l’uccello e altri animali. Si prosegue con le sale dedicate agli artisti italiani tra cui la piccola Madonna di Simone Martini, la Madonna Litta di Leonardo il cui volto è molto più bello della Madonna Benoit. La loggia di Raffaello contiene riproduzioni dei suoi quadri. Bella la Madonna Connestabile e la Sacra Famiglia di Raffaello, la scultura incompiuta di Michelangelo chiamata Ragazzo accovacciato. Inconfondibile il suonatore di liuto di Caravaggio, dove sono rappresentati tutti e 5 i sensi. Al nuovo Ermitage noto la scultura la morte di Adobe, di Goya il ritratto dell’attrice Antonia Zarate, di Murillo Riposo nella fuga in Egitto, di Rubens Carità romana di cui mi colpisce per la sua bellezza il volto della figlia che allatta il padre che è in carcere per non farlo morire. Ritrovo le sculture di Canova (Amore e psiche e la Maddalena penitente) già viste a Villa Carlotta sul lago di Como: di alcune opere gli artisti facevano più di una copia.
Attraversiamo la piazza dove c’è l’alta colonna di Alessandro II e andiamo a vedere la mostra sugli impressionisti, da qualche anno spostata in un’altra sede. Questa parte è stata ristrutturata e oltre ad avere meno visitatori, è provvista di aria condizionata, quindi la visita è più abbordabile. Ci sono quadri di Monet, Van Gogh, Pizarro, Gaughin, Matisse. Mi colpiscono molto le 3 tele, secondo me simboliste, di Maurice Denis che raccontano la storia di Amore e Psiche. Qui la guida afferma che nessuno racconta quello che succede dopo che i due innamorati coronano il loro sogno d’amore. Non si parla mai delle incombenze che vengono dopo, come fare la spesa o cucinare.
Rientriamo verso le 18 sul battello, abbastanza stanchi. Ho sempre immaginato che avrei visitato l’Ermitage con fuori la neve, non avrei mai pensato che l’avrei associato a una sensazione di soffocamento… forse val la pena ritornarci in un’altra stagione, quando i turisti mordi e fuggi scelgono altre mete. Cena alle 19.30 con insalata caprese (la presunta mozzarella è un suo surrogato ed è tutto troppo unto: sufficiente), zuppa di pollo (buona, facciamo il bis), filapia (un pesce dal gusto delicato senza lode e senza infamia) con patate fritte (anche queste unte), torta farcita (buona). Dopo cena con mio marito ci avventuriamo a prendere autobus e metro per vedere la stazione Vitebskyj Vokzal da cui un tempo partivano i treni per Odessa. Invece di prendere il 119, come consigliato nelle indicazioni del battello, intuiamo che va bene anche l’8 dai segni che ci fa l’autista alla fermata. Facciamo il biglietto sul pullman che ci porta fino alla fermata Lomonosovskaya della linea verde. Qui chiediamo 4 biglietti e all’inizio non capiamo che ci hanno venduto dei gettoni. I nomi delle stazioni sono in cirillico, ma sui vagoni c’è anche la traslitterazione in caratteri latini. Cambiamo per prendere la linea 1, con fermate più decorate della precedente. Scendiamo a Puskinskaya (dove c’è una statua del poeta) e troviamo vicino la stazione dove per entrare bisogna passare tutto sotto il metal detector. Stiamo per desistere, poi chiedo se posso entrare, vista tutta la fatica che ho fatto per arrivare fin qui. Salgo le scale, come indicato dalla gentilissima signora che sorveglia l’ingresso e ritrovo tutti gli ambienti visti nelle foto che ho trovato su internet, con la bellissima sala d’attesa al secondo piano, uno splendido arco che apre su quello che doveva essere il bar (il bancone in legno è notevole). Qui ogni cosa parla di art nouveau: ringhiere, specchi, biglietterie, ma c’è un problema: è tutto al buio e la guardia non so cosa mi abbia detto quando ho provato a premere l’interruttore per accendere la luce. Non credo che siano molto abituati ad avere visitatori più interessati all’architettura modern che a prendere il treno. Rientriamo verso le 23.30.
DOMENICA 19 AGOSTO 2018
Sveglia alle 7 e colazione con yogurt alla fragola e cereali, torta farcita e torta di ricotta. Rinuncio al latte che ieri non aveva un buon gusto e finisco con il tè verde. Alle 8.15 si parte per l’escursione facoltativa al Palazzo Pushkin, residenza estiva degli zar. Il palazzo prende il nome dallo scrittore che qui ha frequentato il liceo imperiale fondato da Alessandro I per istruire i futuri vertici dello stato. Prima si chiamava Carskoe Selo, il villaggio degli zar. Cento anni dopo la sua morte prese il nome di Puskin. Arrivando sulla sinistra si vede una villa di due piani di colore giallo: in questa dacia Puskin trascorse la sua luna di miele nel 1831. Sarebbe morto in duello 6 anni dopo, nel 1837 a 37 anni sfidando Georges D’Anthès che si diceva avesse una relazione con la moglie di Puskin. Il palazzetto fu costruito da Caterina I, moglie morganatica di Pietro il grande. Alla morte di entrambi, la madre lascia la proprietà in eredità ad Elisabetta, la bastarda, che decide di riedificarlo: chiama Rastrelli per dargli lo stile barocco russo. Morta Elisabetta, le succede Caterina II, che cambia gli interni e li rende neoclassici. Alla morte di Caterina, la resistenza estiva viene usata solo come sede di rappresentanza, in quanto ogni regnante era solito costruirsi la propria residenza. All’interno si trova la camera d’ambra del Baltico che ha una storia singolare. In origine era stata costruita da Federico I di Prussia. Suo figlio la donò a Pietro il grande, in cambio di una nave e altri doni. Quando i pannelli arrivarono in Russia non vennero montati perché le pareti della stanza erano più grandi di quella originaria. Finirono dimenticati in un magazzino. Quando gli successe Elisabetta, chiese a Rastrelli di montarli inframezzando specchi. Rimasero a Puskin fino al 1941, quando vennero smontati dai Tedeschi e mai più ritrovati. L’attuale configurazione è stata realizzata partendo dalle foto e si sono usate 6 tonnellate di ambra e la stanza è stata riaperta dal 2003. Lungo la strada per arrivare a Puskin, dei cannoni, un ruscello e un monumento indicano il fronte: al di là del ruscello c’erano i tedeschi che hanno devastato la residenza; per esempio i pavimenti in legno sono stati rifatti perché gli originali sono stati usati come combustibile dai tedeschi. Solo le ultime sale hanno pavimenti originali, ma sono stati così tanto levigati che un’ulteriore levigatura sarebbe impossibile; per questo motivo prima di entrare abbiamo dovuto indossare delle pattine sulle scarpe. La città di San Pietroburgo fu assediata dal settembre del 1941 al gennaio del 1943; in situazioni difficilissime e attraverso il sentiero ghiacciato del lago Ladoga alla città arrivavano approvvigionamenti e donne e bambini venivano evacuati.
Ma torniamo a parlare di Puskin. Il palazzo è molto lungo, ma poco largo, così si passa da una sala all’altra attraverso la galleria dorata, una serie di porte di tiglio dorato che si susseguono. Entriamo dallo scalone di rappresentanza che ricorda quello del Palazzo d’inverno visto ieri all’Ermitage, passiamo nella Galleria luminosa con soffitto affrescato da Valeriani, poi nella sala da pranzo dei cavalieri con stufe di Deft dove sui tavoli ci sono servizi con i simboli delle varie cavallerie. La sala da pranzo ha un servizio di Meissen. In una teca c’è una porcellana chiamata boul de neige che veniva usata come profumatore d’ambiente. La sala dalle lesene cremisi presenta strisce verticali di stagnola coperta da vetro: è stato l’artificio di Rastrelli per imitare il vetro di Murano difficile da fare arrivare da Venezia senza romperlo. La sala d’ambra non è fotografibile: presenta tutte le pareti a mosaico d’ambra alternate a specchi. Ci sono dei quadri di commesso fiorentino che rappresentano i 5 gusti: tatto e olfatto, gusto, udito, vista. Si prosegue con la sala dei quadri con 130 ritratti, il soggiorno bianco, la stanza di Alessandro I, nipote di Caterina II. Secondo la zarina, il proprio figlio Paolo I non era in grado di governare e lei avrebbe lasciato il potere direttamente al nipote. La stanza di Paolo I è in stile neoclassico (sembra un vaso Wedgwood) e ha il pavimento originale. Nel corridoio che conduce al giardino ci sono le foto di come era stato ridotto il palazzo durante l’occupazione tedesca: la galleria luminosa dorata aveva perso le dorature e a malapena era rimasto l’intonaco. Uscendo nel vasto giardino, c’è la galleria Cameron, fatta costruire da Caterina per non fare scale (negli ultimi anni le era difficile camminare). Il laghetto di fronte alla galleria ha delle costruzioni chiamate ammiragliato perché ospitavano i vari tipi di imbarcazioni possedute da Caterina. Nel giardino è seppellita, sotto una piramide, Zimira, la cagnolina di Caterina.
Poco distante c’è un padiglione chiamato grotta (un tempo alle pareti erano attaccate conghiglie) dove abbiamo sentito un canto a cappella eseguito da 4 uomini, tra cui un orientale. L’ermitage (eremo) è un altro padiglione a un solo piano, dove c’è un tavolo che con un sistema di carrucole si sollevava al piano di sopra, una sorta di antesignano dell’ascensore che permetteva in pochi minuti di trasformare una sala da pranzo in un ambiente da ballo. Tutto era stato pensato affinché i regnanti non facessero troppa fatica. Chiediamo alla guida di raccontarci la storia di Caterina. Pietro il grande aveva scelto per la figlia Elisabetta un fidanzato che a lei piaceva tantissimo, ma purtroppo lui muore e lei sceglie come suo successore il figlio della sorella, il futuro Paolo III e come sua futura moglie una discendente della casa tedesca a cui apparteneva il suo fidanzato, alla cui famiglia lei era rimasta legata anche dopo la morte del promesso sposo. La futura moglie di Paolo III diventerà Caterina la grande. Nei suoi diari lei scrive che la prima notte di nozze, il futuro zar le chiese di giocare con i soldatini di ferro invece di consumare il matrimonio; e così, dopo 8 anni di matrimonio non c’era ancora un erede. Le venne presentato un altro uomo e dopo 9 mesi nasce Paolo I che, in futuro, lei stessa giudicherà inadatto a governare e a lui preferirà il figlio di questo, Alessandro I. Ci fermiamo a Puskin in un negozio di souvenir con bei libri e matrioske la cui origine risale solo alla fine del 1800 e deriva da un giocattolo giapponese che al suo interno ne conteneva altri. Originariamente con la matrioska si intendeva rappresentare la famiglia russa: dentro una bambola donna c’è n’è una di uomo, poi una di donna e così via, a rappresentare tutti i componenti. Venne presentata all’esposizione di Parigi del 1900. Talvolta viene realizzata con la tecnica a Khokhloma d’oro, dove dopo avere ricavato la forma dal legno di tiglio, ed effettuato il disegno ad olio, viene spalmata la polvere di alluminio che le conferisce la doratura. Pranziamo in battello alle 12 con insalata con dadini di pollo, ravioli russi (pelmeni) in brodo, stufato con purè di patate, mousse ai frutti rossi, tè verde.
Alle 13.30 andiamo in pulmann a Piterhof cioè l’orto di Pietro che serviva da appoggio allo zar durante la costruzione della fortezza di Kronstad, non distante da lì. La struttura venne ampliata e arricchita con 150 fontane che ricevono l’acqua da sorgenti provenienti dalle colline di roccia attraverso tubi sotterranei di quercia. L’80% dei tubi sono quelli fatti posare da Pietro il grande. Grazie al dislivello di 15 metri, gli zampilli non hanno bisogno di pompe o motori per scorrere né del riciclo e l’acqua uscita dalle fontane finisce in mare. Le fontane sono attive da inizio maggio a fine settembre, mentre negli altri mesi i bronzi dorati sono coperti e i tubi svuotati per evitare i danni del ghiaccio. Purtroppo piove e tira vento e la nostra visita ai soli giardini (la guida ci dice che gli interni sono molto simili alla residenza di Puskin) si rivelerà molto umida. Si comincia con la fontana più bella che è quella di Sansone, quella della Serra, del tritone che sconfigge il mostro marino (si tratta di un’allegoria politica: il tritone è la Russia e il mostro marino la Svezia sconfitta; le tartarughe zampillanti rappresentano gli alleati). La successiva fontana ha una cascata che riproduce la scacchiera. Sembra fatta di marmo, ma è di legno. Durante una pausa chiedo alla guida se lo stato supporta le donne separate. Lei dice che in Russia esiste solo il divorzio, non la separazione e 8 coppie su 10 divorziano. Alla moglie spetta una percentuale dello stipendio del marito, ma lui riconosce solo una parte della paga ufficiale, quindi una donna sa di potere contare solo sul proprio lavoro per potere crescere i figli. Insomma ci fa capire che per vivere le persone svolgono più di un lavoro. Si prosegue con la visita. Un’altra fontana spruzza l’acqua formando un semicerchio e quando c’è il sole brilla, dandole l’appellativo di dorata: noi non possiamo che crederle sulla parola. Un viale conduce al padiglione Mon Plaisir: ai lati del selciato corre un tubo con 300 ugelli: Pietro il grande si divertiva a spruzzare i suoi ospiti che tra abiti lunghi, cipria e parrucche talvolta infarinate potevano decidere di tornare indietro a cambiarsi oppure proseguire fino a raggiungere il padiglione in condizioni ridicole. Se avessero scelto di tornare indietro sarebbero arrivati in ritardo e per punizione Pietro gli avrebbe fatto bere un litro di vodga: in un caso o nell’altro il piacere per Pietro era assicurato. Un altro scherzo d’acqua consisteva nel passare sopra dei sassi senza calpestare quelli che azionano zampilli: la guida è riuscita a non farsi bagnare, io sono stata lavata, così oltre all’umido della pioggia si aggiunge quello dello scherzo d’acqua. Oltrepassato il padiglione, si apre il golfo di Finlandia che oggi è plumbeo perché è nuvoloso e piove. La fontana del paradiso ha due vasche distanti l’una dall’altra con al centro le statue di Adamo da una parte e Eva dall’altra. La fontana più recente ad essere realizzata (ed anche restaurata) è quella dei leoni con statue di leoni ai lati e colonne di granito del posto. Verso l’uscita un busto commemora la morte prematura per tubercolosi della bellissima figlia di Alessandro I. Si dice che le sue tre figlie fossero tra le più belle tra le teste coronate. Rientriamo sul battello verso le 17 e comincia a piovere a dirotto. Secondo la guida a San Pietroburgo piove 300 giorni l’anno. Salutiamo la nostra guida perché lei esercita solo a San Pietroburgo.
Alle 19 assistiamo alla partenza del battello dalla sala giochi. Il viaggio comincia dalla Neva (si pronuncia Nevà) per circa 70 km. Alle 19.30 c’è un cocktail con il comandante e alle 20 la cena con insalata verde e pomodorini, brodo con piccole palline, tonno con verdure e salsa teriaki, torta macco farcita al cioccolato e caramello. Dopo cena assistiamo a uno spettacolo di canzoni popolari russe, dove si suona la balalaica e la fisarmonica e poi giochiamo a scopa. A mezzanotte comincia la navigazione nella parte sud del Ladoga (si pronuncia Làdoga), il più grande d’Europa, 18.000 chilometri quadri. Durante l’assedio di Leningrado durato 900 giorni attraverso il lago ghiacciato arrivavano i viveri per gli uomini e le donne e bambini riuscivano a fuggire. Ladoga fa parte della strada della vita.
LUNEDÌ 20 AGOSTO 2018
Durante la navigazione del Ladoga verso le 4 del mattino si è ballato un po’ a causa delle onde. La navigazione sui laghi può rivelarsi complicata a causa delle onde che possono arrivare fino a 4 metri (il nostro battello riesce a navigare in sicurezza con onde fino a 2 m di altezza). Ci svegliamo alle 7, facciamo un giro sui ponti del battello per ammirare il paesaggio ricco di boschi e con qualche campeggiatore. Dopo la colazione c’è una presentazione della crociera fluviale.
Il tragitto da San Pietroburgo a Mosca va in salita perché si parte dal mare. Si attraverseranno 17 chiuse, di cui alcune molto strette, mentre la chiusa di Rybinsk è quella più larga perché può contenere 2 navi in una direzione e 2 nell’altra. Dopo questa chiusa si entra nella Volga (i fiumi in Russia sono al femminile) fino a Yaroslav, capitale dell’anello d’oro. La strada fluviale per unire la Moscova alla Volga (canali di Mosca), abbozzata da Pietro il Grande, venne completata durante il periodo sovietico da Stalin che impiegò la forza lavoro dei prigionieri politici che furono costretti a scavare a mano. La realizzazione di quest’opera ciclopica garantì a Mosca l’approvvigionamento d’acqua della Volga e la produzione di energia elettrica tramite le centrali. Si tratta di 128 km costruiti artificialmente dal 1932 al 1937. Durante i lavori i prigionieri del Gulag hanno spostato 2 milioni di metri cubi di terra. Tanti hanno perso la vita in questa opera. A Uglich c’è la produzione di orologi meccanici. La chiusa di Uglich ha delle decorazioni scolpite nel legno. Alcune ore dopo Uglich si vede il campanile allagato di Kalyazin. Seguono i canali di Mosca, per arrivare al porto fluviale di Mosca.
Alle 11 c’è la presentazione dei prodotti artigianali. Dopo la descrizione della matrioska, si parla degli scialli, in lana con frangia in seta o lana. Più i nodi sono ravvicinati più sono pregiati. I disegni sono realizzati con la tecnica della cera per separare i colori. Le scatole sono di cartapesta dipinta dalle scuole delle icone. I colori sono ad olio a base di tuorlo. Quelle di legno sono una cattiva imitazione. I falsi si riconoscono perché nei bordi sono disuniformi. In Russia c’è il 90% dell’ambra del Baltico. La più pregiata è quella chiara. Alcuni prodotti cosmetici sono a base d’ambra. Le uova Fabergé erano in origine in oro, platino e diamanti, adesso sono in leghe di metalli preziosi. Verso le 12.10 arriviamo alla chiusa sulla Svir che attraversiamo in mezz’ora.
Alle 13.30 arriviamo a Mandroga (si pronuncia Màndroga), piccolo e pittoresco villaggio di casette di legno anche intagliato di recente costruzione. Prima della guerra viveva la comunità etnica dei Vepsi, sparita durante la guerra, quando il territorio era stato occupato dai finlandesi. I giovani imprenditori cercano di rilanciare l’economia del villaggio investendo sull’artigianato. Molto accogliente la casa di legno dove si trova la pasticceria con pavimento a scacchi, soffitti affrescati, credenze dove sono esposti i prodotti di artigianato e, dulcis in fundo, un bancone pieno di torte. Sotto un padiglione allestito dallo staff del battello mangiamo insalata di funghi e patate, un panino ripieno di crauti, brodo, spiedino di maiale, tortino con marmellata di frutti rossi. Ritorniamo nel negozio visto prima di pranzo dove alcune donne sono al lavoro a levigare e a dipingere il legno. Gli oggetti sono tutti decorati con maestria e compro due campanelle e un uovo di legno dipinto. Alle 14.45 si riparte. Ci godiamo i boschi su un sedile di un ponte con un bel cielo a pecorelle. Alle 17 assistiamo alla prima lezione di russo, basato soprattutto sui caratteri. Il cirillico ha lettere latine, greche, ebraiche. La prima impressione è di smarrimento. Alle 17.30 si arriva alla seconda chiusa sulla Svir: questa è sufficientemente lunga da fare entrare due battelli. Alle 18.10 si svolge una piccola visita guidata dei quadri di Repin, famoso ritrattista russo a cavallo dell’800 e del ‘900, che dà il nome al battello e i cui quadri riprodotti adornano le parti comuni. Ha ritratto Puskin, Tolstoj e l’ultimo zar Nicola II. Si prosegue con i 1000 passi muovendosi sui ponti del battello. Cena alle 19.30 con insalata e melanzane, borsh con blini, merluzzo con riso e carote, girella ai frutti di bosco (abbastanza spugnosa). Dopo cena è previsto il karaoke dove cantano a turno gruppi di russi, francesi e italiani. La giuria è fatta dalla cantante, dal musicista e dall’interprete francese del battello che ovviamente optano per un ex equo. Si prosegue con la partita a scopa in cinque nella sala della biblioteca.
MARTEDÌ 21 AGOSTO 2018
Nella notte mi sveglio e il battello sembra fermo. La sveglia è alle 6.30 e il battello è ancora fermo. Dopo colazione, dove ho mangiato degli ottimi blini farciti di ricotta, scopro che c’è un cambio di programma: alle 8 ci parla il comandante per dirci che a causa delle condizioni avverse non si andrà a Kizhi, uno dei motivi per cui meritava fare la crociera. Io sono furibonda. Da maps vediamo che siamo fermi a sud del lago Onega, quindi all’inizio della deviazione verso Nord che avremmo dovuto fare per raggiungere la cittadina. Mio malgrado proseguiremo a sud verso Vytegra per vedere un sottomarino sovietico. Un cambio alla pari tra un sito protetto dall’UNESCO e questo! Pranziamo alle 12.30 con insalata di bulgur (tipo di grano) e pomodoro (molto buona), crema di piselli con pancetta, zucchine ripiene e panna cotta con crema di fragole (uno dei migliori dolci mangiati a bordo), tè verde. Alle 13.30 piove e soffia il vento, ma ugualmente si va a vedere il sommergibile B440 costruito nel 1969 e attivo fino al 2001. Riusciva ad ospitare fino a 80 persone tra ufficiali, sottufficiali e marinai. I secondi e i terzi dovevano condividere le cuccette rispettivamente tra due e tre persone. Veniva alimentato a batteria quando era sott’acqua e tramite un motore diesel in superficie. In media una missione durava tre mesi, ma quel tipo di sommergibile doveva riemergere ogni tre giorni. Ci avventuriamo solo in sei a vedere la ridente cittadina la cui economia ruota attorno alla manutenzione della chiusa appena attraversata e alla lavorazione del legname. Le strade sono dissestate e bisogna fare slalom tra le pozzanghere per non bagnarsi completamente. Visitiamo la chiesa, dedicata alla presentazione di Gesù al tempio, di cui è stato restaurato solo un campanile a spese degli abitanti. L’interno non è dipinto e l’iconostasi è di soli due livelli. Usciamo poco dopo.
Poco più in là c’è un piccolo negozio di souvenir composto di una sola stanza, ma noi preferiamo entrare nel supermercato per comprare l’acqua. Anche se di dimensioni ridotte c’è un po’ di tutto, inclusi grossi barattoli che contengono cetrioli in salamoia. Torniamo sulla barca che siamo zuppi. Il battello parte alle 18 invece delle 16 per attaccare a un molo verso le 19. Il programma del giorno dopo ci verrà consegnato domani perché non si sa ancora a che ora arriveremo. Faccio una doccia calda e poi dormo un po’. Alle 19.30 si mangia di nuovo (oggi mi sembra di avere fatto solo quello). L’antipasto è un tacos con fagioli (è un po’ pasticciato e i fagioli non sono cotti bene), minestra di verdure, peperone ripieno, torta paradiso farcita da marmellata di albicocche che non ha molto sapore. Siamo ancora fermi e fuori soffia il vento. Insomma giornata da dimenticare. Dopo cena musica strumentale con la balalaica e la fisarmonica: suonano musica di Chaikovsky, Piazzolla, Mozart, la bellissima musica del Dottor Zivago.
MERCOLEDÌ 22 AGOSTO 2018
Ripartiamo solo alle 6 e ci aspettano 6 chiuse una di seguito all’altra. Facciamo colazione alle 8, poi partecipiamo alla lezione di russo e canticchiamo qualche canzone in russo. Alle 13.30 si mangia insalata russa con tonno (il pesce ha un gusto cattivo e lo levo dall’impasto a base di patate e altre verdure), vellutata di pomodoro con un crostini, involtino di cavolo (buono), creme caramel che viene spacciato per creme brulée. Alle 15 veniamo di nuovo convocati nella sala conferenze per comunicarci che a causa del forte ritardo non vedremo neanche Goritzy (dove arriveremmo troppo tardi per riuscire a visitarla) per proseguire direttamente verso la prossima tappa, Yaroslav. A quel punto anche i russi si ribellano. Io ho passato il pomeriggio a scrivere una lettera di reclamo e a raccogliere le firme. Verso le 18 entriamo nel lago Bianco le cui acque sono torbide di fango. Unica nota positiva della giornata: c’è stato un bel tramonto. Stasera la cena è in stile russo con esposizione del samovar e delle matrioske dipinte durante il corso di preparazione che si è tenuto sul battello. La cena prevede un antipasto di barbabietole e altre verdure, borsc (minestra con manzo, barbabietole e cavoli, non eccezionale), ravioli ripieni di patate e funghi (chiamati vikipini, si sente solo il sapore di patata), crumiri un po’ duri con il gelato alla fragola. Si chiude con il tè verde al gelsomino. Dopo cena animazione con i giochi russi: svariati trenini, una sorta di gioco con il cappello che ricorda la patata bollente: chi ce l’ha in testa quando la musica si interrompe deve ballare in centro e poi viene escluso, riconoscere bendata il proprio marito (io ho partecipato al gioco e ho subito indovinato il consorte avendo lui come segno distintivo i capelli lisci e spessi). Prima che lo spettacolo abbia inizio, decido di ingannare l’attesa andando a parlare in inglese alla signora russa che oggi era arrabbiata per non avere visto Goritzy quanto me ieri per non avere raggiunto Khizi. La avverto che noi italiani abbiamo scritto una lettera di protesta. Finiti i giochi scopriamo dal programma che il giorno dopo andremo a Yaroslav via bus da Rybinsk. La spiegazione che ci dà l’assistente è che il cambio di programma farà guadagnare tempo perché in autobus impieghiamo 2 ore mentre in battello 5; insomma quando il battello arriverà a Yaroslav, noi avremo già finito la visita e potremo riprendere la navigazione. Lei si rifiuta di raccontarlo ai turisti russi e tenta di metterci l’uno contro l’altro, senza riuscirci. Finisco per spedire anche a loro la nostra lettera di protesta che gli servirà come prova che il malcontento è diffuso.
GIOVEDÌ 23 AGOSTO 2018
Abbiamo navigato tutta la notte e adesso ci troviamo nel bacino artificiale di Rybinsk, voluto da Stalin per collegare il Volga ai fiumi del Nord ed avere così uno sbocco sul Baltico. Per fare ciò sono stati sfollati circa 700 villaggi perché sono stati allagati. All’uscita dal bacino ci attende la chiusa più larga (11 m) e artisticamente più caratteristica in quanto c’è la statua della madre Volga che chiama a sé i naviganti. Il bacino ha delle rive diverse dal resto del tragitto fatto:da nord a sud, la riva sinistra non presenta più solo boschi di conifere, ma si vedono dolci colline coltivate degradanti verso l’acqua.
Facciamo colazione alle 8. Alle 10 seguiamo un incontro sulla geografia della Russia. Per 22 milioni di km2 (57 volte l’Italia) ci sono 150 milioni di abitanti che per 2/3 vive in Europa, 15 milioni a Mosca, 5 a San Pietroburgo. Alle 10.30, durante la presentazione delle escursioni a Mosca, ci viene detto che il tour operator regalerà quella di Mosca by night. Anche se ritengo che l’offerta non sia equivalente alle due escursioni annullate, ho deciso di non intervenire per dimostrare il mio malcontento. Ho deciso che farò le mie lamentele al rientro in Italia. Alle 12 c’è il pranzo con broccoli e polpa di granchio, vellutata di cavolfiore, strudel di verdure (realizzato con la pasta sfoglia, è un piatto molto buono), crema pasticcera con ribes neri un po’ troppo amari per me. Verso le 13.15 dinanzi alla chiusa di Rybinsk c’è la bella statua della madre Volga che chiama a sé: passata infatti la chiusa comincia il Volga. Dall’inizio della crociera questa è la prima volta che la chiusa viene svuotata invece di essere riempita. Arriviamo a Rybinsk alle 15.30, dove l’attracco è vicino a un bell’edificio che è la borsa. La strada che collega Rybinsk a Yaroslav è piena di sobbalzi e senza linea di mezzeria. Poco prima delle 17 arriviamo a Yaroslav che sorge alla confluenza del fiume Volga e Kotorosl, e fu fondata nel 1010 da Yaroslav il saggio. Ci guida V., un insegnante di una certa età che in Italia sarebbe già in pensione, ma in Russia una pensione è di circa 200€!
Cominciamo le visite dal Monastero della Trasfigurazione fondato da Costantino. Qui un ragazzo del posto fa la dimostrazione di come si coniava il copeco, di cui nel giardino c’è un monumento. Proseguendo c’è un mosaico dedicato a Pociarskoro. L’orso è sullo stemma della città e un orso vive in un edificio del monastero. Passeggiando per la città troviamo la cappella di Alessandro Nieski. In una ampia piazza sorge la bella Chiesa di S. Elia del 1600, interamente affrescata dai maestri di Kostroma. Negli affreschi del 1° livello è raccontata la vita di S. Eliseo, discepolo di S. Elia. L’iconostasi presenta la vergine oginitrice (che indica la direzione). Le altre due vergini delle icone sono quella orante con le mani alzate e della tenerezza. Accanto all’icona del Cristo c’è quella di S. Elia a cui è dedicata la chiesa. Di fronte all’iconostasi ci sono due antichi troni. La guida ci mostra le icone che gli piacciono di più, tra cui quella dell’Annunciazione, del Cristo rappresentato come un angelo e senza croce e del Cristo nella sacrestia che si apre a destra dell’iconostasi; questa icona ha una particolarità: guardata da sinistra il volto del Cristo è quello di un giovane, da destra è quello di un uomo anziano. Passeggiando incontriamo la colonna dedicata al fondatore dell’università con in cima l’aquila bifronte, una testa guarda verso l’Europa, l’altra verso l’Asia. Nella piazza della confluenza tra i due fiumi c’è il monumento ai caduti della seconda guerra mondiale con la fiamma che arde e alle spalle la Chiesa della Dormizione o assunzione, illuminata dal sole e con le cupole dorate che brillano. Prima di entrare nella chiesa, ascoltiamo al pianterreno del museo dell’icona il canto a cappella di un gruppo di 4 uomini che ha suonato anche a St Moritz. Ritorniamo alla chiesa che ha particolari in maiolica sulle facciate esterne e icone moderne al suo interno. È stata ultimata nel 2010, sorgendo dove prima c’era una chiesa fatta saltare in aria nel periodo sovietico. Nel giardino di fronte ci sono le campane che saranno issate quando verrà ricostruito anche il campanile. Sulla sinistra entrando si trova un sarcofago dove sono sepolti principi del 1300. Ci muoviamo ancora a piedi verso la terrazza dove i due fiumi si uniscono. Nel giardino in basso un’aiuola ricorda i 1008 trascorsi dalla fondazione della città. Poco più in là c’è il romantico padiglione che guarda sui due fiumi. Alle 20 rientriamo sul battello che ha navigato senza passeggeri da Rybinsk a Yaroslav. Si salpa subito dopo per Uglich; da adesso il ritardo accumulato è stato annullato e si prosegue secondo la tabella di marcia.
La cena è ispirata ai pirati. Cameriere e animatori hanno decorazioni o abbigliamento piratesco. La cena prevede barbabietole in salsa di miele, zuppa di verdure, gulash con il riso (carne un po’ dura), torta di carote con salsa all’arancia (un po’ asciutta). Dopo cena spettacolo musicale con canti tipici o brani stranieri particolarmente famosi. Sia la cantante che i suonatori di balalaica e fisarmonica sono molto bravi e compriamo il cd della musica folk russa, assicurandoci che all’interno ci sia il pezzo kalinka di cui ci piace la melodia a cui ci siamo affezionati dopo che è stata cantata più volte in questa crociera.
VENERDÌ 24 AGOSTO 2018
Colazione alle 7. Poco prima delle 9 arriviamo a Uglich, cittadina di 35.000 abitanti il cui nome può derivare da ugol, angolo perché sorge su un’ansa del Volga o carbone perché qui lo si produceva o dal nome della popolazione degli Uglici, tribù ugro-finnica che viveva qui. La nostra guida Tatiana parla russo e sarà Oxana, una delle tre animatrici a tradurre in italiano. All’arrivo ci accolgono le cupole azzurre della chiesa del sangue di Dimitri, figlio di Ivan il terribile e della settima moglie, mandato in esilio da Boris Godumov, reggente di Teodoro, figlio di Ivan il terribile e della prima moglie. L’altro figlio della prima moglie fu ucciso dal padre per punire la madre per i suoi facili costumi. Dimitri fu trovato con la gola tagliata il 15 maggio 1591 a Uglich e si pensò che fosse colpa di Boris. Nella chiesa di Dimitri è affrescata la sua storia. Comincia il periodo dei torbidi con dei falsi Dimitri, tra cui uno polacco che dopo un breve periodo di regno, fu ucciso e le sue ceneri sparate da un cannone verso la Polonia. Questo periodo di instabilità ha termine quando nel 1613 viene incoronato zar Mihail Romanov, parente della prima moglie di Ivan il terribile: ha così inizio la dinastia dei Romanov che regnerà fino al 1917.
Dall’imbarcadero si percorre un pontile e un viale con bancarelle di souvenir e poi si trova una casa in legno del 1700 che era una biblioteca. In un museo che era la chiesa dell’Epifania ascoltiamo due brani cantati: romanza cosacca con un inizio dolcissimo cantato da una donna e poi la lunga strada cantata da soli uomini. Entrambi i brani sono accompagnati da strumenti musicali come balalaika di dimensioni normali e una enorme che ha bisogno del supporto per essere poggiata al pavimento ed essere così suonata.
Vicino alla chiesa di Dimitri c’è la ricostruzione di una parte di Cremlino (fortezza), fatto distruggere da Caterina II, convinta che la cittadina fosse inespugnabile e che quindi non avesse bisogno di mura difensive. Qui un Dimitri moderno aspetta i turisti per una foto. Entriamo nella Chiesa di Dimitri in stile moscovita costruita dai Romanov nel 1600; il pavimento è fatto a losanghe di ghisa. Nell’anticamera ci sono affreschi che raccontano la storia di Adamo ed Eva, rappresentati nudi, e la loro cacciata dal Paradiso. Poi c’è la sala con l’iconostasi. Non lontano c’è il Duomo della Trasfigurazione con affreschi del 1800 che riproducono affreschi di Raffaello presenti nei Musei Vaticani. Per questa tipologia di affreschi questa chiesa ricorda le chiese cattoliche. La sala con l’iconostasi, oltre alle 5 file standard di icone, ne ha una sesta in alto con dei quadri. Dal basso verso l’alto le file delle icone rappresentano i santi locali, le feste, gli apostoli, i profeti e i patriarchi. Nel campanile della chiesa, sempre staccato dall’edificio, c’è una bella mostra di scatole di cartapesta miniate da tutte le scuole: i prezzi sono da 50€ in su per quelle piccolissime. Abbiamo due ore libere che dedichiamo un po’ allo shopping: sotto i portici dell’hotel in un negozio mio marito compra un orologio per i quali la cittadina è famosa, mentre nel vialetto che abbiamo attraversato prima di arrivare alla chiesa di Dimitri ci sono tante bancarelle dove la scelta è ampia, di buona qualità e i prezzi sono onesti. Acquistiamo un carillon a forma di balalaika, una scatolina di legno con una ballerina, una sciarpa bordeau a fiori, un ombrello con le matrioske, uno strofinaccio, una matrioska da regalare.
Visitiamo in autonomia il Monastero di Bogojavlenskij che comprende più chiese, la prima con la cupola blu, internamente è in restauro, la seconda con le cupole verdi ha begli affreschi interni, ma deteriorati. Alle 13 si salpa e subito si passa una chiusa. Alle 13.30 si pranza con insalata di pollo, verdure e maionese, minestra di gamberi, salmone tritati e panna, pesce perca (un po’ asciutto e non molto gustoso), mousse al cioccolato. Nella sala della bibioteca vediamo un breve filmato su come è stato restaurato khizi, ma con un occhio tentiamo di scorgere il Campanile sommerso di Kalyazin, la cui chiesa di San Nicola del 1800 è andata sott’acqua a causa dei lavori di sbarramento del Volga voluti da Stalin che hanno innalzato la superficie dell’acqua di 12 m. Mentre facciamo la foto al campanile, i signori russi conosciuti qualche giorno fa ci invitano nel balcone della loro suite a bere chardonnay e mangiare un pezzo di cioccolato. Ci siamo messi un po’ a parlare dell’Italia e dei posti da visitare. La serata si apre con il cocktail di saluto del capitano e poi la cena di arrivederci dello staff, perché stiamo per arrivare a Mosca, dove non è prevista animazione, in quanto il battello è attraccato e la sera si può scendere per visitare la città. Si comincia con un tris di pesci affumicato tra cui salmone e storione, in un tegamino molto piccolo viene servito la julienne di pollo, da non confondere con la tecnica usata per affettare le carote: si tratta di un impasto di champignon e cipolle stufati nell’olio e legati dalla panna. Si prosegue con il salmone con purè di patate. Si chiede con la torta gelato che sfila illuminata dalle candele nella sala in cui sono state spente le luci: è l’occasione per presentare i cuochi che hanno lavorato dietro le quinte e i camerieri, tra cui la nostra dolcissima A. del Caucaso, che ha servito in modo impeccabile. Dopo cena serata dei talenti show: canti, danze, scenette preparate durante la settimana dagli animatori e dagli ospiti del battello. A. si è anche esibita scalza in un ballo caucasico durante lo spettacolo serale, ricevendo il maggior numero di applausi per la grazia con cui ha danzato.
SABATO 25 AGOSTO 2018
Nella notte abbiamo attraversato una serie di chiuse dalla Volga fino ai canali di Mosca, di cui ho già parlato. Al terminale Nord del porto di Mosca dove attraccheremo senza raggiungere la Moscova, c’è una struttura a forma di nave che è diventata il simbolo di Mosca; falce e martello sono incastonati di pietre semipreziose e la guglia ha una stella in punta.
Colazione alle 7.15 mentre il battello attraversa i canali e le loro rive si riempiono di campeggiatori e case eleganti man mano che ci avviciniamo a Mosca. Arriviamo verso le 12 al porto fluviale di Mosca, mentre stiamo pranzando con insalata di calamaro, verdure e tanta maionese, borsc con carne e cavolo, verdure grigliate (un po’ scarse, ma non ho più voglia di cibi pesanti), tiramisu (neanche tanto male). Alle 13.15 comincia il giro guidato con A. che ci indica dove si trova la fermata del metro, a circa 1 km. Ci immettiamo sulla strada circolare con 5 corsie per direzione e sin da subito Mosca si presenta come una città gigante con tanti eccessi, tra cui le 7 sorelle, i grattacieli voluti da Stalin nel 1947 per celebrare gli 800 anni dalla fondazione di Mosca, ma l’ottavo edificio non è stato mai costruito perché, dovendo sorgere vicino al Cremlino, lo avrebbe oscurato. I vari architetti che vi lavorarono, senza consultarsi tra loro, realizzarono opere simili perché conoscevano i gusti di Stalin e nel progettarli tutti si sono ispirati alle torri del Cremlino. Sorsero in poco tempo, dal 1948 al ’53, perché Stalin non amava lunghe attese. Nella Piazza Rossa domina la cattedrale di San Basilio, realizzata in legno da Ivan il Terribile e dedicata alla Madonna e ai santi dei giorni in cui vinse i tatari a Kazan nel 1552. Si tratta di nove chiese e solo una contiene il corpo di San Basilio, Vasilij in russo, il santo che predisse la morte del figlio dello zar Ivan il Terribile per mano dello stesso padre. L’ingresso alla chiesa costa 1000 rubli e secondo la guida bisogna salire alti gradini per accedere a un interno labirintico non molto interessante. Alle spalle c’è il mausoleo di Lenin, una piramide a gradoni in granito rosso d’Ucraina.
Proseguiamo per visitare la piccola chiesa della Madonna di kazan, il cui interno è affrescato. All’interno di Gum (che significa Magazzino Generale Statale) assaggio il gelato russo al cioccolato, meno cremoso del nostro, ma buono come i gelati italiani confezionati.
Guardandomi in giro i grandi marchi sono quasi tutti italiani (non manca Buccellati) e francesi. Prendendo l’autobus arriviamo al Monastero Novospasskij di fine 1400, tuttora attivo. Si tratta di un edificio religioso sufficientemente ricco perché gli antenati dei Romanov, prima che divenissero zar, erano seppelliti qui. All’interno rubo una foto all’iconostasi, poi vengo ripresa e quindi non riesco a fotografare gli affreschi. Nelle volte sotto il campanile ci sono begli affreschi recenti di ottima fattura con scene della vita di Cristo. Ci spostiamo con l’autobus all’enorme Basilica del Cristo Salvatore, adornata sulle facciate da statue in bronzo (un tempo erano di marmo). Edificata la prima volta nel corso del 1800, venne abbattuta dai bolscevichi per costruire al suo posto un palazzo dei Soviet. L’idea malata di gigantismo venne abbandonata e al suo posto venne costruita una piscina. L’attuale chiesa è stata consacrata nel 1997 in occasione degli 850 anni di fondazione della città. Gli interni molto luminosi e dorati non sarebbero fotografabili e riesco a fare solo uno scatto. Dal ponte del Patriarca che parte dal retro si vede la mastodontica statua di Pietro il Grande sopra una caravella. Opera del 1997 di Zurab Cerebeli, è una realizzazione di cui si è discusso molto, in quanto sembra più la rappresentazione di Colombo che di uno zar. Dall’autobus vediamo la statua di Gagarin, il primo astronauta. A giudicare dal tono accorato con cui la guida ci racconta la sua vita, i moscoviti devono essere molto legati alla sua figura. Poiché non si era sicuri che la navicella fosse in grado di atterrare, lui partì per la missione spaziale convinto che non sarebbe più tornato. I giornalisti avevano già preparato il pezzo sulla sua morte, ma invece la missione si concluse con successo. Sarebbe morto negli anni ’70 collaudando un aeroplano che precipitò. Arriviamo alla collina dei passeri da cui si ammira il profilo disuniforme di una città immensa. È visibile anche lo stadio della finale del mondiale di calcio di quest’anno. Alle spalle si trova l’università la cui sede è in una delle 7 sorelle: la torre più alta ospita le aule, le più basse i campus. La guida ci racconta che Mosca è la terza città più cara dopo Londra e Tokio: le case in centro possono costare 25.000€ e in periferia 1.500€. Ritorniamo sul battello per la cena con mele e sedano, minestra di zucca, polpette di cavoli, strudel, tè verde.
Alle 21.15 si esce per l’escursione Mosca by night e ad alcune stazioni della metropolitana. La prima metro è stata realizzata nel 1935, le altre nel 37. Trasporta 6 milioni di persone al giorno ed è impensabile che gli autisti scioperino, così vengono pagati 1800€, il doppio degli insegnanti. Lavorano per 12 ore e poi per 3 giorni riposano. Un biglietto costa 55 rubli, per i moscoviti il costo è alto perché nel periodo sovietico era 5 copechi. Entriamo alla fermata della circolare Belorusskaya, scendiamo a Novoslobodskaya le cui vetrate sono riparate a Riga, proseguiamo fino a Komsomlskaya, 56 m sotto, che presenta mosaici con i personaggi famosi della storia russa e lampadari di cristallo di rocca. A kurskaya corrono fascioni di bronzo con il girasole, simbolo della città di Kursk. Qui cambiamo per prendere la linea 3 e scendiamo a Khoroshevskaya, ricca di statue bronzee. Poiché vicino sorgeva l’università prima di essere spostata vicino alla collina dei passeri, gli studenti erano soliti strofinare il muso del cane del guardiano di frontiera come portafortuna per gli esami. Anche noi seguiamo il loro esempio. Passeggiamo nella piazza del maneggio dove da qualunque parte ci si volti si scorgono edifici interessanti, come quelli che ospitavano il museo di Lenin, mentre adesso ospita oggetti appartenuti a Napoleone. In mezzo ai due musei c’è una porta del Cremlino. Una mezza cupola con l’emisfero boreale è un orologio non sempre affidabile nel segnare l’ora, vicino c’è il Four Season, fedele ricostruzione nella parte esterna dell’albergo Mosca di epoca sovietica. Le fontane illuminate hanno statue di Zurab Cereteli che rappresentano le fiabe russe. In autobus passiamo vicino al Bolshoi che adesso è chiuso perché la compagnia si esibisce in giro per il mondo e poi ci dirigiamo verso Piazza della Vittoria, dedicata alla vittoria della prima guerra mondiale: i toni del rosso colorano la scritta Mosca in russo e tanti zampilli d’acqua. Dopo un’occhiata veloce ai grattacieli moderni (niente di psichedelico come in oriente) si rientra in battello dopo mezzanotte.
Domenica 26 agosto 2018
Colazione alle 7.15 e partenza per la visita del Cremlino alle 8.30. La strada è scorrevole perché è domenica mattina e facciamo una passeggiata nella piazza del maneggio, la stessa percorsa ieri durante Mosca by night. L’obelisco è stato innalzato per i 300 anni di regno dei Romanov. Il primo Cremlino era in legno (1234-1480), quello in mattoni rossi risale alla fine del 1400, quando la Russia venne riunita da Ivan III, il nonno di Ivan il terribile. Per edificarlo vengono chiamati architetti italiani, come l’italiano Fieravanti. Nel 1600 Alessio, secondo zar Romanov espelle dal Cremlino le persone semplici che vi abitavano affinché rimangano solo i dignitari di corte. Cinquant’anni dopo Pietro il Grande fonda San Pietroburgo che diventa capitale, ma gli zar continueranno a essere incoronati a Mosca. Con la rivoluzione d’ottobre, Lenin sposta di nuovo la capitale a Mosca: per alcuni mesi starà all’hotel Nazionale e poi si sposterà al Cremlino.
Vi accediamo dalla torre della Trinità e troviamo sulla destra il palazzo del congresso dei deputati, voluto da Hruscev in uno stile che stona con il contesto circostante. Adesso all’interno vengono organizzate eventi o feste anche per bambini, con accesso vietato agli adulti. Dal lato opposto si trova l’arsenale con i cannoni napoleonici esposti lungo il perimetro. Dietro il palazzo del congresso si vedono le cupole del palazzo seicentesco che sorge sopra la chiesa delle principesse, i cui affreschi sono stati cancellati da Stalin. La piazza delle cattedrali è uno scrigno di bellezze: si trovano a sinistra il campanile con la zarina campana di 38 tonnellate, di fronte la chiesa dell’arcangelo Michele, a destra la chiesa dell’Annunciazione (era la chiesa privata degli zar) e subito dopo quella dell’assunzione con i troni. Secondo il simbolismo legato alle cupole, esse sono 5 perché rappresentano Cristo e i 4 evangelisti, e quella di Cristo deve essere la più grande. Entrando nella Chiesa dell’Assunzione, notiamo che internamente le cupole sono tutte uguali perché Fieravanti non voleva perdere la simmetria, quindi affinché da fuori apparisse più grande ha ispessito l’intercapedine. Ad ogni incoronazione dello zar venivano rifatti gli affreschi: gli originari erano blu, ottenuto con la costosissima polvere di lapislazzuli; quando Alessio decide di restaurarli prima della sua incoronazione, cambia lo sfondo scegliendo come colore il più economico ocra. Una parte della chiesa conserva ancora gli affreschi originari. Avendo di fronte l’iconostasi ci sono tre troni nella chiesa: a sinistra della zarina, poi del metropolita e poi di Ivan il terribile, incoronato nel 1547 a soli 16 anni. Separata dall’iconostasi si trova da un lato una Madonna odigitria e dall’altro lato l’icona più antica raffigurante S. Giorgio, non più restaurabile (di solito le icone si restaurano dipingendoci sopra). Usciamo dalla chiesa e andiamo verso il giardino dove troviamo il cannone più grande del mondo che non ha mai sparato di 40 tonnellate e la campana più grande che pesa 212 tonnellate che non ha mai suonato; se le si gira attorno si vede chiaramente che è rotta perché probabilmente si è danneggiata durante la fusione del metallo o quando la fossa di fusione in cui si trovava è stata allagata per spegnere un incendio. Il giardino dei segreti ha ancora le rose in fiore e deve il suo nome al fatto che al di sotto del Cremlino corrono passaggi segreti noti solo a pochi. Sono stati scoperti perché un giorno un tasso è uscito fuori da un sotterraneo all’altezza della chiesa di San Basilio, mandando in panico una signora. Aspettiamo le 12 per assistere al cambio della guardia di fronte al monumento al milite ignoto: si tratta di un blocco di granito realizzato nel 1967 che reca la scritta “il tuo nome è ignoto, le tue gesta immortali”. In autobus andiamo al ristorante Bolshevik che sorge in quella che era una vecchia fabbrica di biscotti. Il menu scelto per noi è essenziale: insalata di pomodori, peperoni e cetrioli, minestra con tanto brodo e pochi funghi, spiedini di pollo con patate; ci stupiscono con un’abbondante porzione di torta al cioccolato che io accompagno con del tè al bergamotto, invece del caffè.
Alle 13.30 partiamo per l’escursione facoltativa di Sergiev Posad che è abbastanza distante da Mosca. Bartolomeo era figlio di un boiaro e insieme al fratello Stefano costruì una casetta di legno per vivere da asceti: quello sarebbe diventato il nucleo originario del complesso. Quando Bartolomeo è ordinato monaco, prende il nome di Sergio. Vivrà 78 anni e verrà seppellito nel monastero. Circondato dalle mura con torri del 1500 (dell’epoca di Ivan il terribile), il monastero racchiude al suo interno 2 cattedrali e 10 chiese, ospita tuttora 300 monaci e alcuni ragazzi che studiano; inoltre si trovano piccole strutture dove è possibile mangiare Sopra la porta di ingresso i 3 angeli rappresentano la trinità. L’edificio lungo a sinistra è la Chiesa di San Sergio con il refettorio. L’anticamera ha scene del 1911 del vecchio testamento che raccontano storie di Adamo ed Eva. La sala successiva è ampia e senza pilastri intermedi a supporto. Interamente affrescata è una gioia per gli occhi. Presenta due piccole iconostasi separate dalla porta che conduce all’iconostasi principale, il cui accesso è sbarrato da un cordone. Di fronte al refettorio c’è la piccola chiesa dello Spirito Santo e il campanile del 1700, mentre davanti c’è la Chiesa della Trinità, riconoscibile dalla fila dei fedeli in coda per onorare la salma di Sergio che è sepolto qui. Entriamo anche noi, saltando la fila che è solo per chi vuole inchinarsi dinanzi al sarcofago del santo. L’interno è buio, forse per predisporre i fedeli alla preghiera, e l’atmosfera che si respira è di puro misticismo: alcune donne intonano delle melodie dolcissime senza alcun accompagnamento musicale. I visitatori profani come noi si sentono un po’ fuori luogo. Visto il luogo ricco di devozione, non è possibile fotografare in questa chiesa. A destra del campanile c’è un capannello di gente in fila per riempire le bottiglie dell’acqua che scorga dalla sorgente scoperta nel monastero. Nei pressi c’è la Cattedrale dell’Assunzione totalmente affrescata. A sinistra dell’iconostasi c’è un mosaico che rappresenta la vergine di kazan. Terminata la visita guidata, faccio qualche giro per i negozi che non vendono oggettistica di rilievo, poi ci sediamo su una panchina al fresco perché oggi il sole picchia e alle 17 si riparte. Purtroppo la coda di auto che troviamo sulle strade è eterna, sono tanti i moscoviti che a fine week end tornano in città dalle loro dacie. Arriviamo in battello alle 19.30. Ceniamo alle 20 con manzo affumicato, minestra con cavoli e pezzi di uovo sodo, ravioli di ricotta, bignè (duro) con crema, tè verde.
LUNEDÌ 27 AGOSTO 2018
Sveglia alle 6. È giunta l’ora di fare la valigia, attività per me allettante quando si parte, molto meno quando si rientra. Colazione alle 7.30 e alle 9 seguiamo il gruppo per raggiungere il metro che dista circa 1 chilometro dal porto; la fermata più vicina è la Rechnoy Vokzal della linea 2. Scendiamo a Tverskaya alla ricerca del convento di Marta e Maria che probabilmente abbiamo trovato, ma è in restauro. Addio agli affreschi liberty segnalati dalla guida. A piedi giungiamo sul ponte Moskvoreckij dove la vista spazia a destra su uno delle 7 sorelle e a sinistra sui grattacieli, il Duomo di Cristo Salvatore, il Cremlino, la chiesa di San Basilio. Mangiamo un gelato da Gum e sempre a piedi cerchiamo il negozio Eliseevskiy. Passeggiando vediamo l’hotel Nacional del 1901, costruito da Ivanov: è chiara l’influenza liberty soprattutto nell’angolo la cui facciata è arrotondata. Le distanza a Mosca sono amplificate e a un isolato è associato un solo numero civico. Per attraversare talvolta bisogna usare i sottopassi e con il caldo che fa ci si stanca in fretta. Finalmente giungiamo al negozio: avendo i vetri oscurati da fuori non si nota lo sfarzo dell’interno, un vero tripudio per gli occhi e per il palato. I prezzi sono più calmierati rispetto al negozio di alimentari di Gum: me ne rendo conto confrontando il prezzo del tè Dammann; una scatola di latta qui costa 700 rubli mentre da Gum 1300. Compriamo del sushi di salmone e dei tramezzini per fare pranzo. Riprendiamo il metro 2 e torniamo verso il porto fluviale. Alle 16 si parte per l’aeroporto Sheremet (sigla SVO) dove si arriva, nonostante il traffico infernale, alle 16.30. I controlli cominciano appena entrati con il metaldetector e proseguono dopo il check in con la procedura di uscita dal paese e ulteriore passaggio al metaldetector. I negozi non sono tantissimi e si girano in fretta. Il gate D24 apre alle 19.40, in tempo per partire alle ore 20 (l’orario previsto era le 19:55) con volo di linea SU2414. Viene servita una cena con spezzatino di pollo e riso, insalata verde e bocconcini di pesce, biscotto farcito con della marmellata. Arriviamo a Milano alle 22.20 (arrivo previsto alle ore 22.35), recuperando l’ora persa in andata.
Bye bye, Russia.