Marocco, un assalto ai cinque sensi da diluire nel the alla menta
Quando arrivi a Marrakech hai l’impressione di aver dimenticato qualcosa… è il senso d’orientamento e la prevedibilità, ma non servono! Marrakech è troppo piena di distrazioni sorprendenti e vicoli labirintici per aderire a noiose logiche lineari. Tutto inizia e finisce a piazza Djemaa el Fna, uno spettacolo che viene messo in scena da mille anni e che non invecchia mai, un teatro di strada applaudito dall’Unesco che l’ha dichiarata “patrimonio orale e immateriale dell’Umanità”. Cantastorie che raccontano antiche leggende, incantatori di serpenti, domatori di scimmie, chioschi di dentisti che mostrano barattoli di denti ai potenziali clienti, guaritori di qualsiasi malanno (dai calli ai cuori infranti), ex venditori d’acqua con i capelli frangiati e tazze d’ottone pronti per essere fotografati (rigorosamente a pagamento) giustificando il loro storico mestiere riferendo di non aver mai venduto l’acqua ma il servizio! E’ inevitabile immergersi a capofitto nel souk della medina e perdersi tra profumi e spezie, tra infinite babbucce, tessuti tinti e stoffe colorate e, casualmente, imbattersi nella moschea e nella splendida scuola coranica, sorella di quella di Fès. L’esperienza dell’Hammam è indispensabile per capire lo spirito marocchino. Qualcuno, non solo i gestori, sostiene che il trattamento al vapore offerto ha la stessa valenza di ben 7 docce. C’è chi dice che per essere aggiornati sui gossip della città, ma soprattutto per fare affari, questo è il luogo ideale. Attenzione, però, perché nella maggior parte dei casi, gli ingressi e gli orari sono divisi: la mattina è dedicato agli uomini e il pomeriggio alle donne. Per chi preferisce condividere l’esperienza con il partner vi sono anche quelli privati.
Il ricordo di Marrakech ha il sapore della notte tra i luccichii delle mille bancarelle di cibo allestiti al tramonto, al suono della musica berbera, ma anche il colore rosso delle sue abitazioni che scintilla sotto il sole cocente. Ci inoltriamo nella Valle del fiume Dades, costellata di oasi e palazzi in mattoni di fango, chiamata fiabescamente delle mille kasbah, e tra le gole del Todra lungo gli itinerari dei nomadi, sulle piste sconnesse dell’Atlante. La strada da Tinerhir passa in mezzo a palme verdi e villaggi berberi, finché le alti pareti di roccia rossa e grigia sembrano chiudersi come le porte del paradiso. Una rete di piste sterrate e sentieri di difficili trekking collegano i villaggi dell’Alto e del Medio Atlante perlopiù inaccessibili. La regione di Azrou non appartiene al Marocco dell’immaginario collettivo. Qui lo scenario naturale di straordinaria bellezza si apre ad ampie distese di boschi di cedri, pini e prati fioriti. La sorpresa continua perché se gli stranieri visitano le medine per vedere il vero Marocco, i turisti marocchini preferiscono posti come Ifrane, che sembra una località svizzera trasferita nel Nord Africa. E’ un centro di villeggiatura invernale per i benestanti che vanno a sciare e negli altri periodi dell’anno è popolata dai ricchi studenti della sua prestigiosa università, finanziata dagli Stati Uniti.
Quando si arriva a Fès i contrasti sono evidentissimi. Il vecchio e il nuovo sono in costante collisione: l’antico profilo della città è costellato da parabole satellitari numerose quanto i minareti, ci sono uomini che guidano asini ed altri che girano in porsche, donne con il velo in motorino e teenager in jeans e Ray-Ban. Fès el-balì (la città vecchia) vanta un lungo elenco di primati: primo sito del Marocco dichiarato patrimonio dell’Umanità, la più grande città islamica medioevale del mondo e il più grande centro urbano senza traffico del pianeta. Al di là delle statistiche, comunque, la medina è un assalto ai cinque sensi: vicoli stretti e bazar pieni di bancarelle con spezie colorate e profumate, laboratori artigianali disseminati ovunque e un’interminabile parata di gente. Tra tinozze di legno per hammam e baldacchini per feste nuziali, tra teste di cammello di macellerie specializzate e i prodotti di cuoio realizzati con pelle di capra, non è raro sentire la chiamata alla preghiera o qualcuno che grida “balak” (attenzione!) per segnalare l’arrivo di un mulo carico di masserizie che cerca di farsi strada tra vicoli strettissimi.
In Marocco la concia delle pelli è una pratica medioevale mai mutata. Il lavoro è trasmesso di padre in figlio e le condizioni igieniche sono rimaste le stesse. Gli operai sono costretti a stare tutto il giorno immersi fino alle ginocchia nelle pozze piene di sostanze chimiche. Ai turisti che salgono sulle terrazze per vederli vengono fornite foglie di menta per sopportare il cattivo odore della concia, i cui ingredienti erano gli escrementi di piccione e l’urina di mucca, mescolati con la cenere e le sostanze coloranti come l’indaco, lo zafferano e il papavero. Vicoli apparentemente ciechi conducono a piazze con fontane incantevoli, dominate dal suono ritmico dei martelli degli artigiani, mentre dietro a porte finemente intagliate si cela una medersa (scuola teologica) o un riad restaurato. Anche qui il vero divertimento inizia nel momento in cui ci si perde.
Prima di visitare Meknes, tappa obbligatoria è alle rovine romane di Volubilis anch’esse patrimonio dell’umanità. Meknes ha la fortuna di trovarsi in una ricca regione agricola: olive, vino e agrumi costituiscono l’economia locale. A fine Aprile si svolge l’importante fiera dell’Agricoltura, ogni anno inaugurata dal re. Il cuore della Medina è la Place el Hedim, sorella minore di quella di Marrakech, che si apre davanti alla famosa porta Bab el Mansour. La struttura della città vecchia è la medesima delle altre città imperiali. In ordine di importanza al centro c’è la moschea, accanto la scuola coranica e la biblioteca, poi la fontana per le abduzioni e l’hammam per la purificazione, infine il forno, per dar da mangiare allo spirito e al corpo.
E arriviamo a Rabat, la capitale del regno dall’indipendenza (1956), una città coloniale dove si respira un’atmosfera cosmopolita. Con gli splendidi panorami sull’oceano e la pittoresca kasbah azzurra, ha un souk più regolare e moderno di quello delle città dell’entroterra. Dopo il colore rosso preponderante delle costruzioni di Marrakech che ricordano il deserto, il blu delle maioliche di Fès, il verde degli ulivi di Meknes, il bianco del salgemma di Rabat, giungiamo a Casablanca dove la grande Moschea di Hassan II, adagiata sul mare, accompagna l’ultimo sguardo dall’aereo, mentre torniamo in Italia, sorseggiando ancora l’immancabile e costante thè alla menta. Grazie alla recente politica riformista e al ruolo mediatore con l’Europa, il Marocco guarda al futuro con ottimismo. Le primavere arabe degli altri Paesi a medio raggio, hanno dato un grande slancio alla sua economia turistica, non senza il sostegno della gentilezza, della professionalità e della disponibilità del suo popolo.
Un viaggio alla scoperta di un paesaggio che non ti aspetti e di un sorriso che, spesso, i marocchini emigranti lasciano nel loro paese.
Stefania Altieri