Florida e New Orleans
Adatte per una vacanza "on the road"
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Diario di viaggio New Orleans e Florida 2010 E’ la terza volta che andiamo negli States. Abbiamo girato un po’ per il mondo e gli USA ci sembrano il posto più adatto per fare una vacanza “on the road”. Giorno 1 – sabato 6 marzo 2010 Sveglia 4.30 e partenza alle 5.15 La temperatura fuori è di -2°C. Lungo la strada troviamo, insolitamente per il periodo, alcune colline imbiancate. Arriviamo al ParkingGo (80 € per i 15 giorni) a Fiumicino alle 8.40 Facciamo il check in dal nuovo terminal 5, quello col nuovo body-scanner proprio ieri inaugurato ufficialmente, ma non lo vediamo nemmeno. I controlli li facciamo coi vecchi portali. Sulle balaustre ci sono numerosi poliziotti coi fucili; una situazionepiuttosto inquietante. L’aereo è in orario, anche se il volo risulterà particolarmete lungo. I sedili dell’A330 della US Airways sono comodi con inclinazione insufficiente per riposare. Il cibo è veramente buono per un pasto di classe economica. Arriviamo a Philadelphia alle 14.30. Il volo per New Orleans è in ritardo di un’ora e ci mettiamo a vedere la posta elettronica col Netbook, visto che c’è la wireless disponibile gratuitamente. Nella saletta d’attesa troviamo uno spagnolo anzianotto che ci chiede di aiutarlo a fare una telefonata. Alla fine la telefonata dovremmo fargliela fare col nostro cellulare e finchè non saliremo a bordo non si cheterà mai (in spagnolo). Sull’aereo si dorme, per fortuna e dopo aver ripreso i bagagli e comprato il biglietto dell’airport shuttle (40 $ in due), unico mezzo collettivo disponibile per scendere a downtown, arriviamo finalmente all’ Hampton inn Downtown/French quarter. Siamo ancora stanchi, ma non possiamo non andare in Bourbon street, visto che è sabato sera ed è pieno di gente che festeggia lo Spring break, la fine del semestre scolastico. Sono quasi tutti mezzi cotti dalla birra, e c’è un rigirìo di collanine di plastica a iosa, come da tradizione e come si vede nelle più classiche foto della vita notturna di New Orleans. Giorno 2 – domenica 7 marzo 2010 Sveglia ore 7.30, per fortuna abbiamo assorbito bene il fuso. Il tempo è buono e ci rechiamo subito verso il Mississippi. Ci facciamo il lungofiume fino al French market e proseguiamo per tutto il french quarter. C’è molta gente per il brunch domenicale e in molti si fanno la coda per sedersi al Cafè du Monde per gustarsi i famosi bomboloncini. Considerando quello che possiamo trovare in molte pasticcerie italiane, ci sembra che non valga la pena di stare in piedi per almeno mezz’ora Rientriamo in po’ hotel e poi, dopo un panino da Subway, usciamo a piedi verso il quartiere Warehouse, che dato che è domenica è completamente deserto. Da notare c’è solo una statua di bronzo di Benjamin Franklin che non è stata risparmiata dai dispensatori di collanine. Ritorniamo al centro commerciale sul fiume, pieno di gente, soprattutto alla food hall, poi prendiamo il tram verso Garden district. Il quartiere è bellino ma non è basilare andarlo a vedere. La maggiore attrazione poi, il cimitero Lafayette, è chiusa. In compenso qui non c’è albero che non abbia i rami pieni delle immancabili collanine colorate. Rientriamo ancora in hotel e poi andiamo a cena da Maximo’s Grill (84$). Cibo buono, ma troppo pepe in tutte le pietanze. Giorno 3 – lunedi 8 marzo 2010 Sveglia ore 8.00 e colazione. Oggi è nuvoloso. Partenza con shuttle airport alle 9.45. Oggi potevamo prendere gli autobus, dato che dal lunedi al venerdi c’è una linea che raggiunge (quasi) il centro città, ma avremmo dovuto farci 4 isolati a piedi con le valigie e poi prendere due mezzi. Il centro di N.O. non è pratico da raggiungere e soprattutto non è economico, visto che c’è solo una compagnia di shuttle o i taxi. Arriviamo in aeroporto alle 10.30 e facciamo check-in senza troppe attese. Negli USA, non c’è l’apertura degli sportelli ad orari fissi come da noi, per cui non ci sono file di rilevo. Inoltre è molto diffuso il check-in elettronico da effettuare personalmente alle postazioni pubbliche. Aspettiamo l’imbarco mettendoci a vedere un po’ di cose sulla Florida col netbook. Anche qui c’è la wireless “free”. Verso le 15.00 (qui siamo tornati avanti di un’ora) siamo a Miami. Per uscire dall’aeroporto ci vuole un quarto d’ora buono e grazie all’attesa su internet a N.O. prendiamo l’autobus 150 ($2.35 a testa) che da tre mesi collega l’aeroscalo a South Beach, fino alla zona di Lincoln sq, all’altezza della 17^ strada. Noi, che siamo sulla Collins, verso la 12^, ci facciamo, insieme ad altri parsimoniosi turisti, un po’ di strada a piedi. Qui però siamo nel regno dei “cart” usati dai disabili, per cui viaggiare con le rotelle non è un problema. Tutti i marciapiedi sono a scivolo e le valigie non incontrano ostacoli. Arriviamo all’hotel Nash (330 dollari tasse comprese, due notti, prenotato con Booking) nel quartiere Art Decò. L’hotel è tranquillo, pulito e la camera è spaziosa. Facciamo subito un giro per Ocean drive, che è piena di ragazzi. Quando venimmo cinque anni fa era un mortorio. E’ vero che per lo Spring-break i prezzi salgono, ma almeno c’è un po’ di vita. Ocean drive è tutto per Miami beach. Va fatta più volte al giorno, in su e in giù. A cena andiamo da Bellini, uno degli ultimi ristoranti a sud di Ocean drive. Cucina italiana, molto buona. Giorno 4 – martedi 9 marzo 2010 Oggi giornata dedicata a Miami. Fa ancora freschino per stare in spiaggia. Quest’anno la temperatura è più bassa della media stagionale e un venticello da nord non fa superare i 22 gradi. Prendiamo il giornaliero in uno dei pochi posti dove lo vendono (5$ a testa) trovando l’indirizzo in internet. Per fortuna è vicino. Il giornaliero è conveniente, poiché ogni tratta costa 2 bucks e non si sale senza soldi contati, pena la perdita del resto. Prima andiamo verso Coconut groove, bella zona anche se poco fruibile dai turisti. Per arrivare prendiamo il 120 fino al capolinea e poi saliamo sul treno metropolitano. Fuori dalla stazione ancora un bus. Qui, dopo un giretto a piedi, ci mangiamo un pezzo di pizza e poi ripartiamo per andare al Bayside market. Dopo il treno prendiamo la circolare sopraelevata (è gratuita). Qui siamo nel tempio del turista: negozi, schifezze da mangiare, gite in barca per andare a sbavare intorno a Star island, l’isola dei ricconi e quant’altro possa offrire l’industria del turismo di massa. Non compriamo nulla, dato che i prezzi e la merce non ci attirano, ma ci fermiamo a bere un frullato e ci beiamo al sole che è uscito a baciarci in fronte. Visto che non ci facciamo attirare dalle “sirene” dei barconi che fanno le gite nella baia, ci rifiondiamo sulla sopraelevata per andare a prendere il bus che va a Key Biscaine. Qui ci accorgiamo di non aver capito come funziona l’Omni e dopo aver sbagliato due volte, riprendiamo il treno che avevamo preso per Coconut groove e scendiamo giusto in tempo per salire sul bus che va diretto all’isola. Il bus ci lascia poco fuori il parco. C’è da pagare un paio di dollari a testa, da mettere in una busta, sulla fiducia. Lo facciamo, anche se siamo i soli a farlo. Il parco sarebbe anche molto bello, peccato che il cielo si sta chiudendo e arrivati al faro, ci concediamo solo il tempo di fare qualche foto ad un procione e decidiamo di tornare indietro per non rischiare di rimanere sotto all’imminente diluvio. Riusciamo ad arrivare in tempo sul bus che sembrava attendendesse solo noi per partire e inizia a diluviare. Altro colpo di culo: arrivati al treno la pioggia cessa. Ci riposiamo un po’ in hotel e poi andiamo a cena a La Spiga, poco più a nord del Nash, sulla Collins. Qui si mangia veramente bene e oggi per fortuna hanno posto per noi (94$ tre pietanze). Giorno 5 – mercoledi 10 marzo 2010 Oggi il tempo è cambiato, in meglio. Il cielo non è pulito, ma fa decisamente più caldo e il vento è da sudest, quindi andiamo finalmente in spiaggia e ci cuociamo perbene. South beach si riempie poco a poco. E’ molto frequentata da ispanici, data la quantità di caraibici che abitano la zona di Miami-Dade. Qui i costumi delle ragazze sono molto ridotti e è frequente il topless mentre gli uomini si coprono dall’ombelico al ginocchio con bermudoni dalle fantasie più disparate. C’è anche qualche temerario che si bagna nelle ancora gelidine acque dell’Atlantico, sotto l’attento occhio e, soprattutto, stridulo fischietto della mini-bagnina che sorveglia il tratto di mare davanti a noi. Dopo esserci mangiati un trancio di pizza sulla Washington av., nel pomeriggio andiamo al Lincoln mall, che avevamo visitato cinque anni fa e dove è sempre piacevole fare una passeggiata. Prima eravamo passati nel quartiere spagnolo, che meritava una visita la sera. Cambiamo un po’ di soldi da un cambiavalute che ci era stato segnalato in banca (dove non è possibile farlo) e aspettiamo l’autobus per andare alla Dollar, dove ritirare l’auto presa a noleggio su www.enoleggio.it per 202 euro (10 giorni con riconsegna a Orlando). Qui ci viene data una Kia Optima targata Pennsylvania al posto della prevista Cobalt. E’ un po’ vecchiotta, ma ha un mega bagagliaio, sempre utile per non lasciare in vista le valigie durante gli spostamenti quotidiani. Aggiungiamo anche circa 100 dollari di extra, tra cui il costo della riconsegna all’aeroporto di Orlando. Piazzo subito il mio Garmin portato da casa con le mappe USA (e-mulate, lo ammetto) e noto che funziona perfettamente. Negli Stati Uniti non è indispensabile avere il navigatore, visto che le indicazioni sono molto pratiche e chiare, ma per trovare una specifica via o districarsi tra le uscite delle highways nelle grandi città è molto utile. Insomma, per il resto della Florida può non servire, ma nei dintorni di Miami, Ft.Lauderdale e Orlando lo consiglio. Le previsioni del tempo ci consigliano di evitare, come sarebbe stato logico fare, di partire per le Keys in quanto si sta avvicinando un fronte nuvoloso, così ci dirigiamo per Naples, che non avevamo fatto nel 2005. Prendiamo la I-75 (toll, solo 6 dollari per tutto il tragitto) e arriviamo nel pomeriggio inoltrato all’Holiday Inn Express vicino all’uscita 101 che avevamo visto in rete prima di partire. Cerchiamo col netbook un ristorante italiano e andiamo a cena da Luna rossa (55 $, così così, porzioni grandi e musica live) e poi facciamo un giro in downtown, sulla 5th avenue. Qui si capisce subito che aria tira: è un posto da anziani, altro che Miami beach. Gli unici giovani che vediamo ci sembrano quelli che hanno i nonni che hanno concesso loro di utilizzare la propria casa al mare. Però il posto ha un suo fascino. Giorno 6 – giovedi 11 marzo 2010 Come da previsione, il tempo è bruttino. In mattinata andiamo al pontile che da sul golfo del Messico. Tira un gran vento ed è pieno di pescatori e di anziani in gita. Ripartiamo verso nord, decisi di proseguire fino a Fort Myers beach. Questa località si adagia su di un’isola collegata da un paio di ponti alla terraferma. Sarebbe bella per stare al mare, ma tira sempre più vento. Finiamo in coda e ci fermiamo a mangiare un panino “footlong” da Subway. Rientriamo in coda e poco dopo scopriamo che a causarla è il vicesceriffo che, dirigendo il traffico, privilegia molto di più i pedoni che gli automobilisti. That’s America: qui in USA il pedone è sacro. Chi si ferma davanti alle strisce, anche solo per scambiare due parole, viene invitato ad attraversare la strada dall’automobilista che si ferma prontamente; questo avviene in maniera esagerata sopratutto all’uscita dei supermarkets. Esce un po’ di sole e ci fermiamo all’Hotel Ramada di Cleeveland street (circa 110 dollari, non una gran camera). Andiamo verso la downtown di Fort Myers. Non c’è molto da vedere e notiamo che su di una nave stile Mississippi stanno piazzando dei pannelli di legno davanti alle vetrate: che vorrà dire? Purtroppo lo scopriremo il giorno seguente. Proseguiamo verso Sanibel island e Captiva island. C’è un pedaggio di 6$ per arrivare a Sanibel. Il tempo è in peggioramento e quindi visitiamo distrattamente le due isole, la seconda delle quali ci sembrerebbe degna di un pernottamento in un futuro migliore (speriamo). Torniamo verso l’hotel. Comincia a diluviare proprio quando decidiamo di andare a cena. Dopo un girovagare senza trovare un posto decente, ci fermiamo da Red Lobster e prendiamo due piatti di pesce fresco anche se allevato (40 $) Giorno 7 – venerdi 12 marzo 2010 Il tempo è pessimo. Non possiamo far altro che rifugiarci in un centro commerciale. Decidiamo di tornare verso sud, per avvicinarci alle Everglades che vorremmo visitare domani. Passiamo da Fort Myers Beach, per vedere la cittadina che ieri avevamo oltrepassato senza fermarci. Smette per un po’ di piovere, facciamo un po’ di foto ma ricomincia a diluviare. A Naples ci fiondiamo in un Wal-Mart e solo per fare dieci metri, dall’auto al portico, ci infradiciamo. Compriamo qualcosa per il pranzo al reparto Deli e quando usciamo il tempo è migliorato. Andiamo da Sport Authority e prendiamo delle magliette da bagno a maniche lunghe, utili per fare sport in acqua quando non è molto caldo. Ci rechiamo a prendere possesso della camera, prenotata la sera avanti su Expedia, all’Hampton Inn poco fuori l’ultima uscita senza pedaggio della I-75. La camera è bellissima e molto accogliente. C’è un cucinotto completo di forno e lavello e decidiamo di prendere qualcosa da mangiare da K-mart per la sera. Prima ci facciamo un giro in un Mall a poche miglia di distanza, che ha però solo articoli piuttosto da anziani, in linea con l’età media dei turisti che di solito affollano Naples. Per fortuna in serata il tempo migliora decisamente e ci sono ottime speranze per domani. Prima di dormire troviamo il tempo di prenotare gli hotel a Florida City e Key West per i seguenti due giorni. Giorno 8 – sabato 13 marzo 2010 Partiamo dopo la colazione verso Everglades City, che raggiungiamo dopo un’oretta. Qui ci fermiamo da Johnson per la gita in airboat. Sui depliant che si trovano nelle lobbies degli hotel o nei supermarket ci sono numerose offerte con gli sconti e ne approfittiamo. Comunque ci vogliono quasi 80 dollari in due per il giro tra le mangrovie che dura un’oretta. Io suggerisco le barchine da 6 persone al massimo, che si infilano dappertutto. La gita merita di essere fatta. La scorsa volta non l’avevamo fatta e ci era rimasta la voglia. Alla fine, oltre agli alligatori che sono ovunque, riusciamo a vedere anche un lamantino che pigramente di tanto in tanto fa sporgere le narici in superficie per respirare. Dopo un giro per Everglades City e una sosta per un footlong da Subway, ripartiamo verso est, ma ci fermiamo poco dopo per una sosta vicino alla strada dove possiamo vedere molti alligatori in libertà. Ripartiamo e dopo poche miglia ci fermiamo al Visitor Center del Cypress N.P., dove in stato semilibero ci sono ancora alligatori, stavolta di taglia ben più grossa. Questi li vediamo dalla passerella sopraelevata, ma fa comunque impressione la vicinanza che c’è con la strada che corre a fianco. Ripartiamo di nuovo e dopo essere entrati in territorio amministrato dai nativi Seminole, ci fermiamo a Shark Valley. Qui si paga 10$ per il parcheggio e circa 35$ in due la gita col bus. Si può andare anche a piedi, ma il giro completo è di circa 25km e non merita. Avendo più tempo si possono noleggiare le bici, che consentono più libertà a chi vuole immergersi completamente nell’ambiente. Gli alligatori sono ovunque, senza recinzioni, ma non sono pericolosi per gli adulti. Solo i bimbi piccoli da soli corrono il remoto rischio di essere addentati. Negli USA, il concetto di rischio finisce al di là del cartello che lo avvisa, per cui occhi aperti. Né recinzioni né parapetti si troveranno se un bel cartello avviserà di stare attenti. Il giro col bus dura quasi tre ore ed è piacevole da fare. A metà strada, che percorre un anello, c’è una torre panoramica dove è possibile perdere lo sguardo per diverse miglia, a 360°. Nel parco ci sono numerosissimi uccelli, fra cui l’insolito Becco a Spatola. Ripartiamo da Shark Valley verso le 18.00 e raggiungiamo il Ramada Inn di Florida City alle 19.45. Senza saperlo abbiamo prenotato lo stesso hotel di 5 anni prima, che però nel frattempo ha cambiato nome. Andiamo a mangiare al Mutineer, che è proprio di fronte, con la macchina, da veri americani sfaticati. Dopocena, dato che c’è poco da fare, proviamo ad andare al Prime Outlet che è li vicino, ma sta chiudendo e possiamo vedere solo le vetrine. Sfruttiamo la rete della camera per prenotare anche la notte di lunedi a Islamorada. Purtroppo i prezzi stanno aumentando ogni giorno e conviene essere previdenti. Giorno 9 – domenica 14 marzo 2010 Partiamo presto, dopo la colazione inclusa, per le Keys. Nella notte, in anticipo di due settimane rispetto all’Europa, è entrata in vigore l’ora legale che ci ruba un’ora di sonno ma ci avvicina all’ora di casa, portando a 5 ore la differenza di fuso. La strada è monotona come ce la ricordavamo. I limiti sono tra 45 e 55 mph, con qualche piccolo tratto urbano a velocità ancora inferiore. Decidiamo di saltare il John Pennekamp S.P. e tiriamo dritti fino a Marathon, dove ci fermiamo da Winn-Dixie a prendere un panino. Ripartiamo per Bahia Honda S.P. e arriviamo verso le 11.30. Paghiamo l’ingresso che è 4,5$ a testa per le prime due persone, che diventano 2 e anche meno se si è in più persone sulla stessa auto. C’è un bel sole e ci meritiamo dopo tanta acqua un po’ di spiaggia. La marea si abbassa e lascia molta spiaggia a disposizione per i bagnanti. La temperatura dell’acqua è decente, come da noi a giugno inoltrato e mi faccio anche un bel bagno, finalmente. Ad un certo punto il caldo diventa fin troppo opprimente e cerchiamo un punto più ventilato. Ripartiamo poco prima delle quattro, verso Key West, intenti a vedere il tramonto da Mallory square. Arriviamo all’hotel Key West, ex Radisson, e troviamo la coda al check-in. Ad una coppia avanti a noi, senza prenotazione, chiedono 189 dollari per la camera. Noi l’abbiamo pagata 129 (più le tasse, sempre escluse in tutti i posti) e gioiamo di averlo fatto. In stanza mi accorgo che il netbook una volta acceso va in protezione. Mannaggia, faceva comodissimo, oltre che per le prenotazioni, per comunicare con amici e parenti. Dopo un po’ di riposo, usciamo per andare in città e ci fermiamo da Home Depot a comprare dei cacciavitini per smontare il computer. Arriviamo nei pressi di Duvall street e lasciamo la macchina per strada, mettendo un po’ di quarti di dollaro nel parcometro. Nel 2005 a causa di scarsità di monete fummo costretti a fare le corse per tornare alla macchina in tempo che non riuscimmo a vedere tutto quello che c’eravamo prefissati. Ci sono anche i parcheggi privati a pagamento, ma fanno poca differenza tra chi sta due ore e chi sta tutto i giorno. Stavolta carico bene il park-meter e partiamo. La Duvall ci sembra piuttosto cambiata in cinque anni e mi sembra che manchino alcuni edifici in legno che avevano delle facciate in tema, come una azzurrina con un enorme granchio in rilievo. Pure Mallory square è completamente diversa ed è piena di gente per il rito del tramonto. In effetti è un bello spettacolo, pieno di artisti da strada, bar e ristoranti. Proprio un bel posto da turisti. Dopo che il rito si è compiuto ritorniamo alla macchina. Arriviamo che il parcometro sta per finire il tempo. Calcolo perfetto stavolta. Rientriamo in albergo, ma la Sabri ha un forte mal di testa e non usciamo per la sera. Ci arrangiamo in camera per la cena in attesa del giorno dopo. Il tentativo di smontaggio del computer non va a buon fine e per evitare rotture definitive, rimando la riparazione a casa. Giorno 10 – lunedi 15 marzo 2010 Fatte le valigie ripartiamo verso nord. Prima però ritorniamo in centro per fare un po’ di shopping e passare dalla spiaggia orientale. Lungo le Keys, la parte occidentale è quasi tutta un mangrovieto, mentre quella orientale è costellata di spiagge fruibili, marea permettendo. Decidiamo di proseguire per Islamorada, dato che ci sono circa 80 miglia da fare e il mare c’è anche lì. Arriviamo al nostro hotel poco dopo l’ora di pranzo e la camera non è pronta. Lasciamo i bagagli in auto e ci buttiamo al sole. Peccato che ci fanno pagare le sdraio, 5$ a testa perchè clienti dell’hotel, sennò 10. Il sole picchia duro anche oggi e cerchiamo ombra. Prima del bagno, sorpresa: si alza un venticello freschino che ci fa cambiare idea sul bagno e ci costringe a cercare un posto riparato. Alla fine del pomeriggio andiamo in camera. Niente di chè, ma decente. Alla reception c’è un PC e riusciamo a controllare la posta e dare notizie a casa. La sera andiamo all’Outback steakhouse, ristorante in stile australiano che però ci delude molto. Giorno 11 – martedi 16 marzo 2010 Il tempo sta peggiorando, come previsto. Partiamo verso nord. L’idea è di arrivare a Boca Raton e poi vedere il da farsi. A Fort Lauderdale ci siamo già stati nel 2005 e non pensiamo di fermarci anche se il posto è molto bello e merita certamente un soggiorno. Per fortuna, verso Miami la strada ha i limiti di velocità più alti e possiamo “correre” un po’. Prendiamo la Turnpike che ogni poco ci costringe a fermarci per sganciare un dollaro al casellante. Attenzione: le corsie per chi non ha l’equivalente del nostro Telepass sono molto a destra e vanno prese per tempo, pena una multa certa. Alla fine saranno cinque gli stop. Boca Raton ha, come quasi tutte le città costiere della Florida, un’isola davanti che accoglie la spiaggia, piuttosto banale, piena di case da ricconi. Continuiamo lungo la A1A e raggiungiamo una strada piena di ville e villette da multimilionari. Ai lati della strada non solo non c’è una carta per terra, ma nemmeno un’erbaccia. Però tutto quello splendore e nessuno in giro fa pensare un po’ ad un bel ghetto di lusso dove tutti sono rintanati nel proprio guscio dorato. Ritorniamo sulla A1A “vera” e ci fermiamo poco avanti sulla spiaggia. Ci portiamo dietro anche gli asciugamani, visto che è uscito un po’ di sole, ma superata la duna che separa la strada dall’arenile ci investe il vento freddo di nordest e facciamo in tempo a fare due foto prima di girare i tacchi e riprendere la strada verso nord. A questo punto mettiamo sul navigatore l’indirizzo del Best Western di Cocoa Beach, uno degli hotel che avevamo visto la sera prima in internet, visto che di stare sulla spiaggia non se ne parla. Per andare a Cocoa B. riprendiamo la I-75, a dispetto del Garmin che avrebbe preferito la Turnpike a pagamento. Le due strade corrono più o meno parallele e traffico a parte è inutile prendere la “toll”. Per domani abbiamo pensato di andare al Kennedy Space center, dove si può fare la visita al centro spaziale della NASA e Cocoa B. e Titusville sono i due centri più vicini. Arriviamo verso le sei al B.W. e ci confermano il prezzo che avevamo visto in rete (105$+tax) e ci danno l’ultima camera col “king bed”, collocata in uno degli edifici esterni alla struttura di accoglienza. La camera è dotata di un attrezzato cucinotto, con doppio forno, lavello e sgabelli da bar e così pensiamo di farci da cena qui. Prima però ci rechiamo da Ron Jon, il negozio-mito dei surfisti. In pratica è un supermarket del bagnante con una fornita sezione dedicata agli amanti delle onde. C’è anche una discreta scelta di costumi da bagno, un po’ troppo americani per i nostri gusti. Comunque qualcosa da comprare lo troviamo lo stesso. Oltre la strada c’è un Winn-Dixie e andiamo a fare la spesa per la cena. Purtroppo sono quasi le otto e manca poco alla chiusura e il banco della gastronomia è quasi vuoto, così riusciamo solo a prendere un antipasto all’italiana e del tacchino al miele a fette. La carne negli States è molto più tenera e gustosa che da noi, anche da fredda. Sarà un bene o un male? Fatto sta che è un piacere mangiarla. Rientrati in camera ci accorgiamo che in un depliant c’era un coupon con lo sconto per Ron Jon. Qui, mai comprare senza prima aver letto le pubblicità…. Dopocena, usciamo a fare due passi e ci fermiamo alla lobby per controllare la posta elettronica e prenotare le ultime due sistemazioni che ci rimangono. Prendiamo quindi l’Hampton Inn vicino al circuito di Daytona Beach e lo Star Island Resort di Kissimme, vicino al Walt Disney World e a Orlando. Giorno 12 – mercoledi 17 marzo 2010 Il tempo, come da previsione, è nuvoloso e minaccia pioggia. Partiamo con comodo, dopo aver tentato inutilmente di fare colazione nella sala, collocata in uno dei numerosi edifici del B.W. e piena di clienti che hanno deciso di alzarsi tutti alla nostra ora. Prendiamo solo un succo d’arancia e mangiamo i muffins che avevamo con noi da un paio di giorni. Dopo una sosta al Winn-Dixie per farci fare dei panini, arriviamo al Kennedy Space Center verso le 10.45 e paghiamo i 38 dollari a testa dell’ingresso. Il biglietto era l’unico possibile quest’oggi e non siamo riusciti a capire se era un bene o un male. Ci mettiamo in coda per prendere il bus e dopo quasi mezz’ora partiamo per il tour. Con l’autobus si esce dal Visitor center e si oltrepassa il controllo della parte “vera” dello Space center. La prima sosta viene fatta dove si possono vedere le rampe di lancio, dopo aver girato intorno all’edificio di assemblaggio degli Shuttle. Quest’ultimo è un cubone che non lascia intravedere niente. Si può solo immaginare, mentre sul bus scorre un video sull’argomento, le lavorazioni che vi vengono effettuate. Anche la pista battuta sulla quale gli shuttle vengono trasferiti alla rampa di lancio è priva di qualsiasi fascino. La prima tappa presenta una torre a tre piani dalla quale meglio vedere le due rampe di lancio che distano diverse centinaia di metri da essa. All’interno della torre c’è uno dei motori dello shuttle e si può ammirare la sua grandezza. C’è inoltre un minicinema dove assistere alla proiezione di un documentarietto sull’argomento. Si riprende il primo bus utile, senza coda, che ci porta alla seconda tappa, quella dedicata alla missione Apollo. Dopo una rappresentazione della missione vista dalla sala controllo (finta), si passa nel salone dove è adagiato il Saturn 5, il vettore delle missioni Apollo. Il passaggio è molto scenico e lascia tutti sorpresi. Poi più in su ci si accorge che siamo in un bel parco tematico, quando troviamo il modulo lunare appeso sulle teste dei frequentatori del fast-food. Merita la visita la sala dei cimeli delle missioni (credo siano pezzi originali) dove sono custodite le tute spaziali, usate e non, una capsula di rientro e vari tasselli dell’epopea della conquista della luna. Ci mangiamo i panini e riprendiamo il bus. Qui si può scegliere di tornare direttamente al Visitor center o passare alla terza tappa, quella della base orbitale internazionale. Quella della base orbitale è l’unica parte dove si vedono i laboratori, che sono semideserti ma autentici. Dei moduli, forse riproduzioni, forse doppioni di quelli inviati, sono visitabili. Rientriamo al Visitor center e entriamo a vedere uno dei due spettacoli in 3-D dedicati alla conquista della luna e alle missioni recenti. Facciamo il primo, che non è proprio il massimo ma godibile. Dura circa 45 minuti e al termine saliamo sulla “replica” dello Shuttle Explorer dove possiamo vederne dimensioni e spazi interni. Anche se tarocco, da l’idea esatta di quel che è uno space shuttle (internamente è poco più grande di un autobus), di cosa può portare e della vita che conducono gli astronauti a bordo. A questo punto è d’obbligo un souvenir e dopo aver fotografato il finto astronauta vestito completamente (come potrebbero fare a Disneyland) con tuta da passeggiata spaziale e snobbato quello vero, che vuole diversi dollari per foto con autografo, neanche fosse Buzz Aldrin in persona, usciamo per lasciare il KSC. In fondo la visita non è un gran chè, ma per rendersi conto di cos’è il posto che decine di volte abbiamo visto in TV durante i lanci della navetta, va fatta. Facciamo benzina e partiamo per Daytona beach, che dista una cinquantina di miglia. E’ più vicina Orlando, ma non ci siamo mai stati e nonostante le previsioni non siano buone decidiamo di andarci. Arriviamo alle 17.30 circa e dopo aver lasciato i bagagli in hotel andiamo verso la spiaggia che dista circa 8 miglia dalla zona dell’autodromo. C’è un po’ di traffico. E’ St.Patrick è c’è un po’ di gente, quasi tutti con qualcosa di verde addosso, che si sta concentrando in una sorta di palazzetto dello sport. Non riusceremo neanche consultando Google a capire cosa ci fosse. Dopo un breve giro torniamo in hotel e andiamo a mangiare al vicino Olive Garden (45$). Giorno 13 – giovedi 18 marzo 2010 Il tempo, come da programma, è bruttino. Andiamo comunque verso la spiaggia. Sarebbe possibile andare con la macchina sull’arenile, pagando 5 dollari, ma la mareggiata rende praticabile la guida solo ai 4×4. Quindi con le monetine rimaste da Key West, parcheggiamo al parcometro e facciamo una passeggiata. Non c’è molta gente in giro, fatta eccezione per qualche springbreaker che si ostina a voler stare ai bordi delle piscine dei vicini hotel. Un breve giro sulla A1A per vedere qualche negozietto di souvenir e partiamo per Orlando. Facciamo una sosta al Prime Outlets sull’international drive, che è pieno all’inverosimile: è la prima volta che ci capita di non trovare il parcheggio ad un centro commerciale e solo la partenza di una seconda auto ci impedisce di iniziare una discussione su chi era arrivato prima con una coppia di anziane decise a passarci avanti. Qui facciamo un po’ di acquisti, visto che i marchi sono più convenienti che in Italia e l’euro è ancora abbastanza forte (1.33 col dollaro). Noto con disappunto che il solito paio di Levi’s qui costa 5 dollari più che a Florida City, ma ormai non possiamo certo tornare indietro. Andiamo pure al Disney Store, dove prendiamo i biglietti per Disney World per domani (79+52 dollari a testa con l’opzione Park Hopper che permette di fare tutti i parchi nel solito giorno). Ripartiamo e grazie al navigatore arriviamo molto facilmente al nostro resort. La camera è bellissima. In verità non si può parlare di camera: è un appartamento dotato di tutto, con cucina completamente attrezzata per sei persone, salottino e camera da letto con minipiscina dotata di idromassaggio. Visto che è uscito il sole facciamo un salto in piscina e ci scappa pure un bagno. Verso le sei il cielo si rannuvola e inizia a tirare un vento freddino, così ci trasferiamo nell’idromassaggio della nostra camera. Usciamo per prendere un paio di pizze per la cena, dato che è troppo tardi per fare da mangiare come si deve usando l’accogliente cucina. Verso le nove inizia anche a piovere violentemente e non ci rimane che andare a letto, visto che domani vorremo essere presto a Disney World. Giorno 14 – venerdi 19 marzo 2010 Dopo una veloce colazione, partiamo per WDW. Arriviamo al parcheggio verso le 8.30 e alle cassiere del parcheggio facciamo vedere la carta di credito. Queste ci fanno entrare senza pagare. A tutt’oggi non abbiamo capito come mai non abbiamo pagato i 14 dollari dovuti. Prendiamo velocemente il bus per Animal Kingdom, dove abbiamo deciso di iniziare la visita. La giornata appare splendida e si capisce già che ci sarà da fare la coda ovunque. Anche se entriamo prima delle nove al parco, c’è già molta gente alla gita-simbolo di Animal Kingdom, quella del Kilimanjaro Safari col pulmino-fuoristrada. Prendiamo allora il Fastpass, il biglietto che consente di saltare la coda nell’orario prenotato, per le 10.00 e andiamo a vedere le altre attrazioni. Per fortuna A.K. è per la maggior parte da visitare come un normale zoo, con poche attrazioni in movimento e passiamo l’ora che ci manca col il safari nella parte africana del parco. Alla nostra ora, saltiamo grazie al pass grandissima parte della coda e facciamo il giro che merita gran parte del biglietto di ingresso. Questo giro permette, grazie ad invisibili recinzioni elettrificate ed ostacoli sapientemente nascosti di girare tra gli ecosistemi del centro africa, lasciando sbalorditi. Anche per noi che abbiamo visitato la Tanzania ci sorprende l’apparente naturalezza degli ambienti che sono stati ricreati. Finito il giro e fatto circa sessanta foto, andiamo verso la parte asiatica, dove possiamo ammirare fra l’altro diverse tigri. Ci dispiace un po’ rinchiuderci nelle attrazioni al chiuso, ma ci facciamo coinvolgere nel musical dedicato a Nemo, che invece risulta particolarmente ben fatto. Lasciamo a questo punto Animal Kingdom per Epcot Center. Qui c’è una sorta di Festival del Fiore e hanno creato numerosi personaggi disneyani utilizzando piante e fiori. Il sole splendente ravviva tutto ed è un vero peccato andare a fare le attrazioni al chiuso. Considerando che la maggior parte le abbiamo fatte già 5 anni fa, così dopo aver mangiato i nostri panini andiamo a fare “Living the Land” che attraversa vari ecosistemi con la visita finale alle serre. Subito dopo prendiamo uno dei due battelli che tagliano il lago sul quale si affacciano i miniambienti dedicati alle nazioni del mondo. Queste zone, sono a cura dei singoli paese ed in alcune sono presenti delle attrazioni che ne enfatizzano le bellezze: una sorta di megaspot pubblicitario. Noi andiamo a vedere il cinema a 360° del Canada, che non vale la pena di vedere e che certo non invoglia a visitare quel paese. Sono quasi le quattro e ci spostiamo a Hollywood Studios, che nel 2005 si chiamava MGM Studios. Qui, qualcosa in effetti ci sembra cambiato e dato che è piuttosto tardi cerchiamo solo quelle cose che ci sembrano nuove. Facciamo gli inutili spettacolini su Le cronache di Narnia e sui disegnatori e ci fermiamo qualche minuto con i personaggi Disney che hanno delle belle code formate da famiglie con bimbi per potersi fare una foto assieme. L’unico spettacolo che ci poteva interessare, quello dal vivo su Indiana Jones è già terminato (ma lo avevamo già visto nel 2005) e usciamo verso le 18.30 per andare a Magic Kingdom. Prendiamo il bus che ci porta al parcheggio. Da qui si può scegliere come raggiungere il parco, utilizzando il ferry-boat o il treno a levitazione magnetica. Optiamo per il secondo, più rapido, e dopo il consueto passaggio al controllo degli zaini, entriamo nel cuore del pensiero Disney. Dire che è pieno di gente è riduttivo. Il parco è strapieno, visto che è anche quello che chiude più tardi. Tentiamo inutilmente di fare uno delle attrazioni Top, quella dei pirati dei caraibi, ma è momentaneamente chiusa e ci rechiamo ad una di quelle con meno coda, in animatronics, che risulta infatti poco interessante. Tornati dai pirati, troviamo che la manutenzione dell’attrazione risulta più lunga del previsto e che non verrà riaperta. Sta facendo buio e ci rechiamo al primo fast-food, dato che in questa vacanza non ci siamo mai concessi un hamburger, per mangiare qualcosa. C’è coda pure qui e dopo aver letteralmente fagocitato i nostri panini, torniamo nella main street per andare a prendere dei souvenir da portare a casa. Purtroppo anche qui sembra che tutti abbiamo pensato di fare come noi e ci ritroviamo coinvolti in una bolgia dantesca. All’uscita è quasi l’ora della parata notturna. Qui ci sfilano davanti le comparse rappresentanti i personaggi Disney portati in giro da sfavillanti mezzi di locomozione. Dopo la parata ci avviciniamo al castello delle fiabe, da dove vedere i fuochi che di li a poco verranno lanciati. Non è il posto migliore dove ammirare i fuochi, che pare sia nella zona della vecchia america, ma sicuramente è il più suggestivo. Lo spettacolo è molto bello e merita l’attesa. Alla fine, per andarcene, ci vuole un bel po’ di pazienza per uscire dal parco, prendere il ferry (i treni hanno una coda impressionante), ritrovare la Kia e partire. Arriviamo in camera che è quasi mezzanotte. Giorno 15 – sabato 20 marzo 2010 Purtroppo, è il giorno della partenza. Ci svegliamo un po’ più tardi del solito e visto che abbiamo il volo alle 14.45 e possiamo andare a fare un giro per la downtown di Kissimme, che è vicino. Cerchiamo un ufficio postale per cercare un francobollo, ma l’unico vicino è chiuso proprio questo sabato mattina. Non ci rimane molto tempo e dopo aver fatto il pieno, cerchiamo un deli col navigatore, ma è tutto troppo lontano. Andiamo quindi in aeroporto e consegniamo l’auto alla Dollar. Il volo è in orario e arriviamo a Philadelphia in tempo per prendere la coincidenza per Roma. Spezzare il volo a volte è un bene, poichè permette di sgranchirci un po’ meglio durante la pausa in aeroporto. Arriviamo a Roma senza accorgercene dopo circa 7 ore e mezza. Considerazioni: Non conviene prenotare tutto dall’Italia. Portarsi dietro un computer o usufruire di quelli presenti nelle lobbies degli hotel per prenotare via via le sistemazioni dei giorni seguenti oltre che utile è conveniente. Prenotare i voli in anticipo è indispensabile per ottenere un buon prezzo. Verificare che nel periodo scelto non ci siano festività e ricorrenze che facciano aumentare la richiesta di camere. I fine-settimana nei posti più turistici sono molto affollati e decisamente più cari. Dalle quattro alle sei c’è spesso l’assalto alle reception da parte dei viaggiatori e dover saltare da un hotel a un altro a chiedere una camera è spesso seccante. Le auto a noleggio sono tutte con assicurazione parziale, se non diversamente specificato. Quindi bisogna stare attenti a cosa si prenota. Può essere conveniente utilizzare portali come enoleggio. Guidare negli USA è rilassante: vanno tutti piano e le precedenze sono SEMPRE rispettate, così come i limiti di velocità. Guidare come in Italia porta a conseguenze spiacevoli. Risulta utile consultare uno dei tanti siti che illustrano come comportarsi alla guida negli States. La carta di credito è praticamente indispensabile, così come è molto utile, specie a Orlando, il GPS. I parchi a tema possono essere molto faticosi da fare, specie in coda sotto al sole. Nel caso di Walt Disney World, chi ha bambini piccoli può prendere in considerazione la possibiltà di soggiornare in uno dei numerosi hotel interni al perimetro dei parchi e acquistare un biglietto per più giorni per spezzare le visite. Ovviamente ciò risulta più oneroso, ma cercando per tempo si possono trovare dei pacchetti per le famiglie in internet. Il clima in Florida è soggetto ad estrema variabilità, così come in tutto il golfo del Messico. Questo fa si che non si possa stabilire a priori il proprio programma di viaggio, sopratutto quando desideriamo passare del tempo sulla spiaggia. Due cose sono certe: d’estate è sicuramente molto caldo, specialmente sotto il sole, e d’inverno non fa mai molto freddo, ma definirlo “The sunshine state” come vediamo sulle targhe delle auto è un po’ troppo azzardato secondo me. Il posto più adatto per lo shopping è senza dubbio Orlando, con i suoi numerosissimi Outlets. I più famosi marchi sono presenti in questi centri commerciali, anche se la convenienza è sopratutto riscontrabile negli articoli creati apposta per questi negozi.