FINALMENTE, dopo qualche anno, la meta da me tanto desiderata è stata accettata dagli altri componenti del gruppo: è stata un po’ dura in quanto i ragazzi pensavano di annoiarsi, mentre gli adulti credevano fosse un po’ troppo “ADVENTURE” anche perché con noi c’era mia figlia Valentina di cinque anni. A questo punto si poneva il problema organizzativo e, visto i costi, abbiamo deciso di avvalerci dell’agenzia di viaggi solo per acquistare i voli aerei e per la prenotazione del mezzo che ci porterà alla scoperta di questo meraviglioso paese. Si parte sabato 18 luglio da Milano Malpensa e durante il volo ripenso a tutta l’organizzazione, che grazie a Ludovica, l’altra mia figlia, che parla e scrive benissimo l’inglese, contattando le varie guesthouse e hotel islandesi ci ha permesso di creare un itinerario personalizzato e a nostro “piacere”. Mentre atterriamo all’aeroporto di Keflavik, ci rendiamo conto della desolazione circostante, chilometri quadrati di territorio quasi lunare, senza alberi e case, solo qualche cespuglio…..e i ragazzi iniziano a fare le loro considerazioni….. . Ritirati i bagagli, andiamo allo sportello dell’Hertz per la consegna della Jeep a nove posti da noi richiesta, sì perché siamo un bel gruppetto di otto persone e il posto in più ci serve per infilare i bagagli. Vediamo da lontano avvicinarsi una vecchia Land Rover verde militare, e ridendo siamo tutti concordi che non può essere la nostra … così vecchia… così ammaccata… così rumorosa ……tutti gli altri salgono su mezzi quasi di ultima generazione e la nostra dov’è? Edoardo, fratello di Ludovica, che parla benissimo l’inglese sta terminando la contrattazione allo sportello, si gira e ci dice: “Bene possiamo andare è quella Jeep verde lì fuori…”. Dopo i vari commenti, Luisa arriva all’unica conclusione: “Ma va poi bene…”. Assestiamo i bagagli, il seggiolino per la bambina e abbiamo la conferma, come supponevamo prima della partenza, che il posto vuoto non è sufficiente per tutte le borse, per cui, incastrandoci come un puzzle, ci dirigiamo poco lontano, alla ricerca del nostro hotel. L’Alex Motel che ci ospiterà per la prima notte è composto da piccoli cottages a 3-4 posti, dove c’è tutto dalla cucina al bagno, e da un’area campeggio molto gettonata. In questa struttura non è possibile cenare per cui, decidiamo di andare in centro a Keflavik. Mentre percorriamo la strada, vediamo gli abitanti, bambini compresi, in mezze maniche, noi invece, già da quella sera rimpiangeremo il piumino invernale che abbiamo deciso di lasciare a casa. Ceniamo con hot-dog e hamburger sulle panchine del parco che si affaccia sul mare, è freddo, ma il posto è bello, i ragazzi del luogo con macchine che sembrano uscite da films americani fanno delle corse e a tutto gas partono e si fermano, partono e si fermano…..è vero è sabato sera e come in tutte le città islandesi molti giovani passano il tempo in macchina e a bere. Dopo un po’ c’è qualcuno che si sente strano, stanco….Andrea guarda l’orologio: non è possibile sono le 23 e 30 e c’è ancora luce, avevamo perso la cognizione del tempo! Torniamo ai cottages, tiriamo giù le tende e dormiamo, mentre i ragazzi vanno a fare il bagno nell’hot tube del motel. Domenica ha inizio la spedizione che ci porterà a fare il giro di tutta l’Islanda in senso antiorario e la nostra prima tappa è la famosa e turistica Laguna Blu, a 20/25 km da Keflavik verso Grindavik. Per la strada ci fermiamo perché vogliamo camminare su questo paesaggio lunare, in mezzo alla lava ricoperta di muschio e già fanno la loro comparsa i mitici fiori di “cotone”, bianchi, soffici e caldi, che saranno presenti in quasi tutti i posti che vedremo. Alla Laguna Blu, come in tutte le piscine termali islandesi, non essendoci un sistema di disinfezione, è obbligatorio farsi la doccia senza costume prima di entrare in acqua; belli bagnati apriamo la porta per entrare nella zona delle terme e in due secondi, giusto il tempo di renderci conto che il freddo è intenso, con balzi e saltelli incontrollati sprofondiamo nelle acque bianco-azzurre-puzzolenti-ma gradevoli di questo bellissimo posto scavato nella lava. Qui si possono trovare tutti i trattamenti delle terme di alta classe, e per tutti, oltre a percorsi in mezzo alle grotte, saune, docce a nebulizzazione ghiacciate, è disponibile un fantastico fango bianco che a detta di tutti doveva rendere la pelle meravigliosa, ma, a me ha fatto sorgere dei fantastici brufoletti sulla fronte che ancora faticano ad abbandonarmi. Il nostro bagno dura poco più di un ora perché l’acqua è veramente calda e poi, essendo domenica, la laguna si sta affollando come le nostre spiagge romagnole in alta stagione. Dopo aver fatto nuovamente doccia e shampoo, partiamo per Hveragerdhi, dove pranzeremo nel parcheggio di un piccolo centro commerciale. Il menù? Salame del contadino, parmigiano, più il pane e la frutta appena acquistati. Abbiamo deciso di portarci dall’Italia i “viveri” sottovuoto, perché non potevamo permetterci di perdere tempo a pranzare in un ristorante, in quanto non sapevamo esattamente i tempi di percorrenza, le condizioni delle strade, la durata delle soste ….così abbiamo diviso nelle varie borse una decina tra salami e salsicce, sacchetti di parmigiano, salamini, formaggini…… Nel bar vicino, non abbiamo resistito, e alla vista della macchina del caffè che esponeva una nota marca con sotto la dicitura “espresso”, abbiamo ordinato quattro espressi. Il profumo che emanava durante la preparazione era sublime, peccato che non coincidesse con il sapore. Da lì ci siamo guardati in faccia e quasi giurandocelo abbiamo detto: ”mai più”. Ma col tempo ci cadremo ancora…. Nel cuore di Hveragerdhi, andiamo a visitare l’area geotermale, in cui vi sono anche parecchie pozze di fango ribollenti e il geysir Gryla, quest’ultimo, utilizzato come immondezzaio fino al 1947, quando un terremoto lo risvegliò, restituendo la spazzatura. Ripartiamo percorrendo la famosa strada numero uno che segna quasi tutto il perimetro dell’isola e, dopo aver attraversato la città di Selfoss, ci dirigiamo alla cascata Seljalandsfoss, situata tra Hvolsvollur e Skogar. Questa cascata non è tra le più possenti ma la sua particolarità sta nel fatto, che, dopo un breve e bagnato percorso a piedi, si può camminare dietro la tenda d’acqua; il rumore e la visuale da quella prospettiva inusuale sono veramente entusiasmanti. Era nostra intenzione raggiungere Porsmork, per vedere le spettacolari vallate contornate da tre ghiacciai, ma al ventesimo chilometro di strada sterrata si presenta il quarto guado che ci è sembrato inaffrontabile e decidiamo di tornare indietro. Incontriamo anche una ambulanza a sirene spiegate che fa i 30 all’ora e a me e Giannetto vengono in mente i tempi di intervento … noi lavoriamo nel Servizio di Emergenza 118 e sicuramente in Islanda i tempi di arrivo sul posto sono differenti dai nostri…. Riprendiamo la più tranquilla strada numero uno fino a Skogar, dove dormiremo in un Hotel Edda, una catena di strutture sparse per l’isola, che d’inverno sono adibite a scuole, e d’estate si trasformano per ricevere i turisti. Dopo aver gustato la prima cena islandese, decidiamo di fare un giretto, molto breve, visto che il vento ed il freddo sono davvero pungenti; c’è chi fa la doccia e torna in stanza con lo stesso odore di zolfo della laguna, questo perché viene sfruttata l’acqua calda del sottosuolo. Oggi abbiamo percorso circa 200 km mentre domani ne faremo circa 100. Lunedì mattina, come tutte le mattine, sveglia alle 7 circa, colazione, caricamento bagagli ad incastro con i giovani del gruppo che sedevano nelle panche posteriori, e partenza….. Prima meta la cascata Skogafoss, che ci ha permesso di fare delle magnifiche foto in mezzo agli arcobaleni. Se si vuole ammirare un panorama stupendo, a lato della cascata c’è una salita con più di trecento scalini, ma la fatica è ampiamente ripagata dalla bellezza della natura circostante. A Skogar c’è il museo più completo della civiltà islandese, molto interessante che offre una valida panoramica sugli antichi e vecchi usi e costumi degli abitanti dell’isola; ci sono anche le case tipiche, con il tetto di torba, ormai scomparse, al cui interno è ancora preservato tutto l’arredamento e mentre ci si aggira per le stanze, sembra di vivere realmente in quell’epoca. Da non perdere! Oltre alle case, c’è anche la chiesa e la scuola di un tempo, con i banchi che si aprono dall’alto come la cattedra e al loro interno abbiamo trovato libri vecchissimi, calamai, registri scolastici autentici…lo stile ricordava quello del telefilm “La casa nella prateria” e non abbiamo resistito ad inscenare una finta giornata di scuola…… Si riparte, e, qualche chilometro prima di Vik, girando per Reynishverfi, in fondo allo sterrato, ci siamo ritrovati davanti uno dei più bei paesaggi: a destra il promontorio di Dyrholaey e a sinistra, una grotta enorme, pareti rocciose fatte di colonne di basalto e i faraglioni di Reynisdrangur che si ergono dall’oceano (il più alto 66 metri). Ovunque sabbia nera che incornicia, insieme all’oceano, alle montagne con le cime innevate e alla leggera foschia, questo fantastico quadretto. Ci siamo diretti poi verso Vik, dove abbiamo fatto rifornimento, cambio moneta e un brevissimo giretto sulle spiagge nere, in quanto il vento che soffiava era veramente gelido. Nel tardo pomeriggio siamo arrivati a Kirkjubaejarklaustur, dove ci attendeva un fantastico cottage a otto posti con due hot tube vicini. Avevamo le vasche tutte per noi, è stato veramente bello fare il bagno tutti insieme all’aperto, con l’acqua calda, l’aria “frizzante” che ti costringeva ad immergerti fino al mento e le montagne innevate che guardavano da lontano. Dopo aver cenato, siamo andati a letto presto perché il giorno seguente dovevamo percorrere circa 360 km. Siamo partiti per il parco nazionale Skaftafell, e lungo il tragitto si scorgevano delle fantastiche cascate che ricordavano quelle del parco giochi del cartone animato “L’era glaciale 2” . Al centro informazioni del parco abbiamo visto la piccola mostra e il filmato sulle eruzioni vulcaniche che qui in Islanda avvengono anche in mezzo ai ghiacciai: è molto interessante vedere il magma, la neve, il ghiaccio e di conseguenza l’acqua che, dopo essersi “mescolati”, scendono a valle investendo tutto quello che trovano sul loro cammino. Abbiamo deciso di fare la camminata verso il ghiacciaio, anche perché avevamo letto che si potevano sentire i suoi scricchiolii e lamenti. Non abbiamo sentito nè gli uni né gli altri, ma l’escursione fin sopra al ghiacciaio è stata affascinante, con paesaggi quasi surreali, cupi, che trasmettevano la sensazione (e non solo) di essere in mezzo al nulla e questa forza della natura che si avvertiva continuamente faceva comprendere la giusta importanza delle cose, a tutto ciò che ci circonda nella nostra piccola vita quotidiana, ai problemi spesso insignificanti, a quanto siamo minuscoli e impotenti……. Ripartiamo e ci fermiamo a Hof, per vedere velocemente la bella chiesetta dal tetto erboso; la fame sta dilagando e decidiamo di mangiare lì vicino, ma il vento gelido ci costringe a pranzare sulla jeep. La prossima meta è Jokursalon, la laguna alimentata dal ghiacciaio Vatnajokull, piena di iceberg fluttuanti. Lo scenario mentre si arriva con l’auto è incredibile: ad un tratto in mezzo a chilometri di paesaggio selvaggio e campi di lava a perdita d’occhio, si scorge una specie di lunga collina, di argine, al di là del quale fanno capolino gli iceberg, nelle loro più strane formazioni bianche, azzurre, nere grigie, che con il sole abbagliano e riflettono dei colori meravigliosi. Dopo un “Ohhh” generale, siamo saliti sul mezzo anfibio che fa il giro della laguna: siamo in mezzo ad un lago pieno pezzi di ghiaccio, che tra l’altro qualche anno fa era stato completamente congelato in superficie per fare le riprese di un film di James Bond 007. La guida ci fa vedere un pezzo di ghiaccio appena “pescato”, ci spiega che ha circa 1500 anni e che è ottimo con il whisky, perché essendo così vecchio ha la particolarità di sciogliersi molto lentamente; lo frantuma in pezzetti e ce lo fa assaggiare, non tutti aderiscono all’iniziativa anche perché fa un bel freddo, noi ne mangiamo un pezzetto, ma la cosa che ci ha colpito non è stato certo il sapore quanto la trasparenza quasi assoluta, la purezza. Lasciamo questo fantastico posto e proseguiamo per Hofn, dove facciamo una breve sosta per fare la spesa e rifornimento carburante. Ripartiamo e costeggiamo per parecchi chilometri i fiordi, siamo sul lato orientale immersi in paesaggi incantevoli, ma la strada sembra più lunga del previsto anche perché è piena di curve e la piccola Valentina, non riuscendo a dormire, comincia ad esaurire le batterie….. Per 100 chilometri non abbiamo incontrato nessun paese e, quando ormai avevamo perso le speranze, anche perché non sapevamo più quale gioco inventare, vediamo finalmente il cartello di Djupivogur. Non solo per bisogno, ma questo villaggio con il porticciolo, è veramente grazioso e merita una sosta, tra l’altro la caffetteria che si affaccia sul mare, al cui interno c’è anche un piccolo museo, offre dei dolci squisiti. Risaliamo sulla jeep per affrontare gli ultimi chilometri che ci separano dalla guesthouse dove pernotteremo, a Breiddalsvik. Dopo aver contattato il gestore, che ci fa strada per arrivare all’alloggio, con sorpresa ci accorgiamo che non è esattamente quello che avevamo prenotato. Lui si scusa e dice che eravamo troppi per l’altro cottage, che era arrivata un bel po’ di gente quella sera e che comunque c’erano ugualmente tutti i servizi pattuiti. L’unica cosa è che eravamo in mezzo alle montagne, isolati, con decine di mosche giganti nelle stanze, il bagno era un po’ inquietante, sembrava “La casa stregata” un film d’orrore, ma non c’era altra soluzione. I ragazzi, per paura, hanno dormito tutti e tre nello stesso letto e la Luisa, che non era riuscita a dormire ed era andata sul divano, ha detto di avere sentito dei passi durante la notte, ma di non aver visto niente. Il giorno dopo nessuno aveva riposato, anche perché tirava un forte vento e per tutta la notte si è sentito un gran sbattimento di non so cosa. Oggi dovremo percorrere poco più di 200 chilometri; rifacciamo come tutte le mattine il “puzzle” e partiamo per Egilsstadir, dove ci fermeremo per fare il pieno e la spesa. Per arrivare in questa città da Breiddalsvik, abbiamo affrontato una strada in gran parte sterrata, con le immancabili pecore che ci bloccano il percorso, passaggi sui monti ancora innevati e paesaggi brulli, ma belli da mozzare il fiato. Anche il tratto di strada che porta alla cascata di Dettifoss è molto sterrata, sembrava fossero passati decine di trattori con i cingoli prima di noi, una strada “cingolata” che pareva non finire mai. Ma questa cascata, la più imponente d’Europa, merita una bella sosta, anche perché si vede il meraviglioso canyon scavato dall’acqua. Riprendiamo il viaggio: destinazione Husavik. Lungo il tragitto siamo contornati da un lato da meravigliose vallate, canyon e dall’altro dal mare con le sue meravigliose insenature, scogliere e isolette. Questo paese non è molto grande, ma è tutto colorato, persino la chiesa è pittoresca e nel porto si notano molto bene gli stands delle due agenzie che organizzano il whale-watching. Seguendo il consiglio della guida che avevamo letto, abbiamo acquistato i biglietti accettando anche le pastiglie contro il mal di mare, un mix di antistaminici e caffeina da ingerire circa 40 minuti prima della partenza, che sono state davvero provvidenziali. Dal momento che mancava più di un’ora prima del prossimo tour, siamo andati a visitare il museo delle balene che si affaccia anch’esso sul porticciolo, e in biglietteria abbiamo incontrato una ragazza italiana che studiava biologia marina. Il museo, incentrato sulla vita acquatica, soprattutto delle balene, è veramente esplicativo e completo e offre anche una serie di filmati che evidenziano gli scempi che questi meravigliosi mammiferi hanno subito e stanno ancora subendo dal loro maggior nemico: l’uomo. E’ arrivato il momento di salire sulla barca, eravamo ben vestiti, ma ci consigliano vivamente di indossare le loro tute termiche belle umide e macchiate. Siccome non hanno le misure per bambini, facciamo due giri di tuta sulla Valentina, che sembra l’omino della Michelin; mentre la stiamo “insalamando”, si avvicina la guida dicendo che non è un viaggio adatto ai bambini così piccoli, perché il mare è un po’ mosso. Decidiamo comunque di partire, anche perché la piccola voleva vedere le balene e poi non saremo riusciti a “srotolarla” in tempo. Mentre ci dirigiamo in oceano aperto, costeggiamo delle montagne a picco sul mare con le cime innevate, che, con la luce del sole che si riflette sul mare, crea dei paesaggi stupendi; siamo proprio a nord dell’Islanda, il freddo è ancora più pungente, per fortuna indossavamo le tute termiche. Dopo aver scrutato per più di un’ora ogni centimetro di oceano che era possibile vedere, le speranze di avvistare le balene si erano affievolite; la guida però era molto fiduciosa e continuava a dirci cosa e come guardare e intanto la mezza pastiglia della Valentina aveva fatto effetto….. Tutto ad un tratto c’è chi urla: “ …a ore tre!!!”, la Valentina si sveglia, tutti si girano, c’è chi ha visto qualcosa da lontano….., chi non è sicuro di aver visto….. E dal lato opposto si sente un forte soffio, ci rigiriamo e quasi increduli, meravigliati c’è una megattera lunga più di venti metri a neanche dieci metri dalla barca. Per circa un’ora il gruppo di cinque- sei megattere si “esibirà” tra noi e un’altra barca, a volte dobbiamo inseguirle un po’, ma loro rispuntano fuori con grazia e armonia, iniziando con un bel soffio e finendo con un fantastico colpo di coda. Averle viste così da vicino suscita emozioni indescrivibili, e nonostante in Islanda la carne di balena sia un piatto abbastanza comune, nessuno di noi dopo questa giornata sarà intenzionato ad assaggiarla. E’ ora di tornare indietro, siamo tutti infreddoliti e un po’ bagnati perché la barca si girava in velocità in mezzo alle onde per farci vedere meglio le megattere, e devo dire che la cioccolata calda e i dolcetti che ci hanno offerto al ritorno sono stati ben graditi. Dopo aver cenato in un locale di Husavik, siamo andati a dormire in una guesthouse della zona. Questa cittadella con il suo caratteristico porticciolo, tutta colorata, fredda ma che allo stesso tempo emanava calore, è stata per me la più incantevole tra tutte quelle visitate. Giovedì mattina partenza per il lago Myvatn. Mentre ammiravamo questo magnifico specchio d’acqua, pieno di microisolette, pseudo faraglioni, pseudo crateri, ruscelli, di una miriade di volatili….abbiamo capito perché già a febbraio, quando abbiamo prenotato i posti dove dovevamo pernottare, in tutta la zona non c’era più nessuna disponibilità. Tra l’altro tutto intorno c’è molto da vedere: il percorso Leirhnjukur in mezzo alle solfatare e alle colate laviche; le grotte di Grjotagja, dove da piccoli pertugi si entra in queste grotte piene di acqua limpidissima e turchese a 45C°; Storagja, una lunga fenditura, un po’ inquietante, in mezzo alle rocce anch’essa piena d’acqua; Dimmuborgir, sito stupendo, dove imponenti formazioni laviche hanno creato labirinti, voragini, archi naturali e addirittura una grotta di lava che ricorda una chiesa, chiamata appunto Kirkjan (chiesa); Skutustadhir, una zona piena di pseudo crateri ricoperti di erba. Ci dirigiamo poi verso i bagni termali di Myvatn, fa freddo, tira un forte vento e mentre siamo sulla jeep alle prese con i panini al salame, inizia a piovere e poi a nevicare; era il periodo in cui in Italia c’era una forte ondata di caldo, e sembrava quasi inverosimile, pensando a ciò, di trovarci in mezzo a una bufera di neve. Viste le temperature e le condizioni climatiche non proprio coinvolgenti, non sapevamo se andare o meno a fare il bagno in piscina, ma alla fine ci siamo decisi, ed è stato fantastico. Queste terme sono una Laguna Blu in miniatura, ma meno turistiche, più spartane e probabilmente per questo, più belle. Immergersi in queste vasche naturali, piene di vapore, dove si vedeva solo a distanza ravvicinata, dove il caldo questa volta non era eccessivo visto che nevicava sulla testa, ha reso questo bagno indimenticabile. Le due piacevoli ore sono volate e a fatica siamo usciti dall’acqua. L’ultima tappa della giornata prevedeva la visita al vulcano Krafla, ma la pioggia mista a neve ci ha impedito di raggiungere l’obiettivo, e ci siamo dovuti “accontentare” di vedere i laghi dalle acque turchesi presenti nella zona vicina. Mentre scendevamo abbiamo notato numerose colonne di vapore in una rada: era il sito di Hverir, pieno di solfatare e pozze con fanghi colorati e bollenti. E’ importante rimanere nei sentieri perché le pozze sono molto pericolose. Anche questo posto non si poteva smentire, semplicemente spettacolare, con i suoi colori sabbia, ruggine e un po’ di nero per terra, grigio, azzurro e marrone per le pozze di fango bollenti, trasparente limpido e trasparente turchese per le pozze d’acqua anch’esse bollenti e decine di solfatare di varie misure che emanavano vapore per tutta la vallata. Ripartiti, siamo andati alla ricerca del nostro hotel, che si trova vicinissimo alla cascata Godafoss, la cascata degli dei, carina da vedere. La mattina dopo ci dirigiamo verso Akureyri, seconda città in ordine di grandezza dopo la capitale, dove abbiamo acquistato souvenir, abbiamo visitato il porto, il centro storico e, per curiosità, anche un centro commerciale. Qui ai semafori, allo scattare dell’alt, invece del tondo, spunta fuori un bel cuore rosso. La prossima destinazione è Glaumbaer, dove vedremo una serie di edifici con il tetto di torba più famosi d’Islanda, ma a metà strada ci fermeremo a pranzare in un’area sosta, finalmente seduti a un tavolo. Si riparte alla ricerca della pista Kjolur, completamente massicciata, lunga “solo” 200 km, ma, lo sapremo dopo, che ci impegnerà per oltre sei ore. Il nostro obiettivo è il rifugio Hveravellir. Si trova circa a metà della strada Kjolur e per fare circa 100 km abbiamo impiegato oltre due ore, in mezzo a deserti di sabbia, sassi e lava. Ci siamo però fermati vicino a un laghetto per costruire il nostro totem. In Islanda c’è il rituale del turista che prevede la creazione di una specie di piramide più o meno allungata, fatta con i sassi; ovunque si notano queste “torrette” più o meno alte e anche noi abbiamo voluto dare continuità alla tradizione…..e questa strada, che attraversa il cuore del paese, ci è sembrata il luogo più adatto. Hveravellir è il tipico rifugio, con due o tre stanze con i letti a castello, in mezzo al nulla o meglio a 620 metri di altitudine, in mezzo a un paesaggio desertico di campi di lava, fumarole e solfatare, vasche d’acqua di origine geotermica dai molti colori, paludi di fango e dove c’è una vasca alimentata da sorgenti calde in cui ci si può immergere. C’èra anche un container, a parte, che accoglieva la squadra di soccorso, dotata di mezzi speciali e equipaggiamenti per il recupero di feriti in zone impervie. La cena era a base di pollo o trota. Io e Edoardo che avevamo scelto il pesce, abbiamo mangiato un’ottima trota salmonata, gli altri invece, il pollo speziato. Anche qui, abbiamo trovato lo Skyr, una crema di formaggio molto densa somigliante allo yogurt, che viene aromatizzata con marmellata (buona quella di mirtilli) e crema alla vaniglia……squisito!! Siamo andati a letto presto, ma è stato molto difficile addormentarsi anche perché era la prima volta che dormivamo tutti insieme. Dopo una notte quasi insonne, anche per il fatto che c’era un via vai di escursionisti, facciamo colazione e partiamo per la cascata di Gulfoss, la più famosa d’Islanda, convinti di arrivarci al massimo in due ore. Questi 100 chilometri sono stati i più massacranti di tutto il viaggio, ma altrettanto belli. Abbiamo impiegato circa quattro ore per percorrere la strada molto più “massicciata” del giorno prima, in mezzo a ghiacciai, fiumi, guadi, laghetti dove si riflettevano le montagne innevate, deserti di sassi…e a qualche marmitta lasciata qua e là ai bordi della pista. Ormai sfiniti dal traballamento prolungato, con la Valentina immersa in uno stato allucinatorio totale e noi con i riflessi quasi azzerati dalla stanchezza, ad un tratto vediamo da lontano una strada che sembra asfaltata; ce ne siamo accorti dal fatto che le poche macchine che ci venivano incontro non alzavano il nuvolone di polvere. Che fosse un miraggio? Ci eravamo già esaltati inutilmente un paio di volte nelle ore precedenti…… Invece no!!! Girata l’ennesima montagna, vediamo l’asfalto. Da lì a poco, accompagnati da un gruppo di cavalli che correvano ai lati della strada, ci siamo ritrovati di nuovo in mezzo alla civiltà. Dopo aver visitato la bella cascata di Gullfoss, siamo andati a vedere Geysir, la sorgente d’acqua che erutta solo due o tre volte al giorno, perché è stato “soffocato” dai turisti che ci buttavano dentro le pietre allo scopo di farlo “smuovere”. I suoi spruzzi non siamo riusciti ad intercettarli, ma quelli di Strokkur, il geysir più regolare del mondo, che zampilla ogni sei minuti circa li abbiamo anche fotografati. E’ stato buffo vedere come decine di persone, noi compresi, aspettavano con la macchina fotografica in mano, intorno al geysir, il momento giusto per immortalare questo spruzzo d’acqua e vapore che fuoriusciva senza dare nessun segnale di preavviso, con forza, facendo un boato e bagnando i turisti che si trovavano troppo vicino. Ci siamo diretti all’hotel che si affaccia proprio sull’area dei geysir, ed è stato, per noi, il pernottamento più “lussuoso” in assoluto. Eravamo in cottages molto ben arredati, riscaldati dalle fonti geotermali del sottosuolo e anche qui quando aprivi l’acqua calda si respirava odore di zolfo. Nel pomeriggio siamo andati a Thingvellir, un campo di lava riparato da due grandi dirupi paralleli, le zolle tettoniche, quella nord-americana e quella europea che in questo punto si stanno allontanando l’una dall’altra al ritmo di due millimetri l’anno. Abbiamo visto il rift Almannagjà e una serie di altre spaccature e la passeggiata per arrivare sulla faglia è stata molto bella e interessante. Lungo il percorso ci sono cartelli che spiegano la storia del posto: i vichinghi vi fondarono il primo parlamento “democratico” del mondo ed era anche un luogo dove veniva giustiziato chi aveva commesso dei crimini. Ritornati in hotel, visto che c’era l’hot tube, ne abbiamo approfittato per fare un ultimo bagno rilassante, caldo e con idromassaggio. Il giorno dopo si parte per REYKJAVIK, la capitale, è domenica e sappiamo che il fine settimana c’è il mercato delle pulci, il Kolaportid, molto caratteristico. Notiamo che anche qui le bancarelle cinesi non mancano, anche se molto meno numerose che da noi, ma il nostro obiettivo è quello di vedere i prodotti locali e di assaggiare l’Hakarl, carne di squalo fatta macerare per mesi sottoterra. Riusciamo a trovare l’area del pesce e la nostra curiosità viene subito soddisfatta; solo Giannetto ha il coraggio di mangiare un pezzettino di concentrato di ammoniaca il cui sapore è ancora più disgustoso. I ragazzi ne assaggiano un micron e non avranno effetti, noi ci rifiutiamo. Giannetto avrà una reazione, quasi disumana, a distanza di un’ora circa; per fortuna c’erano i bagni pubblici vicini. Tra i prodotti per noi insoliti, qui si mangiano i testicoli di montone e le teste di pecora dalle quali ci fanno anche le gelatine; fa un certo effetto vedere in mezzo ai surgelati, nei supermercati, i sacchetti con tre- quattro teste di pecora. Tutto il giorno, abbiamo girato per negozi, centri commerciali e vie della città. La sera abbiamo cenato in una steakhouse tra le più esclusive, dove abbiamo visto cucinare sulla griglia la carne di balena; in quel momento il nostro pensiero è ritornato indietro di qualche giorno e abbiamo ordinato manzo e merluzzo che in questo paese hanno un gusto diverso, molto buono, forse più saporito. Qui abbiamo incontrato una giovane cameriera della provincia di Trento, che studia e lavora e ha deciso di vivere in Islanda perché è convinta di avere trovato il posto ideale, sia a livello climatico che sociale. Dopo aver fatto una passeggiata “notturna”, andiamo a dormire e cerchiamo di superare la notte insonne a causa della luce, che le tende non riescono ad oscurare ed il rumore delle auto. Andrea e Giannetto si sono alzati presto per fare un giro al porto e vedere il pescato della mattina e poi tutti insieme decidiamo di trascorrere le ultime ore per fare acquisti. Ma il tempo passa in fretta ed è giunta l’ora della partenza verso l’aeroporto; ci dirigiamo al parcheggio e con nostra sorpresa abbiamo vinto una bella multa islandese, tra l’altro non sottotitolata in inglese, ma il prezzo è traducibile, 950 corone. Arriviamo in aeroporto e ci dividiamo: un gruppo resta con i bagagli, un altro effettua la consegna e relativa visita di ispezione da parte dell’agenzia del 4×4, un altro chiede informazioni sul pagamento della multa, che verrà poi eseguito allo sportello bancario dell’aerostazione. Al ritorno, in aereo, ascolto con gioia i commenti entusiasmanti dei ragazzi, e ripenso alla bellezza naturale dell’Islanda, che, come avevo letto viene chiamata la terra del fuoco e del ghiaccio; aggiungo che è sì la terra del ghiaccio e del fuoco, ma anche di tutte le molteplici forme che derivano dal connubio di questi due elementi, che spesso entrano in contatto tra loro creando forme e panorami spettacolari. Deserti di sabbia, lava, muschio, laghi cristallini, sorgenti geotermiche che scaturiscono dai campi di lava, montagne multicolore, enormi ghiacciai dalle svariate sfumature, crateri colorati….si possono descrivere tutti i paesaggi visti, ma non le emozioni che suscita tale esperienza e che ognuno di noi avverte in base al proprio vissuto. Comunque, un aspetto della nostra vita si è modificato in seguito a questo viaggio: di sicuro non mangeremo più salami e patatine per alcuni mesi.
I viaggiatori: Giannetto, Mirna, Andrea, Luisa. I ragazzi: Edoardo, Ludovica, Carolina e la piccola Valentina. Viaggio in Islanda dal 18/07/2009 al 27/07/2009. Totale km percorsi: 2100. Fusignano, 29 settembre 2009