Quello che segue è il diario del viaggio fatto in Irlanda, viaggio a lungo desiderato e finalmente realizzato nell’agosto 2006. Al termine del diario sono riassunti gli indirizzi di bed and breakfast e ristoranti e i costi relativi al viaggio. Nessun racconto può rendere giustizia a un luogo come l’Irlanda e ai suoi abitanti; spero di essere riuscita almeno in parte a descrivere le sensazioni e le emozioni che l’isola di smeraldo e la sua gente sanno trasmettere… 07 agosto 2006 Milano Linate, ore 08,30. Non mi sembra vero: tra tre ore sarò su un volo diretto in Irlanda. Non saprei nemmeno dire da quanti anni sogno questo viaggio. Ho tutto nella mia mente: le tappe, i luoghi da vedere, le strade da percorrere. Immagini, leggende, storia. Anni di letture di guide, racconti, diari. Che dire, sono pronta. Possiamo partire. La valigia è più pesante del previsto: 20 kg. Esatti, quella di Matteo addirittura 20,3. Devo ammetterlo, l’unica vera incognita è il clima. Non so esattamente cosa aspettarmi. Certo, si sa, è variabile; piove. Ma quanto? E a che temperatura? E in caso di sole? … Così le valigie sono state colmate all’inverosimile, prendendo in considerazione ogni possibile sfumatura climatica. Perché, nel viaggio dei miei sogni non posso soffrire il freddo, o girare con vestiti umidi, e nemmeno sudare. Atterriamo in perfetto orario a Dublino, 13,00 ora locale. Nuvoloso e fresco. Sbrigate le formalità, una navetta ci porta a ritirare l’auto, noleggiata con Irish Car Rental. La nostra prenotazione prevedeva una “Fiat Punto o similare”; ci viene consegnata una “similare”, una Peugeot 206 blu, nuova fiammante ma con il bagagliaio troppo piccolo per le nostre due valigie! Ne carichiamo una sul sedile posteriore, penseremo domani a come farle entrare entrambe, ora abbiamo una questione delicata da affrontare: la guida a sinistra. Per la verità, non è la prima volta per noi: l’anno scorso abbiamo noleggiato un’auto per un giorno alle Bahamas, ma l’isola di Eleuthera ha praticamente una sola strada e non abbiamo incontrato più di tre vetture durante tutto il giorno, quindi la nostra esperienza è praticamente nulla… Va be’, partiamo. Prima tappa, Glendalough.. Grazie alle istruzioni ricevute all’autonoleggio, prendiamo la direzione giusta. In autostrada, oltretutto, guidare non è così complicato, dal momento che andiamo tutti nella stessa direzione. I problemi iniziano al termine dell’autostrada (piuttosto breve, peraltro): alle rotonde e agli incroci è necessario ragionare, prima di effettuare una manovra che ci porterebbe automaticamente sul lato sbagliato della strada. Comunque, pian piano ci si abitua! Le indicazioni sono scarse, le strade strette. Muniti di cartina, e affidandoci anche un po’ all’intuito, saliamo e scendiamo una serie di colline verdissime, naturalmente disseminate da greggi di pecore, proprio come si vede nelle classiche immagini irlandesi, proprio come immaginavo!, inoltre ora c’è un bel cielo limpido e con il sole il verde sembra ancora più brillante. Il nostro primo b&b appare improvvisamente, sulla strada che stiamo percorrendo. Si tratta di una casetta singola, in fondo a un viale ghiaioso. E’ la prima volta che pernottiamo in un alloggio di questo tipo e siamo curiosi di scoprire se questa esperienza ci piacerà. Ci accoglie un ragazzo, scalzo (tanto c’è moquette ovunque!) che, ignorando il foglio stampato da internet che attesta la nostra prenotazione (e l’avvenuto pagamento), ci mostra la camera, la sala per la colazione e il salottino. E’ tutto molto carino e pulito; lasciamo i bagagli e ci dirigiamo verso uno dei luoghi che mi ha sempre affascinato, il sito monastico di Glendalough (Gleann dà Loch). Le rovine di quello che è stato uno di principali centri monastici dell’isola sono situate in un luogo suggestivo, sparpagliate tra la vegetazione in riva al Lower Lake. L’atmosfera è magica, e si avverte non appena si passa sotto gli archi che segnano l’ingresso al sito. La torre circolare, che svetta al di sopra degli alberi, rovine di chiese, croci celtiche… sembra di tornare indietro nel tempo… l’edificio più famoso del complesso è la St Kevin’s Kitchen che, a dispetto del nome, è una chiesetta di pietra con un piccolo campanile rotondo, ed è un vero peccato che non si possa entrare! Da qui ci incamminiamo verso l’Upper Lake. C’e il sole, fa caldo ed è piacevole camminare lungo questo ampio sentiero, tra numerose famiglie con bambini, che probabilmente hanno trascorso qui la giornata. L’Upper Lake è più grande e scenografico del Lower e, anche qui, ci sono delle rovine. Si tratta dell’antico insediamento di St Kevin, che aveva scelto di vivere in solitudine in una grotta. Le cose, naturalmente, andarono diversamente da come lui aveva desiderato: dopo alcuni anni, le voci che circolavano sulla vita condotta da Kevin iniziarono ad attirare discepoli, e fu così nacque la città monastica di Glendalough. Ormai si sta facendo tardi, è ora di tornare indietro e facciamo solo un’ultima tappa in un prato a poca distanza dall’Upper Lake per vedere i resti di un caher… il nostro primo cerchio di pietre! E’ meno imponente di quanto mi aspettavo, ma sono felice ugualmente di vedere qualcosa di così celtico, così irlandese… Ceniamo in un ristorante a Laragh, paesino a qualche km da Glendalough, dove si trova anche il nostro b&b. Bisogna dire che, in proporzione all’elevato numero di b&b, l’offerta di locali in cui mangiare qualcosa è piuttosto ridotta. Io sognavo di cenare in un tipico pub, ma visto il numero di turisti è meglio accontentarsi di avere trovato un tavolo libero, anche se solo per un’ora! Prendiamo un piatto a base di salmone e una zuppa di pesce chiamata “seafood chowder”. Non ha niente a che vedere con la zuppa di pesce italiana, ma è davvero gustosa. Quando usciamo la temperatura è scesa, non c’è molta vita e poi noi siamo stanchi, e torniamo al b&b. 08 agosto 2006 Ci svegliamo con un cielo terso e un sole caldo; come ci fa notare la proprietaria del b&b, siamo decisamente fortunati! Facciamo colazione in compagnia di altre due coppie italiane, una di Torino e una di Ancona, scambiandoci informazioni. Matteo osa una colazione irlandese completa (uova, pane tostato, pomodori, funghetti, bacon, vari tipi di salsicce tra cui una tipo zampone e una tipo sanguinaccio). Io per ora preferisco stare leggera e scelgo frutta, yogurt e cereali (naturalmente, il tutto accompagnato da un bricco gigante di “caffé”, di cui noi riusciamo a bere circa un decimo, e io già sono fuori dal comune come italiana, perché adoro il caffé lungo). Partiamo, direzione Kilkenny (Cill Chainnig). Voglio provare a guidare, almeno per qualche km. Certo che è una sensazione strana, all’inizio! In curva ho l’impressione che le auto che procedono in senso opposto mi vengano addosso; la strada, poi, non aiuta: a curve, in salita o in discesa, con le pecore che vi camminano tranquillamente (allora è vero! Non è una trovata pubblicitaria per far credere ai turisti di essere finiti in un luogo rurale e idilliaco!). Dopo aver cercato il cambio con la destra più volte, il mio cervello inizia a connettere: imparo a cambiare con la sinistra, ma le marce non sono speculari rispetto alle nostre così come avevo immaginato, ma identiche, e io inserisco più volte la quarta al posto della seconda… in ogni caso, alla fine imparo e arrivo, contro ogni mia previsione, fino a Kilkenny senza problemi. Kilkenny è una città medioevale, ma questo non va inteso nel senso in cui noi italiani tendiamo a immaginare una città di quell’epoca. E’ comunque molto graziosa, con i suoi edifici dall’aspetto antico, i negozi dalle insegne vecchie e colorate, il fiume (river Nore) che la attraversa e fiori ovunque (perché le mie petunie non sono così colorate e rigogliose? Perché?). Le due attrazioni principali sono il castello e la cattedrale. Noi iniziamo a visitare il castello, edificio davvero imponente, circondato da un grande parco. Il primo edificio sorto in questo luogo fu costruito nel 1172 su ordine del conte Richard de Clare, il conquistatore anglo-normanno d’Irlanda (meglio conosciuto come Strongbow). Ci dirigiamo quindi verso la St Canice’s Cathedral, passeggiando lungo le stradine affollate, ordinate e colorate, osservando i numerosi pub e guardando le vetrine dei negozi. Ne approfittiamo anche per fare un veloce spuntino, finalmente in un tipico pub, dove beviamo la nostra prima pinta irlandese (Guinness, ovviamente, anche se a Kilkenny viene prodotta un’altra ottima birra, la Smithwicks). Secondo una leggenda, la cattedrale sorgerebbe sulle rovine del primo monastero costruito da San Canice, patrono di Kilkenny. Costruita tra il 1202 e il 1285, è in stile gotico inglese, ed è circondata da un cimitero e affiancata da una torre rotonda, l’edificio più antico del complesso. E’ arrivato il momento di lasciare la città e dirigerci verso la tappa successiva: Cashel (Caiseal Mumhan). Raggiungiamo questa cittadina, famosa per la sua rocca, seguendo la “scenic drive” Kilkenny-Cashel, una stretta strada che si addentra nella campagna irlandese, tra case isolate e fattorie, pascoli e campi, poco trafficata e molto suggestiva. La rocca di Cashel è considerata giustamente uno dei siti archeologici più spettacolari d’Irlanda, e ci appare maestosa e imponente nonostante sia in parte coperta dalle “reti” del restauro. Ci rimettiamo in marcia mentre il cielo inizia a rannuvolarsi, e arriviamo a Birr accompagnati da una sottile pioggerella, la prima del nostro viaggio. Mentre giriamo alla ricerca del nostro alloggio, Birr ci sembra una cittadina piacevole, e probabilmente lo è davvero; ma sembra disabitata e quando, depositati i bagagli, usciamo alla ricerca di un luogo dove cenare, scopriamo che quasi tutti i locali il martedì sono chiusi… ceniamo in un ristorante dall’aria anonima, ma con una bella vetrata sul fiume. Sarà la pioggia, sarà la stanchezza, sarà la fame accumulata durante la ricerca, Birr ci mette un po’ di tristezza… 09 agosto 2006 Per fortuna ha smesso di piovere. Probabilmente parte del fascino dell’Irlanda sta anche nella variabilità del clima, ma è più piacevole – e pratico – muoversi senza la pioggia. Prima di lasciare la città visitiamo i giardini del Birr Castle; il palazzo non è invece accessibile al pubblico in quanto tutt’ora abitato. La tenuta è decisamente grande (50 ettari) e la visita, seguendo il percorso indicato, richiede un paio d’ore. Vi crescono più di mille specie vegetali, oltre che le siepi più alte del mondo (12 metri), piantate tra il 1780 e il 1790. Le altre attrazioni del parco sono una cascata, una piccola fontana in un fiumiciattolo e un telescopio gigantesco (risalente al 1845) che fu , per alcuni anni, il più grande del mondo, e attirò qui un gran numero di scienziati e astronomi. Nel complesso, il parco è un luogo rilassante e piacevole; a noi è piaciuto molto, e lo consigliamo nonostante i 9 Euro del biglietto di ingresso. A questo punto è ora di lasciare Birr e dirigerci verso il sito di Clonmacnoise (Cluain Mhic Noìs). Come Glendalough, anche questo è un luogo magico, in cui sembra di trovarsi in un’altra dimensione. Lo visitiamo sotto un cielo grigio, cupo, che lascia cadere di tanto in tanto qualche goccia di pioggia, e questo intensifica ancora di più la sensazione di trovarsi in un luogo sospeso tra il cielo e la terra. Le rovine di quella che fu una delle più importanti città monastiche d’Irlanda sono situate in riva allo Shannon, circondate da un’area paludosa e selvaggia. Vi sono numerose chiese, high crosses e torri rotonde, tutte in ottimo stato di conservazione. Le croci più famose (Cross of the Scriptures, North Cross e South Cross) sono conservate all’interno del museo, mentre nell’originaria posizione esterna sono state collocate delle copie. Interessante è anche uscire dalle mura, oltrepassare il cimitero moderno e, con una breve passeggiata, raggiungere le rovine della Nun’s Church; niente di spettacolare, rispetto al sito principale, ma a nostro parere merita comunque una visita. Bene, ancora una volta è il momento di proseguire. Ripercorriamo la stretta strada che ci ha portato fin qui e ci dirigiamo verso Galway (Gaillimh). Ci concediamo una breve pausa a Shannonbridge, per un veloce spuntino in un pub; cioè, noi avremmo voluto fare una sosta veloce, ma il proprietario del locale ha voluto mostrarci un grande album fotografico, con le foto della sua famiglia e di alcuni clienti! Be’, simpatico!, inoltre è stato felice che Matteo abbia appeso il suo biglietto da visita a una parete, tra centinaia d’altri. Certo che questi irlandesi sono proprio sorprendenti, è vero quando si dice che sono cordiali, a volte basta parlare alcuni minuti con una persona e sembra di conoscersi da una vita. D’altra parte, un proverbio locale recita: “qui non ci sono stranieri, solo amici che non si sono ancora incontrati!”. Galway ci piace immediatamente, mentre la attraversiamo alla ricerca del B&B. La nostra sistemazione è situata nel tranquillo quartiere di Salthill, non più di cinque minuti d’auto dal centro. E’ un posto carino, con una bella passeggiata sul mare e alcuni locali. Anche la sistemazione è piacevole e la cosa non può che rallegrarci, dal momento che qui ci fermeremo due notti. Arriviamo in città, alla ricerca di un locale in cui cenare, nel momento in cui i negozi chiudono e gli artisti di strada iniziano le loro esibizioni. C’è molta gente, l’atmosfera è caotica e allegra, i locali affollati. Noi ci concediamo un’ottima cena irlandese a base di Irish Stew (stufato di montone) e Seafood Chowder. Non è freddo come mi aspettavo e dopo cena facciamo una passeggiata sul lungomare prima di tornare alla base. 10 agosto 2006 Oggi ci aspetta una giornata tranquilla nel Burren, la famosa regione calcarea che si estende a sud di Galway, nella contea di Clare. Il termine celtico che dà il nome alla regione, Boireann, significa “paese roccioso” e rende bene l’immagine di questa zona, tutta pietre e roccia. La costa è molto frastagliata, con poche spiagge e molte scogliere calcaree. Nonostante l’apparente desolazione, il paesaggio è unico, particolare e affascinante, nonché disseminato di resti di antichi castelli (Leamanegh Castle, Dunguire Castle…) e reperti archeologici. Il più famoso, dove anche noi facciamo una sosta, è il Poulnabrone Dolmen, risalente a un periodo che va dal 3800 al 3200 a.C.. Devo ammettere che me lo immaginavo un po’ più imponente, ma l’idea che queste pietre siano qui, in mezzo al nulla di questa distesa di roccia calcarea, da quasi cinquemila anni è incredibilmente affascinante. La sosta successiva è Lahinch, definita dalla Lonely Planet “la classica stazione balneare piena di vita”. Visto il clima, non proprio adatto alla vita da spiaggia, sono proprio curiosa di vedere cosa fanno gli irlandesi al mare. La spiaggia, bisogna ammetterlo, è grande; inoltre, la bassa mare fa sì che lo sia ancora più del normale. Noi ci dirigiamo verso il mare con scarpe da ginnastica, pantaloni lunghi e k-way. I ragazzi in acqua sono surfisti, e indossano delle mute. Nell’immensità della spiaggia, oltre a noi ci sono dei ragazzini che giocano a calcio, in costume da bagno, e ci guardano probabilmente pensando che siamo i soliti turisti freddolosi. Tutta l’altra gente, la maggior parte famiglie con bambini, è allineata lungo il muro alla fine della spiaggia, per ripararsi dal vento; alcuni hanno fissato nella sabbia dei paletti con legato un telo, come ulteriore protezione. Sono quasi tutti vestiti, chi in maglietta, chi (pochi) con una felpa e qualche ragazza in top! Ma come fanno? Non c’è nemmeno un misero raggio di sole! Scattiamo qualche foto, facciamo due passi in paese e poi via, verso quella meraviglia che sono le scogliere di Moher (Aillte an Mothair). Il parcheggio è affollato, in effetti è consigliabile visitare questo luogo la mattina presto o al tramonto, ma non importa, la curiosità è tanta e ci lanciamo immediatamente lungo il sentiero. C’è un vento pazzesco, fortissimo, ma via via che ci avviciniamo al punto di osservazione lo spettacolo è tale che quasi non lo sentiamo più, il vento! 203 metri di roccia a picco sull’oceano… non ci sono parole per esprimere la maestosità che ci offre qui la natura. Dalle nubi filtra un raggio di sole, che illumina improvvisamente il cielo, il mare e ci riscalda un po’. All’orizzonte, una densa foschia non ci consente di vedere le isole Aran, ma contribuisce a rendere il paesaggio ancora più irreale… Seguiamo interamente il percorso, al termine del quale molti si avventurano, nonostante il divieto, lungo lo stretto sentiero che corre sul bordo della scogliera… sicuramente sarà affascinante, ma a noi sembra un po’ pericoloso, e preferiamo goderci il panorama al sicuro, ben protetti dal muro che costeggia il percorso! A malincuore, lasciamo questo luogo meraviglioso e ci rimettiamo in marcia verso Doolin, punto di imbarco per le isole Aran. Noi, purtroppo, non abbiamo tempo per visitare le isole e ci fermiamo solo per un veloce spuntino. Il paese non è niente di eccezionale, ma troviamo un pub molto carino. Rientriamo a Galway tagliando il Burren in direzione Ballyvaughan (Baile Uì Bheachàin) e questo tragitto offre scorci veramente belli e suggestivi. Galway ci piace ancora più di ieri. Visitiamo le attrattive principali: la Cattedrale, che dal severo esterno non lascia intuire la bellezza dell’interno, il Salmon Weir, che attraversa il fiume Corrib, lo Spanish Arch, accanto al porto, ciò che rimane dell’antica cinta muraria della città e, naturalmente, Eyre Square, la piazza attorno a cui ruota la vita di Galway. Curiosiamo un po’ anche nel centro commerciale di Eyre Square, la cui particolarità è costituita dal fatto che i resti delle mura sono stati conglobati nel nuovo edificio, decisamente moderno; il risultato è molto particolare. Ceniamo in un ristorantino minuscolo ma caratteristico, poi passeggiamo ancora un po’, senza meta, assaporando l’atmosfera così particolare di questa città. Sarà davvero difficile partire, domani mattina… La cosa, devo dire, mi lascia un po’ spiazzata. Certo, non è la prima volta che mi dispiace partire, lasciare un luogo che mi ha colpito particolarmente, ma in genere questo è avvenuto per città come Lisbona, Praga, luoghi ricchi di arte e di storia e dove, oltretutto, mi sono trattenuta più di due giorni… Galway, in fondo, cosa c’entra con tutto questo? Non lo so. Niente, forse. Ma non importa. Sarà il cielo, che ci ha offerto anche qualche raggio di sole, sarà la gente, il profumo di salsedine che ci accompagna mentre passeggiamo, i colori, i sapori, la brezza, e la pace che tutte queste cose, e altre ancora, regalano a chi si ferma qui, anche solo per poco tempo… 11 agosto 2006 La tristezza per la partenza si mescola all’impazienza di addentrarci nel tanto decantato Connemara (Conamara); non vediamo l’ora di ammirare con i nostri occhi questa regione d’Irlanda così famosa per i suoi paesaggi idilliaci. Il nostro percorso ci porterà a seguire la costa fino a Clifden (An Clochàn), per poi terminare a Westport (Cathair na Mairt). Non è un itinerario lungo, ma abbiamo previsto alcune tappe; la prima è Carraroe (An Cheathrù Rua). Entrare nel Connemara significa entrare in un mondo a parte rispetto all’Irlanda che abbiamo fin qui conosciuto: è una zona “gaeltacht”, cioè dove il gaelico è tutt’ora parlato e dove i cartelli stradali non riportano più la traslitterazione inglese dei toponimi. Dal momento che le due lingue non si somigliano affatto, è necessario prepararsi o, meglio, essere muniti di una cartina bilingue. A Carraroe ci fermiamo alla Coral Strand, una spiaggia costituita non da sabbia ma da frammenti di conchiglie e coralli. E’ un luogo molto particolare, deserto, con le rocce scure, l’odore delle alghe abbandonate dall’alta marea, le strida dei gabbiani e il cielo e il mare con tutte le sfumature esistenti di grigio… e un vento terribile, ovviamente, che ci convince in breve tempo a salire in macchina e riprendere il viaggio attraverso questo angolo incantato d’Irlanda, un susseguirsi di prati verdeggianti punteggiati da innumerevoli pecore, muretti a secco e laghetti. Vediamo finalmente anche le famose torbiere, dove la torba viene tagliata a mattonelle, lasciata essiccare e poi raccolta in grandi sacchi, pronta per essere commercializzata. Pur sembrando meno arida rispetto al Burren, la maggior parte di questa regione non è coltivabile, e probabilmente fu per questo che sfuggì più delle altre alle invasioni, permettendo di conservare quella cultura gaelica altrove scomparsa (quando Cromwell terminò la conquista dell’isola, offrì come unica alternativa ai contadini cattolici, spogliati delle loro terre, di insediarsi qui, ben sapendo che la sopravvivenza non sarebbe stata facile…). Roundstone (Cloch nà Ron), piccolo villaggio di pescatori, è affollato di turisti ma resta comunque un luogo grazioso e accogliente, con la via principale fiancheggiata da case colorate, pub e qualche negozio, e il porticciolo dove, con un po’ di fortuna, si possono vedere ancorati i tradizionali currachs. Inoltre, dopo miglia e miglia percorse senza incontrare nessuno, è piacevole trovare un po’ di movimento… Poco oltre la strada principale, nel Michael Killeen Park, c’è un complesso di botteghe artigianali; noi visitiamo un laboratorio dove vengono prodotti i tipici bodhràn, tamburi di pelle di capra, decorati con motivi celtici. Sono molto tentata di acquistarne uno, ma poi ripiego su un CD di musica tradizionale, molto meno ingombrante da trasportare… Pranziamo in un pub vicino al porto; io scelgo una porzione di seafood chowder, ormai non riesco più a farne a meno, da quando sono qui l’ho mangiata ogni giorno, o a pranzo o a cena! Proseguiamo verso Clifden, capoluogo del Connemara. Anche lungo questo tratto di strada siamo accompagnati da un cielo sempre più mutevole e prodigo nel mostrarci tutti i grigi di cui dispone. La cosa strana è che, nonostante le nuvole che si inseguono veloci e instancabili, filtra comunque una buona quantità di luce, tanto da dovermi mettere, a un certo punto, gli occhiali da sole…Ma si sa, il cielo d’Irlanda è speciale… le nubi sono basse, sembra di poterle toccare semplicemente allungando la mano, la luce continua a cambiare, e si fa in fretta a imparare ad apprezzare questa variabilità di condizioni atmosferiche, e ben presto si guarda il cielo per ammirarlo e non solo perché sembra minacciare pioggia da un momento all’altro… Clifden è una cittadina tranquilla e ordinata, ma anche molto turistica, con una lunga serie di negozi e locali affollati lungo le due vie centrali. Ci fermiamo poco, il tempo vola e prima di raggiungere Westport abbiamo ancora una sosta da fare: l’Abbazia di Kylemore. Il luogo è davvero incantevole. L’edificio in stile gotico, che un tempo era un’abbazia (oggi un collegio chic), è situato a ridosso di una collina e si affaccia su un lago. E’ possibile visitarne una parte ma noi, che arriviamo dieci minuti prima della chiusura, ci accontentiamo di ammirarlo dall’esterno, mentre passeggiamo in riva al lago assaporando la quiete e la bellezza del paesaggio. Continuiamo il nostro itinerario all’interno del Connemara, con i suoi paesaggi di rara bellezza, e arriviamo a Westport senza la minima indicazione per trovare il B&B che abbiamo prenotato; l’unica cosa che sappiamo è che si trova a 12 km dalla città, vicino al Croagh Patrick… un po’ misera, come informazione! La fortuna (e le poche strade tra cui scegliere) ci porta a seguire l’indicazione “Croagh Patrick” a un bivio, prima di arrivare a Westport, e da quel punto iniziamo a contare dodici km! La strada, anche se molto suggestiva, non ci fa ben sperare: da un lato il mare, dall’altro colline e, a un certo punto, la famosa montagna “sacra” d’Irlanda, dalla cui vetta San Patrizio ha liberato l’isola dai serpenti… peccato, la cima è coperta dalle nuvole… Comunque, coperta la distanza indicata sulla guida, del nostro B&B non c’è neanche l’ombra. Non ci sono però nemmeno altre strade, quindi proseguiamo… e dopo un paio di km eccolo, finalmente! Visto dall’esterno è la sistemazione migliore, almeno fino a questo momento: dall’altro lato della strada c’è un prato, su cui pascolano parecchie pecore e, oltre il prato, il mare… Un sottile raggio di sole illumina per alcuni minuti il paesaggio, regalandoci dei colori brillanti, vivi, che non vedevamo da tempo. L’accoglienza è simpatica, la camera nella norma, ma il bagno è proprio minuscolo! Va be’, tanto ci fermiamo solo una notte! Ci rechiamo a Westport per cenare. E’ una città ordinata, con fiori ovunque, come tutte le altre che abbiamo visitato, del resto. Dalla piazza chiamata The Octagon, (dalla forma del basamento della statua di San Patrizio) parte la via principale, fiancheggiata da pub e negozi. Carino anche il Mall, un viale alberato che costeggia il fiume. Al termine del Mall, questa sera, c’è festa. Andiamo a dare un’occhiata dopo cena, per ascoltare un po’ di musica, mangiando un gelato che sinceramente sarebbe stato meglio non acquistare, ma la stanchezza e l’aria decisamente frizzante ci fanno tornare presto al nostro B&B. 12 agosto 2006 Dopo una notte non del tutto riposante a causa del materasso (a schiena d’asino e con le molle che ci si conficcavano nella schiena), ci riprendiamo con una fantastica colazione irlandese (ormai ci siamo abituati, riusciamo anche a bere buona parte del gigante bricco di caffè), mentre osserviamo con un po’ d’ansia le nubi scure che corrono sul mare. Non si tratta del solito cielo grigio, questa mattina sembra proprio che sia per piovere… Veniamo presto rassicurati dalla proprietaria che, mentre ci serve la nostra dose quotidiana di colesterolo, ci dice sorridendo che siamo fortunati, che abbiamo trovato una bella giornata! All’inizio penso che stia scherzando, invece è seria; si vede che qui è sufficiente l’assenza di pioggia per definire “bella” una giornata… Partiamo, destinazione Sligo con tappa a Céide Fields (Achaidh Chéide). Mentre ripercorriamo la strada lungo la costa verso Westport, notiamo che nonostante le condizioni atmosferiche oggi il Croagh Patrick è visibile e ci fermiamo al parcheggio visitatori. Non c’è nessuno, a parte un uomo che vende e noleggia “walking sticks” (bastoni di legno, che mi ricordano quelli che usavo da piccola in montagna). Sarebbero un souvenir carino per due appassionati di montagna come noi ma, a pochi giorni dall’attentato sventato all’aeroporto di Londra, non ci sembra saggio presentarci all’imbarco muniti di due bastoni (leggendo i giornali pare non si possa portare a bordo nulla!!!). Definire il Croagh Patrick una montagna ai nostri occhi sembra un po’ eccessivo, ma in Irlanda i suoi 765 metri sono un’altezza di tutto rispetto. E’ un vero peccato, comunque, non avere il tempo per percorrere il sentiero che si inerpica, ripido e invitante, davanti a noi… Mentre proseguiamo, lasciandoci Westport alle spalle, ci ripromettiamo di tornare in futuro per la “scalata” a cui oggi abbiamo dovuto rinunciare, magari proprio in occasione del pellegrinaggio annuale. Ho letto che la maggior parte dei turisti tende a snobbare la contea di Mayo, riducendosi ad attraversarla frettolosamente per raggiungere Sligo dal Connemara (o viceversa). E’ un vero peccato, dal momento che offre dei paesaggi grandiosi. Per arrivare al sito di Céide Fields seguiamo la strada che porta a Mulrany (An Mhala Raithnì) e poi proseguiamo per Bangor Erris e Ballycastle (Baile an Chaisil) e quasi quasi dimentichiamo il Connemara, che ci ha comunque notevolmente affascinato. Siamo circondati da prati verde smeraldo, la strada è praticamente occupata da pecore, per nulla intimidite dal nostro passaggio, una mandria di mucche si incammina di fianco a noi, sotto la supervisione dei proprietari e di alcuni cani… Il cielo grigio violaceo a un certo punto lascia filtrare un po’ di sole che accende ancora di più i colori intensi di questa terra, e il mare sotto di noi improvvisamente è blu cobalto, e sembra perfino perdere un po’ della sua forza nell’impatto con le scogliere… sì, perché questi prati, questa stradina con le sue pecorelle, si trovano parecchi metri sopra il livello del mare… Diciamo la verità: le scogliere di Moher sono qualcosa di unico, come ho già detto, ma anche questo tratto di costa è molto, molto bello! Questa è l’Irlanda che immaginavo e desideravo, ancora di più dell’idilliaco Connemara con i suoi laghi e i muretti a secco, più della magia di Glendalough e Clonmacnoise; questa è la terra che ho sempre sognato, verde, dagli spazi immensi, dalla natura semplice e un po’ selvaggia, e ora vorrei continuamente fermarmi e fotografare questo luogo fantastico, quasi temessi di non riuscire a riporre dentro di me tutte queste immagini, e imprimermi nella mente i suoi colori e i suoi odori, e nel cuore la sua pace… Céide Fields, il più esteso sito neolitico europeo, probabilmente può essere veramente apprezzato solo da un appassionato di archeologia. Sul libro visitatori una ragazza spagnola ha scritto: “Quattro sassi e nient’altro? Tutto qui?” e, da un certo punto di vista, questa lamentela è comprensibile: si tratta davvero di osservare dei sassi, anche se immersi nell’erica più rosa che io abbia mai visto. Io consiglio comunque di fermarsi e di partecipare a una visita guidata, come abbiamo fatto noi. In questo modo, con le spiegazioni della guida, i sassi assumono un certo significato, e diventano parte del recinto di una casa, per esempio, e si può immaginare la vita di questo villaggio di 5000 anni fa, quando il clima più mite e il terreno meno acquitrinoso resero possibile il nascere e il fiorire di questa comunità. La visita dura circa tre quarti d’ora e a mio parere è interessante, anche se non posso dire di avere ascoltato l’intera spiegazione: il vento – il più forte fino ad ora sperimentato – non solo costituiva un impedimento all’ascolto, ma mi ha costretta, a un certo punto, a mettermi il cappuccio del k-way, isolandomi dal resto del mondo (ma salvando le mie orecchie, che iniziavano a protestare). Prima di ripartire, sfidiamo ancora un po’ il vento e ci fermiamo alcuni minuti al punto panoramico di fronte all’ingresso del sito; siamo sull’orlo della scogliera e possiamo vedere Downpatrick Head e, in lontananza e avvolta nella foschia, quella che la guida ci ha detto essere la costa del Donegal. Il Donegal… la regione che mi ha sempre maggiormente attratto, e ora sono così vicina, e così curiosa e impaziente di arrivarci… Sarà davvero come l’ho sempre immaginato? Sarà diverso? Resterò delusa, visto le mie aspettative? No, delusa no. Forse non sarà come me lo aspetto, ma sicuramente non mi deluderà. Adesso però, pensiamo a cose più immediate e cerchiamo un posto dove mettere qualcosa sotto i denti. Ci fermiamo a Ballycastle, un paesino costituito praticamente da un’unica strada in salita, mentre inizia a piovere. Pranziamo in un locale strano, una specie di panificio con dei tavoli per spuntini veloci, poi proseguiamo per Sligo (Sligeach). Questa volta disponiamo dell’indirizzo e di una piantina della città, e troviamo velocemente il B&B. Abbandoniamo frettolosamente le valigie e partiamo nuovamente, felici che stia smettendo di piovere, in direzione Carrowmore, a circa 5 km dalla città. Carrowmore è una delle necropoli megalitiche più grandi d’Europa, con oltre 60 reperti; alcuni sono però inaccessibili, in quanto situati all’interno di proprietà private. Sperando che la pioggia ci risparmi, con un deposito di 3 Euro ritiriamo una piantina del luogo e iniziamo la ricerca dei vari cerchi di pietre e dolmen. Sarà che è tardi, sarà che ha smesso di piovere solo da mezz’ora, siamo sì e no una decina di visitatori, e l’assenza di folla fa sì che il luogo ci appaia ancora più suggestivo. Dopo che un debole raggio di sole ci ha illuso inizia a cadere una pioggerella fine fine, per ripararsi dalla quale non è nemmeno necessario l’ombrello, e noi continuiamo il nostro percorso in mezzo al trifoglio, fino alla cima della collinetta dove sorge la costruzione più imponente. Su una collina a poca distanza si staglia la sagoma del Knocknaera Cairn, un tumulo che, secondo la leggenda, sarebbe la tomba della fiabesca regina Maeve. Ormai è tardi e piove, e ritorniamo a Sligo. La città non ci colpisce particolarmente, forse anche a causa della fitta pioggia, che ci costringe a camminare a testa bassa al riparo dei nostri ombrellini. Probabilmente anche Galway ci sarebbe sembrata meno affascinante e vitale se l’avessimo vista in queste condizioni… Ceniamo in un pub, con una dose a dir poco abbondante di fish & chips e rientriamo al B&B. Domani mattina, sperando in un clima migliore, visiteremo l’abbazia e magari la città ci sembrerà più accogliente. Ma ormai poco importa, con la mente sono già proiettata a domani sera quando, finalmente, saremo nel Donegal (Dun na nGall). 13 agosto 2006 Effettivamente, senza la pioggia Sligo fa un’altra impressione, anche se continua a sembrarci la città più anonima tra quelle viste fino ad ora. I resti dell’abbazia, distrutta ben due volte da un incendio, ci ricordano vagamente San Galgano, in Toscana, anche se non possiedono lo stesso fascino misterioso, situati come sono in centro alla città. … ma ora è arrivato il momento di partire verso il Donegal… La prima tappa che facciamo in questa contea, praticamente quasi completamente separata dal resto dell’Eire dalle contee nord-irlandesi di Tyrone e Fermenagh, è Bundoran (Bun Dobhràin), famosa località di villeggiatura. Attraversiamo velocemente la cittadina e ci fermiamo un po’ in spiaggia; è grande, dalla sabbia è scura, quasi marrone, e praticamente deserta. D’altra parte non c’è la minima traccia di sole, il vento soffia con una certa forza e l’acqua è fredda… A Lahinch, in confronto, faceva caldo!, eppure, nonostante le condizioni climatiche, c’è un uomo che fa il bagno!!! Mi viene freddo solo a guardarlo nuotare… Oltrepassiamo la città di Donegal, dove torneremo nel pomeriggio, e proseguiamo lungo la costa, che in alcuni punti offre scorci davvero suggestivi. La nostra meta è il punto panoramico di Bunglass, che si affaccia sulla Slieve League, le scogliere più alte d’Europa. La strada, che parte dal paesino di Teelin, è stretta e, naturalmente, in salita. Inizialmente non fa impressione ma, via via che si prosegue, si restringe e si avvicina pericolosamente al margine della scogliera. Volendo, comunque, si può arrivare a Bunglass in auto. Io consiglio però di fare come noi, che abbiamo lasciato l’auto al parcheggio sterrato (chiudere il cancello dopo essere entrati!!!) e abbiamo fatto l’ultimo tratto di strada a piedi. In questo modo si evita la fatica di guidare su una strada a mio parere non semplice e si apprezza di più il paesaggio circostante. Camminiamo tra colline coperte di erica, sotto il solito cielo grigio, con il vento che a volte scompare, a volte ci sospinge e altre volte ci trattiene, e che ci porta perfino minuscoli spruzzi di acqua di mare. Più volte ci fermiamo per osservare il mare, i fiori, le rovine di una vecchia torre… è un luogo che invita alla calma, alla contemplazione, dimenticandosi di tutto il resto… prima di arrivare al punto panoramico c’è un laghetto, e abbandoniamo per un attimo la strada per costeggiarlo, i piedi che sprofondano nel terreno molle… … e infine ecco, siamo arrivati, e scorgiamo questi seicento metri di roccia grigia a picco sul mare… Ci avviciniamo, arriviamo praticamente all’orlo della scogliera, e di fronte a noi c’è questa parete di roccia impressionante, maestosa, così in contrasto con la dolcezza del paesaggio che la circonda… E’ molto diverso dalle Cliffs of Moher, qui si tratta di una bellezza selvaggia e austera, che incute quasi timore. Provo a trasmettere queste mie sensazioni a Matteo ma il vento forte porta via le mie parole, e così osserviamo a lungo, in silenzio, il meraviglioso mondo che ci circonda. Arriviamo a Glencolumbcille (Gleann Cholm Cille) dopo miglia percorse attraverso lande desolate e selvagge. Piove, ma si tratta di una pioggerellina sottile, quasi impercettibile, che crea una specie di nebbiolina, e tutto appare grigio e irreale, e si ha l’impressione di essere avvolti dalla nebbia che, nelle leggende, consente il passaggio al mondo fatato. In fondo, non c’è da stupirsi dell’atmosfera quasi mistica del luogo: quando San Colmcille (San Colomba) fondò il suo monastero, utilizzò i vecchi menhir – dopo avervi inciso una croce – per le cerimonie cristiane, tramutando i simboli delle antiche credenze in strumenti della nuova religione, e la convivenza tra leggende del passato, tradizioni e cristianesimo è ancora viva e tangibile (basti pensare che ancora oggi, alla mezzanotte della festa del santo, i penitenti compiono un giro dei resti dei menhir prima di recarsi a messa, alle 3 del mattino). La sensazione di essere arrivati in un luogo magico, lontano dal resto del mondo, persiste anche mentre mangiamo la nostra razione quotidiana di seafood, accanto a un termosifone caldo, guardando fuori da una finestra. Non c’è nessuno e, per essere sinceri, questa specie di isolamento è piacevole, e vorremmo fermarci qui più a lungo… Dopo una breve passeggiata fino alla spiaggia, in compagnia di alcune pecorelle, proseguiamo in direzione di Ardara. A questo punto, osservando la cartina, commetto un errore. La mia idea è di compiere un giro “a triangolo” (Donegal-Glencolumbcille-Ardara-Donegal); tra due lati del triangolo è indicato un passo, il Glen Gesh Pass (Glean Gèis) e, in assenza del simbolo cartografico che indica i passi di montagna, decido che si trova sul tratto Ardara – Donegal, a cui la scritta appare più vicina. Mi metto quindi alla guida, affrontando quello che, a mio parere, è il tratto di strada più semplice. Dopo alcune miglia attraverso prati e torbiere, però, la strada si restringe e inizia ad arrampicarsi sul fianco di una montagna… che sia questo, il passo??? Non ci posso credere, io odio guidare in montagna anzi, io odio questo genere di strade di montagna! Comunque non ci sono dubbi, il Glen Gesh Pass è questo, con questa stradina che sale e sale, e io prego di non incontrare auto che procedono in senso opposto, sono sufficienti le pecore a intralciarmi la via, non fosse per loro starei a un centimetro dalla parete rocciosa (per fortuna stamattina non siamo andati a Bunglass in auto, due percorsi di questo genere in una giornata sarebbero stati troppi). Cercando di trovare il lato positivo di questa situazione, decido che è l’occasione buona per affrontare questa mia fobia; e poi, diciamo la verità: la strada è quello che è, va bene, ma il Glen Gesh Pass merita davvero di essere percorso! In alcuni punti sembra quasi un paesaggio alpino, così atipico per l’Irlanda, pur presentando tutte le caratteristiche del Donegal: erba verde, erica a profusione, pecore in quantità, vento e cielo grigio – così vicino, soprattutto quando si valica il passo, ovviamente… Ardara (Ard an Ràtha), piccola cittadina ma importante centro per la produzione del tweed, ci sembra un luogo tranquillo e piacevole; purtroppo è domenica, i negozi sono chiusi e non c’è molto da fare. Proseguiamo quindi verso Donegal, percorrendo questa volta una bella strada larga (be’, larga dal punto di vista irlandese!). Il B&B si trova ad alcuni km dalla città, sulla strada per Letterkenny (Leitir Ceanainn). L’accoglienza è calorosa e la proprietaria felice che so parlare inglese, avendo avuto come ospiti fino alla mattina degli spagnoli che parlavano unicamente la propria lingua. La casa è arredata come le precedenti: soprammobili ovunque, pareti coperte da fotografie di famiglia, tappeti sopra la moquette, cane di ceramica davanti al camino, con l’aggiunta di pelli di pecora sui divani (detto così può sembrare assurdo, ma sul posto l’insieme è caratteristico). Donegal è una cittadina tranquilla, situata alla foce del fiume Eske, con un bel castello a pochi passi dalla piazza centrale, Il Diamond. In attesa dell’ora di cena entriamo in un negozio di souvenir, dove acquistiamo cartoline e regalini vari. Il proprietario è un personaggio pittoresco: ci saluta come se fossimo vecchi amici, ride, scherza, ci fa domande che esigono risposte precise. Non si accontenta, per esempio, di sapere che siamo italiani, e anche l’aggiunta che viviamo vicino a Milano non lo soddisfa completamente: in che senso, vicini? Quanto, vicino? Alla fine ci saluta con un’esplosione di “a presto”, “ci vediamo”, “viva i nuovi campioni del mondo” e un “grazie mille” in italiano pronunciato in modo così strano che noi pensiamo abbia detto qualcosa in irlandese! Ceniamo in un locale moderno, e sentiamo la mancanza di un pub, di cui ormai siamo clienti affezionati. Dopo cena, quindi, andiamo a bere una pinta in uno dei tanti nei dintorni del Diamond; ma è stata una giornata intensa, e presto rientriamo al B&B. Domani ci addentreremo nel Donegal, nel Glenveagh National Park (Pairc Naìsùnta Ghleann Bheatha). 14 agosto 2006 Questa notte ha piovuto e il cielo nero non promette niente di buono. Facciamo colazione mentre la proprietaria cerca di rassicurarci dicendoci che non pioverà, ma noi non ne siamo affatto convinti. Comunque partiamo, sfidando il cielo e l’aria fredda. Attraversiamo Letterkenny, il centro più importante della contea. In effetti, paragonata a Donegal, sembra proprio una grande città! Arriviamo al parco sotto la solita pioggerella fine, pazienza… ormai ci siamo abituati… Dopo una veloce visita al Visitor Centre decidiamo di percorrere a piedi i quattro km di sentiero fino al castello, invece di usufruire del bus. Avevo letto che, in estate, è opportuno munirsi di un apposito prodotto contro i moscerini ma, forse a causa del tempo che mi induce a credere di essere in autunno inoltrato, mi dimentico di questa cosa. Arriviamo così al castello con le mani segnate alcune macchioline rosse, leggermente pruriginose… niente di grave, ovviamente, inoltre la passeggiata è stata molto piacevole, e non solo perché la pioggia ci ha concesso una tregua. C’era pochissima gente, oltre a noi, lungo il sentiero che costeggia il Lough Beagh. Sul lago aleggiava una leggera nebbiolina, che nascondeva in parte alla vista le colline circostanti e, camminando in silenzio, gli unici rumori erano i nostri passi sul sentiero e lo sciabordio dell’acqua. Probabilmente, detto così, a qualcuno può sembrare deprimente, a noi però è piaciuto molto, soprattutto per il senso di tranquillità e di pace che questo luogo ha saputo trasmetterci. Il castello è piuttosto recente (fine XVIII secolo) ed è circondato da giardini che sarebbero ancora più belli, senza pioggia! La visita guidata del castello è interessante, sebbene si tratti di una costruzione più moderna rispetto a quelle viste fino ad ora. Facciamo uno spuntino al self service in attesa che smetta di piovere, poi ci incamminiamo verso il parcheggio. Durante il tragitto le condizioni atmosferiche sono più che variabili: pioggia, raggio di sole, nebbia, vento, sole, pioggia e così via… certo che, quando compare, il sole è caldo! Il nostro abbigliamento varia di conseguenza, spaziando più volte dalle maniche corte al maglione + k-way, e il tutto in meno di un’ora! Comunque, niente illusioni: quando ripartiamo è tutto di nuovo grigio e nebuloso. Attraversiamo paesaggi aspri e desolati tra le Derryveagh Mountains. Sembra di essere in alta montagna, non ci sono alberi, solo erica, licheni e erba. Per svariate miglia non incontriamo altre auto, non vediamo case, e ci siamo solo noi, la pioggia e questa distesa ondulata di colline brulle e desolate, ed è bellissimo. Non sono in grado di spiegare perché questo luogo eserciti su di noi un così grande fascino ma, giunti ormai al termine del viaggio, posso dire con certezza che è questa l’Irlanda in cui lasceremo un pezzetto di cuore, qui tra queste colline spazzate dal vento, nascoste dalla nebbia… Siamo dispiaciuti che il monte Errigal, la cima più alta della regione (752 m) sia quasi totalmente nascosta dalle nubi, ma ci consoliamo pensando che saremo più fortunati la prossima volta… perché, ormai ne siamo convinti, prima o poi torneremo in Irlanda e potremo dedicarci, oltre che al Croagh Patrick, a tutti quei luoghi che oggi non abbiamo il tempo di vedere… Bloody Foreland, Poisoned Glen, la penisola di Inishowen… Ora, però, dobbiamo rientrare alla base. La strada, anziché condurci verso il nulla – come potrebbe sembrare in alcuni momenti – ci porta verso Gweedore (Gaoth Dobhair) e, da qui, a Dungloe (An Clochàn Liath), percorrendo la zona spoglia e rocciosa chiamata Rosses (Na Rossa). Infine arriviamo ad Ardara, dove ci fermiamo ancora una volta. Vogliamo comprare qui i vari regali e souvenir che inizialmente avevamo deciso di acquistare a Dublino, per portare a casa un po’ di Donegal… Il negozio che abbiamo scelto è entusiasmante, e propone naturalmente i prodotti classici di questa regione: tweed e lana, venduta sotto forma di maglioni e sciarpe. Inutile dire che faccio fatica a contenere gli acquisti… l’unico deterrente è il peso della valigia, che era già al limite (cercherò di pigiare tutto nel bagaglio a mano, e speriamo in bene poiché sarà decisamente ingombrante). E’ stato piacevole fare shopping, non solo per la bellezza degli articoli ma anche per i proprietari del negozio, che ci hanno trattenuto parecchio tempo a chiacchierare. Naturalmente hanno voluto sapere con precisione da dove veniamo, (erano convinti che almeno Matteo fosse irlandese,io ho perso questa possibilità nel momento in cui ho iniziato a parlare), dove siamo stati qui in Irlanda, e così via, e infine il ragazzo confessa di amare l’Italia ma di avere tifato per la Francia durante la finale dei mondiali di calcio… certo che anche qui hanno la fissa per questo sport, da quando abbiamo messo piede nel Donegal il commento dopo avere saputo che siamo italiani è sempre stato “Oh, italiani, i nuovi campioni del mondo!”! Comunque, questa lunga conversazione non fa che confermare la nostra convinzione che se gli irlandesi sono un popolo decisamente ospitale e cortese, gli abitanti del Donegal lo sono ancora di più; se nel resto della Repubblica abbiamo avuto la sensazione di trovarci tra amici, qui ci sembra di essere in famiglia. In questo angolo d’Irlanda i rapporti umani sono forti, intensi, forse per compensare il fatto di vivere in una regione isolata e dal clima rude, forse perché ci sono meno turisti, o forse perché sono così, semplicemente, amichevoli e gentili, curiosi e desiderosi di fare nuove conoscenze… Rientriamo al B&B per una doccia calda, e mi intrattengo un po’ a parlare con la padrona di casa, che sogna di venire in Italia e visitare Venezia e Firenze. Ceniamo a Donegal, in un ristorantino delizioso, con una grande vetrata che si affaccia sul fiume poi, nonostante l’umidità e il freddo, facciamo quattro passi in città. Se è stato difficile lasciare Galway, partire da qui sarà ancora peggio… 15 agosto 2006 Ecco, è arrivato il momento di partire… Ci attendono ancora due giorni a Dublino, ma sono così triste che mi sembra che il viaggio finisca qui…Carichiamo i bagagli sotto una pioggia torrenziale, come se anche il cielo, fino ad ora piuttosto clemente con noi, voglia farci capire che è giunto il momento di tornare indietro… E così partiamo, l’ultimo tratto in auto del nostro viaggio. Ripercorriamo la strada costiera fino a Sligo, poi ci dirigiamo verso sud, attraversando il centro dell’isola fino ad Athlone (Baile Atha Luain), dove pieghiamo a est, verso Dublino (Baile Ahta Cliath). Ore e ore tra prati, laghi e fiumi, con la pioggia che oggi proprio non ne vuole sapere di abbandonarci. Iniziamo a chiederci come sarà Dublino. Abbiamo sentito dire che o si odia o si ama, presto vedremo che effetto avrà su di noi. Il B&B che abbiamo prenotato si trova a Dun Laoghaire (pronuncia: dan liri); la scelta è caduta su questa zona della città in base alla presenza della Dart. Contiamo infatti di abbandonare l’auto al nostro alloggio e di muoverci con i mezzi pubblici. Via via che ci avviciniamo a Dublino, comunque, la nostalgia del Donegal e di tutti gli altri luoghi che abbiamo visto si fa sempre più forte. C’è un traffico mostruoso, sembra di essere in tangenziale nelle ore di punta. Certo, era prevedibile: Dublino è una grande città, ma noi non siamo più abituati al caos e alle code, e ci viene voglia di allontanarci, di continuare verso sud o di ripiegare a nord. Invece, dopo quella che ci sembra un’eternità, arriviamo a Dun Laoghaire e, con l’aiuto di un paio di persone, troviamo il nostro B&B. L’accoglienza è bizzarra. Dopo avere abbandonato i bagagli in camera, ci apprestiamo ad uscire e veniamo bloccati dalla proprietaria, che ci intima di sederci in salotto. Inizia una specie di interrogatorio, dalle domande decisamente strane (dove credete di andare, ora?), affermazioni inquietanti (siete di Milano? Bene, immaginate che andare a Dublino sia come andare a Napoli), consigli (lasciate le cose di valore, come la videocamera e la macchina fotografica qui a casa, sono al sicuro, c’è l’antifurto, là fuori potrebbero scipparvi). Non avesse quel tono autoritario, sarebbe gentile. Infine mi mette in mano una piantina della città e mi spiega dove prendere l’autobus (46A). Io oso dire che abbiamo intenzione di usare la Dart, e inizia la lotta. Noi dobbiamo prendere il bus, è più comodo, la fermata della Dart invece è a quindici minuti a piedi e se andiamo in auto dobbiamo pagare il parcheggio. Si riappropria quindi della cartina, dove scrive in grande: bus 46, al ritorno chiedete all’autista di farvi scendere all’incrocio tra Tivoli Rd. E York Rd. Io faccio presente che per noi non è un problema pagare il parcheggio e che abbiamo già visto dov’è la fermata. In quel momento, una coppia si affaccia alla porta per salutare, e la padrona di casa esclama: ecco, sono italiani, sono qui da giorni, voi caricateli in macchina e vi porteranno alla Dart! E dire che loro (lei irlandese, lui milanese) stavano andando a prendere il bus… comunque, pur di liberarci, ci fiondiamo tutti e quattro a bordo della 206. Durante il breve tragitto, oltre a raccontarci che stanno cercando casa per trasferirsi qui, i due ci narrano altri particolari sulla nostra padrona di casa: per esempio, lui è stato ripreso per avere lasciato la tendina del bagno spostata di lato, e un ospite francese per avere cambiato la disposizione delle tazze e del bricco del caffè durante la colazione…ma dove siamo finiti??? Comunque, salutiamo i nostri nuovi amici e scendiamo a Tara St. E’ quasi ora di cena e ci incamminiamo, sotto una fitta pioggia, verso il quartiere di Temple Bar. La città è molto animata, nonostante la pioggia, anzi, c’è anche troppa gente per i nostri gusti. Ceniamo in un ristorante moderno, dall’aria anonima, e sarà una mia impressione ma è la prima pinta di Guinness che non mi soddisfa pienamente. Insomma, sarà la stanchezza, sarà il clima, sarà la folla, ma Dublino per ora non ci piace particolarmente… Comunque, quando appena varcata la soglia del B&B la signora ci accoglie e, con aria sognante, ci chiede: “allora, Dublino?”, non me la sento di dirle la verità e rispondo: “Ah, semplicemente meravigliosa!”… 16 agosto 2006 Abbiamo decisamente stupito la padrona di casa spazzolando la classica colazione irlandese in un attimo, e ci sembra che grazie a questo ci rispetti un po’ più di ieri. Fortunatamente non piove, e andiamo alla scoperta della città, anche se non con un particolare entusiasmo. In definitiva, devo ammettere che Dublino non è brutta; è particolare, un insieme di case georgiane accanto a edifici moderni o cadenti, trafficata, piena di gente, vivace, frizzante. Certo, le manca quel fascino antico e misterioso che possiedono altre capitali europee, come Roma, Praga o Lisbona, per esempio, ma può essere una meta piacevole… anche se, naturalmente, non è questa l’Irlanda. Il nostro tour parte dal Trinity College, deve visitiamo la Old Library. Si inizia al piano terra, con un’esposizione che illustra come venivano prodotti dai monaci i manoscritti; si trattava di veri e propri capolavori e gli amanuensi che li realizzavano erano tenuti in grande considerazione. Si ammirano poi, in una sala semibuia, i famosi testi medievali: il Libro di Armagh, il Libro di Durrow e, ovviamente, il famoso Libro di Kells, una copia dei quattro Vangeli redatta in Latino e riccamente decorata. Le due pagine visibili oggi (periodicamente vengono girate) sono davvero un’opera d’arte. Saliamo al piano superiore; la Long Room è davvero incredibile, 65 metri di lunghezza e 15 di altezza che contengono qualcosa come 200.000 libri antichi. In mostra ci sono anche una delle dodici copie rimaste della proclamazione della Repubblica irlandese e l’arpa più antica che sia rimasta in Irlanda: risale al XV secolo, e la sua attribuzione al re Brian Boru è quindi una leggenda. Lasciamo il Trinity College e raggiungiamo St Stephen’s Green percorrendo, tra l’altro, la famosa Grafton Street, la via commerciale più elegante della città. Un tempo terreno comunale in cui avvenivano roghi e impiccagioni, oggi i nove ettari di St Stephen’s Green costituiscono una piacevole parentesi verde circondata da graziosi edifici in stile georgiano. Dopo una breve passeggiata nel parco riprendiamo la nostra marcia verso la St Patrick’s Cathedral, sorta sul luogo presso cui San Patrizio avrebbe battezzato dei convertiti al cristianesimo. L’edificio risale al XI secolo, anche se l’aspetto attuale è dovuto a un restauro del 1800, ed è circondato da un grande giardino. Decidiamo a questo punto di inserire una tappa non prevista, e ci avviamo verso la Guinness Storehouse, che non si trova esattamente a due passi… Attraversiamo dei quartieri popolari, dalle case a volte un po’ cadenti e dai negozi economici che, in alcuni casi, espongono parte della merce su tavolini collocati in strada. La Dublino turistica, storica e commerciale sembra lontana anni luce da queste strade che di notte, probabilmente, non ci farebbero una gran bella impressione. E comunque, nonostante tutto, questa zona non ci dispiace, perché rappresenta la vera Dublino, quella della gente comune, gente semplice e cordiale, pronta a offrire il proprio aiuto non appena due stranieri aprono una piantina e si guardano attorno sperando di non avere sbagliato strada… Gli edifici che costituiscono la fabbrica della Guinness sono davvero imponenti; non per niente, per un certo periodo è stato il birrificio più grande del mondo. L’aria, qui, ha l’odore di cereali tostati… Non visitiamo il museo, ma ci limitiamo al negozio. Prima di riprendere la via del ritorno, sostiamo per uno spuntino in un pub dall’aspetto non molto rassicurante, ma è solo un’impressione: tipica accoglienza irlandese, buon cibo e ottima birra, e una clientela esclusivamente dublinese; siamo felici di esserci fermati qui! Bene, è arrivato il momento di immergerci nella Dublino medievale. Il castello, dove arriviamo mentre la stanchezza comincia a farsi sentire, ha più l’aspetto di un palazzo, e solo una torre risale all’epoca normanna. La Christ Church Cathedral, costruita nello stesso periodo della St Patrick’s, si trova al centro della zona medievale; proprio qui, infatti, sorse il primo insediamento vichingo che diede origine alla città (nonostante a poca distanza vi fosse già un nucleo abitativo di origine celtica). L’unica nota negativa di questa bella cattedrale è la posizione, nel mezzo di un incrocio molto trafficato. Percorriamo Fishamble Street, la via più antica della città. Sinceramente, mi aspettavo qualcosa di più affascinante dal nucleo originario della città, un po’ più di atmosfera e meno caos… Attraversiamo il Liffey, che ha davvero il colore della Guinness, e ci ritroviamo tra una folla incredibile, soprattutto giovani e turisti che passeggiano in questa zona decisamente commerciale, piena di negozi e grandi magazzini. La confusione aumenta quando raggiungiamo O’Connel Street, l’arteria principale di Dublino nord. In pratica, si tratta di due strade separate da una specie di grande marciapiede, dove sono collocate delle panchine e alcune statue. Ci fermiamo alla Posta Centrale, punto di riferimento importante per la storia irlandese, dal momento che proprio qui nel 1916 Pearse e altri leader lessero la dichiarazione che proclamava l’Irlanda una repubblica indipendente (la facciata dell’edificio reca ancora i segni degli scontri che seguirono). E’ in programma una radicale ristrutturazione di questa via, per rivalutare la zona dal punto di vista architettonico. La prima opera è già visibile: il Monument Of Light, detto anche “Spire”, in pratica una guglia alta 130 metri, inaugurata nel 2003. A questo punto abbiamo due necessità: controllare la posta elettronica, per verificare che non ci siano comunicazioni dell’ultimo minuto per il volo di domani, e trovare un negozio di alcolici, perché acquistare il famoso whiskey irlandese in un negozio di alimentari ci mette un po’ di tristezza. A tale scopo entriamo in un internet point e scopriamo l’esistenza del Celtic Whiskey Shop, situato in una parallela di Grafton St, (Dawson St) e ci rimettiamo in marcia (quanti chilometri abbiamo percorso, oggi?). Il negozio è piccolo ma ben fornito. Il proprietario ci fa assaggiare alcuni whiskey particolari, con sentori di cioccolato e di pera, ma il costo di 80 euro a bottiglia non corrisponde esattamente al budget preventivato e optiamo per qualcosa di più normale. La degustazione, comunque, ci dà la forza di riprendere il cammino e di gironzolare ancora un po’ per Temple Bar, in attesa dell’ora di cena. Anche se continua a sembrarci il classico ritrovo per turisti, rivalutiamo un po’ il quartiere e ci godiamo la sua particolare atmosfera. Ceniamo in un locale affollatissimo e un gruppo di ragazzi italiani appena arrivati approfitta della nostra “esperienza” per avere consigli. Al contrario di noi, loro si dedicheranno al sud dell’isola e restano quasi stupiti dal nostro entusiasmo per il nord. E infine è arrivato il momento di ordinare l’ultima Guinness e l’ultima seafood chowder…che tristezza… Stanchi e depressi, ci trasciniamo con le nostre bottiglie verso Tara Station, dove vediamo transitare alcuni treni speciali per i tifosi irlandesi e olandesi. Stasera, infatti, si è disputata un’amichevole calcistica tra le due nazionali, e io finalmente mi spiego la presenza del gran numero di persone abbigliate di arancione che ho visto tra ieri e oggi. Alla fermata successiva a quella dello stadio, il nostro treno viene invaso dai tifosi. A quella dopo, rimane fermo mezz’ora per un problema, non meglio precisato, sulla linea. Nell’attesa, tra i tifosi pigiati come sardine, la signora seduta di fronte a noi ci offre biscotti al cioccolato, che aveva portato allo stadio come merenda per sé e per i figli. Noi, intanto, immaginiamo la reazione di Mrs Lehane quando le racconteremo tutto questo…Abbiamo voluto snobbare il bus e fare di testa nostra? Invece, sarà per le nostre espressioni allucinate dopo una giornata di cammino o per la camera lasciata in ordine, ci accoglie sorridendo, ascolta il nostro racconto circa la nostra giornata ed è ospitale e gentile. 17 agosto 2006 Facciamo colazione in compagnia di una simpatica coppia inglese che è stata a Galway a fare visita a dei parenti, e ora deve prendere il traghetto per tornare in patria. Ridiamo e scherziamo anche con la padrona di casa, che si rivela sì essere una donna un po’ eccentrica e decisa, ma anche cordiale e simpatica. Oggi c’è un cielo terso incredibile e, mentre la attraversiamo, Dublino ci appare, ancora una volta, diversa. Siamo diretti all’aeroporto ma prima facciamo un’ultima tappa, al castello di Malahide, davvero bello e circondato da un parco immenso e verdissimo. Ci sediamo su una panchina, ed è piacevole e rilassante sentire il calore del sole dopo tanti giorni di nubi e pioggia. Anche il paesino di Malahide, con il suo porticciolo, è carino e pittoresco, e penso che se torneremo a Dublino lo sceglieremo come “base” (tanto più che la Dart arriva anche qui!). … ma ora è arrivato davvero il momento di partire e, dopo 2022 km, lasciamo la nostra 206… Il volo parte puntuale, ma è poco piacevole a causa di una serie di temporali. Atteriamo a Orio al Serio alle 22.00, piove e non fa per niente caldo e per un attimo ci sembra di essere ancora in Irlanda… l’impressione dura poco, ma non ha importanza. L’isola di smeraldo rimarrà sempre nei nostri cuori.
Costi: Volo Air Lingus Milano Linate – Dublino Euro 282,00 (totale x due passeggeri) Volo Ryanair Dublino – Orio al Serio Euro 280,00 Noleggio auto (www.novacarhire.com) Euro 396,00 incluso un pieno e tutte le assicurazioni possibili, dal 07 al 17 agosto 2006 B&B Glendale (Glendalough) Euro 75,00 B&B Spinners Town House (Birr) Euro 82,00 B&B Anna Ree House (Galway) Euro 133,00 (due notti) B&B Sea Breeze (Kilsallagh – Westport) Euro70,00 B&B Lough Gill House (Sligo) Euro 77,00 B&B The Gap Lodge (Donegal) Euro 128,00 (due notti) B&B Cill Dara (Dun Laoghaire – Dublino) Euro 144,00 (due notti) Tutti prenotati con www.ireland.ie tranne Donegal e Dublino con www.discoverireland.com Ristoranti e pub che consigliamo: Killeen’s Bar – Shannonbridge Finnegans Irish Food – Galway Gus O’Connors Pub – Doolin The Embassy – Sligo An Chistin – Glencolmcille Pier 1 – Donegal Quays Restaurant – Dublino Nashs’ Pub – Dublino Per qualsiasi info, scrivetemi!