khajuraho & eros
Novembre 2008 Siamo in viaggio da una decina di giorni in India. Siamo arrivati a Delhi con un volo diretto dall’Italia, con un tour della Shambhoo Travels . Siamo stati accolti all’aeroporto da Manish la nostra guida indiana. Siamo rimasti due giorni a Delhi tempo per ambientarci e per smaltire la stanchezza del volo e poi ci siamo catapultati a Benares. Qui tra una puja mattutina in barca, tra passeggiate lungo i ghat sul Gange e una giornata nella vicina Sarnath -culla buddista dell’India- siamo rimasti tre giorni.
Avevamo viaggiato tutta la notte in treno, saliti la sera precedente a Varanasi/Benares ci eravamo sistemati nelle nostre confortevoli cuccette e tempo di spegnere la luce che siamo immediatamente caduti addormentati. Era ancora buio quando la sveglia dell’orologio ci avvisò che dovevamo alzarci, pigramente ci siamo alzati poche parole perché ancora assonnati poche parole perché gli altri attorno a noi stavano ancora dormendo. Alle 6.30 siamo scesi dal treno a Satna, subito assaliti da tassisti e altri indiani che offrivano il loro servizio, ci è dispiaciuto un po’ ma il nostro fuoristrada e autista era già lì che ci aspettava con il cartello storpiato del nostro nome. A bordo di questo fuoristrada ancora assonnati ci siamo diretti a Khajuraho.
Khajuraho si trova nello stato di Madhya Pradesh, e la strada che ci sta portando scorre lungo una valle verdeggiante. La vita nelle campagne dell’India è ancora regolata dal sole, al mattino con l’alba del sole i villaggi si animano, con il passare delle ore le strade si fanno più trafficate, si affollano di persone e merci nei loro mezzi più disparati. Ai bordi si affacciano gli insediamenti dei locali indiani, a volte raggruppati in piccoli villaggi con spartani spacci e folcloristiche botteghe, le immancabili vacche stese sulla strada costringono il nostro autista a rallentare a volte fermarsi per schivarle o lasciarle passare.
Insomma un’altra giornata sta per iniziare, uomini che spolverano la loro bottega pronti per aprire, donne che si avviano verso il pozzo a prendere l’acqua e i bambini con la loro divisa scolastica molto “british” a gruppi sparsi si avviano verso la vicina scuola.
Dietro una meravigliosa cornice di fitta vegetazione. Si alternano foreste di grande dimensioni con distese di terre regolarmente coltivate, molti piccoli bacini d’acqua e canali d’irrigazione qualche animale che pascola, qualche contadino già al lavoro. Ciò non deve stupire perché ci troviamo in prossimità del Tiger Panna Reserve, una delle tante riserve dell’India con un enorme patrimonio di fauna selvatica.
A metà mattina arriviamo a Khajuraho, prendiamo possesso delle stanze una bella doccia è proprio quella che ci vuole, ci cambiamo i vestiti e tempo un’ora ci sentiamo come nuovi. Facciamo anche colazione, questa aria fresca e pulita ci mette appetito e ci abbuffiamo di omelette toast e marmellata … la colazione è l’unico pasto della giornata che conserviamo ancora in perfetto stile occidentale, gli altri pasti sono rigorosamente indiani, anzi da quando sono arrivato in India mi sono accorto che non ho ancora mangiato carne, ma non ne sento la mancanza.
Dopo esserci riempito lo stomaco iniziamo la nostra visita a Khajuraho.
Khajuraho è uno dei siti archeologici più celebrati di tutta l’India famosa per il suo vasto complesso di templi sikhara Indù e Jainisti, ma più ancora sono famosi perché questi templi sono ricchi di scultore erotiche che decorano l’esterno di questi templi. Le origini dei templi risalgono al 950 d.C quando durante la dinastia Chandella nell’arco di un secolo vennero fatti erigere 85 templi che hanno continuato a splendore fino al declino della dinastia verso attorno al XIII. Abbandonati a se stessi, la natura si è letteralmente “presa cura di loro”, i templi sono stati in parte protetti e salvaguardati da una fitta vegetazione che ha conservato il loro splendore e bellezza. Ognuno di noi può immaginare in che in modo la natura nel corso degli anni abbia salvaguardato questo tesoro, e spesso pensandoci il mio ricordo va anche alla Cambogia, ai Templi di Angkor dove la natura non si è preso solo cura di questi monumenti, ma li ha fatti letteralmente suoi divenendo a sua volta elemento decorativo.
Dimenticati per secoli furono riscoperti e riportati alla luce nel 1838 da T. S. Burt, un ingegnere dell’esercito inglese. Liberati dalla vegetazione sono ritornati a splendere e sono giunti a noi presentandosi in tutto il loro splendore che li ha fatti diventare uno dei siti artistici più importanti dell’India e più riconosciuti in tutto il mondo. Dei 85 templi eretti in origine, 22 sono arrivati ai giorni nostri e si trovano sparsi nelle campagne di Khajuraho.
Nel nostro primo giorno a Khajuraho la nostra guida, Manish ci consiglia di visitare il gruppo dei Templi Occidentali. Sono i più famosi, perché più grandi e meglio conservati e per accedere si pagano 250 rupie (4 euro circa). La prima cosa che appare ai nostri occhi è la cura con cui sono stati conservati, adesso liberati dalla fitta vegetazione che li avvolgeva si ergono liberi su spazi verdi ordinati e collegati tra loro dai vialetti originali. Non ci sono neanche molte persone, pensavo di trovarmi in mezzo ad una calca di persone, invece siamo in pochi, meglio così. Sarà a causa del tempo che si sta coprendo, l’umidità sta salendo e ogni passo e scalinata per salire o scendere è occasione per sudare. Noi sudiamo, la nostra guida non suda o se suda non si vede.
In India di solito il tempio è dotato di una sorta di viale d’accesso dove durante le cerimonie le effigi delle divinità sono portate in processione, in molte di queste celebrazioni viene attrezzato un carro tutto decorato che porta la statua e altre immagini della divinità che percorre le vie della città o del villaggio per poi procede e concludere la processione al tempio. Secondo la tradizione indiana i templi devono essere orientati lungo un asse est-ovest, in modo che i primi raggi del sole al mattino possano entrare direttamente nel tempio. Di solito i templi sono recintati da delle mura, ciò non avviene a Khajuraho, qui le varie parti sono accorpate in un’unica struttura compatta, le mura sono sostituite da un massiccio basamento che innalza il piano del tempio in una sorta di terrazza in muratura che di fatto rendono necessario una scalinata all’ingresso.
Prima di accedere all’interno del tempio si compie un giro in senso orario attorno al tempio, pradakshina in questa fase i fedeli hanno occasione di osservare, e omaggiare le varie divinità custodite nelle nicchie ricavate all’esterno del tempio. Molto spesso i fedeli toccano fino a consumare parti di statue o rilievi se si ritenga porti bene, e ancora vengono lasciate dei fiori, delle semplici offerte di cibo nei pressi di queste nicchie o conficcandoli nelle decorazioni. Le pareti esterne sono attraversate da fasce scolpite, dove viene sfruttata la ricchezza di sporgenze e recessi, le superfici sono interamente ricoperte da rilievi e statue quasi a tutto tondo in una straordinaria profusione di bellezza, talvolta contenute in nicchie di parete mentre, all’interno del tempio sono riprodotte altre tipi di raffigurazioni, ma non esplicitamente sessuali o sensuali come appare evidente all’esterno.
Sono raffigurazioni che appartengono alla scuola tantrica, le divinità sono affiancate dalle celebri “bellezze celesti” donne fascinose colte in atteggiamenti graziosi, spesso disposte in esplicite posizioni erotiche. Al loro fianco compaiono figure maschili ma anche animali fantastici con un motivo che viene ripetuto in sequenza in senso orizzontale. Appare evidente l’accento sull’adorazione femminile in specie delle divinità sono riprodotte danzatrici, splendide ninfee, graziose fanciulle l’uomo appare come musicista, guerriero, guardiano spesso come un elemento secondario accessorio. Se a volte sono sensuali donne dalle forme tondeggianti e dal seno importante, altre volte il richiamo all’atto sessuale è esplicito, celebrazione dell’amore che tanta parte ha nella vita della donna e dell’uomo e chiaro è il riferimento al KamaSutra, antico testo indiano sulla sessuologia e sull’arte del fare l’amore. Numerosi in tal senso sono le raffigurazione di Mithuna coppie , coppie nell’atto dell’accoppiamento, la loro unione rappresenta concetti unitari: quali il cielo e la terra; il linga (il fallo) e lo yoni (la vagina).
Completato il giro del tempio pradakshina si entra nel tempio passando attraversano una sala colonnata, in pochi metri si passa dalla luce del giorno all’oscurità dell’interno fino a raggiungere l’anticamera del gabhagriha. Qui si raccolgono le offerte di cibo e fiori vengono bruciati bastoncini di incenso e il tutto è presentato al simbolo o all’immagine sacra. L’elemento essenziale del tempio è il santuario garbhagriha la “casa grembo”, una sorta di cappella, una piccola cella solitamente quadrata e buio a cui si accede attraverso la porta, all’interno del quale si custodisce l’immagine o simbolo della divinità.
Al di sopra del santuario si leva una struttura a torre shikhaa “vetta, picco” , generalmente sormontata da un elemento a forma di vaso kalasha il recipiente che conteneva il nettare dell’immortalità.
L’interno del garbhagriha solitamente non porta decorazioni, la porta invece è ornata di numerosi cornici con riproduzioni di motivi di buon auspicio, sugli stipiti sono raffigurati a rilievo. La porta che si apre sulla cella è un elemento carico di valenze simboliche, poiché conduce in un mondo diverso, che è quello del sacro, dev’essere in grado sia di proteggere ed elevare spiritualmente chi lo attraversa, sia di isolare e custodire ciò che è racchiuso all’interno. All’interno della cella c’è la divinità a cui è dedicato il tempio: una divinità femminile scolpita molto spesso un semplice lingam o linga una forma fallica simbolica di Shiva collocato nella yoni (letteralmente la vagina).
Il blocco di templi occidentali comprende i templi di: Lakhmi, Kandariya Mahadeo, Devi Jagdamba, Chitragupta e di Viswanath. Non ricordo bene l’ordine servirebbe una conoscenza maggiore dell’arte indiana della mia acquisita leggiucchiando qua e là.
È estremamente difficile riportare le sensazioni di tale visione, si rimane ammutoliti e silenziosi, la bellezza la cura di queste decorazioni è impressionante, sono arrivate fino a noi in uno stato di conservazione eccezionale. Gli abbracci appassionati sono raffigurati senza pudore e senza compiacimenti, ci sono numerosi rappresentazioni di coppie “mithuna” ci precisa la guida, umane e divine alla prese in straordinarie pose amorose. I libri di storia e architettura indiana non sanno precisamente spiegare l’origine e il significato di questa scelta iconografica, alcuni sostengono che le rappresentazioni vogliano illustrare l’adempimento del primo scopo della vita, il piacere Kama (sutra sta per “tecnica”), secondo altri il valore di queste scene è augurale, perché il successo in amore è prefigurazione e al tempo stesso conseguenza di successo nella vita. Un’ultima interpretazione sostiene che queste immagini alludono alla potenza spirituale racchiusa nell’eros, come forza di unità.
Ogni volta che c’è da entrare nel tempio ci togliamo le scarpe, saliamo scalzi i gradini della scalina e ci addentriamo nel buio interno del tempio. Il cielo nuvoloso minuto dopo minuto si sta caricando, la pioggia si fa sempre più minacciosa, e questo non ci dà una mano, la luce naturale con difficoltà illumina l’interno, si usa il flash della fotocamera per vedere e scorgere meglio un dettaglio.
Dopo aver visitato due templi comincia a scendere qualche goccia di pioggia, ma sono gocce molto grandi, la guida ci avvisa che sta arrivando un acquazzone. Il tempo di salire le scale per ripararci nel tempio che inizia a scendere l’acqua, in un attimo si trasforma in un diluvio. Non sono i nostri classici acquazzoni, nelle piogge asiatiche che ho già potuto sperimentare nel sud est Asia, non ci sono fulmini, il cielo diventa nero, in un attimo si fa buio ed inizia a scendere acqua, tanta acqua, come non l’hai mai vista. Ripariamo dentro al tempio, c’è il nostro piccolo gruppetto più altri visitatori e qualche indiano, il rumore è incessante, l’aria si a più fresca e diventa più respirabile. Guardando gli altri templi, si nota che bagnati dall’acqua la pietra assume un colore scuro, a tratti nerastro, sembrano diventare minacciosi, ma è solo apparenza. Dopo una ventina di minuti d’acqua la pioggia si fa meno battente gli indiani che riparavano con noi ci rivolgono un sorriso escono dal tempio e continuano il loro giro. Alcuni di noi scendono, è bello camminare sotto una leggera pioggia, io attendo un attimo ho la fotocamera ma poco dopo esco anch’io scendo le scale e continuiamo il nostro giro. Si è formata qualche pozzanghera e anche qui come da noi c’è qualche bambino che gioca a saltarci dentro.
Concludiamo la visita che è primo pomeriggio, rientriamo in hotel pranziamo e ci rilassiamo un po’.
Il sole è ritornato con tutta la sua luce e calore, mi dispiace un po’ per le foto poco luminose, ma sono anche felice per i giochi d’acqua che sono riuscito a catturare.
Il giorno dopo ci svegliamo consumiamo un’abbondante colazione, ci riempiamo lo zaino d’acqua, sono solamente le 9 del mattino e il sole già picchia sulle nostre teste e sulle pelli bianche, un po’ di crema e un cappello è quello che serve.
Passeremo la mattinata in giro a visitare gli altri templi sparsi qua e là. Sono classificati in Templi Orientali, e Templi Meridionali. Lo stile architettonico è lo stesso, cambiano le dimensioni, le riproduzioni e le divinità a cui sono dedicati. Questi non sono raggruppati ma sono sparsi qua e là nella campagna di Khajuraho. C’è l’ingresso libero e questo è una nota positiva, non per il costo del biglietto, ma per il semplice fatto che sono frequentati e usati dalla gente del posto. Se il giorno prima i templi erano solo un monumento artistico utilizzati solo nelle celebrazioni più importanti, i templi di oggi sono anche un luogo di culto quotidiano, luogo dove recarsi per rendere omaggio con l’atto rituale della puja alla divinità. Sono più vivi si respira un’aria diversa si incrociano spesso fedeli che pregano, si vedono offerte di riso, qualche guscio di cocco, banane, zucchero, fiori e si bruciano dei bastoncini di incenso, il tutto è presentato davanti alla divinità, un po’ come facciamo noi quando accendiamo una candela in chiesa.
In ogni tempio che visitiamo incontriamo una sorta di guardiano del tempio, una persona del posto che mantiene in ordine e pulito il tempio e che raccoglie le offerte in maggioranza degli stranieri e che cerca in un maccheronico inglese o in hindi di illustrarci cosa stiamo visitando, ci mostra qualche particolare scultura e ancora ci aiuta a capire quali sono le figure che decorano l’interno, la porta, perché ogni divinità a una sua particolare iconografia. A volte chiediamo a Manish di tradurci qualcosa ma è anche molto piacevole rimanere lì cercare di capire, di farsi capire, spesso a gesti e con il linguaggio del sorriso che è la più bella cosa che ci sia un linguaggio che non ha bisogno di traduzioni.
Trascorriamo tutta la mattina a girare, a visitare e a fare piacevoli incontri. Spostandoci da un tempio all’altro passiamo per le vie del villaggio di Khajuraho, dove la vita di campagna scorre come solito. Loro sono abituati ad essere osservati, oggi ci siamo noi, domani saranno altri, siamo noi quelli che con gli occhi sbarrati rimaniamo incantati e meravigliati da questa semplice vita, di un tempo che sembra essersi fermato. Anche qui come a Varanasi ci sono i ghat, Manish ci corregge e ci dice che i ghat ci sono in tutti i villaggi se i templi sono lo spazio di culto della divinità ancora più importanti sono i ghat gradini che conducono alla riva di un fiume o comunque di un bacino d’acqua perché il ghat è una zona dove si prega, si parla, si lava i panni, si fanno le proprie abluzioni e dove si cremano gli induisti. Molto spesso questi ghat sono offerti da ricche persone del posto, come forma di offerta.
Lungo questi ghat la vita e allegra e gioiosa, bambini che giocano e che si tuffano in acqua, le donne a riva che lavano e risciacquano i panni e un po’ più in la una mucca che si abbevera, questa è l’India e questa è Khajuraho antica capitale della dinastia Chandella e ora magnifico villaggio, patrimonio dell’umanità dell’Unesco con i suoi templi dedicati all’amore.
Il nostro viaggio è poi continuato verso Agra , poi abbiamo girato il Rajasthan, passando per Jaipur, Amber, Pushkar, Udaipur, Ranakpur, Jodhpur, Jaisalmer, Bikaner e molti altri luoghi di passaggio. Tutto il viaggio è stato bello ma quando ritorno a pensare all’India la mia memoria di ricordi mi riporta a Khajuraho.
Un grazie e un complimenti alla Shambho Travels, alla Giordana che ci ha ascoltato e che ci ha organizzato un soggiorno perfetto, a Manish per la disponibilità e la gentilezza indiana che non scorderò mai.
Matteo