Viaggio nel Museo delle Anime del Purgatorio
Il racconto che seguirà è il resoconto della mia breve visita nel “Museo delle Anime del Purgatorio”, una piccola e bizzarra raccolta di reliquie ospitata a Roma, nella chiesa del Sacro Cuore del Suffragio, situata sul Lungotevere Prati. Si, si, lo so già, alcuni di voi sgraneranno tanto d’occhi, inarcheranno un sopracciglio e sussiegosi mi diranno “Ma col Vaticano cosa ci azzecca mai?” e, quel che è peggio, avranno pure ragione. Però, visto che si tratta di un itinerario religioso, ambientato in una chiesa romana che si trova a poche centinaia di metri dal perimetro del Vaticano propriamente detto, e considerato che la lista degli itinerari per il Vaticano è più tragicamente vuota del mio portafoglio il ventitré di ogni mese, che ne dite, miei severi censori, me la passate questa piccola irregolarità? Dato per scontato il vostro gentile consenso – peraltro estorto col furbesco metodo del silenzio/assenso – imperterrita proseguo nella cronaca del mio tuffo nel soprannaturale.
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Storia del Museo delle Anime del Purgatorio
Dunque: fin dall’infanzia avevo più volte sentito nominare questo piccolo museo molto particolare, che se ne stava zitto e buono in qualche angoletto poco noto della Città Eterna, praticamente ignorato, a differenza di strutture mastodontiche, strafamose e strafrequentate quali i Musei Vaticani: e, pur non essendo affatto religiosa, sentivo in me ogni tanto insorgere la pungente vaghezza di visitare questa piccola chicca del turismo macabro. Non molto tempo fa appresi che tale museo si trovava esattamente a piombo sotto un ufficio in cui svolgo alcuni turni mensili di lavoro da quasi nove – e ripeto nove – anni, quando si dicono le coincidenze! Finora, comunque, non m’era mai riuscito di visitarlo o per la materiale impossibilità di spostarmi dal luogo di lavoro o per l’ignoranza degli orari di visita, quando addirittura non per semplice dimenticanza: però quelle bizzarre guglie gotiche intraviste ogni tanto dall’alto non facevano che accrescere la mia già notevole curiosità.
Un caldo giorno d’agosto, vagolante tra il mio ufficio semivuoto ed un bla-bla assai sonnolento, prendo la grande decisione: un rapido giro di ricerca su Internet, il reperimento del numero di telefono del museo, una breve telefonata durante la quale una soffice voce maschile mi informa con gentilezza che il museo è visitabile durante gli orari di apertura della chiesa (7.00/10.00 – 17.30/19.30) ed il mio salto nell’ignoto è già cominciato! Nella speranza di non risultare troppo pedante permettetemi però di premettere ancora qualche parola sulla chiesa e sul museo in questione, così come l’ho pescata girando sulla grande giostra di Internet.
“Accanto ai grandi musei di Roma che quasi tutti conoscono esistono i musei minori, gioielli pressoché segreti che rappresentano il frutto di studi, collezioni private, hobby eccentrici. Si visitano velocemente, talvolta gratuitamente. Il più singolare di tutti è il Piccolo museo delle Anime del Purgatorio (lungotevere Prati 12, 06-68806517) un’esposizione del soprannaturale, quasi new age. Vi si accede dalla chiesa del Sacro Cuore del Suffragio, una sorta di Duomo di Milano in miniatura. Vi sono raccolti stoffe, breviari, tavolette di legno con segni così strani da poter essere soprannaturali. Il prete custode commenta: ‘Non scatena la fede, ma invita a riflettere’”.
Però, mica male come inizio! Andiamo avanti con una breve descrizione della chiesa e della sua storia.
“La Chiesa del Sacro Cuore del Suffragio è stata innalzata per merito di padre Vittore Jouet, marsigliese che […] nel 1893 […] acquistò un ampio terreno edificabile sul lungotevere Prati, dove l’anno successivo venne posta la prima pietra della più grande chiesa da dedicare al Sacro Cuore del Suffragio. Caratteristica di tale edificio di culto, progettato dal bolognese Giuseppe Gualandi, è quella di essere interamente in simil gotico, tanto da aver meritato la definizione di “piccolo duomo di Milano”. Interessante, in una città come Roma, in cui esiste un unico esempio di chiesa gotica, Santa Maria sopra Minerva, vicino al Pantheon […].
A fianco della chiesa, troviamo il Museo delle Anime del Purgatorio. Un tempo, al posto del museo esisteva una cappella dedicata alla Madonna del Rosario. Il 15 settembre 1897 scoppiò un incendio, e quando questo venne domato i fedeli si accorsero che ai margini di una parete dell’altare era rimasta l’immagine di un volto, che, si disse, apparteneva ad un’anima del Purgatorio (tuttora presente in una riproduzione fotografica nel museo). Tale apparizione spinse padre Jouet a viaggiare attraverso l’Italia e altri Paesi per cercare altre testimonianze sulle anime purganti. Il frutto delle sue ricerche è la raccolta che oggi si conserva.
Un museo di bizzarre e allucinate reliquie, senza dubbio affascinanti e conservate tuttavia con grande rispetto, stoffe, tavolette, libri, fotografie, corredate di scritte che ne illustrano la vicenda […]”.
Alla faccia della devozione! Credente o no, devo proprio ammettere che l’affare si fa sempre più intrigante. Ma leggiamoci ora un’ultima descrizione riguardante i reperti custoditi nel museo.
“… in un breve corridoio che porta alla sacrestia è allestito un museo che ritengo unico al mondo. Si tratta del Museo delle Anime del Purgatorio, un insieme di poco più di una decina di cimeli (in questo caso dovremmo forse parlare di reliquie) che documentano contatti terreni delle anime del purgatorio, segni che vengono dall’al di là e che furono lasciati dalle anime dei defunti per sollecitare preghiere ed indulgenze. Come recita la pagina di spiegazione che viene consegnata all’entrata (libera) del museo, fra i cimeli più notevoli si possono osservare l’impronta di tre dita lasciata il 5 marzo 1871 sul libro di devozione di Maria Zaganti […] dalla defunta Palmira Rastelli la quale chiedeva l’applicazione di Sante Messe; la fotografia di un’impronta impressa dalla defunta signora Leleux sulla manica della camicia di suo figlio Giuseppe nella sua apparizione, la notte del 21 giugno 1789, a Wodecq (Belgio); l’impronta di fuoco stampata da un dito della pia Suor Maria di San Luigi Gonzaga, apparsa a suor Maria del Sacro Cuore tra il 5 ed il 6 giugno 1894; […] l’impronta lasciata sopra un libro di Margherita Demmerlè, della parrocchia di Ellinghen (Metz) dalla suocera apparsale 30 anni dopo la morte (1785-1815); la fotocopia di una delle trenta banconote da 10 lire lasciate tra il 18 agosto ed il 9 novembre presso il monastero di San Leonardo di Montefalco da un sacerdote defunto che chiedeva applicazioni di Sante messe[…].” “[…] Nel corso delle sue ricerche e dei suoi viaggi, Padre Jouet trovò in particolare numerosissime impronte di fuoco lasciate — specie su teli e assi di legno — da anime purganti, e le portò tutte a Roma per esporle nella casa adiacente alla chiesa. Qui il pubblico poté liberamente ammirare l’intera, straordinaria collezione fino al 1920, quando Padre Jouet volle effettuare una selezione tra i reperti esposti per eliminare tutti i casi dubbi. Altri pezzi in seguito si sono deteriorati e sono stati tolti, col passare del tempo. Ma il Museo del Purgatorio esiste ancora, anche se i pezzi sono ormai soltanto una decina. “Padre Jouet”, ci dice Don Lombardi, “mise insieme la sua raccolta con intenzioni edificanti: ammonire che esiste un Aldilà nel quale saremo chiamati a rispondere delle nostre azioni. Lui era convinto di averne le prove, e col suo museo voleva farle conoscere al maggior numero di persone possibili”.
Beh, ora la mia curiosità è davvero aumentata in maniera esponenziale, andando di pari passo con la mia perplessità. Si tratterà, dunque, di genuine ed originali manifestazioni da parte dei defunti? Di X-file? Di fenomeni naturali altrimenti spiegabili? Di travisamenti? O addirittura di truffe e contraffazioni belle e buone?. Non dimentichiamoci, del resto, che l’Italia è anche il Paese delle reliquie e dei reliquiari, così ben descritti nelle pagine finali del “Gattopardo” che qualcuno di voi bibliofili sicuramente ricorderà. Per sciogliere ogni dubbio residuo la visita è d’obbligo.
“[…] Ah, devo avvertirvi: sembra che, su chi visita il museo, penda una maledizione, ma non sono ancora riuscito a sapere in che cosa consista.”
Maledizione? Tipo quella di Tutankamon? Figurarsi se ci credo! Intanto, però, mentre provo a salvare queste prime note introduttive su un dischetto quest’ultimo rifiuta di collaborare e si rompe. Continuo il lavoro su disco fisso e cambio dischetto, sorridendo e forse incrociando inavvertitamente le dita. In una bella mattina di fine agosto mi sveglio nel minuscolo alloggio di servizio e mi godo una fantastica alba, che sfuma di arancione il paesaggio bianco e verde che ho di fronte: verde smeraldo il Tevere, i platani, la vegetazione in riva al fiume, i giardini sugli attici; bianchi i muraglioni, le cupole, le colonne, i tanti monumenti sparsi per la città. Proprio sotto di me si stende il tetto della chiesa, anch’essa bianca e verde: noto però, per la prima volta, che le guglie non sono del solito marmo di cui son fatte le costruzioni gotiche bensì sembrano realizzate con un materiale grigio-biancastro ed omogeneo che assomiglia assai al cemento armato. Miracoli della scienza! Saluto i miei colleghi con la scusa della colazione, impugno il cellulare della mia amministrazione (non si sa mai), e mi avvio per consumare la colazione insieme ad una esuberante collega che mi ha invitato e mi attende. L’ascensore non funziona, pigio e pigio ma nisba: è guasto, bloccato al secondo piano. Poco male, faccio rapidamente a pieni i cinque piani che mi separano dal piano terra.
La mattina è veramente bella e luminosa. Chiacchierando con la mia collega mi avvio verso il mio bar preferito, già pregustando con le papille gustative della mente l’idea di un buon cappuccino e di una magnifica cialda tiepida alla crema, di cui non ricordo il nome ma il cui solo pensiero basta a scaldarmi cuore e stomaco. Arrivate davanti al bar in questione lo troviamo desolatamente chiuso. Bastardiiii, esclamo dentro di me: ecco la maledizione del museo! Ripieghiamo su un altro baretto indicato dalla mia collega, dove consumo un insipido cappuccino ed una fetta di torta così così (non sarebbe male ma è un pochino stagionata, anzi, parecchio, ma che ci vuoi fare?).
Appena fuori propongo alla mia collega di accompagnarmi nel mio salto nel buio. “Noooo!” mi fa inorridita, “io non sopporto queste cose! Figurati che in Svizzera adesso va di moda di non seppellire più i morti ma di incinerarli, metterli in scatola e murarli nelle mura di casa: io da certi parenti che l’avevano fatto non ho voluto nemmeno dormire e sono andata in albergo.” A me l’idea, invece, piace e parecchio, così si resterebbe più vicini ai propri cari ancora in vita e si risparmierebbe un sacco di terra da destinare ad usi più graziosi ed utili (asili nido, giardini, biblioteche). L’ingegnera però non vuol sentir ragioni, accappona le orecchie, mi saluta e scappa via, lasciandomi libera di proseguire il mio giro da sola. Forse non risulterò abbastanza seria ed all’altezza della situazione, ma percorrendo i pochi metri che mi separano dalla mia meta non posso negare di sentirmi un po’ come Dana Scully dell’FBI quanto sta per visitare la scena dell’ennesimo evento inspiegabile.
Chiesa del Sacro Cuore del Suffragio
La facciata della chiesa è graziosa, ma vista da vicino l’effetto cemento-armato è ancora più forte che dall’alto, togliendo un po’ di poesia al tutto. Gratto la grossa porta laterale in legno ed entro. Dentro, un ristretto ambiente gotico, minuscole panche di legno scuro, un’atmosfera soffusa e raccolta, completata da un anziano sacerdote in palandrana nera che passeggia lentamente per le piccole navate, raggiunto e salutato dopo poco da un sacrestano di mezza età. L’assenza di candele e lumini mi colpisce quasi come se senza di loro nella chiesa mancasse anche Dio: o forse anche lui si sta semplicemente godendo le meritate ferie agostane.
Raccolgo un dépliant blu dal quale apprendo che l’intera chiesa è dedicata alle anime del purgatorio, tanto che le figure effigiate in pitture, statue e vetrate “ rappresentano i santi che maggiormente zelarono la devozione del suffragio per le anime del purgatorio”. Apprendo pure che il ricorso al gotico non è stato affatto casuale: sembra, infatti, che oltre ad essere lo stile preferito del fondatore – l’ormai famoso padre Jouet – esso è stato scelto in quanto il terreno su cui edificare la chiesa era particolarmente stretto e quindi lo stile gotico rappresentava il sistema più economico ed efficiente per sfruttare lo spazio a disposizione.
Tra altari e colonne inizio a gironzolare sul lato destro cercano l’entrata della sacrestia, che trovo quasi subito, in fondo a destra. Davanti a me si apre una sorta di corridoio piuttosto oscuro e proprio di fronte vedo un tondo contenente una sorta di busto in bassorilievo che ritrae Padre Jouet, con sotto un’iscrizione in latino che ne ricorda brevemente vita ed opere. Nella penombra il volto dell’ecclesiastico ha un’aria decisamente corrucciata, quasi malevola, e sembra fissare chi entra con un’aria di malcelato disdegno. All’improvviso alle mie spalle arriva l’anziano sacerdote che mi accende la luce e fa “Adesso si vede meglio, no?”. In effetti sotto la luce elettrica e sotto l’occhio benevolo del sacerdote appaiono un’alta fronte bombata e due occhi chiari ed il busto cambia del tutto espressione, assumendone una di bontà benigna e dolciastra, forse addirittura eccessiva per essere vera – diavolo, assomiglia tutto al barista che lavora sotto casa dei miei! L’impressione che il busto giochi ai quattro cantoni alle mie spalle permane ed è forte. Chiedo al sacerdote notizie di padre Lombardi e mi dice che è fuori, a Firenze: non sembra sorpreso dalla mia richiesta e tranquillamente se ne va, lasciandomi nelle mie attività contemplative.
Visita al Museo delle Anime del Purgatorio
Sulla destra vedo una specie di stanzetta che sul muro di fondo contiene una grande teca, una specie di enorme quadro sotto vetro: il “museo”, se così si può dire. Accendo la luce, inizio a guardare i reperti uno ad uno e mi leggo la descrizione dei pezzi numerati – non tutti lo sono – che si trova su un tavolino sottostante e che è redatta in cinque lingue. In effetti trovo ciò che mi aspettavo di trovare: una serie di libri, stoffe, tavolette di legno bruciacchiate da un presunto ritorno in terra di anime penitenti che imploravano messe per vedere alleviate le proprie pene ultraterrene. Niente di particolarmente impressionante, soprattutto se si pensa ad esposizioni ben più macabre e d’effetto quali quelle rappresentate dalla cripta dei Cappuccini a Palermo (e qui leggetevi il bel resoconto TPC di Babbalucina) o dalle mummie di Ferentillo, vicino Terni.
Stupisce la presenza di soli materiali facilmente infiammabili, in quanto le impronte si trovano solo su oggetti assai facili da bruciare e non, ad esempio, su metallo o ceramiche, cosa questa che a mio parere avrebbe aumentato assai la credibilità dei reperti: addirittura i tre pezzi riportati collettivamente sotto il numero 7 (tavola, tonaca e camicia) riportano tracce talmente nitide di una mano maschile da sembrare fatti con uno stampo di ferro arroventato. Non mancano, peraltro, pezzi abbastanza suggestivi, in particolare i libri, che riportano strani buchi bruciati e passanti le varie pagine a guisa di impronte di dita. Alcuni dei reperti sono semplici foto ingiallite ritraenti originali custoditi altrove, mentre la famosa fotocopia della banconota da 10£ di presunta provenienza ultraterrena contiene, per l’appunto, una semplice immagine di una banconota del tempo che fu.
Infine il quadretto della cappella reduce dall’incendio di cui si era detto sopra a me appare rappresentare semplicemente una colonna parzialmente affumicata, in cui non si vede altro se non un gran bisogno di una nuova mano di pittura.
Mentre io esamino il tutto con il mio occhio critico e miscredente il sacrestano gironzola intento ai suoi affari senza prestarmi molta attenzione e poi sparisce, pertanto non ho nessuno a cui poter fare qualche domanda dettata dalla curiosità, tipo quante persone visitino il museo o quali siano i commenti più frequenti. L’aria di mistero del tutto è probabilmente annullata dalla luce del sole e dai rumori del traffico che irrompono liberamente da una porticina posta in fondo al corridoio la quale dà sul Lungotevere: difficile credere all’inspiegabile in pieno sole e tra il suono del clacson dei camion. Nell’insieme il tutto più che un monito a ben vivere mi ricorda certe teche polverose dimenticate in fondo ai musei, oppure l’ingenua raccolta di eterogenei ex-voto che in luglio ho visto presso Ascoli Piceno, in una minuscola chiesa persa tra le montagne. Lascio una piccola offerta e ripasso davanti al bassorilievo di padre Jouet: non resisto a ripetere il gioco di poco prima e spengo la luce. In un attimo le orbite oculari si oscurano, il viso si riempie di strane ombre, gli angoli della bocca si ripiegano assumendo un aspetto beffardo: la metamorfosi si ripete pari pari a prima, solo al contrario. Inquietante, inquietante ritratto. Strano che finora nessuno lo abbia notato oppure l’ecclesiastico aveva acceso di proposito la luce, ben conoscendo il brutto effetto che il busto in ombra può fare ai visitatori? Io non credo all’al di là, alla provvidenza, ai miracoli, alle promesse della religione cristiana, ai riti ed alle superstizioni, detto in tre parole io non credo: ma non posso impedire a tre pensieri di sorgermi prepotenti in testa mentre mi avvio verso l’uscita per tornare in ufficio.
Innanzitutto avverto una specie di fastidio interiore all’idea che, chissà, magari esista davvero in un qualche luogo una sorta di “registro ultraterreno” delle malefatte, da scontare infliggendo ai vivi la richiesta di cose così poco interessanti come le messe. In tal caso spero di aver conservato lo scontrino di qualche buona azione, così potranno farmi lo sconto.
Il secondo pensiero è che se mai dovessi ripresentarmi ai vivi non lo farei utilizzando sistemi così poco simpatici ed utili quali le orme bruciate: preferirei, ad esempio, far fiorire un albero, secco, per giunta fuori stagione per non lasciare nessuno nel dubbio della soprannaturalità di tale evento; oppure materializzerei un cofano pieno d’oro per aiutare qualcuno nel bisogno, insomma, non so ben cosa mai farei, ma dubito che mi divertirei molto a lasciare in giro buchi nelle camicie e patacche malamente bruciacchiate, quasi fossi una massaia sommamente maldestra.
Il terzo, ultimo e forse più fantasioso pensiero riguarda il buon padre Jouet. Ve lo immaginate, una vita trascorsa “acceso d’amore per il cuore sacratissimo di Gesù”, a raccogliere in giro per tutta Europa reliquie dell’aldilà la cui caccia gli deve essere constata tempo, fatica, pazienza, soldi, fors’anche la salute: e dopo trent’anni, in una sorta di furore iconoclasta verosimilmente causato dalla incontrovertibile scoperta di qualche truffa o burla clamorosa presente nella sua vasta collezione, eccolo smantellare giù tutto, eliminare la quasi totalità di pezzi e lasciarne qualcuno in possesso di “ persone degne di fede”. Ma basteranno quattro straccetti polverosi a giustificare l’esistenza della chiesa o una vita di vagabondaggi nel nome della fede? Io non lo so, la risposta datela voi, soprattutto se credete: ma la beffarda faccia che il busto di Padre Jouet presenta ai visitatori mi lascia presumere che sia negativa… Ad ogni modo appena ne avrete l’occasione visitate il museo: prendete la metro A direzione Valle Aurelia, scendete a Lepanto, percorrete via Colonna, via Caro e Via Ulpiano, raggiunto il Lungotevere girate a sinistra e la chiesa sarà li ad aspettarvi. Potrà impressionarvi, stupirvi, farvi ridere o riflettere, ma una cosa almeno è certa: non vi lascerà indifferenti.