Wallis: un punto nell’oceano

Una destinazione "fuori programma"
Scritto da: Frankkk
wallis: un punto nell’oceano
Partenza il: 12/08/2009
Ritorno il: 19/08/2009
Viaggiatori: 2
Spesa: 1000 €
Questo è stato un viaggio nel viaggio, nel senso di uno straordinario “fuori programma” di ben una settimana. La meta era in realtà rappresentata dalle isole Fiji, ma una decisione improvvisa ci porta ad approfittare della rara possibilità di recarsi a Wallis, oggi raggiungibile da Nadi con un comodo volo dell’Air Caledonia (costo A/R di ca. 240 euro pro capite – durata un’ora e un quarto). Abbiamo alloggiato a Mata Utu, in un alberghetto prenotato per telefono, l’hotel Moana Hou, pulito, camere ampie con aria condizionata, bagno privato e sala ristorante. Gradevole sistemazione a ca. 85 euro a notte (i prezzi a Wallis non sono propriamente popolari). Ottimo il ristorantino sul mare “Chez Patricia”, nella località di Vailala, a nord dell’isola (mediamente 25-30 euro a testa per cenare a base di pesce). Da consigliare anche il ristorante Le Recif, a Mata Utu, in cui abbiamo speso 80 euro in due, di cui 26 per un ottimo vino francese. A chi si recasse a Wallis in agosto, consiglio di non perdere la funzione religiosa nella cattedrale di Mata Utu nel giorno di Ferragosto e la grande festa che segue e dura per l’intera giornata. A Wallis chi è cellulare-dipendente o internet-assuefatto non avrà vita facile. Di seguito, qualche notizia in più di questo angolo di mondo perduto.

Wallis e Futuna: non ci sono molte alternative per raggiungere queste isole remote del Pacifico. Territorio d’oltremare della Francia, sono da sempre fuori dalle rotte turistiche. Nessun traghetto; unica possibilità è un volo proveniente dalla Nuova Caledonia e che fa scalo a Nadi, nelle Fiji. E proprio a Nadi acquistiamo un volo che in un’ora e un quarto ci proietta in un contesto fuori dal mondo, in cui non esiste il telefono cellulare, ad esempio. L’aeroporto di Hihifo, nell’isola di Wallis, è quasi un dejà-vu; ricorda un po’ quello di Tahiti, ma più piccolo e spartano. Pullula di isolani, molto diversi dai melanesiani che abbiamo lasciato nelle Fiji. La gente qui ha tratti somatici maori. Anche il gran numero di collane di fiori odorosi e le acconciature dei capelli ci riportano con la memoria alle nostre esperienze di viaggio polinesiane. In aereo, un comodissimo jet dell’Aircalin, non ci sono turisti, ma praticamente tutti wallisiani che hanno cercato miglior fortuna in nuova Caledonia o nelle stesse Fiji. Ad accoglierci non c’è nessuno dell’alberghetto che abbiamo a gran fatica prenotato per telefono; capiremo in seguito che qualcuno ci ha atteso per un po’, ma poi ha desistito. Il nostro ritardo, a causa delle formalità doganali e degli onnipresenti moduli da compilare, ci ha regalato la prima difficoltà del soggiorno. “Ma perché non avete preso un taxi?”, ci si chiederà; oppure, “Potevate telefonare in albergo”. Beh… niente taxi a Wallis e l’unico preistorico telefono esistente in aeroporto ha tirato i remi in barca da un pezzo. Bene, pagheremo qualcuno per improvvisarsi tassista! Ma dov’è l’ufficio di cambio in aeroporto? Semplicemente… non c’è. Mentre l’aeroporto si svuota lentamente della gente festosa che ha accolto i parenti girovaghi e mentre i nostri neuroni si focalizzano sul da farsi, ci si avvicina una signora di mezz’età, europea, che era con noi in aereo, ma che non avevamo notato prima. Prima ancora di presentarsi, mi chiede cosa ci facciano due italiani a Wallis. Spero di non dovermelo chiedere anch’io J. Francese di origini, è vissuta a Tahiti e attualmente lavora all’Università di Waikato, in Nuova Zelanda. E’ al suo secondo viaggio wallisiano, per un progetto che la vede impegnata nella valutazione di un improbabile sviluppo turistico di queste isole; l’”improbabile” è mia opinione personale. Quando le illustro che inizieremo il nostro tour a piedi e con le valigie al seguito, si offre subito per darci una mano, facendoci da interprete. Grazie alla cortesia – non proprio disinteressata – di Marie Rose, riusciamo a raggiungere l’albergo, a Mata-Utu, circa 6 km a sud di Hihifo. Marie Rose è in aeroporto per consegnare un’auto a noleggio a qualcuno che però ha perso il volo, e che arriverà con quello successivo, cioè dopo cinque giorni. Ringraziamo Marie Rose noleggiando l’auto rimasta orfana ed iniziamo a respirare la magica atmosfera di Wallis. Anche il primo impatto naturalistico ci riporta in Polinesia. Mi viene in mente la selvaggia Huainé, in cui ho soggiornato qualche annetto fa. La vegetazione è varia e lussureggiante, prodiga di fiori e frutti tropicali, e l’isola presenta dolci alture ricoperte di verde; uno scorcio panoramico ci fa intravedere una laguna turchese che, ovviamente, sarà nostra prossima meta. I giardini delle abitazioni sono curati ed è frequente sentire il tosaerba in azione. In serata si leva un gran vento che ci terrà compagnia, insieme ai nembi e a qualche scroscio di pioggia, per i successivi due giorni, costringendoci a rimandare il giro in laguna. Ne approfittiamo per curiosare a Mata-Utu e dintorni, e per esplorare l’interno dell’isola. Mata-Utu, il villaggio principale che conta circa duemila abitanti, ospita la residenza reale e, subito a lato, l’imponente variopinta cattedrale. Scopriamo subito che l’influenza dei missionari ha segnato in maniera decisa il destino di questa gente, scandendo il tempo con messe domenicali e rintocchi di campane, e promuovendo uno stile di vita regolato e morigerato. Lo spiccato senso del pudore porta i wallisiani a non esporre del proprio corpo più centimetri quadrati del dovuto: anche un bermuda sopra il ginocchio o una scollatura all’occidentale è trasgressione pura. Non parliamo del bikini! Anche i maschietti, nonostante il caldo spesso umido e mal sopportabile, evitano accuratamente il torso nudo. E tutto questo è vero anche nei rari momenti di autoctona balneazione, in cui si assiste allo spettacolo, comune anche presso altre culture, come in oriente, del bagno effettuato completamente vestiti. Mata-Utu ospita alcuni centri commerciali, in cui si trova un po’ di tutto, compresi i vini francesi, le classiche baguette, il prosciutto di Parma e la Nutella. L’influenza dei francesi residenti si rende evidente anche nella cucina, decisamente superiore a quella che mediamente ci ha “allietato” il palato nelle Fiji. Di contro, rari, malfunzionanti e costosissimi Internet Point ci danno una misura di quanto distante sia ancora la cultura wallisiana dalla nostra, ormai tutta web oriented. Cambiamo 1500 euro in franchi del Pacifico nell’unico sportello abilitato, considerando che pagheremo in contanti il conto dell’albergo; le carte di credito, neanche a dirlo, non sono le benvenute. Lasciamo il villaggio dopo un rapido spuntino a base di un’ottima zuppa di pesce (Antonella) e un pessimo gelato italiano gusto cioccolato (il sottoscritto, furbissimo, tanto per usare un eufemismo). L’interno dell’isola è rigoglioso; la natura si è sbizzarrita, complice il clima sub-equatoriale caldo-umido e piovoso, ricoprendo di una ricca varietà di piante tutta la superficie utile. Lasciamo ben presto le poche strade asfaltate per immergerci nella giungla, tra buche e improvvise pozze di fango, diretti ad un lago vulcanico consigliato dalla nostra Lonely. La Suzuki Vitara di Marie Rose se la cava egregiamente, per quanto dimostri un’età maggiore di quella anagrafica. Dopo un bel peregrinare alla ricerca di qualche indicazione, ci rassegniamo a chiedere informazioni ad un isolano che ci illustra il percorso da fare. Intanto, noto con piacere che il mio francese scolastico fa progressi esponenziali. Il lago Lalolalo ci si presenta all’improvviso, spettacolare come descritto nella guida. E’ perfettamente circolare e non raggiungibile a piedi, a meno di non calarsi per trenta metri lungo le pareti a picco, ricoperte, peraltro, di fittissima vegetazione. Il paesaggio ci rapisce per un po’, mentre un sole caldo fino all’impietoso fa capolino dalle nubi che vanno diradandosi. Il vento invece continua insistente, ma tutto sommato fa anche piacere. Proseguendo nell’itinerario, esploriamo tutto il versante ovest dell’isola, che è quello più selvaggio e praticamente disabitato, fermandoci ogni tanto per lo scatto fotografico di rito. Concludiamo la giornata in cima alla collina più elevata di Wallis da cui si può ammirare un panorama a 360 gradi. In serata ci attende in hotel una fantastica insalata di pesce servita dalle due ragazze che ci hanno accolto alla reception, cenetta oscurata solo da quelle successive che consumeremo direttamente sotto le stelle presso il graziosissimo e rinomato ristorante sul mare “Chez Patricia”. L’hotel Moana Hou è proprio di fronte alla laguna, poco fuori Mata-Utu, sulla stradina che costeggia il mare. Si tratta in realtà di una pensioncina a conduzione familiare, ma con camere grandi e pulitissime, pavimenti in ceramiche dai colori vivaci accostati in modo casuale, un condizionatore sufficiente a deumidificare l’aria, un frigobar e persino una TV a colori con sei canali sintonizzati. Ospiti fissi, ma discreti, tre gechi, che dal tramonto in poi cercano di rimediare una cena a base di zanzare; malvolentieri Antonella ha dovuto rinunciare alla sua privacy, ma poi ci ha fatto l’abitudine. Nulla da dire sul servizio: hanno cambiato asciugamani e lenzuola ogni giorno per tutta la settimana. Tutti i membri della famiglia sono gentili, ma nello stesso tempo riservati e schivi. Ci saremmo aspettati un minimo di curiosità da parte loro, non so, qualche domanda su di noi, sul nostro paese d’origine, sul nostro lavoro. Chissà, la loro timidezza nei rapporti con gli stranieri sarà forse dovuta al fatto di aver a che fare solo con un paio di turisti all’anno e qualche francese in trasferta lavorativa. O piuttosto è semplicemente un atteggiamento intrinseco alla loro cultura. Il giorno successivo ci vede ancora vagabondare in attesa di tempi meteorologici migliori. Approfittiamo per visitare il lato est dell’isola, in cui si trovano alcuni fale, abitazioni tradizionali fresche ed arieggiate, e alcune imponenti chiese che fanno concorrenza alla cattedrale. Non piove, ogni tanto il sole fa capolino e ci inonda di calore, ma il vento è ancora imperante. Cessa improvvisamente l’indomani, come previsto dal “meteorologo” figiano che vende bibite fresche a trenta metri dall’hotel. Sabato 15 agosto, giorno dell’Assunzione, a Wallis è festa nazionale a tutti gli effetti. Preavvertiti dai proprietari dell’hotel, ci alziamo di buonora per essere alle sette in punto in cattedrale per l’inizio della funzione religiosa. La giornata è serena e si preannuncia decisamente caliente sin dalle prime ore del mattino. In chiesa riesco a resistere solo dieci minuti; anche i wallisiani, che dovrebbero esserci abituati, si sventagliano spudoratamente. Lo spettacolo degli isolani vestiti a festa è a dir poco coreografico: abiti dai mille colori, strisce svolazzanti di stagnola colorata, acconciature ricercate, fantasiosi fermacapelli e innumerevoli collane di fiori riempiono i nostri scatti fotografici e le riprese video; giovani fanciulle tenute in formazione da un anziano bisbetico fanno il loro ingresso in chiesa durante la cerimonia. Ma il bello deve ancora venire. E’ uso che ogni anno, proprio in questo giorno, si insceni uno spettacolo di danze e canti sul piazzale antistante la residenza reale. I danzatori provengono da sei diversi villaggi, anche dalla remota Futuna, e si esibiscono in momenti diversi fino al tramonto. Lo spettacolo è preceduto da un’esposizione di più di cento maiali sacrificati per l’occasione, che vengono donati dai rispettivi proprietari ad altre famiglie, in genere più bisognose. E’ un modo per ringraziare qualcuno, ma soprattutto per ridistribuire le risorse in modo da ridurre le differenze di tenore di vita tra i benestanti e i meno abbienti. In un locale vicino, sufficientemente grande, è stata intanto allestita una mega colazione che viene offerta gratuitamente ai visitatori. Anche noi, coinvolti ormai appieno dall’atmosfera festaiola, consumiamo qualcosa, in compagnia della francese accademica che abbiamo incontrato in aeroporto (e che, per la sua ricerca, ci intervisterà il giorno prima della partenza). E’ subito fuori il locale, mentre mi gratifico con una sigaretta, che faccio conoscenza con un francese appena arrivato. Gli chiedo per curiosità quali siano state le sue tappe prima di atterrare a Wallis e scopro che è partito da Marsiglia 4 anni fa con una barchetta a vela, ora ormeggiata in laguna. Che invidia pazzesca! Come mai sono sempre gli altri a realizzare i miei sogni nel cassetto? Finalmente, dopo il tradizionale rito della preparazione della kava, già degustata nel nostro soggiorno figiano, iniziano le danze, accompagnate da cori cantilenanti e con l’appassionata partecipazione di un gruppo di musicanti locali. Anche il re e i suoi cortigiani assistono in prima fila allo spettacolo, ma comodamente protetti dalla possibile insolazione. Alcune donne attempate sono sedute in file ordinate, sotto il sole cocente, circondate dai danzatori in costume disposti a semicerchio, e muovono dolcemente il busto e le braccia seguendo il ritmo; qualcuno del pubblico inserisce banconote anche di grosso taglio nel loro decolté o tra i capelli. Anche questi gesti sono in parte tesi a ridistribuire risorse economiche a vantaggio dei più poveri. Dopo qualche ora, appagati dal folklore e stroncati dalla calura, ci muoviamo per organizzare la giornata successiva. Il tempo è buono: ci aspetta la laguna. Wallis è sprovvista di spiagge; per il resto è la classica isola con la laguna costellata da isolotti vulcanici o sabbiosi a ridosso della barriera corallina. Il fenomeno delle maree è particolarmente evidente, forse più che nelle Fiji, costringendo a pianificare le gite in barca. Comunque, anche durante la bassa marea è talvolta possibile muoversi per mare, ma dopo aver percorso 50-100 metri a piedi nell’acqua per raggiungere un’imbarcazione ormeggiata in maniera strategica. Il mio consiglio è quello di muoversi per tempo la mattina, meglio se con la bassa marea, poiché affiorano banchi di candida sabbia corallina che, insieme alle palme da cocco, confezionano su misura un contesto paesaggistico da cartolina illustrata.

Ed è proprio questo contesto a caratterizzare i tre giorni successivi, gli ultimi della nostra vacanza nel Pacifico: partire la mattina con la barca, trascorrere tutta la giornata su di un’isola deserta, padroni assoluti delle spiagge di sabbia bianca, nuotare in un mare caldo e cristallino, con maschera e pinne al seguito per esplorare gli splendidi fondali corallini, inebriarsi dei colori della laguna, cangianti dal verde chiaro al turchese e all’azzurro intenso, ripercorrere tutte queste traumatiche esperienze immediatamente dopo una meritata colazione al sacco, leggere un libro sotto una palma mentre monta l’alta marea, prendere la tintarella a dir poco integrale accarezzati dalla brezza pomeridiana… beh, non vado oltre! Penso che a questo quadretto diurno, per completezza di trattazione, si può aggiungere solo il fascino delle passeggiate romantiche al lume delle galassie dell’emisfero australe, sotto un cielo più scuro del nero, che l’ultima notte ci regala una stella cadente, giusto in tempo per esprimere il desiderio di ripartire presto verso una nuova meta.



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