Due settimane alla scoperta del meglio del Perù
Indice dei contenuti
- Lima|2GG|Ospite da amici|Cena da amici|Miraflores, Barranco e Centro Storico
- Paracas|1G|Hotel Gran Palma (buono)|Cena in un locale non precisato|Islas Ballesta e Reserva Natural
- Nazca|1G|Hotel Nazca Lines (ottimo)|Cena da Via La Encantada (ok)|Visita aerea alle linee di Nazca
- Arequipa (2500 metri slm)|1.5G|Casablanca Hostal (ottimo)|Cena al ristorante di Gaston Acurio (ottimo)|Il museo di cultura Andina e il Monastero di Santa Catelina
- Puno (3800 metri slm)|1.5G|Hotel Andina Classic (splendido)|Cena da Mojsa e la Casona (splendidi)|Titikaka/Villaggio galleggiante Uro
- Cuzco (3500 metri slm)|1.5G+0.5G|Hotel Madre Tierra (ottimo, ma staff un po’ incapace)|Cena da Cicciolina (splendido) + pranzo da Green’s’organic (splendido)|Visita della citta’
- Inca Trail 2D|2G|Hotel del tour pessimo|Indio Feliz ad Agua Calientes(ottimo)|Machu Picchu
- Cuzco (come sopra)
- Lima (come sopra)
Collegamenti: Volo per il Peru: prenotato 5 mesi prima con Delta via Atlanta e Parigi (molto lungo) a 1200 EUR. Bus: quasi tutte le tratte con Cruz del Sur (ottima) e Julsa (esperienza da backpacker hard core). Libertad molto buona. Oltursa e Tourperu pare siano ottime, ma non provate. Le altre probabilmente sono agghiaccianti. Bisogna sempre chiedere servizio “turistico” o “bus cama”. Il costo e’ in media 10 EUR/persona/tratta (da 6 ore ciascuna). Aereo: preso solo da Cuzco a Lima (circa 100-150 USD).
Hotel: tutti in media 40 EUR/notte/camera incluso colazione. I giudizi sono sopra.
Cene: sempre ottime. Da 15 EUR a coppia nei ristorantini anonimi a 30 EUR in coppia in quelli piu’ lussuosi.
Guida: Lonely Planet, una delle piu’ precise utilizzate sino ad ora assieme al Sud Est asiatico. Versione in inglese, ultima aggiornata.
Incatrail: 250 USD/testa inclusivo di tutto. Compagnia e’ la Quente, assolutamente pessima.
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Diario
Al solito la destinazione nasce un po’ per caso, probabilmente si stampa nella tua mente in un altro viaggio, davanti ad una birra con un amico o uno sconosciuto che ti affascina con pochi aneddoti che ti rimangono impressi in testa. L’organizzazione e’ sempre la stessa: un biglietto aereo, qualche hotel prenotato, una guida, una reflex, uno zaino e poco altro. Il Peru’ e’ facile da girare. Gli unici accorgimenti sono (i) l’Inca Trail che e’ considerato il trekking piu’ bello del mondo e porta a Machu Picchu e va prenotato cinque mesi in anticipo, altrimenti scordatevelo, perche’ non ci sara’ agenzia che vi fara’ avere biglietti ad alcun prezzo; (ii) l’alta quota: andrete e dormirete a 4000 metri, alcuni non dormono, altri stanno male, molti non se ne accorgeranno nemmeno e per quanto starete attenti con l’alimentazione ed ingurgiterete blister interi di Diamox, sara’ il vostro corpo a decidere quanto soffrirete. Il viaggio dall’Italia e’ lunghissimo: scegliamo un volo da Parigi via Atlanta con Delta che ci fa risparmiare parecchio (costo 1200 euro), ma che rende la nostra trasferta infinita, in particolare al ritorno.. La migliore opzione e’ il diretto da Madrid o da Amsterdam che ovviamente ad agosto le compagnie si fanno pagare caro.
Lima
I primi due giorni li dedichiamo a Lima. Nessun albergo: ci ospitano i genitori di un amico a Monterrico, una zona residenziale bene di Lima. Siamo coccolati, guidati e fin troppo nutriti per un paio di giorni. Ci ospita la famiglia Huerta, lui ex dipendente dell’Onu e lei ex archeologa: avranno 75 anni e sono un esempio della (alta?) borghesia peruviana che sta bene in una societa’ dove la distribuzione iniqua dei redditi puo’ permettere a molti un personale di servizio enorme che in Italia arruolerebbe solo un milionario: un autista, una cuoca, un aiuto cuoca e una domestica, tutti, ovviamente, a tempo pieno, a non piu’ di 200 euro al mese a testa. Il paradosso e’ che il costoso esercito al loro servizio contrasta con la mancanza di riscaldamento, un’abitudine peruviana ampiamente diffusa, persino nelle case borghesi. A Lima fa freddo, qui’ e’ inverno in agosto e nella casa dei nostri ospiti non ci saranno piu’ di 16-17 gradi. Ti abitui, soprattutto ai pasti dove un po’ di umidita’ in piu’ permetterebbe di dare forma a dei fumetti soffiando nell’aria, come in un igloo. E’ difficile da descrivere Lima: ricorda altre citta’ del Sud America decadute, aride, sicuramente caotiche. La perenne spessa coltre di nubi invernale la rende triste, quasi deprimente. Un soffocante traffico di oltre otto milioni di persone che ogni giorno percorre in auto boulevard all’americana a sei corsie completano l’immagine. Le strade sono costeggiate da cartelloni pubblicitari giganti che si stagliano contro il cielo per stimolare il consumismo di una classe media che sta nascendo (lasciando la fascia bassa a 200 euro al mese). Persino i tassisti si riferiscono all’Italia come un paese “in crisi”, mettendolo a confronto con Il Peru dove la crescita economica e’ evidente. La citta’ non e’ sicuramente bella, ma ha un grande fascino come ogni metropoli. La guida della Lonely Planet cerca di vendere qualcosa che in Italia finirebbe affogato nella sbornia di offerta culturale della nostra penisola, ma la realta’ e’ l’atmosfera che va respirata con le sue contraddizioni. Il degrado di alcune aree contrasta con un traffico esplosivo di una citta’ in ebollizione e con un consumismo che sta crescendo. Cosi’ la deprimente coltre bianca si scontra con i quartieri come Miraflores dove si inanellano decine di locali e ristoranti all’aperto che farebbero invidia a Milano e che nonostante il freddo serale non fermano la popolazione locale che riempie le strade anche la domenica sera. Noi andiamo a bere un aperitivo con Andrea, un amico di Trento, e Claudia, sua moglie peruviana, che ci portano da “Mango”, un posto alla moda nel centro commerciale Larcomar con una terrazza enorme a strapiombo sul Malecon, il lungomare peruviano illuminato dalle luci notturne. I prezzi sono occidentali e noi tracanniamo all’aperto un Pisco Sauer, in pratica una grappa aromatizzata mescolata con succo di lime, accompagnato da del mais saltato in padella, l’equivalente di un salatino nostrano. Il cocktail ufficiale del Peru ci scalda lo spirito rinfrescato dal vento gelido che soffia sulla terrazza. Un piccolo fungo da esterno non basta a scaldarci, ma qui funziona cosi’ e ci stiamo abituando. Per fine vacanza ci sembrera’ la normalita’. La cucina e i ristoranti sono una delle forze di Lima che non riusciamo ad apprezzare (non riusciamo ad apprezzare a Lima, mentre al contrario durante il viaggio assaggiamo qualunque specialita’ possibile). I nostri padroni di casa hanno una cuoca di prima scelta che ci tratta come potrebbe solo Gaston Acurio, il Carlo Cracco di Lima. E’ una pecca del nostro viaggio, ma di sicuro ne soffre piu’ la nostra esperienza che il palato. Ortensia, la padrona di casa, ci fa assaggiare le specialita’ locali, come il pato (l’anatra) col riso e le capesante curiosamente ricoperte di parmigiano, una delicatezza per i peruviani, probabilmente una bestemmia a Master Chef. Lima ci da l’impressione di essere vissuta piu’ che visitata, con i peruviani e nei loro locali. Detto questo non partite senza visitare almeno un museo archeologico a Pueblo Nuevo, alcune chiese del Centro Storico e il Ponte dei Sospiri a Barranco, sarebbe un vero sacrilegio. Ma forse non siamo i migliori per dare consigli per Lima.
Paracas ed Islas Ballestas
Paracas e’ una piccola localita’ tra Nazca e Lima, una tappa obbligata per spezzare il viaggio in pullman. Il paese, per stessa ammissione di una guida dopo qualche mia domanda incalzante, soffriva la fame sino all’inizio dello sfruttamento turistico di 10 anni fa.
La visita delle isole si fa su dei grossi motoscafi che portano venti persone alla volta come dei giapponesi a Venezia: l’attrazione principale sono i pinguini, i leoni marini e i cormorani, oltre alle immense coltivazioni di guano. Fara’ ridere, ma il nitrato contenuto nel guano era a meta’ ottocento una strategica ricchezza dell’isola per concimare la terra ed e’ stato oggetto di violente guerre con il Cile e la Bolivia e dove il Peru non ha avuto la meglio. Nella visita non si puo’ scendere dalle imbarcazioni, ma si vede tutto da molto vicino. Una visita alla Riserva Naturale fa parte del pacchetto della visita alle isole: un piccolo pullman ci trasporta in un’area desertica con splendide viste sull’oceano pacifico, un piccolo museo e poco altro. Insomma una giornata di relax, ma niente di eccezionale che probabilmente passerebbe inosservato se Paracas non si trovasse strategicamente lungo la strada costiera. A ripensarci un volo diretto su Nazca forse sarebbe stato comodo, ma forse siamo troppo esigenti. Detto questo durante il viaggio vedremo degli spettacoli che non sono lontanamente confrontabili alle coltivazioni di guano! Si cena in un ristorantino come sempre “al fresco”: il pesce e il pollo alla griglia non mancano mai e persino in un piccolo paesello remoto come Paracas la qualita’ e’ buona e con 15 euro si mangia in due.
Nazca
Nazca significa Linee di Nazca. Nient’altro, nulla. Nel paese non c’e’ nulla, se non una strada. Cosi’ come a Paracas. Forse qualche attrazione outdoor nei dintorni puo’ permettere di trascorrere un altro giorno senza essere uccisi dalla noia. Le linee sono centinaia di figure semi preistoriche nel deserto grandi centinaia di metri e profonde mezzo metro di cui non si sa davvero nulla se non qualche speculazione casuale che contrasta una con l’altra. L’unico modo per potere vedere le linee e’ salire su un micro aereo da quattro posti. Triangolando racconti, guida e internet, le statistiche aeronautiche di incidente sono piu’ favorevoli di quelle di Los Roques in Venezuela e che hanno ucciso la famiglia Missoni. Non si sale mai tranquilli su questi aerei, ma probabilmente volando con Aeroparacas si riduce di qualche percentuale il rischio e ci si tranquillizza. Il volo sopra il deserto e’ mozzafiato.
Arequipa
Arriviamo ad Arequipa dopo 11 ore di viaggio notturno. Il viaggio e’ un po’ pesante, ma si fa: gli infiniti tornanti in alta quota nel buio piu’ assoluto si sentono. Forse un aereo sarebbe stato piu’ comodo. Il Kindle e alcuni film in spagnolo sottotitolati in inglese o viceversa ci fanno compagnia. Arequipa e’ un gioiello coloniale, nulla a che vedere con la capitale. La citta’ e’ circondata da tre vulcani semi attivi visibili da ogni angolo della citta’ e che raggiungono quasi i 6.000 metri di altitudine e sono incappucciati da una coltre bianca. Uno e’ il Misti, un 6000 considerato “facile”, per quanto una cima del genere possa mai essere considerata tale, e forse varrebbe la pena una seconda visita della citta’ per testarlo. Arequipa e’ una citta’ moderna: puoi fermarti in un McDonalds, in uno Starbucks e i suoi negozi di abbigliamento vendono capi alla moda. Nei negozi di casalinghi, che tengono a magazzino le referenze piu’ disparate, si possono trovare lavatrici, scooter cinesi e persino gli ultimi modelli di tablet Samsung, presentati come li troveresti alla Fnac di Via Torino a Milano. Siamo baciati dalla fortuna: il 15 agosto c’e’ la festa del patrono. Tutto il mondo e’ paese: vediamo carri di ogni tipo, balli e feste. Non e’ il carnevale di Rio de Janeiro, ma penne colorate e abiti sfavillanti trionfano. Qualche miss sponsorizzata da aziende locali viene trasportata su dei carri allegorici in pompa magna: se alcune di loro se la giocherebbero a testa alta al concorso di Mirigliani, altre avrebbero problemi a partecipare a Velone!
La mattina comunque vola e il sole scotta, siamo comunque a 2500 metri e l’insolazione e’ sempre dietro l’angolo. Nel pomeriggio ci facciamo accompagnare da una guida (10 soles) al museo della cultura andina, uno spettacolare racconto della cultura inca che si sviluppa in un percorso incentrato attorno ad una mummia del 1500, ritrovata un secolo fa in condizioni perfette imprigionata nei ghiacci d’alta quota: una ragazzina data in sacrificio alle divinita’ delle montagne secondo la tradizione dell’epoca e che porta con se vestiario, accessori, doni di un inestimabile valore storico. Cosi’ visitiamo il monastero di Santa Catelina, una enorme cittadella dal sapore ispanico e resa suggestiva alle luci del tramonto. La visita per noi e’ una finestra sulla colonizzazione spagnola, sulla cultura cattolica e sulle famiglie borghesi del tempo, abilmente raccontata a noi, ed ad una insegnante di Napoli che si unisce, da una guida locale, affamata di conoscere i nostri racconti dell’Italia! La sera ceniamo, sempre al fresco, nel ristorante di Gaston Acurio. E’ ottimo, e ce la caviamo con 30 euro in due in questo posto di lusso! Cuzco non sara’ cosi’!
Il giorno successivo partiamo per Puno
Siamo in altissima stagione, tutti i pullman sono maledettamente pieni e ripieghiamo su Julsa, una compagnia usata principalmente dai locali. E’ una esperienza da treno indiano. Cruz del Sur era diventato per noi lo standard: si arrivava in stazione, si faceva il checkin del bagaglio – che veniva caricato a parte – e si saliva. Volendo si prenotava il biglietto su internet. Una volta avvicinati i banchi delle compagnie locali, veniamo investiti da urla da mercato: “Puno!”, “Cuzco!”: non chiamano perche’ il pullman sta partendo, ma per riempire i posti fuoti di pullman che devono ancora partire. E non partono sino a quando il bus non e’ pieno. Cosi’ avremo un’ora di ritardo, la normalita’ per queste compagnie. In fila sul pullman con noi ci sono indigeni che caricano sacchi di juta, qualche locale distinto, un disabile che viene prima dimenticato nel piazzale sotto il sole e poi trascinato a braccia al secondo piano da altri passeggeri e due olandesi che ci guardano rincuorandosi quando vedono i loro zaini gettati in mezzo alle sacche di juta. Sul pullman non c’e’ aria condizionata, i finestrini sono sigillati e sembrano di ferro battuto (arrugginito), alcuni viaggiatori mangiano le loro schifezze il cui odore acre si propaga nel caldo, mentre la temperatura sale a 50 gradi. Il primo pullman si rompe prima di partire e si cambia. Il secondo buca la gomma e ci fa fermare al distributore di benzina. intanto, piano piano, si sale di quota verso i 3800 metri di Puno. Un’avventura!
Puno
Il lago Titikaka richiama tutto il mondo. Se il lago e’ un punto di attrazione internazionale, la vera magia del luogo e’ la tradizione incontaminata che permea i suoi abitanti. In strada le donne trasportano sulla schiena dentro a delle sacche di tessuto i loro figli addobbati con abiti peruviani che li fanno sembrare delle piccole marionette; cosi’ gli uomini indossano maglie di alpaca e abiti tradizionali. C’e’ poco spazio alla fantasia e alla colonizzazione occidentale. E c’e’ poco spazio per trasformare Puno in Disneyland, perche’ la citta’ e’ cosi’, non c’e’ bisogno di agghindare gli abitanti con costumi in disuso come accade in certi paesi dell’Asia per soddisfare i turisti americani. La tradizione e’ nel DNA degli abitanti.
Titikaka e’ ovviamente la nostra missione. La Lonely Planet racconta come sia facile andare a visitare le isole Uro con i traghetti locali, senza pagare dei tour. In realta’ ci troviamo davanti ad una enorme confusione dove cosa sia pubblico e cosa sia turistico non e’ per nulla chiaro. Quello che sembra il ferry pubblico ricorda una affollata carretta degli immigrati dove non e’ chiaro capire dove si vada, quando si torni e quanto tempo serva. In compenso il semplice contatto visivo sembra possa farti prendere il tetano. E non scherzo. E’ il primo posto dove siamo assaltati per comprare dei biglietti. Sembra davvero di essere in Asia dove decine di ragazzini ti saltano addosso per venderti dell’acqua o chiederti un dollaro. Frustrati optiamo per un tour (25 soles/testa) e ci uniamo ad un gruppetto internazionale, che ha fatto la stessa scelta. La barca e’ comunque un mezzo rottame, ma e’ un passo avanti e il mix di cileni, messicani e francesi che ci accompagnano sono un bel gruppo per fare due chiacchiere. Le isole sono difficili da raccontare. Il popolo Uro per scappare dagli Inca ha costruito un gigante villaggio su delle isole artificiali galleggianti costruite con una base di radici ricoperta con uno strato di tre metri di una specie di bambu che sostituisce nel tente mentre la base sottostante marcisce. Difficile a crederci, ma duemila persone vivono tuttora qui’!
Cuzco
Arriviamo a Cuzco con un autobus della Libertad; il livello non e’ all’altezza di Cruz del Sur, ma e’ comunque ottimo. Bisogna accettare ritardi imprevedibili e fermate ovunque nei posti piu’ sperduti, sapendo che non appena il bus scende ad una velocita’ di 10km/h, i locali cominciano a battere sulle finestre cercando di venderti qualcosa. Cuzco ha un sapore quasi occidentale: ogni angolo della citta’ e’ un gioiello come una piccola capitale storica europea. Diversamente da Arequipa, dove musei e monasteri erano una tappa obbligata, a Cuzco bisogna passeggiare, perdendosi nei vicoli, nell’enorme mercato e in particolare godersi il lato gastronomico del villaggio. A pranzo andiamo da Green’s organic, un ristorante imperdibile di insalate e paste organiche citato anche dal Corriere della Sera, ed a cena andiamo da Cicciolina, ristorante pluripremiato della citta’. Con 20 euro si mangia sempre in due, da grandi signori. Rinunciamo alla Valle Sacra. Sentiamo pareri discordanti e concludiamo che ci sembra una giornata persa che preferiamo dedicare a Cuzco.
Inca Trail e Machu Picchu
L’Inca Trail di due giorni lo abbiamo prenotato comodamente sei mesi prima, altrimenti non c’e’ nulla da fare, il numero e’ chiuso a 500 persone al giorno e i posti si riempiono alla velocita’ della luce. Non esiste un mercato secondario per i biglietti per accedere ad un luogo gia’ costosissimo a causa del suo nome internazionale. Seguiamo tutte le indicazioni della Lonely Planet e di internet per utilizzare un’agenzia affidabile e sostenibile (Quente), pagando 250 dollari/testa. Non sara’ la scelta migliore. L’Inca Trail di due giorni e’ una versione piu’ leggera dell’Inca Trail completo: un giorno di trekking e un giorno di visita a Machu Picchu. Si prende un treno che porta al chilometro 104 della ferrovia di Machu Picchu, poi si scende nel nulla, facendo fermare apposta il treno!, e si comincia a salire 800 metri di dislivello che si sviluppano in 15 chilometri di camminata nella giungla sotto il sole ad una media di 2500 metri di quota. Non trovi l'”aria sottile” che taglia il fiato dei passi a 4000 metri dell’Inca Trail di quattro giorni e non hai degli scenici portatori da esploratore inglese che ti fanno sentire Edmund Hillary che scala l’Everest, ma la versione mignon della passeggiata e’ un assaggio perfetto di quella completa per chi ha poco tempo (e fiato!). Se non sei troppo sedentario ci sono buone chance che riuscirai a farlo! L’organizzazione e’ davvero da turista per caso. Dovevamo essere un gruppo, ma alla fine ci troviamo solo noi due con la guida. L’agenzia cosi’ decide di premiarci con la guida piu’ giovane, che e’ al suo primo tour da sola molto probabilmente. La chiameremo “Bob” perche’ non si e’ mai presentata! Ma questo e’ l’ultimo dei problemi; Bob che doveva parlare inglese non parla nemmeno vero spagnolo. Ma lo capiamo solo dopo. Ci approccia con l’inglese, incomprensibile, passa allo spagnolo, normalmente abbastanza chiaro qui, ma incomprensibile nel suo caso. Comincia a venirci qualche sospetto quando ci accorgiamo che nelle sue conversazioni alcune parole base di spagnolo sono sostituite da termini incomprensibili: e’ lingua Quechua! Bob parla Quechua, che non e’ una linea di prodotti venduti della Decathlon, ma la lingua Inca, che tuttora si parla in molti villaggi peruviani. Bob ammette candidamente che lo spagnolo e’ la sua seconda lingua e l’inglese la sua terza (non) lingua. A dire il vero nessuno nell’agenzia parla inglese, nonostante il sito web fosse perfetto e soprattutto in un inglese perfetto. Bob in modo confuso ci spiega l’itinerario e dove ci dovremo incontrare, ovvero in mezzo al nulla lungo la ferrovia Inca Rail e per fare si’ che questo accada chiederemo al conduttore del treno di fare fermare il locomore apposta per noi! Speriamo di avere capito e accendiamo un cero. Non abbiamo sicuramente la persona piu’ sveglia del Perù al nostro fianco. L’inizio e’ dei migliori: l’agenzia del tour, chiamata Quente e ribadisco il nome per evitare ad altri di fare lo stesso errore, deve portare il nostro box lunch e dei bastoni da camminata nel nostro albergo, che e’ per coincidenza a due passi dall’agenzia ed e’ gestito da dei premi Nobel. Non voglio neanche immaginare la conversazione tra la nostra agenzia e i titolari dell’albergo, perche’ neuroni saranno schizzati in ogni direzione dando forma ad un quadro di Pollac. Ovviamente il risultato e’ che partiamo senza pranzo e senza bastoni. Attraversiamo la giungla in un tet a tet con Bob, che ci illumina in spagno-quechua sulla vegetazione locale con dei racconti da terza media e soprattutto si prodiga in storie horror sui morti recenti lungo il percorso. Non sappiamo ancora che sara’ a Machu Picchu che dara’ il meglio di se. Il cammino sono 6/7 ore di sudore sotto il sole e si incontrano americani, inglesi, francesi, piu’ o meno (piu’ meno che piu’) in forma. Si scambiano battute, ma sono tutti attenti a trattenere il fiato per l’attacco finale. La giungla dell’Inca Trail non ha nulla da invidiare alle nostre alpi e Il tour piu’ lungo probabilmente e’ assimilabile da un punto di vista paesaggistico al nostro, ma come sempre e’ la conquista della cima che da piu’ soddisfazione!
Machu Picchu
Bob non si perde e ce la fa: ci porta fino a Machu Picchu. C’e’ solo una strada nel bosco, interrotta da multipli controlli militari. Arriviamo la sera, ma la vera visita sara’ il giorno successivo. Peraltro sono distrutto, non tanto per la salita, ma perche alcune tazze di mate di coca la notte prima mi avevano lasciato insonne. Non si puo’ raccontare o perlomeno non penso che il mio racconto renderebbe onore a questa cittadella Inca scoperta nel 1911 da un archeologo inglese e che oggi e’ l’attrazione piu’ visitata del Sud America nonostante la sua storia sia piu’ incerta di quella delle linee di Nazca dato che gli spagnoli non erano mai arrivati a Machu Picchu e questo ha reso impossibile avere qualunque documentazione storica. Bob comunque ci da un resoconto “free style” dei fatti, raccontandoci che circa ventimila persone vivevano a Machu Picchu (la realta’ e’ che erano 500), che la mummia Juanita e’ stata ritrovata in Argentina (la realta’ e’ che e’ stata ritrovata in Peru) e facendoci notare ad ogni angolo la forma dei sassi che e’ triangolare e quindi antisismica (repetita juvant). Quando Bob ci presenta qualcosa utilizza dieci parole in anglo-spagnolo, cosi’ enigmatiche da sembrarci Urdu e quando gli poniamo delle domande, lui risponde sempre yes, anche se l’affermazione o la negazione non erano una delle opzioni di risposta previste! Siamo invidiosi delle guide degli altri, fluenti in italiano, inglese, spagnolo e francese che articolano racconti affascinanti sulla cittadella Inca. Non ci facciamo troppo problemi ad origliare quello che dicono e beneficiarne anche noi e per il resto usiamo la Lonely Planet. Bob alla fine rende la visita piuttosto kafkiana e siamo divertiti, tanto che all’arrivo ad Ollantaytambo, posto nel mezzo del nulla da cui parte il treno per Machu Picchu, non ci stupiamo di trovarci soli – perche’ lui non ci ha mai accompagnato, ma ha sempre usato altri mezzi di trasporto – e nella notte e non trovare nessuno ad aspettarci! Chiamiamo l’agenzia piu’ volte sul cellulare ed ad ogni ripresa il proprietario ribadisce “2 minutes! 2 minutes!”, ma alla fine nessun taxi arrivera’. Montiamo sulla prima macchina che sembri decente: passo all’autista dell’automobile il mio telefono in modo che si accordi con l’agenzia per il pagamento. Quest’ultima promette di presentarsi all’arrivo a mezzanotte e – guarda un po’ – non ci sara’! Morale, il Peru’ e’ facile da girare, ma scegliete bene il vostro Inca Trail!