Fantastico Senegal fai da te

Un viaggio stupendo, completamente auto-organizzato, in un paese che ci ha riservato davvero mille soprese
Scritto da: Bir_Katia
fantastico senegal fai da te
Partenza il: 20/05/2011
Ritorno il: 29/05/2011
Viaggiatori: 3
Spesa: 2000 €
Il Senegal è da vedere. Perché rappresenta una valida alternativa ai soliti percorsi eccessivamente turistici, ed offre una prospettiva diversa da cui osservare l’Africa. E perché merita maggior attenzione da parte di noi turisti, meglio se responsabili. Personalmente speravo mi desse molto, ma le aspettative sono state superate dalla realtà. Se amate viaggiare, è un paese che prima o poi dovrete assolutamente visitare.

Non avendo trovato molte informazioni per riuscire ad organizzare un viaggio totalmente fai da te, ho cercato di redigere un racconto molto particolareggiato, per aiutare il più possibile coloro che vorranno ripetere la nostra stessa esperienza. Evitando in linea di massima le descrizioni dei luoghi da visitare, dettagli che potrete reperire ovunque. In primis le info di base.

Eravamo in tre, periodo: fine maggio. Giorni: 9, più 2 per il volo. Clima: caldo (ma non eccessivamente) di giorno, fresco la sera.

Tappe: Goree, Dakar, Keur Moussa, Lago Rosa, Lompoul, St. Louis, Thies, Mbour, Joal Fadiouth, Palmarin, Nianing, La Somone.

Guide: Lonely Planet e Routard. Siti consultati:

www.au-senegal.com

www.saintlouisdusenegal.com/

www.casamance-tourisme.sn/ (anche se in Casamance, per una questione di tempo, non ci siamo poi andati)

Il cambio è di: 1€ = 655cfa. Abbiamo cambiato all’aeroporto, senza commissioni. E’ uno dei pochi posti in cui applicano un cambio corretto, e senza commissioni. A St. Louis e Mbour invece abbiamo dovuto ritirare, perchè il cambio non era conveniente (1€ =642 cfa). In molte località inoltre (Palmarin o La Somone) non ci sono banche, e occorre spostarsi. Cercate sempre di avere un po’ di contanti con voi.

La benzina è cara quasi quanto in Italia (1,20 € al litro).

Cibo: si pasteggia con un piatto unico, solitamente pesce o carne, con accompagnamento di riso, patate o verdura di stagione, e quasi in tutti i ristoranti è più che sufficiente per sfamarsi. Il costo del piatto va dai 3000 ai 4500 cfa in base alla località e al locale in cui ci si trova. Tra bere e mangiare abbiamo speso mediamente 20000 cfa in tre, con un paio di ‘punte’ da 27000 cfa perchè abbiamo ordinato più cose.

Telefono: portatevi un cellulare che non usate più, e comprate una sim locale, acquistabile ovunque: Orange e Tigo le compagnie più diffuse. Costi molto bassi: indicativamente 100 cfa per un sms all’Italia, e circa 800 cfa per una chiamata di 4 minuti.

Vaccini: consigliato quello per la febbre gialla e l’ antimalarica. Noi abbiamo assunto il Malarone anche se io ritenessi che non fosse necessario, ma più che altro perchè ogni dottore consultato ci ha consigliato di farla. In realtà, almeno in questa stagione, non credo ci siano rischi (però: opinione personale).

Trasporti: avremmo voluto utilizzare di più i mezzi locali, per viaggiare con e come loro, ma il tempo era poco e le cose da vedere erano tante, e non ci potevamo permettere lunghi tempi di attesa. Quindi abbiamo fatto ricorso ad un’auto con autista per i quattro giorni dei maggiori spostamenti, mentre per le piccole tratte ci siamo serviti dei taxi locali senza licenza, i clandò.

Non ascoltate chi vi dice che occorre una guida per visitare il Senegal. E’ un paese molto sicuro, abitato da persone semplici. Le attenzioni da prestare ritengo siano le stesse da avere anche a casa nostra. Come dicevo, noi ci siamo concessi l’unico lusso da toubab (come loro chiamano noi bianchi) di affittare per qualche giorno un’auto con autista (raccomandatoci da un’amica senegalese che vive a Torino, conosciuta in aeroporto) ma esclusivamente perchè avendo solo 9 giorni a disposizione, se avessimo utilizzato i mezzi locali avremmo sprecato davvero un sacco di tempo prezioso. La scelta di avere anche l’autista è stata invece determinata dall’incertezza (su internet non abbiamo reperito sufficienti informazioni su tutti i tragitti che ci interessavano) sullo stato delle strade e sulla presenza o meno di indicazioni. In effetti già solo uscire da Dakar è un’impresa! Invece tutta la strada tra St. Louis e Mbour, e tra Mbour e Joal è in ottime condizioni, idem il tratto che da Kebemer va a Lompoul. Meno buona è la strada per il lago Rosa. Tra Joal e Palmarin c’è solo una pista di terra, nemmeno troppo visibile. Se volete contattare il ragazzo – persona affidabile – che ci ha accompagnato per farvi fare un preventivo in base al tragitto che vorreste fare, potete scrivere a: thiernowade@hotmail.fr.

TUTTO va contrattato. Anche i prezzi delle camere: con l’occasione si fa presente che tutti i prezzi indicati nel racconto fanno riferimento ad un periodo di bassa stagione.

VOLO: abbiamo volato con Royal Maroc da Torino, con scalo a Casablanca. Scelta perchè era tra le compagnie più convenienti. Purtroppo anche una delle più inaffidabili, abbiamo successivamente scoperto a nostre spese. Infatti una delle tre valigie non è mai arrivata, nemmeno nei giorni successivi della vacanza. Attualmente, al momento del completamento del racconto all’aeroporto di Casablanca durante il viaggio di rientro, la valigia risulta SCOMPARSA. No comment. Abbiamo poi saputo dallo staff dell’aeroporto che è quasi la prassi ricevere i bagagli dopo molti giorni quando si viaggia con Royal Maroc o Tap (ma non riceverlo proprio è ancora peggio). Quindi: preparatevi un bagaglio a mano con tutto il necessario, come per fortuna avevamo fatto noi. In ogni caso non tutti i mali vengono per nuocere: e questa esperienza ci è servita anche per capire che si può vivere con il minimo indispensabile, tralasciando quello che noi occidentali riteniamo assolutamente necessario, ma che in realtà non è altro che superfluo!

Il Libro Vado in Senegal (Carlo Giorgi, Ed. Terre di mezzo) mi ha dato spunto per la scelta dell’hotel di Dakar, economico e pulito, l’ Espace Thialy, situato abbastanza fuori dal centro, a 15minuti almeno di auto (sulla route per uscire da Dakar) nei pressi dello Stadio Leopold Sedar Senghor. Scelto in quanto rappresentava un buon compromesso tra risparmio (a Dakar i prezzi sono mediamente abbastanza alti) e decoro: camere semplici ma pulite, bagni in comune stile camping, e con una carinissima terrazza centrale, con molte piante, dove si mangia e fa colazione. Il sito, per i prezzi e quant’altro, è: www.fondationolivier.com/espacethially/index.php. Quando uscite, portatevi sempre appresso l’indirizzo e le indicazioni esatte per arrivare all’hotel, in quanto è abbastanza complicato da raggiungere. Tramite loro, via mail dall’Italia, abbiamo anche concordato il trasporto dall’aeroporto all’hotel (9000 cfa, tariffa notturna), quello dall’hotel all’imbarco di Goree (5000 cfa) ed infine la guida per l’intera giornata (8000 cfa, ma, col senno di poi, assolutamente non necessaria).

Quindi, arrivati alle 5 di sabato mattina, abbiamo lasciato le valigie in hotel, riposato una mezz’oretta, e poi ci siamo diretti subito al traghetto per Goree, alle 7.30. Se i vostri tempi lo permettono, consiglio di partire per l’isola a quest’ora, perchè il traghetto successivo, quello che parte da Dakar alle 10, riversa a Goree orde di turisti e di venditori che si recano sull’isola per piazzare la propria mercanzia. Di prima mattina è permeata da un’atmosfera quasi surreale. Inoltre ce la immaginavamo come uno specchio per le allodole, richiamo per turisti, invece è davvero molto bella, soprattutto se visitata quando è ancora deserta. Oltre alle tappe risapute, è d’obbligo perdersi nelle sue stradine, senza meta, ed assaporare la sua atmosfera coloniale. Costi: 5000 cfa per il traghetto andata/ritorno, 500 tassa di entrata, 500 la Maison des ésclaves (che apre alle 10,30). Alle 12 siamo rientrati a Dakar, dove volevamo pranzare. Per un disguido con la guida (un ‘musulmano di sinistra’, come si definiva, che si concedeva comunque “un po'” di alcol: alle 12,30, dopo diverse birre, era completamente ubriaco!) abbiamo deciso di visitare Dakar da soli. Lonely alla mano, in 5/10 minuti a piedi dall’imbarco si è in pieno centro, nella Piazza dell’Indipendenza. Apro una parentesi: NESSUN PROBLEMA DI SICUREZZA a viaggiare da soli di giorno per Dakar. Occorre solo molta pazienza, perché si è continuamente assillati dai venditori. Ci dirigiamo così al Chez Loutcha, consigliato da diverse guide, che si trova vicino alla piazza principale. Sabato a pranzo era pieno di gente locale: riprova del fatto che si mangia molto bene. Le porzioni sono abbondantissime, e per 4 portate in 3 persone con acqua e caffè abbiamo speso circa 10€ a testa. Dopo pranzo abbiamo raggiunto a piedi, nell’ordine: Marchè Sandaga, Palazzo Presidenziale, Cattedrale (non merita una visita), Merchè Kermel, stazione dei treni. Quest’ultima, completamente sventrata e – forse – in ristrutturazione, è assolutamente da vedere. Non perché particolarmente bella (degna di nota è solo la facciata principale) ma perché simbolo della totale latitanza dello stato nella manutenzione delle infrastrutture: completamente abbandonata alle sterpaglie, e con due sole rotaie su cui giacciono due treni in sosta. Incredibile, se si pensa che siamo in una capitale!

Infine con un taxi (1500 CFA) dalla stazione ci siamo recati all’ HLM (si dice ascelèm) indicatoci da molti come il mercato più genuino di Dakar. In effetti è il migliore finora visto: tantissime stoffe, è il posto adatto per l’acquisto di tessuti. Da non perdere la zona dei sarti che con macchine da cucire datate, imbastiscono vestiti di ogni genere.

Per fare rientro in hotel abbiamo preso un taxi, ma come già anticipato per trovarlo è stata un’odissea, e dopo un’ora abbondante e 5 chiamate del tassista all’hotel, ci ha lasciato in zona, e un ragazzo dell’ Espace è venuto a recuperarci. La sera, stremati da 48 ore senza sonno, abbiamo cenato in hotel (meglio avvisare prima, è un servizio che credo facciano solo su richiesta) nell’unico tavolo insieme a 3 francesi. Esperienza multiculturale sempre molto gradita (4000 CFA a testa). Dopo cena abbiamo incontrato quello che sarebbe diventato il nostro autista per i 4 giorni successivi, Thiernò: concordato il prezzo… si parte!

Alle 7.30 del giorno successivo passa a prenderci in hotel: prima un veloce passaggio all’aeroporto con la speranza di ritrovare finalmente la valigia, che invece non era ancora arrivata, e poi subito diretti alla prima vera tappa della giornata, il monastero di Keur Moussa (a circa 1ora e 15 da Dakar) dove abbiamo assistito alla messa domenicale. Per quanto non sia credente, partecipare a questa messa cantata e molto particolare, seduti insieme a famiglie locali con bambini, è stata sicuramente un’esperienza molto arricchente e che consiglio. Subito dopo la celebrazione viene allestito un mercatino di prodotti locali (succhi, marmellate, frutta secca, formaggi, il tutto prodotto a Keur Moussa) dove abbiamo comprato un po’ di prodotti. Lasciato il monastero, prossima destinazione: Lago Rosa. Attenzione che la strada è in realtà una pista di terra battuta nemmeno nelle migliori condizioni. Una macchina normale, come avevamo noi, ha avuto qualche difficoltà ad inoltrarsi dalla sponda del lago da cui eravamo arrivati, fino al mercato artigianale (dove si trovano anche i ristoranti), perchè il percorso è sabbioso.

L’impatto con questa realtà umana è stato incredibile: decine, centinaia di persone intente, come formichine, a grattare il fondo del lago per portarne in superficie il suo bene ‘prezioso’, il sale. Venduto a 38€ la tonnellata (!), ma costato fatica e sudore a tante persone, di cui moltissime donne, venute soprattutto da Mali e Guinea, ed immigrati in Senegal a fare un lavoro duro perchè nel loro paese non si trova nemmeno quello. Il lago non so dire se fosse esattamente rosa, senz’altro ha una colorazione decisamente particolare, ma al di là di ciò è stata un’altra esperienza ‘umana’ che consiglio a tutti di non perdere assolutamente. Pranzo da Au 212, sulle sponde del lago: il solito piatto unico senegalese con pesce e riso, acqua e succo di mango, 6500 cfa a testa. Si mangia bene. Subito dopo un giro al mercato artigianale, due passi e qualche foto sulle dune di sabbia alle spalle del mercato (affittano anche quad e 4 x 4, ma non ci interessava quel tipo di attività) e infine abbiamo lasciato il lago Retba verso l’ultima tappa della giornata, dove abbiamo anche trascorso la notte: Lompoul, famosa per il suo deserto di dune.

La struttura che abbiamo scelto (dopo varie ricerche su internet che prevalentemente ci riportavano alle solite tende mauritane nel deserto, esperienza già vista in altri stati del maghreb) è stata Casa Meissa, con cui abbiamo preso contatti dall’Italia pochi giorni prima di partire: è frutto di un progetto di turismo responsabile di Actu (Associazione Culturale Trait d’ Union) che favorisce lo scambio interculturale e supporta lo sviluppo sostenibile in Senegal. Scelta che non poteva essere migliore. Si tratta di un villaggio molto semplice, alle porte di Lompoul sul Mer (ovvero qualche km dopo Lompoul village, da cui partono le escursioni per il deserto), con alcuni bungalow accoglienti (20000 cfa la doppia), con bagno privato. La struttura è gestita da Mamadou, un italo-senegalese che vive in Italia da 21 anni, una persona davvero in gamba. Appena arrivati (era già tardo pomeriggio, e la frenesia della giornata ‘peschereccia’ era già terminata) ci ha portato a vedere la spiaggia: è stata la prima esperienza a contatto con la realtà locale dei pescatori, delle piroghe colorate e della vita animata che ruota intorno alla pesca. Un numero infinito di piroghe, alcune grandissime, allineate sulla spiaggia, in attesa di ripartire la notte successiva. Sembrava un paesaggio surreale, da guerre stellari. Un’emozione incredibile!!! Poi Mamadou ci ha portato a vedere i banchi su cui viene essiccato e affumicato il pesce. Qui apro una doverosa parentesi: la pesca indiscriminata ed invasiva di giapponesi ed europei (http://www.cafebabel.it/article/24549/pesca-in-senegal-la-crisi-e-colpa-delleuropa.html), a seguito di accordi commerciali con lo stato del Senegal, sta devastando i fondali di fronte alla costa, provocando danni IRREPARABILI. E gli unici, come sempre, a patirne sono i pescatori, che si sono visti diminuire il pescato negli ultimi anni del 70%!! Una situazione ignobile, che non necessita di commenti. Tornando a noi, i giapponesi, per ‘scusarsi del disagio’ (!!) hanno regalato alle donne locali le strutture dove essiccare e affumicare il pesce, con tanto di targhetta per ricordare al mondo la loro magnanimità!!! Blahhh!

A cena abbiamo mangiato a Casa Meissa un ottimo thièboudienne (il piatto nazionale: riso con pesce) e dopo un fantastico te alla menta, chiacchierando con Mamadou fino a tardi (quello del tè qui in Senegal è un vero e proprio rituale: se ne bevono almeno 3 giri, il primo è più forte, il secondo più dolce, e la preparazione è molto lunga, un pretesto per passare il tempo e favorire la conversazione). Per il giorno dopo era prevista un’escursione di mezza giornata, concordata con Mamadou dall’Italia, nel deserto di Lompoul con il suo pick up. In verità, oltre al deserto, ci ha portato a contatto con molte realtà locali, come la scuola di Lompoul sur Mer, che grazie ad un progetto di cui lui stesso fa parte, è in fase di costruzione e ampliamento: solo pochi anni fa c’erano solo capanne. Ora sono già state costruite diverse aule in muratura che ospitano quasi tutti i 350 (!) bambini del villaggio, mentre il progetto attualmente in corso è quello di portare l’acqua corrente, e costruire un bagno. E poi abbiamo visitato alcuni appezzamenti di terreno dove hanno provato a diversificare le coltivazioni (dalla monocoltura alla coltivazione di melanzane, pomodori, peperoni, e prodotti locali in uno stesso terreno) ed assunto manovalanza locale, creando quindi lavoro. Ed infine il deserto: per quanto per chi sia già stato nei deserti veri questa sia cosa già vista, a mio avviso è comunque un’esperienza da provare. Sia perché rappresenta un’ ambientazione naturale del tutto diversa dal solito Senegal, sia perché, se contornato da quanto abbiamo vissuto noi a Lompoul, ci ha dato modo di conoscere molto più a fondo la realtà locale. Dopo un ultimo giro al mercato del pesce, che all’ora di pranzo è un brulicare di persone, di colori, di odori nauseabondi, di pescatori e piroghe che rientrano, di donne che vendono, di bambini che giocano con le carcasse di pesce, insomma di VITA!!, consumiamo l’ultimo buonissimo pasto a Casa Meissa (il giorno prima avevamo chiesto a Mamadou di poter mangiare i gamberoni giganti) e poi, PURTROPPO, con tanta tristezza ci accomiatiamo da questi nuovi amici. Il nostro viaggio continua!!! Alle 16 inoltrate ci mettiamo in viaggio per St. Louis. La strada è ottima, ed in meno di 2 ore arriviamo a destinazione. St. Louis (prima di partire non mi era chiarissimo) è formata da 3 zone: la terraferma, da cui tramite il ponte Faidherbre, progettato da Eiffel, si accede all’isola (ovvero la zona coloniale e più turistica) che a sua volta, tramite un altro ponte, è collegato alla Langue de Barbarie, una striscia stretta di terra che si affaccia sul mare, e dove all’estremo sud si trova il parco nazionale (la strada per arrivarci non è in buone condizioni, a giudicare da quanto si vede già dal Phoenix).

Dall’Italia avevamo adocchiato l’hotel Mermoz, situato nella Langue di fronte al mare, e che sembrava avesse un ottimo rapporto qualità / prezzo. Non dico le stanze fossero peggiori di quelle in cui avevamo già alloggiato, ma ci aspettavamo uno standard maggiore (è un villaggio con bungalow e piscina), erano buie e claustrofobiche. Abbiamo deciso di prendere tempo, e vedere altri hotel. Ci hanno consigliato il Phoenix, un altro villaggetto con piscina, gestito da francesi, qualche km dopo il Mermoz, dove ci hanno mostrato una tripla fronte mare (in realtà un bilocale) ampia e carina. Abbiamo trattato fino ad arrivare al prezzo di 30000 cfa a notte per due notti. Alcune considerazioni: essendo bassa stagione, eravamo gli unici ospiti, e la stanza era evidente che non veniva utilizzata da un pezzo. Inoltre è vero che avevamo l’autista, ma – a meno che non si vada a fare anche vacanza di mare – quella zona è abbastanza lontana e scomoda dal centro di St. Louis (almeno 10/15 minuti di auto). Tant’è che, dopo una doccia veloce, abbiamo deciso di andare a cenare a La Louisianne (all’estremo nord dell’isola di St. Louis, ma comunque a pochi minuti a piedi dal centro) per vedere anche le camere. Che ci sono piaciute molto (soprattutto la doppia al piano del ristorante, affacciata sul terrazzino) e così abbiamo deciso che il giorno dopo ci saremmo traferiti. Anche la cena è stata buona, e tutto il locale in sè, affacciato sul fiume, è davvero molto carino. Assolutamente consigliato, sia per mangiare che per dormire.

E così il mattino abbiamo pagato la camera al Phoenix, per correttezza al prezzo pieno di 40000 cfa, e abbiamo portato i bagagli a La Louisianne. Subito dopo colazione alla Patisserie du Fleuve, buono il caffè, e poi giro in calesse (contrattato a 10000 cfa per un’ora e mezza) dell’ isola e del quartiere dei pescatori sulla Langue de Barbarie. E qui occorre spendere qualche parola in più: per St. Louis sia patrimonio dell’Unesco, è una città molto decadente, lasciata degradare sotto i colpi del tempo. Sono pochissime le costruzioni restaurate, e generalmente se lo sono è perchè ospitano degli hotel. E’ sicuramente affascinante, testimone di un passato rigoglioso di cui ora porta solo qualche ricordo, ma di per sè potrebbe, a mio avviso, non valere questo lungo viaggio fin qui. Quello che invece è incredibilmente affascinante e devastante insieme nella sua cruda realtà, è il quartiere dei pescatori, nella Langue de Barbarie, dalla parte del fiume (sulla strada per gli hotel che si trovano sulla costa). Questa è Africa vera, quella dei documentari: un coagulo di anime, sporcizia, piroghe, pesci di ogni genere, immondizia, animali, bambini, e di nuovo lerciume, sangue del pescato, e, sopra ogni cosa, un odore nauseabondo. E’ un’ esperienza che non si riesce a raccontare: alle prime sembra un ghetto di esiliati, invece scopriamo che è il quartiere più ricco della città. Le piroghe che arrivano cariche di pesci, gli uomini che con tute plastificate entrano nel fiume e si caricano in testa ceste zeppe di pesce e le scaricano nei camion che porteranno la merce chissà dove. Donne intente a pulire il pesce, ed una zona intera (è meno visibile perchè separata dalla strada da un muro) dedicata all’affumicatura. Centinaia di contenitori posti su fuochi improvvisati, fumi di ogni tipo. E di fronte: il mare. Sensazioni indescrivibili. Ti senti un bambino che guarda il mondo per la prima volta! Attenzione alle foto, non sono ben gradite (ma questo in quasi tutto il paese).

Alla fine del giro in calesse, siccome Chez Agnes era chiuso, abbiamo pranzato a La Lenguere, adiacente a La Pirogue. Un piatto (buonissimo!!!!) di spiedini di pesce con riso a persona più acqua, 19000 cfa in tre. Nel pomeriggio avevamo prenotato un’escursione a cavallo presso l’hotel Mermoz (5000 cfa a testa) di un’ ora sulla spiaggia: purtroppo l’autista non ha capito, e non ci è venuto a prendere. Morale: abbiamo perso la cavalcata, a cui tenevamo, e siamo stati pure rimproverati dal Mermoz quando abbiamo chiamato per disdire. Oltre al danno, la beffa! 🙁 E così abbiamo dedicato il pomeriggio a vagare senza meta per St. Loius, attività per niente sgradevole. Tra le altre cose consiglio una sosta per un drink al Keur Sunu, risto/hotel davvero carinissimo e molto coloniale, dove si può anche pernottare (noi non lo abbiamo scelto a priori solo perché, se non erro, la singola era più cara della media) e una passeggiata sul ponte Faidherbre, fino al mercato sulla terraferma, che inizia nel piazzale dall’altra parte del ponte. La sera abbiamo cenato a La Pirogue (aragosta – 10000 cfa -, gamberi e pesce con riso, in tutto 4 portate + 2 birre e caffè) 29000 cfa: il prezzo più caro finora, ma tutto davvero ottimo!…. Mamma mia, ma quanto si mangia bene in Senegal??? Alla faccia del mio amico Christian (che era al suo primo vero viaggio), che pensava di doversi portare dall’Italia le scatolette di Simmenthal 😀

Il giorno dopo si riparte: fare colazione a la Louisianne, sulle sponde del fiume (mentre i tuoi amici a casa lavorano! J ) non ha prezzo. Alle 8,30 Thierno ci attende di fronte all’hotel. Per la strada, piccola deviazione per trovare la sua famiglia, che vive in un villaggio a circa 20km dalla strada che da St. Louis porta a Dakar. Capanne di paglia e uno stormo di bambini moccolosi che ci guardavano come se fossero arrivati i marziani! Mentre le donne preparavano il cous cous senegalese, che si può dire non avesse proprio un aspetto appetitoso!! A pranzo ci siamo fermati a Thiès: non ci è sembrata una meta interessante, ma essendo passati solo di sfuggita, il nostro potrebbe essere un giudizio affrettato. Di certo abbiamo avuto qualche difficoltà a trovare un ristorante locale. E purtroppo ci siamo dovuti fermare al Big Faim (anche nominato dalle guide), esteticamente più simile ad un fast food occidentale: cucina prevalentemente internazionale e qualche piatto senegalese. Evitabile. Tappa successiva a Mbour, a vedere il famoso mercato del pesce.

Ogni esperienza ha i suoi momenti “no”: il nostro è stato a Mbour. Arrivati al parcheggio, siamo stati letteralmente assaliti da sedicenti guide che sostenevano fosse obbligatorio essere accompagnati, e castronerie di simil natura. Pensavamo di essere pronti al peggio, ma oggi la nostra pazienza è stata messa DAVVERO a dura prova: questi semi-delinquentelli erano proprio aggressivi. Ci hanno seguito per tutta la spiaggia, e più facevamo loro presente che eravamo autosufficienti e non avevamo la minima intenzione di avere una guida, e che eravamo assolutamente consapevoli che non fosse obbligatorio averla, più diventavano arroganti e fastidiosi. Sono arrivati a dirci che non ci avrebbero permesso di fare foto, e cose simili. Neanche la nostra minaccia di chiamare la polizia è servita. Onde evitare di far scattare la rissa, abbiamo fatto un giro veloce e siamo tornati all’auto. Dunque: non mi sento assolutamente di sconsigliare Mbour (erano le 17,30 e le piroghe ancora non erano rientrate, per cui ancora il vero spettacolo non era iniziato: a vedere così non sembrava nulla di diverso da quanto non si possa vedere in qualsiasi altro villaggio di pescatori, ma non posso assicurare), posso solo aggiungere che abbiamo poi saputo da più persone che si tratta di una spicciolata di teppistelli, tra l’altro malvisti perchè fanno scappare i turisti che così non ritornano più, e non costituiscono la norma. Se intendete venire e siete soli, cercate piuttosto qualcuno che per pochi cfa vi possa accompagnare: così nessuno dovrebbe darvi fastidio. Compromesso a cui noi non siamo voluti scendere, però il prezzo che abbiamo pagato è di non esserci goduti Mbour.

Letteralmente scappati da questo posto, dovevamo dire all’autista dove lasciarci, per terminare il tour dei 4 giorni preventivati. L’idea era Palmarin, ma gli ultimi 30 km sono di pista di sabbia, e così insieme abbiamo concordato di lasciarci a Joal Fadiouth. Un’altra tappa decisa sul momento. Questo è viaggiare: una continua improvvisazione!

Joal e Fadiouth sono in realtà due paesi, il primo sulla terraferma, il secondo è la famosa isoletta di conchiglie méta di tanti turisti. Valutati gli hotel consigliati dalle guide, abbiamo optato per il Keur Soyanabu: per una notte abbiamo deciso di concederci un po’ di ‘lusso’, e la realtà è stata superiore alle aspettative. E’ davvero un piccolo hotel di charme, gestito da una signora francese, dove tutti i particolari sono curati con un’attenzione quasi maniacale. E’ davvero bellissimo, fronte mare e con una piccola piscina nel giardino interno, immersa tra le bouganville (prezzo delle 2 camere: 25000 cfa la più semplice, 40000 cfa quella al piano superiore, davvero molto bella). Lasciate le valigie ci siamo fatti portare da un taxi al porto di Joal (100 cfa a testa, sono taxi clandestini che coprono tutto il giorno la tratta dal porto di Joal all’isola di Fadiouth): erano circa le 18, sulla spiaggia il solito tran-tran intorno allo smercio del pesce. Però qui il turista non è ancora visto come una banconota che cammina: sorrisi, saluti, gente che veniva anche solo per fare due parole. Nessun scocciatore insistente, o procacciatore aggressivo. Al mercato abbiamo comprato due magliette, dato che al quinto giorno di viaggio della valigia ancora nessuna notizia, e poi con un altro taxi ci siamo fatti portare a Fadiouth (300m dopo il nostro hotel). Non so se si stesse prospettando un altro Mbour, so che scesi dal taxi siamo stati assaliti da personaggi vari che ci hanno seguito fin sul ponte che conduce all’isola di Fadiouth per farci da guida. Abbiamo scansato tutti i tentativi di approccio, finchè noi stessi abbiamo approcciato un ragazzo che spingeva il fratello maggiore in carrozzella, e diceva di parlare italiano. Mi è sembrato un bravo ragazzo (Maurice, tel. +221 775907639, contattatelo magari un giorno prima), ci ha accompagnato per tutto il giro dell’isola, dandoci diverse spiegazioni, e così alla fine con lui e un suo amico proprietario di una piccola piroga abbiamo concordato di fare un giro la mattina successiva per una cifra ridicola di 8000 cfa (+ i 2000 che gli abbiamo lasciato spontaneamente al termine del tour serale). Usciti da Fadiouth erano già le 20 inoltrate. Quasi di fronte l’inizio del ponte si trova Le Finò, che oltre ad avere delle stanze, è anche ristorante. Mangiato discretamente bene, senza infamia nè lode.

La mattina successiva ci siamo trovati all’incontro con Maurice al ponte, e siamo partiti in piroga. L’escursione doveva prevedere la visita alla zona in cui viene essiccato il miglio (per fare il cous cous senegalese), il tour dell’isola + il cimitero cristiano-musulmano (esempio esemplare di tolleranza religiosa e coesistanza pacifica delle diversità), e la vista dei pellicani. I pellicani non si sono concessi, e il tour dell’isola, anche se velocemente, lo avevamo già fatto il giorno prima. Ma è stata comunque un’esperienza diversa! Per chi non ha già visto Fadiouth e ci arriva per la prima volta, la consiglio. Dopo il tour, abbiamo chiesto di poter fare un giro alla scuola dell’Assunta, nominata dalla Routard, una sorta di scuola professionale di avviamento al lavoro delle giovani donne, gestito da suore missionarie. Erano le 14, le ragazze non c’erano già più, ma, accompagnati da una suora molto gentile, abbiamo visto l’aula in cui cuciono i tessuti, e ci ha mostrato gli articoli in vendita. I cui proventi vanno a finanziare la scuola stessa. E così abbiamo preso qualche batik (tessuto, non quadro) ed un porta baguette in cotone.

Oggi avremmo dovuto spostarci a Palmarin, per vedere il delta del Sinè Saloum. Ma l’incontro con Maurice e la proposta del giro in piroga ha fatto posticipare il trasferimento di qualche ora. Dovevamo ancora capire come muoverci, dato che eravamo ormai senza mezzo. E così mentre tornavamo in hotel abbiamo incontrato il taxi (un’auto scassatissima con 260000 km, ma la migliore sulla piazza di Joal ! 🙂 )che il giorno prima ci aveva portato a Fadiouth e con lui abbiamo contrattato il trasferimento a Palmarin: 10000 cfa. Non poco, ma la strada non è altro che una pista di sabbia. Apro una parentesi: questo spostamento, percorso con auto propria, sembra abbastanza complicato. Non c’è una strada, ma solo delle tracce del terreno, nel nulla più completo. Capire quale prendere è praticamente impossibile! Il primo tratto del tragitto passa proprio nel mezzo della zona in cui viene affumicato il pesce, nell’interno di Joal, e si passa in auto in queste nuvole di fumo che rendono il paesaggio apocalittico: davvero suggestivo.

Palmarin: le guide la indicavano come l’inizio del delta. In realtà è a diversi km, e per spostarsi occorre chiamare un mezzo. La località è immersa nel nulla, e a ragion veduta la sconsigliamo come punto di partenza per le escursioni del delta, per i motivi che seguiranno. Abbiamo scelto l’hotel Djidjack per cena e pernottamento, l’avevamo visto su internet e ci era sembrato sullo stile spartano ma accogliente. Non è del tutto male, soprattutto in considerazione del fatto che in zona quasi tutti gli hotel hanno prezzi medio/alti, e poi ha anche una piccola piscina, ma gli anni gloriosi di questa struttura, una grande casa ad impliuvium che fa da risto/reception + alcuni bungalow in cemento, sono passati da tempo, ed ora in realtà è tutto trasandato e fatiscente. I prezzi sono esageratamente alti, non tanto per dormire (35000 un bungalow con entrata, bagno e due camere da letto) quanto il resto. Per la prima volta non è stato possibile contrattare nulla, e nonostante fosse bassa stagione non ci è stato tolto neanche 1cfa. La mezza pensione ci è costata 10500 cfa a testa (cena + colazione), il tour in piroga programmato per la mattina successiva BEN 27500 cfa (più del triplo di quello fatto a Joal!!). Il fatto è che tutti i prezzi vengono fatti dall’hotel, che, naturalmente, li alza a suo piacimento. D’altronde intorno non c’è praticamente nulla, e non c’è concorrenza. O meglio, il turista che arriva non organizzato, non saprebbe dove rivolgersi diversamente. Tant’è che, sistemate le valigie, erano solo le 16,30, ed alla richiesta di cosa si potesse fare nei dintorni ci è stato risposto ‘un aperitivo all’esclusivo Royal Lodge’, a 20 minuti a piedi dal nostro campement. Diciamo che non era proprio quello che speravamo di fare, ma usciti dall’hotel e datoci una sguardo intorno, ci siamo resi conto di essere nel Far West senegalese. E che il Royal Lodge era davvero l’unica alternativa!!!! Con il nulla a perdita d’occhio, ci siamo incamminati, ed in 30 minuti di passeggiata eravamo a destinazione (il mattino successivo abbiamo poi visto che uscendo dal Djijack e andando a destra si arriva al paese, ma sono davvero 4 case sparse). Il Royal è una struttura de luxe, con piscina enorme e bungalow sul mare. Nella spiaggia di fronte c’è un grande baobab. Il contesto è effettivamente carino, anche se non fa affatto per noi. Abbiamo sorseggiato qualche cocktail, a prezzi europei, facendoci cullare dalla brezza marina. Comunque un po’ di relax dopo tanto viaggiare ci voleva. Per ritornare siamo passati dalla spiaggia, che è un susseguirsi di conchiglie colorate. Un po’ siamo tornati bambini.. da noi non se ne vedono più da decenni! La costa è praticamente deserta fino al Djidjack, ad eccezione di una vecchia petroliera incagliata che la fa da padrone su tutto il panorama costiero. Alle 20 la cena, poi una mezz’oretta di internet (c’è il wi-fi, e ci siamo stupiti non ci abbiano fatto pagare anche quello!!) e alle 23 a ninna, perchè la mattina il taxi veniva a prenderci presto per portarci al ‘porto’, dove avremmo trovato la piroga ad aspettarci.

Venerdì. Dopo una lauta colazione su una bassa palafitta ai piedi di un grosso albero (stupendo!!!) partiamo per il tour in piroga di 2 ore. Nonostante le mille raccomandazioni di farci vedere in poco tempo più cose possibili e soprattutto significative di quella zona, e nonostante il costo (!) la gita è stata decisamente deludente. Ad eccezione dei primi 10minuti fatti lungo un canale di mangrovie, il resto è stato impiegato in trasferimenti in mare (fiume) aperto, senza vedere assolutamente nulla di interessante. Unica tappa a carina è stata a Djiffer, dove siamo scesi a fare quattro passi sulla spiaggia. Gran delusione questo tour, riportata anche alla nostra ristoratrice (con cui ci eravamo caldamente raccomandati!) che in cambio.. non ci ha tolto nemmeno un centesimo dal conto!! Non consiglio il affato il Djidjack perchè i gestori non ci sono sembrati affatto onesti, o quanto meno disponibili, e per quanto riguarda il delta, sono certa che vi siano altri siti migliori da cui partire per un’escursione della zona.

Ritornati dalla pirogata, abbiamo chiamato il taxi del giorno prima, che è venuto a prenderci e ci ha portato fino a Nianing per 20000 cfa (troppo, a ragion veduta, ma eravamo convinti fosse più lontano, invece è stato uno spostamento veloce). Ci siamo fatti lasciare al Le Ben’Tenier, già visto su internet prima di partire, e dove ci tenevo a passare. Ottimo rapporto qualità/prezzo: un piccolo resort immerso nel verde, con piscina e bungalow sparsi nel giardino. Camere semplici ma carine, e soprattutto pulite: 9500 a persona la doppia, 12500 la singola. Posate le valigie abbiamo preso il bus locale (250 cfa per persona) fino a Mbour per cambiare i soldi. Sulla strada, forse ad 1 km prima di Mbour, abbiamo pranzato a Le Voliere. Posto carino, buon cibo, e personale cordiale: la ragazza che ci ha servito aveva un buon profumo. Al mio apprezzamento ha chiamato il suo fornitore, e dopo 15 minuti il profumo era sul nostro tavolo: acquistato! Strada facendo un colpo di clacson da un’auto di passaggio, alziamo la mano, l’auto si ferma, contrattiamo il passaggio per l’hotel a 1000 cfa, e in 10 minuti siamo a casa. Cena in hotel, tutto molto buono.

Gli ultimi due giorni di viaggio li abbiamo trascorsi a casa di amici a La Somone, con un’ultima tappa a Dakar il pomeriggio prima di partire. Per me il viaggio non è statico, quindi in qualche modo a Nianing si è conclusa l’ avventura. Qui la mattina abbiamo fatto un giro in spiaggia e regalato qualche vestito a delle ragazze che scaricavano il pesce. Pranzato (sempre tutto buonissimo) al Le Ben’Tenier, pagato il conto, fermato un taxi, che per 6000 cfa ci ha portato a La Somone. Pomeriggio passato in piscina, e poi a ritirare a Saly, unico posto in zona dove ci sono delle banche. Saly è un posto, dal mio punto di vista, da evitare come la peste: non esiste più traccia del villaggio originario, è solo una lunga sequenza di hotel e resort. Un posto finto, di plastica. Che NULLA ha a che fare con il Senegal. La mattina successiva ci hanno portato a vedere la laguna di La Somone, posto suggestivo, dove le donne arrivano a piedi passando dall’acqua dai villaggi circostanti per raccogliere le ostriche: forse questa è l’unica attrattiva di questa località, che per il resto non ha molto da dare. Il giorno prima, di ritorno da Saly, abbiamo contrattato il prezzo per il ritorno a Dakar previsto per il giorno successivo: proposta a 25000, abbiamo chiuso a 20000 cfa. Ci siamo fatti lasciare il numero, ed il giorno successivo, un’ora prima di partire, abbiamo chiamato il ragazzo, che ci è venuto a prendere. Saluti di rito, tristezza nel cuore: il ritorno ha inizio :-(. Un’ora mezza di strada circa e siamo a Dakar. L’intenzione era ritornare all’ Espace, ma dopo diverse chiamate a cui ci è stato risposto che la titolare dormiva, ci abbiamo rinunciato. Lonely alla mano, abbiamo optato per l’ Hotel Cap Ouest, fronte oceano e vicinissimo all’aeroporto. Ambientazione carina, alcune camere sono affacciate sul mare. Le camere al piano inferiore sono + trasandate. Doppia al piano superiore 30000 cfa, singola piano inferiore 19500 cfa.

Usciti dall’hotel siamo andati a piedi verso la rotonda (i taxi di fronte all’uscita sono più cari) e con pochi cfa siamo andati al mercato di Soumboudienne. Qui c’è una vasta area dedicata all’artigianato: dovete solo armarvi davvero di TANTA pazienza per resistere agli insistentissimi inviti dei commercianti ad entrare nei loro bugigattoli. Segnalo solo il negozietto di un ragazzo che fa il pittore, che fa quadri davvero belli e particolari, diversi da quelli che comunemente si trovano ovunque: si trova sulla strada principale dove i taxi scaricano i clienti, guardando il mercato di fronte sulla destra, verso la spiaggia. Avremmo voluto acquistarne uno, ma eravamo già stracarichi di roba. Dopo Soumboudienne abbiamo preso un taxi per il mercato di HLM, dove ci eravamo promessi di tornare a comprare un po’ di stoffe, e così è stato. Qui abbiamo anche comprato la valigia in sostituzione di quella persa e mai ritrovata. Per ultimo siamo tornati verso il centro, ed abbiamo cenato al Keur Ndyae consigliato dalla Lonely. Abbiamo ordinato il Maffe, che non avevamo ancora assaggiato, ma non ci è piaciuto: sarà che, non avendo pranzato, ci siamo presentati a cena molto presto e ci hanno dato qualcosa di già pronto, ma non è un posto che consiglierei.

Alle 4 di mattina dovevamo essere in aeroporto, pertanto dopo cena di corsa in hotel a stipare tutto in valigia e fare un po’ di ninna. Di fronte all’hotel ci sono sempre dei taxi, contrattate anche qui perchè chiedono 4000 cfa per 3minuti di strada!!

Questo racconto è stato scritto in itinere (però corretto solo due mesi dopo, mea culpa!:-( ), per non dimenticare nulla, e per evitare che poi fossero talmente tante le cose da scrivere al ritorno che avrei rischiato, come ho fatto altre volte, di farmi prendere dallo sconforto e non iniziare più.

Invece è DOVEROSO rendere conto di questo paese fantastico, perché poche o nulle sono le testimonianze di viaggi veri, senza l’appoggio di tour operator, che ti portino a vivere davvero la realtà locale, e ad entrare in contatto con le persone, tutte splendide, come abbiamo fatto noi. E’ un paese che offre molto, paesaggisticamente e umanamente, e molto sicuro, ed è SPRECATO conoscerlo tramite il filtro di agenzie di viaggio. Inoltre un’altra cosa: è un paese mediamente ricco all’interno del contesto in cui è collocato, ma le ricchezze come sempre sono distribuite in maniera non equa. I senegalesi sono molto dignitosi, ma tanti sono quelli che sopravvivono a malapena. Il turismo dei tour operator porta soldi solo a queste grosse compagnie, soldi che NON vanno alla popolazione locale. Anche per questo è fondamentale, a mio avviso, auto-organizzarsi per entrare in contatto direttamente con loro, e far pervenire a ciascuno di loro una piccola parte di quella ricchezza a cui diversamente non avrebbero accesso.

E’ stato un viaggio al di sopra delle aspettative, che ci ha dato tanto. Di solito in questi casi il racconto si conclude non con un addio, ma non un arrivederci. Anche io non posso fare altrimenti. Sono stati nove giorni intensi, ma molti sono i luoghi che abbiamo dovuto escludere dal nostro itinerario, e per cui vale sicuramente la pena tornare. Uno su tutti. Casamance….Aspettaci! 🙂

Katia

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Affumicatura del pesce, Saint-Louis

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La Louisianne

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Goree

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Lago Rosa

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Deserto di Lompoul

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Piroghe sulla spiaggia di Lompoul

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Casa Meissa

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Scuola di Lompoul sur Mer

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Granchi sulla spiaggia di Saint-Louis, davanti al Phoenix



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