Spiaggia e safari

Che dire. Sono partito anche quest’anno spinto da una settimana di relax totale in un posto che a me non si confà assolutamente. Lo dico come tipo di viaggio. Non come meta perché il Kenia mi ha sempre attirato con i suoi splendidi paesaggi e i suoi animali selvaggi. Quello che non è da me è di andare in vacanza con un tour operator e...
Scritto da: Matcorsa
spiaggia e safari
Partenza il: 22/01/2005
Ritorno il: 03/02/2005
Viaggiatori: da solo
Spesa: 1000 €
Che dire. Sono partito anche quest’anno spinto da una settimana di relax totale in un posto che a me non si confà assolutamente. Lo dico come tipo di viaggio. Non come meta perché il Kenia mi ha sempre attirato con i suoi splendidi paesaggi e i suoi animali selvaggi. Quello che non è da me è di andare in vacanza con un tour operator e quindi essere vittima degli animatori assillanti. Problema che ho risolto ignorandoli totalmente.

Parto col mio amico di vecchia data Fulvio di Mantova che da anni mi accompagna in capo al mondo. Con lui ho già fatto due volte l’Australia.

Quest’anno la sua ragazza è impegnata ad una serie di corsi a Roma e non ha ferie per cui mi inserisco io come un cuneo sulla crepa e decidiamo il Kenia dopo aver scartato Miami (Fulvio non aveva il passaporto a lettura ottica ed eravamo agli sgoccioli), il Senegal (eravamo più attirati dal Kenia), Messico (troppe ore di volo e troppi fusi orari da smaltire per una misera settimana) e Sudafrica (troppe ore di volo).

Partiamo da Verona con la compagnia Livingstone. Puntualissimi. E puntualissimi arriviamo a Mombasa dopo aver fatto scalo a Luxor per fare rifornimento in quanto lì il “pieno” costa molto meno che da noi. C’è da dire che partiamo che sta per nevicare di brutto e veniamo poi a sapere che da lì a poche ore l’aeroporto verrà chiuso.

A Mombasa veniamo accolti da un caldo torrido. Non come il nostro soffocante caldo estivo, però considerando che nove ore prima eravamo tutti imbaccuccati come dei babbi natale e sotto zero, uscire dall’aereo e trovarsi a più trenta, fa un certo effetto.

Veniamo subito accolti dai locali che vogliono a tutti i costi aiutarci coi bagagli. Inutili i nostri no. Vabbè. Ci cuccano ora e mai più.

Prendiamo il pulmino e in un paio d’ore raggiungiamo il nostro residence passando per la periferia di Mombasa e per paeselli in cui vedi le condizioni vere del Kenia. La miseria e la povertà regna sovrana e questo fa riflettere non tanto sulle loro condizioni, quanto sulle nostre. O meglio su quando noi ci lamentiamo quando ci va storto qualcosa.

Arrivati a residence che ben si ambienta col contesto naturalistico della zona, facciamo subito conoscenza con gli spaccapalle degli animatori i quali ci invitano, dopo aver preso possesso delle stanze, ad un primo incontro per programmare il soggiorno. Incontro che noi evitiamo, tanto che nei giorni successivi ci vengono a chiedere se noi alloggiamo qui. Mi vien da ridere ripensare a quelli che si sono fatti nove ore di volo e passano parte delle giornate a fare giochino del tipo “fare un giro della piscina con un cucchiaio in bocca e con sopra un uovo e compiere il giro mantenendo intatto l’uovo”. Premio finale? Un cocktail offerto dallo staff. Roba da matti.

La stanza è molto bella, confortevole e spaziosa. E per fortuna munita di aria condizionata che fa il suo effetto sia durante il giorno che durante la notte quando uno di noi due è costretto ad alzarsi per andarla a spegnere onde evitare un’ibernazione.

I primi giorni passano molto borghesemente tra spiaggia, evitare i beach boys, qualche tuffo nell’acqua sempre calda e passeggiare nella battigia per fare conoscenza con gli altri turisti. La sera invece, la passiamo ad imbrattarci di creme lenitive perché durante il giorno non abbiamo colto i consigli di chi ci diceva che qui all’equatore, anche se non sembra, il sole batte fisso. Morale: la prima sera eravamo come due aragoste cotte e pennello, tanto che i due giorni successivi abbiamo evitato il contatto diretto col sole.

Al terzo giorno decidiamo di accontentare i beach boys ed assieme ad altri tre compagni turisti, prenotiamo un safari fotografico della durata di due notti nel parco dello Tsavo distante tre orette dal residence.

Partiamo di mattina preso con un pulmino con la capote modificata per permettere di uscire con la testa per fare le fotografie.

Partiamo e lasciamo subito la strada asfaltata per una di terra battuta in pessime condizioni, che però non crea problemi agli autisti visto che pigiano sull’acceleratore come fossero in tangenziale. Dopo tre ore appunto, entriamo al parco dello Tsavo e come per incanto iniziano subito i primi animali in libertà.

Un gruppo di elefanti ci danno il benvenuto. E’ strano vedere questi animali dal vivo e lontano dalle Tv. Sono già conosciuti, però vederli di fronte a pochi metri fa un certo che. Mitragliati da una serie di foto, proseguiamo incontrando giraffe, facoceri, antilopi, ippopotami, ecc. Mancano per ora i rinoceronti (che non vedremo mai) i leopardi (idem come per i rinoceronti) e i leoni (che però vedremo domani).

Verso sera, stremati dall’intera giornata in pulmino stile montagne russe, arriviamo all’accampamento formato da un piazzale grande dove hanno messo il reparto cucine e ristorante, e tutt’attorno delle accoglienti tende con servizi igienici incorporati. Molto bello ed accogliente. Così come molto bello ed accogliente il cocktail all’ananas di benvenuto che ci hanno offerto una volta varcato l’accampamento.

Ora: mi avevano informato che è meglio evitare di bere bevande non chiuse in bottiglia, ma vuoi perché me ne sono dimenticato o vuoi perché stanchi delle ore passate in giro per la savana mi aveva fatto venire una sete bestiale, ho (abbiamo tutti) tracannato l’intruglio d’ananas (allungato con l’acqua da chissà quale pozzo visto che l’acquedotto non arrivava fin lì) come farebbe un bambino di fronte ad una bibita.

Morale: durante la notte, tutti e ripeto tutti l’abbiamo passata in bagno e vi assicuro che i rumori che provenivano dall’accampamento non erano certamente ruggiti di qualche felino. Tanto che il finto o vero guerriero masai messo a guardia/abbellimento del campo non ci capiva più nulla. Non si rendeva conto se si trovava circondato lui da belve feroci o se le belve feroci erano addirittura dentro le tende.

Il mattino, salutato il masai semi sklerato e con un viso così pallido che più che masai sembrava un lappone, evitiamo di fare colazione, vista la nottata.

Il secondo giorno del safari, smaltiti tutti i liquidi in eccesso (e dico proprio tutti), noi turisti discutiamo un po’ tra noi e l’argomento qual’era? I leoni? Gli elefanti? Gli ippopotami? Qualche altra belva vista o sentita? NOOOOOO! Quanto sei stato seduto nella tazza del cesso? Hai anche vomitato? Acc. Non ce la facevo proprio più stanotte. E così via.

Comunque riprendiamo la marcia e facciamo conoscenza con altri animali tipici dell’Africa quali i leoni. Alquanto scazzati e speranzosi che qualcuno di noi per sbaglio scivoli dal pulmino.

Raggiungiamo anche un lodge (Voi lodge) per mettere qualcosa sotto i denti visto che in corpo non avevamo più nulla. Questo lodge era ben adagiato su una collina e alla base una pozza d’acqua attirava innumerevoli elefanti e animali vari per abbeverarsi, tanto che c’è stato un momento in cui c’erano più elefanti che alberi.

Verso sera ce ne ritorniamo al residence ponendo fine a due meravigliosi giorni di safari, sporchi di terra rossa ma soprattutto (permettetemi il riferimento pubblicitario) puliti dentro grazie alla lavanda gastrica del succo d’ananas.

Il giorno successivo, sempre invogliati dai beach boys, ce ne andiamo a Sardegna due che altro non è che una spiaggia ad una mezz’oretta di strada a piedi da dove siamo noi e dove c’è un mare limpidissimo. E’ vero, anche se il mare di fronte al residence è bello ugualmente. Diciamo che in più abbiamo i beach boys che ci fanno vedere animali acquatici strani che solo loro sanno dove abitudinariamente soggiornano quali murene, pesci scorpione, ecc.

Accettiamo il pranzo a base di pesce offerto (era compreso nel pacchetto) dai beach boys facendo attenzione a bere “solo” acqua in bottiglia chiusa per evitare che l’aragosta appena mangiata se ne esca dalla parte in cui è entrata.

Ci facciamo una nuotata nella laguna e poi verso sera ce ne torniamo a casetta per andare poi a Malindi a passeggiare un po’. Qui entriamo nel casinò. Io osservo e basta anche perché non ci capisco gran ché e poi ce ne torniamo a nanna.

Il giorno dopo facciamo una visita che resterà per sempre impressa nella mia mente. Andiamo al villaggio vicino a trovare alcuni bambini ospiti di un orfanotrofio. Lo so che non ha niente di turistico e che non è bello fare questo, ma io l’ho fatto con piacere esulando dal turistico. L’ho fatto perché volevo rendermi conto quanto fortunato sono e per porre fine alle lamentele che faccio quando qualcosa, anche di insignificante, mi capita e sembra che tutto il mondo mi cade addosso.

Mi ha fatto piacere immenso vedere quella triste realtà. Mi spiace tantissimo per i bambini ospiti lì, però dopo questa visita riesco a vedere il mondo e la mia realtà in modo diverso. Quando qualcosa o qualcuno mi fa incazzare penso a loro, a quei bambini sorridenti che non hanno niente ma non hanno perso il sorriso. Penso alla maestra che non appena ci ha visto ci ha abbracciato e baciato tutti come ci conoscessimo da tempo. Penso ai nostri bambini che se non hanno la play station fanno di quelle moine… Penso a tante cose e soprattutto penso che non fossi stato là, non avrei mai preso conoscenza della mia realtà. La sera ce ne andiamo in una discoteca locale dove la cosa più viva era la pianta di cocco al centro. Per cui a nanna.

Il giorno dopo ritocchiamo l’abbronzatura e la sera ce ne andiamo a Malindi a cenare in un locale dove fanno pesce. E che pesce. Tutta roba locale. Abbiamo mangiato che sfiderei un politico nostro a “mangiare” così tanto. E poi alla fine abbiamo speso meno di una nostra pizza margherita. Peccato non averlo saputo prima. Avremmo evitato volentieri il self-service del residence.

Poi un giretto per Malindi che al di là della zona del casinò non offre nulla e poi a nanna che domani c’è la levataccia per rientrare in Italia.

Il volo di ritorno è stato borghese con il solito atterraggio tecnico a Luxor per il pieno e poi la triste realtà del ritorno sottozero.



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