Conto in rosso? Vacanze verdi di in Liguria

Nove giorni a spasso sui monti liguri, immerso nella natura
Scritto da: Bushwag
conto in rosso? vacanze verdi di in liguria
Partenza il: 02/08/2013
Ritorno il: 11/08/2013
Viaggiatori: uno
Spesa: 500 €
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Crisi economica, crisi lavorativa, crisi di mezza età, crisi dell’euro, crisi del neuro…

Con questi presupposti, pochi soldi e la voglia di dimostrare a me stesso e a chi mi conosce che ho ancora energie, forza di volontà ed un briciolo di incoscienza necessari a raggiungere obiettivi non comuni, decido di dedicare parte delle ferie estive per affrontare una lunga escursione seguendo il percorso dell’Alta Via dei Monti Liguri.

Si tratta di un sentiero che attraversa tutta la dorsale montuosa della Liguria, da Ventimiglia a Ceparana. Mi pongo come obiettivo il tratto da Ventimiglia a Busalla: circa 240km, deviazioni incluse, quasi interamente su mulattiere e strade sterrate.

I preparativi fisici ed organizzativi sono lunghi: ricerca di informazioni sulle difficoltà del percorso, sulla presenza di fonti e di punti di appoggio, bozza di un ipotetico itinerario, allenamenti a camminare con scarponi e zaino pieno, scelta di cosa mettere dentro quest’ultimo.

Per informazioni sull’Alta Via, suggerisco di consultare almeno due siti internet: www.altaviadeimontiliguri.it e www.ospitalitaaltavia.it. Certamente non è una vacanza per chiunque, ma non è necessario essere dei Rambo.

Inoltre io mi sono concentrato molto sul traguardo prefissato in termini di percorrenza, mentre altri potrebbero ridurre il chilometraggio giornaliero o la durata (dedicandovi magari alcuni fine settimana) in modo da approfondire la conoscenza dei luoghi attraversati che hanno da offrire non solo viste mozzafiato e paesaggi notevoli, ma anche pagine di storia, tante fortificazioni militari, paesini caratteristici, specialità ed eccellenze eno-gastronomiche.

Un uomo di mezza età si aggira nell’atrio della stazione, sfoggiando un look insolito che attira la curiosità negli sguardi di chi annoiato aspetta di andare al lavoro, all’università o forse al mare.

Lo stupore è evidente anche nel capostazione, un amico, che passo a salutare prima della partenza e che, augurandomi buona fortuna, mi immortala in una foto ricordo che spero non dovrà essere utilizzata come foto segnaletica per le ricerche di un disperso…

A Genova gli sguardi metropolitani, più avvezzi alle stranezze, fanno poco caso a chi si muove pesantemente con un grosso zaino, bermuda, scarponi e bastoncini da nordic walking. Il treno arriva a Ventimiglia in leggero ritardo, poco prima di mezzogiorno. Ho comunque il tempo di comprare un po’ di frutta per pranzo prima che i negozi chiudano, e di avviarmi verso l’inizio dell’avventura, distante poche centinaia di metri dalla stazione FFSS. Lo scorgo da qualche decina di metri, la sua vista mi rallegra e la sua compagnia sarà di conforto durante tutta la traversata: il primo inconfondibile segnavia, biancorosso con la scritta “AV” nel centro, mi attende immobile sotto il solleone agostano, quasi sembra ammiccarmi quando lo fisso prima di lasciarmelo alle spalle, lì sulla curva del guard-rail che porta al sovrapasso ferroviario. I primi chilometri sono affascinanti ma durissimi. L’asfalto e le case lasciano presto il posto ad un ripido single-track immerso nella macchia mediterranea che non garantisce alcun riparo da un sole implacabile, ma offre splendide visioni panoramiche sulla costa ligure e francese. Dopo circa un’ora di cammino approfitto della presenza di un gentile giardiniere per bere, bagnarmi capo e collo e reintegrare le mie scorte d’acqua già intaccate nel primo tratto di ascesa. L’arzillo ottuagenario, il cui aspetto mi ricorda Giorgio Forattini, si rivelerà molto gentile e verbosissimo, con la fissa del ciclismo e dell’astrologia, predicendo il successo della mia impresa perchè sono dell’Acquario, come Gianni Bugno ed Oscar Freire, campioni mondiali di ciclismo che alle parole preferiscono i fatti. Di lì in avanti non troverò più acqua né persone, ad eccezione di una coppia francese e di un cavaliere bardato come Trinità che percorrevano l’AV in direzione opposta alla mia.

Il sentiero non presenta particolari difficoltà ad eccezione del sole e della carenza d’acqua che compenserò in parte mangiando grappoli di uva acerba, privando un viticoltore di qualche goccia in più di prezioso Rossese di Dolceacqua. Il mare è sempre più lontano, incontro qualche chiesetta e cappella votiva e finalmente compare anche qualche albero che offre un minimo d’ombra al mio passaggio. Quando arrivo al rifugio Alta Via sono stremato, soprattutto disidratato, anche perchè non ho voluto dare fondo alle scorte d’acqua, errore che non ripeterò più nei giorni successivi. Piazzo la tenda sotto una vecchia quercia, a farmi compagnia c’è una simpatica capretta di nome Marika. Una doccia, bere tanta acqua e una cena abbondante mi rigenerano. A tavola tra un piatto di trenette al pesto ed uno di pollo alle olive chiacchiero con una famiglia tedesca che partita da Limone Piemonte sta andando verso Ventimiglia, e che mi darà alcune utili informazioni sulle fonti che incontrerò l’indomani lungo il percorso. La notte in tenda viene funestata da rumori notturni un po’ eccessivi: gracidio di rane, grugniti di cinghiali e soprattutto un urlo, modulato credo da un gatto selvatico, simile al pianto disperato di un bambino, che mi farà sobbalzare e perdere il sonno per alcuni minuti.

Dopo un’abbondante colazione ricomincio il cammino lungo una larga strada militare e piano piano la scenario cambia completamente passando da mediterraneo a pre-alpino con alberi ad alto fusto che offrono ombra e refrigerio.

Su consiglio di un paio di bikers seguo la variante bassa dell’AV in modo da essere certo di incontrare un paio di fonti, i cui effetti su fisico e morale sono miracolosi nel corso di lunghe escursioni. Per chilometri non incontro anima viva fatta eccezione per un gruppo di francesi inscatolati dentro una colonna di fuoristrada superaccessoriati.

Il vedermi a piedi con un grosso zaino, forse sminuisce un po’ il loro senso di avventura.

Quando arrivo alla “bassa di Gouta” mi trovo di fronte ad un delizioso spiazzo erboso con tanto di alberi ad alto fusto, un ruscello e una fonte.

Sarebbe il posto ideale per passare la notte, ma è troppo presto per fermarsi e mi limito a pranzare, rinfrescare i piedi nell’acqua del torrente ed a medicare le prime vesciche con il tradizionale metodo “sartoriale” che prevede l’uso di ago e filo.

Dopo un paio d’ore raggiungo il Passo Muratone. Il rifugio omonimo è chiuso e ho qualche difficoltà a trovare uno spazio idoneo a piazzare la tenda per via di un ambiente piuttosto ostile con molti sassi e pochi alberi, ma alla fine trovo una sistemazione decente, addirittura con vista mare dal balcone delle Alpi liguri in cui mi trovo, a 1400 metri d’altitudine.

Di prima mattina muovo in direzione dei monti Toraggio e Pietravecchia, le prime vere vette alpine sul mio cammino. La larga strada militare lascia il posto ad un angusto sentiero scavato nella roccia tra la prima e la seconda guerra mondiale. Purtroppo una parte del Sentiero degli Alpini è intransitabile causa frana e così al passo dell’Incisa devo abbandonare questa ardita opera viaria e passare sul versante francese che se non altro ha il vantaggio di essere esposto a nord-ovest, e quindi all’ombra, e di avere un fondo piuttosto regolare.

Al contrario molto sconnessa con rischi per le caviglie si rivela la discesa dal Monte Grai al rifugio Allavena, un tratto peraltro caratterizzato dalla presenza di famelici tafanidi di cui, a distanza di dieci giorni, porto ancora i simpatici segni-ricordo sulle gambe.

La tappa si rivela più breve e facile del previsto e prima di mezzogiorno sono già al rifugio, con tutto il tempo per riposarmi e mangiare: ad una merenda a base di salumi (che pagherò carissima) segue una cena frugale ma saporita con pasta al sugo di funghi, spezzatino con piselli e crostata.

Il rifugio è piuttosto affollato essendo domenica, anche se si svuoterà decisamente verso sera, così ho modo di scambiare qualche parola dopo un paio di giornate senza incontrare quasi nessuno.

A cena si verifica quella che, da quanto testimoniato dai ristoratori incontrati lungo il percorso, deve essere una consuetudine: andati via i turisti del mordi e fuggi in cerca di refrigerio o del pranzo fuori porta, rimangono quasi solo gli escursionisti ed il numero di tedeschi è superiore a quello degli italiani. Peraltro due connazionali sono giunti lì in moto, ed un altro in auto per osservare le stelle. Evidentemente siamo un popolo che ama le comodità…e spesso, soprattutto quando viaggio all’estero, mi vengono dei dubbi sulle mie origini…

L’indomani sono il primo a fare colazione, tanto che non c’è nemmeno il personale del rifugio che però mi ha lasciato sul tavolo il necessario per fare un bel pieno di zuccheri.

Il primo tratto per tornare al Grai è duro, poi si cammina su comode strade carrabili.

Dopo poco trovo un alpeggio e ne approfitto per bere, ma dei pastori brigaschi, mi fermano…stavo per bere l’acqua del gregge…e mi indicano a quale fonte rifornirmi.

Intorno a me pascoli, boschi e resti di edifici militari che recano più i segni del tempo e dell’abbandono che del conflitto bellico.

Boschi frondosi mi accompagnano fino ai piedi del Monte Saccarello, la vetta più alta dell’intero percorso: 2200 metri sul livello del mare, là dove mi trovavo solo pochi giorni fa.

Distratto da un gregge di pecore e dalla visione di una fontana, perdo il segnavia e proseguo sulla larga strada sterrata che risale i fianchi della montagna, fino a quando non decido di azzardare una variante arrampicandomi per un canalone molto ripido che si ricongiunge alla sterrata poco prima della vetta. Qui, sotto alla statua del Redentore ci sono due motociclisti italiani che fanno uno spuntino e decido di imitarli dopo essermi goduto il panorama ed aver recitato una preghiera di rito.

La discesa verso S.Bernardo di Mendatica è piuttosto agevole e piacevole, ma per la prima volta incontro le nuvole che minacciose salgono dal fondo valle coperto da una spessa cappa di umidità.

Lungo il sentiero trovo anche i primi funghi porcini della stagione, che a malincuore non raccolgo.

Avevo in programma di pernottare in tenda in quella zona, ma quando arrivo sono le 14,30 e così dopo un panino con bibita al bar del valico e dopo aver riempito le borracce alla fontanella pubblica, riprendo a camminare in direzione del Colle di Nava dove giungo intorno alle 18 stanco e provato anche dal fondo sconnesso che dal forte Pozzanghi scende verso il Colle.

Riprendo energie con focaccia, prosciutto, frutta e amaretti comprati in un alimentari del paese e mangiati su una panchina del parco del paese, celebre per l’essenza di lavanda.

E’ chiaro che non riuscirò ad arrivare a quello che avrebbe dovuto essere il successivo posto tappa, ossia il rifugio Pian dell’Arma, ma mi metto in cammino per raggiungere S.Bernardo d’Armo che ha un’area verde ideale per il campeggio. Una volta lì però non trovo la fonte che le guide segnalavano.

Disperato, chiedo allora consiglio ad una coppia che sta godendosi una grigliata sui prati.

Si rivelano gentilissimi: mi indicano il luogo in cui si trova la fonte per abluzioni e rifornimenti, mi regalano dell’acqua e un piatto con salsiccia e braciola. Alle 21,30 sono in tenda, stanco ma felice: pulito, con la pancia e le borracce piene. Lo scalpiccio di un capriolo al galoppo mi fa temere una notte movimentata ma non avrò più fastidi fino all’ora della sveglia.

La mattina successiva incontro delle pale eoliche, le prime di una lunga serie che mi accompagnerà spesso nel tratto sul confine tra provincia di Savona e di Cuneo. La visione genera sentimenti contrastanti: da un lato ammirazione per l’opera ingegneristica ed ecologica, dall’altro fastidio per il senso di violazione del bosco. Su due cose non ci sono dubbi: lo stravolgimento dei sentieri e delle stradine boschive trasformate in autostrade non asfaltate, e la funzione di segnavia utile a scrutare il percorso passato e futuro. Dopo un paio di ore arrivo al Pian dell’Arma dove mi concedo una corroborante colazione e dove mi faccio preparare un paio di panini per pranzo. La titolare del rifugio, una donna di grande energia e di massima disponibilità, mi chiede dove ho intenzione di pernottare. La mia idea era di piantare una tenda vicino al colle di Scravaion, ma lei mi lascia comunque il numero di telefono di un albergo di Bardineto che fa servizio navetta per chi percorre l’Alta Via.

Questa informazione si rivelerà preziosissima, infatti arriverò allo Scravaion stanchissimo, con i piedi martoriati dalle vesciche e con il morale a terra, prossimo al ritiro.

Patisco infatti un fondo molto sconnesso e sassoso, ma anche una situazione climatica che passa dal caldo torrido iniziale al vento freddo con nebbia fitta che mi raggiungono poco dopo mezzogiorno e che mi accompagneranno fino a sera facendomi anche temere la pioggia.

Non credo avrei sopportato una notte in tenda, mi servivano un letto comodo e una doccia, così sfrutto il servizio navetta offerto dall’albergo Marianella dove mi trovo circondato da pensionati molto in là negli anni a cui devo essere sembrato più prossimo all’estrema unzione di loro…

Il riposo e la ipercalorica colazione in albergo si rivelano provvidenziali per riprendere il cammino che in gran parte si svolge su comodi sentieri all’ombra di una splendida foresta di faggi, la famosa foresta Barbottina, fino a raggiungere le fortificazioni in disuso del colle del Melogno.

Qui ceno e pernotto presso il rifugio Heidi, un ambiente rustico e famigliare in cui mi trovo a mio agio e dove apprezzo le generose porzioni della semplice ma gustosa cena e la gentilezza dei miei ospiti, in particolare quella del piccolo Angelo, un bambino che è già un ometto, aiuta nei lavori di casa e parla benissimo anche in dialetto. Alle 6,30 ora prevista per la colazione, pioviggina, decido così di rimandare un po’ la partenza e di riposare ancora un po’. Il tempo rimane incerto con un cielo autunnale e scrosci ad intermittenza. Alle dieci, deciso a partire nonostante la pioggerella, vengo ricacciato in casa da due lampi e da un’improvvisa bufera di acqua e vento che per mezz’ora mi costringono a barricarmi in casa. Poi però il cielo si schiarisce e posso finalmente partire. Faccio in tempo a raggiungere la bella chiesetta della Madonna della Neve quando ricomincia a piovere. Ne approfitto per uno spuntino all’interno del ricovero aperto, annesso alla chiesetta che venne costruita nel 1666 in occasione del passaggio dell’infanta di Spagna diretta a Vienna per sposare l’imperatore d’Austria. Lo scroscio successivo non riuscirò ad evitarlo ma per fortuna sarà breve e poco intenso. Sebbene già in ritardo faccio sosta alla cappella di S.Giacomo con l’intenzione di fare più pause brevi e camminare anche di notte (ho le luci frontali) per recuperare il tempo perduto, così finisco per arrivare ad Altare con almeno tre ore di ritardo rispetto al previsto. Il cielo è minaccioso e decido di fermarmi a mangiare qualcosa alla locanda “Il girone dei golosi”. Qui mentre degusto un delizioso tagliere di salumi (strepitosa la pancetta cotta in forno a legna, si scioglie in bocca) accompagnato da sgabei (una sorta di focaccia fritta) accadono un paio di circostanze fortuite e fortunose.

Mi accorgo che ricomincia a piovere così chiedo al gentile personale del ristorante se hanno un posto da consigliarmi in cui piantare la tenda o trovare riparo almeno per qualche ora. Avevo pensato alla stazioncina ferroviaria, ma mi comunicano che di notte è chiusa. Tra i clienti c’è il sindaco che mi suggerisce di utilizzare la struttura dell’area sagre. Alla mia obiezione che non vorrei essere arrestato per vagabondaggio, vengo confortato da un altro avventore che si rivela essere maresciallo dei Carabinieri. A questo punto mi manca solo la benedizione del parroco, così soddisfatto per la cena e per le informazioni ed i permessi ottenuti, mi dirigo verso la struttura che mi ospiterà e che si rivelerà provvidenziale visto che su Altare si riverserà un intenso temporale con tuoni, fulmini ed acqua a catinelle che avrebbero reso insostenibile una notte in tenda.

Ad un certo punto della notte mi sento “aggredito” da qualcosa, forse un gatto che mi salta sul petto, ma non ho ancora capito se si è trattato di realtà o di un sogno reso così realistico dalla stanchezza. La tappa seguente si snoda a lungo su strada asfalta e poi su saliscendi in sentieri boscosi senza offrire spunti storico-paesaggistici di particolare rilievo. Al Colle di Giovo Ligure faccio sosta pranzo, molestato dalla presenza di chiassosi boy-scout che si riscattano offrendomi ottimi dolcetti al cioccolato per farsi perdonare del caos generato. La salita verso il monte Beigua si rivela lunghissima e nell’ultimo tratto la fatica è acuita dal fatto di camminare su un fondo sassoso e battuto dal sole. Salendo al Beigua percepisco di essere ormai vicino a casa, lo noto osservando la conformazione del suolo e la tipologia di alberi, con i castagni che rimpiazzano i faggi. Quando arrivo al rifugio di Pratorotondo sono piuttosto a pezzi, tanto che dopo la doccia, mentre attendo la cena, sono pervaso da brividi di freddo.

Il misto di salumi e formaggi, i taglierini al cinghiale, il cinghiale in umido e la torta calda di mele con cioccolato fuso sono quello che ci vuole per riprendersi e quando vado a dormire mi sento rimesso a nuovo.

A tavola scambio chiacchiere ed informazioni con una simpatica coppia pavese che farà alcune tappe del mio itinerario, ma in direzione opposta.

Il trasferimento da Pratorotondo al Faiallo si rivela una delle tappe più piacevoli dell’intero tracciato sebbene una gelida tramontana soffi costantemente con forza tale che a volte quasi mi fa perdere l’equilibrio. Il fondo è buono ed il sentiero altamente spettacolare con splendide viste sulla costa che finalmente sgombera da nubi e umidità si offre in tutta la sua bellezza.

Purtroppo poco prima del Faiallo opto per una deviazione durante la quale sento una fitta tremenda alla schiena che mi lascia alcuni secondi piegato in due e senza fiato, ma ormai sono troppo vicino alla meta per mollare, stringo i denti e vado avanti.

Dopo uno spuntino al bar del Faiallo, riprendo il cammino fino al passo del Turchino transitando a lungo su strada provinciale, anche per alleviare il dolore alla schiena ed alla caviglia destra.

Sono in una zona che ha visto cadere tanti giovani partigiani ed il Sacrario dei martiri del Turchino è proprio sulla strada. La sosta provvidenziale mi consente di riempire le borracce da un rubinetto semi-nascosto dietro una siepe ai piedi dell’edificio.

Poi riprendo la strada sterrata e con un disperato forcing finale riesco a raggiungere il panoramico bivacco sopra ai laghi del Gorzente poco prima che faccia buio.

Condivido l’angusto spazio del rifugio con un signore ed il suo figlioletto, entrambi molto simpatici ma russatori da competizione, tanto che tra dolori fisici e rumori molesti dormirò ben poco.

A colazione do fondo alle ultime riserve alimentari e lascio nel bivacco un paio di scatolette di tonno sperando che un giorno possano essere utili e gradite a qualcuno.

Parto proprio mentre il sole fa capolino da dietro alle montagne del levante ligure. I primi passi sono meno dolorosi di quanto temessi, tuttavia un tratto dal fondo irregolare inizia a mettermi a dura prova e, forse complice un calo di adrenalina per il fatto di sentire il traguardo ormai vicino, la semplice discesa dal passo della Bocchetta a quello dei Giovi diventa un’agonia.

Trovo nuove motivazioni nell’obiettivo di raggiungere la stazione ferroviaria entro le 11,30 immaginando che poco dopo ci sia un treno, ed in alcuni tratti riesco addirittura a corricchiare fino a raggiungere la ferrovia con due minuti di anticipo e scoprire che dovrò aspettare oltre trenta minuti per il primo treno che mi porterà ad Arquata Scrivia. Trascorro il tempo di attesa stravaccato su una panchina, riposando e sgranocchiando un po’ della frutta secca rimasta.

L’idea originale prevedeva di camminare ancora da Arquata a casa per fare una sorpresa ai miei, ma viste le mie condizioni fisiche mi accordo telefonicamente con papà per farmi venire a prendere.

Alle ore tredici di domenica 11 agosto sono già fresco di doccia e di fronte ad un delizioso piatto di ravioli circondato dall’affetto dei miei genitori e dalla loro curiosità sulla mia avventura.

Non ho una carriera brillante, non ho una bella moglie, non ho figli svegli, non compro vestiti alla moda e guido una piccola utilitaria a metano, per molti quindi sono uno sfigato e un fallito.

Però ho gambe, idee, ideali, sogni e la determinazione per perseguirli, incurante dei giudizi altrui.

Se prima pensavo di essere diverso dalla maggioranza della gente, ora ne ho quasi la certezza, e non me ne dispiaccio affatto…sarò un sognatore, ma se devo seguire dei sogni o degli obiettivi preferisco seguire i miei piuttosto che quelli costruiti ed indicatici ad arte dalla società consumistica e dell’apparenza in cui viviamo.

Spesa totale: 350€ circa (esclusa ovviamente l’attrezzatura riutilizzabile: scarponi, zaino, tenda, sacco a pelo, bastoncini, abbigliamento)

Km percorsi: 240 circa (225 di Alta Via, più alcune deviazioni)

Durata prevista: 12 tappe

Durata effettiva: 10 tappe (8 giornate piene, due mezze giornate)

Notti in rifugio: 4

Notti in bivacco: 2

Notti in tenda: 3

Peso dello zaino alla partenza: 17 Kg

Peso mio in ordine di marcia: 97 Kg (include zaino, scarponi, bastoncini e abbigliamento)

Contenuto dello zaino: tenda, sacco a pelo, tappetino, cuscino gonfiabile, poncho, telo copri zaino, 1 bottiglia d’acqua da 2 litri, tre bottiglie da mezzo litro, coperta isotermica, pila a dinamo, pila frontale, caricabatterie cellulare e caricabatterie macchina fotografica, fotocamera, cellulare, coltello opinel, coltellino svizzero, nastro adesivo, fischietto, corda e mollette, sandali, 2 paia di bermuda, 3 magliette maniche corte, una maglietta maniche lunghe, 2 paia di mutande, 3 paia di calze, 2 asciugamani in microfibra, cartine, appunti, biro, caramelle, fazzoletti di carta e salviette umide, spork, cibo (barrette energetiche, frutta secca, scatolame, pane in cassetta, formaggio grana, sali integratori, latte condensato, biscotti), medicinali (aspirina, imodium, nimesulide, voltaren crema, prep, acqua ossigenata, cerotti, cerotti per vesciche, ago e filo per vesciche, burro cacao) igiene personale (saponetta, dentifricio e spazzolino, tagliaunghie, cotton fioc).

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